By Mosaico di Pace, 12 marzo 2012
Renato Sacco
La notizia della carneficina, almeno 16 morti con donne e bambini, compiuta da un soldato americano nella zona di Kandahar, in Afghanistan arriva proprio alla vigilia dell’anniversario dell’assassinio, a Mosul, in Iraq, del Vescovo Pauolos Faraj Rahho: 13 marzo 2008. Roba da matti! Qualcuno dice che il soldato Usa era ‘in preda a un crollo nervoso’. Altri, forse più realisticamente dicono che non era solo. Ho avuto modo di incontrare di persona, a Baghdad, alcuni soldati americani. Erano molto giovani: e qualcuno, sembrava davvero fuori di testa, con lo sguardo nel vuoto, per nulla ‘collegato’ con quanto gli succedeva intorno, a partire dagli stessi suoi amici soldati. Mi ha colpito molto! E sappiamo quanti suicidi tra i soldati in zone di guerra, più o meno nascosti all’opinione pubblica, ci siano.
E anche davanti al macabro ritrovamento del corpo senza vita del vescovo di Mosul, alla periferia della città, in una discarica, si è detto che era una cosa atroce, folle.
Ho incontrato mons. Rahho tante volte. L’ultima a fine febbraio 2008. Negli anni scorsi, nella sua casa a Mosul, maggio 2003, aveva chiesto a me e a don Fabio Corazzina, di tradurre in arabo gli interventi di Giovanni Paolo II contro la guerra. Si riferiva al discorso al Corpo diplomatico del 13 gennaio 2003: “Si impongono pertanto alcune scelte affinché l’uomo abbia ancora un avvenire: i popoli della terra e i loro dirigenti devono avere talvolta il coraggio di dire "no"… “No alla guerra! La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità”.
E anche all’Angelus di domenica 16 marzo 2003, a pochi giorni dall’inizio della guerra in Iraq: “Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest'esperienza: "Mai più la guerra!”
Dobbiamo riconoscerlo, se la voce del papa contro la guerra è stata forte, con ampi titoli anche sull’Osservatore Romano, non si può dire la stessa cosa per qualche altro giornale autorevole della chiesa italiana, sicuramente più preoccupato di mediare le posizioni ‘estreme’ del papa sulla guerra. Proprio dagli amici dell’Iraq, dalle comunità cristiane che vivono questa situazione “Il nostro è un venerdì santo che continua da tanto tempo e sembra non finire mai!”, ci viene un appello forte per la pace, non in modo vago e generico, ma contro il commercio delle armi, contro la guerra, per un vero dialogo e incontro tra le persone.
Non posso quindi ricordare un amico come mons. Rahho solo con una preghiera. Questo lo farò domani, il giorno della sua morte. Ricordando anche tutti gli altri martiri di ieri e di oggi, a cominciare da mons. Romero, tra pochi giorni.
Insieme alla preghiera è chiesto a tutti, ai credenti in particolare, di denunciare la guerra. Interessante quanto scrive un sacerdote giordano sul sito di Asianews (www.asianews.it): “In Iraq, come in Siria, gli eserciti stranieri creano solo guai”.
Addirittura l’Arcivescovo Militare degli Stati Uniti, Mons. Timothy Broglio, poche settimane fa ha affermato: " Sì, si può dire in un certo senso che l'invasione dell'Iraq ha provocato questa diminuzione enorme della popolazione cristiana in quel paese”.
Dovrebbe risuonare di più nelle nostre chiese, l’antica invocazione ‘a fame peste et bello, libera nos Domine!’ (dalla fame, dalla peste e dalla guerra liberaci o Signore!). È troppo facile cercare in qualche modo di spiegare un massacro di civili con la scusa della ‘mela marcia’ o di qualcuno che ‘è uscito di testa’. Si, lo scriveva già Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, è la scelta della guerra in sé che è fuori di testa, alienum est a ratione, cioè ‘roba da matti’.
E anche davanti al macabro ritrovamento del corpo senza vita del vescovo di Mosul, alla periferia della città, in una discarica, si è detto che era una cosa atroce, folle.
Ho incontrato mons. Rahho tante volte. L’ultima a fine febbraio 2008. Negli anni scorsi, nella sua casa a Mosul, maggio 2003, aveva chiesto a me e a don Fabio Corazzina, di tradurre in arabo gli interventi di Giovanni Paolo II contro la guerra. Si riferiva al discorso al Corpo diplomatico del 13 gennaio 2003: “Si impongono pertanto alcune scelte affinché l’uomo abbia ancora un avvenire: i popoli della terra e i loro dirigenti devono avere talvolta il coraggio di dire "no"… “No alla guerra! La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità”.
E anche all’Angelus di domenica 16 marzo 2003, a pochi giorni dall’inizio della guerra in Iraq: “Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest'esperienza: "Mai più la guerra!”
Dobbiamo riconoscerlo, se la voce del papa contro la guerra è stata forte, con ampi titoli anche sull’Osservatore Romano, non si può dire la stessa cosa per qualche altro giornale autorevole della chiesa italiana, sicuramente più preoccupato di mediare le posizioni ‘estreme’ del papa sulla guerra. Proprio dagli amici dell’Iraq, dalle comunità cristiane che vivono questa situazione “Il nostro è un venerdì santo che continua da tanto tempo e sembra non finire mai!”, ci viene un appello forte per la pace, non in modo vago e generico, ma contro il commercio delle armi, contro la guerra, per un vero dialogo e incontro tra le persone.
Non posso quindi ricordare un amico come mons. Rahho solo con una preghiera. Questo lo farò domani, il giorno della sua morte. Ricordando anche tutti gli altri martiri di ieri e di oggi, a cominciare da mons. Romero, tra pochi giorni.
Insieme alla preghiera è chiesto a tutti, ai credenti in particolare, di denunciare la guerra. Interessante quanto scrive un sacerdote giordano sul sito di Asianews (www.asianews.it): “In Iraq, come in Siria, gli eserciti stranieri creano solo guai”.
Addirittura l’Arcivescovo Militare degli Stati Uniti, Mons. Timothy Broglio, poche settimane fa ha affermato: " Sì, si può dire in un certo senso che l'invasione dell'Iraq ha provocato questa diminuzione enorme della popolazione cristiana in quel paese”.
Dovrebbe risuonare di più nelle nostre chiese, l’antica invocazione ‘a fame peste et bello, libera nos Domine!’ (dalla fame, dalla peste e dalla guerra liberaci o Signore!). È troppo facile cercare in qualche modo di spiegare un massacro di civili con la scusa della ‘mela marcia’ o di qualcuno che ‘è uscito di testa’. Si, lo scriveva già Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, è la scelta della guerra in sé che è fuori di testa, alienum est a ratione, cioè ‘roba da matti’.