By Baghdadhope
Folla di iracheni in Vaticano questo gennaio. Ai vescovi siro cattolici che domani si riuniranno in sinodo per eleggere il nuovo patriarca, a quelli caldei attesi per la visita ad limina dal 23, si aggiunge una delegazione proveniente da Kirkuk formata da rappresentanti di tutte le etnie e religioni presenti in città, e tra essi, naturalmente, i cristiani. Delegazione che secondo alcune fonti visiterà il Vaticano e secondo altre incontrerà il Pontefice per farsi portatrice di un messaggio di pace e convivenza. Secondo Mala Bakhtiyar, a capo dell’ufficio politico del PUK (Patriotic Union of Kurdistan) la visita a Roma servirà a “…mobilitare il sostegno internazionale sulla questione di Kirkuk, di vitale importanza per l’Iraq….” ed a “confermare al Santo Padre la volontà della popolazione di Kirkuk di continuare a convivere nella cornice di un Iraq democratico e pluralistico” riconoscendo al Pontefice un “ruolo importante nello sforzo di stabilire la pace nel mondo.”
Per quanto riguarda la minoranza cristiana di Kirkuk il presidente iracheno nonché fondatore e segretario generale del PUK, Jalal Talabani, ha ribadito la volontà di mantenere per essa la percentuale di impieghi governativi del 4% a Kirkuk così come quella di assicurare la loro rappresentatività nelle istituzioni governative a livello nazionale.
La percentuale del 4% cui si riferisce Talabani è quella stabilita nel 2007 e si inserisce nel più vasto discorso sul futuro di Kirkuk, città ancora contesa tra le parti che la abitano. Le elezioni provinciali svoltesi in Iraq nel gennaio 2005 videro l’affermarsi a Kirkuk della coalizione politica curda, un’affermazione che portò ad accuse di brogli e conseguente paralisi politica che sembrò risolversi il 2 dicembre 2007 quando si raggiunse un accordo secondo il quale gli impieghi governativi sarebbero stati assegnati a membri delle diverse comunità (arabi, curdi, turcomanni e cristiani) secondo una precisa percentuale di 32-32-32 e 4% che però, denunciano gli stessi membri del Consiglio, non è mai stata rispettata con una predominanza di arabi tra gli impiegati governativi e di curdi tra i dirigenti governativi,
una sorta di rappresentazione numerica della sempre maggiore importanza politica che la parte curda ha assunto in città dal momento della caduta del regime.
Kirkuk, come le tre province curde del nord dell’Iraq, non eleggerà il proprio consiglio provinciale il prossimo 31 gennaio. La legge elettiva riguardante tali entità politiche nel settembre 2008 stabilì per la città contesa la creazione di una commissione di 7 legislatori (2 arabi, 2 curdi, 2 turcomanni ed 1 cristiano) che ha tra i suoi diversi compito quello di trovare una soluzione al difficile problema del consenso a Kirkuk preparando una bozza di legge elettorale per la città da presentare a Baghdad per l’approvazione parlamentare entro il 31 marzo 2009.
Ad oggi il comitato, sebbene creato, non ha dato inizio alle proprie attività ed un’altra volta appare difficile che in tempi stretti a Kirkuk possa essere trovata una soluzione che non sia quella del procrastinare sine die. Il viaggio della delegazione in Vaticano quindi, sebbene carica di un valore simbolico forte, difficilmente potrà aiutare dal punto di vista pratico la soluzione del problema di una città che, galleggiando su uno dei più grossi giacimenti di greggio del paese, è da molti e da sempre indicata come un futuro casus belli nella storia del paese
Per quanto riguarda la minoranza cristiana di Kirkuk il presidente iracheno nonché fondatore e segretario generale del PUK, Jalal Talabani, ha ribadito la volontà di mantenere per essa la percentuale di impieghi governativi del 4% a Kirkuk così come quella di assicurare la loro rappresentatività nelle istituzioni governative a livello nazionale.
La percentuale del 4% cui si riferisce Talabani è quella stabilita nel 2007 e si inserisce nel più vasto discorso sul futuro di Kirkuk, città ancora contesa tra le parti che la abitano. Le elezioni provinciali svoltesi in Iraq nel gennaio 2005 videro l’affermarsi a Kirkuk della coalizione politica curda, un’affermazione che portò ad accuse di brogli e conseguente paralisi politica che sembrò risolversi il 2 dicembre 2007 quando si raggiunse un accordo secondo il quale gli impieghi governativi sarebbero stati assegnati a membri delle diverse comunità (arabi, curdi, turcomanni e cristiani) secondo una precisa percentuale di 32-32-32 e 4% che però, denunciano gli stessi membri del Consiglio, non è mai stata rispettata con una predominanza di arabi tra gli impiegati governativi e di curdi tra i dirigenti governativi,
una sorta di rappresentazione numerica della sempre maggiore importanza politica che la parte curda ha assunto in città dal momento della caduta del regime.
Kirkuk, come le tre province curde del nord dell’Iraq, non eleggerà il proprio consiglio provinciale il prossimo 31 gennaio. La legge elettiva riguardante tali entità politiche nel settembre 2008 stabilì per la città contesa la creazione di una commissione di 7 legislatori (2 arabi, 2 curdi, 2 turcomanni ed 1 cristiano) che ha tra i suoi diversi compito quello di trovare una soluzione al difficile problema del consenso a Kirkuk preparando una bozza di legge elettorale per la città da presentare a Baghdad per l’approvazione parlamentare entro il 31 marzo 2009.
Ad oggi il comitato, sebbene creato, non ha dato inizio alle proprie attività ed un’altra volta appare difficile che in tempi stretti a Kirkuk possa essere trovata una soluzione che non sia quella del procrastinare sine die. Il viaggio della delegazione in Vaticano quindi, sebbene carica di un valore simbolico forte, difficilmente potrà aiutare dal punto di vista pratico la soluzione del problema di una città che, galleggiando su uno dei più grossi giacimenti di greggio del paese, è da molti e da sempre indicata come un futuro casus belli nella storia del paese