"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

10 luglio 2006

Rapporto 2006 sulla libertà religiosa nel mondo: Iraq

Per l'ottavo anno consecutivo Aiuto alla Chiesa che Soffre, fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten e dichiarata "Associazione pubblica universale di diritto Pontificio" nel 1984, pubblica il Rapporto 2006 sulla libertà religiosa nel mondo.» Queste le pagine dedicate agli iracheni di fede cristiana.

IRAQ
APPARTENENZA
RELIGIOSA
Musulmani 96%
Cristiani 3,2%
Altri 0,8%
CHIESA
CATTOLICA

Battezzati
256.000
Circoscrizioni
Ecclesiastiche

17
SUPERFICIE
435.052 kmq
POPOLAZIONE
25.670.000
RIFUGIATI
46.053
SFOLLATI
1.300.000

Il Parlamento uscito dalle elezioni legislative del 30 gennaio, è composto dall’United Iraqi Alliance, la coalizione sciita patrocinata dal gran Ayatollah Al-Sistani e che ha ottenuto 140 posti per l’Assemblea Nazionale, cioè la maggioranza assoluta dei seggi. Aseguire, l’alleanza dei partiti curdi che hanno conseguito 75 rappresentanti; terzo, con 40 seggi, il partito sciita del premier ad interim Allawi. I partiti sunniti che hanno preso parte alle elezioni, hanno visto eletti 10 parlamentari.
Procede a grandi passi la ricostruzione dell’architettura istituzionale del Paese che ha segnato un passo avanti con la ratifica della nuova Costituzione e la sua successiva approvazione il 15 ottobre tramite referendum popolare. Sul testo – soprattutto in materia di diritto alla libertà religiosa – permangono perplessità delle minoranze, a cui hanno dato voce numerosi esponenti cattolici. Parlando durante una visita compiuta il 19 ottobre ad “Aiuto alla Chiesa che Soffre” l’arcivescovo ausiliare cattolico caldeo di Bagdad, monsignor Andreas Abouna, ha fatto rilevare gli ostacoli presenti nel testo dove gli articoli 2.1 (b) e 2.2., che difendono i diritti religiosi, appaiono in contrasto con l’articolo 2.1 (a) che dispone che «non si possono approvare leggi che siano in contraddizione con le leggi dell’islam».
L’arcivescovo cattolico caldeo di Kirkuk, monsignor Louis Sako, ha offerto ai musulmani iracheni la propria disponibilità al dialogo, avvertendoli però che la pretesa di applicare la shari’a nella nuova Costituzione è incompatibile con gli aneliti alla democrazia. In un’intervista pubblicata sul numero di novembre del periodico tedesco «Tagepost», il prelato ha esortato i musulmani a «una rilettura della loro religione», perché per assicurare il futuro dell’islam essi «devono cercare di rinnovarsi», ha affermato il presule, invitando i musulmani anche a una rilettura del cristianesimo, rinunciando a vederlo da un’angolazione negativa per poter permettere il dialogo che, diversamente, sarebbe impossibile: «I cristiani sono molto disposti al dialogo, ma l’altra parte no, perché per loro l’islam è la perfezione della religione». Monsignor Sako ritiene molto pericoloso considerare l’islam come fonte fondamentale della Costituzione irachena perché «il diritto islamico della shari’a e la democrazia sono incompatibili».
Perplessità sulla nuova Costituzione esprime anche monsignor Paul Faraj Rahho, arcivescovo caldeo di Mosul, che – in un’intervista ad «AsiaNews» – si sofferma, in particolare, sull’art. 2 nel quale risulterebbe evidente la difficoltà e l’ambiguità di far coesistere il rispetto
dell’islam con quello per i principi democratici e per i diritti di base.

«Siamo in un Paese a maggioranza musulmana – afferma monsignor Rahho – e non ci preoccupa che l’islam sia religione di Stato, ma che sia una fonte fondamentale della legislazione, contraddice i principi di democrazia e libertà tanto più che non vengono menzionate le altre possibili fonti». Il vescovo avverte della possibilità di «trovarsi un giorno di fronte a leggi che saranno compatibili con l’islam, ma non con i valori di una società libera». A conferma di questa contraddizione, il presule fa riferimento al secondo punto dello stesso articolo, affermando che – sebbene questa Costituzione garantisca «l’identità islamica della maggioranza della popolazione irachena e i pieni diritti religiosi per tutti e la libertà di credo e pratica religiosa» – la libertà religiosa comprende anche la libertà di conversione a un’altra fede, una libertà che non esiste se si vuole rispettare la legge islamica, tanto che in moltissimi Paesi musulmani la conversione ad altre religioni è ostacolata o proibita. I cittadini, quindi, non potranno cambiare liberamente la propria religione se non contravvenendo all’art. 2,1. Allo stesso tempo, però, se non viene garantita la libertà di abbandonare l’islam per un’altra fede, si è in contraddizione con l’art. 2,2. Peraltro l’islam accoglie con favore i convertiti da altre religioni e qui – avverte monsignor Rahho – sorge «il problema più grande» perché «quando uno o entrambi i genitori diventano musulmani, i minorenni della famiglia vengono anch’essi automaticamente registrati come musulmani: questo comporta un’imposizione della nuova religione anche a chi non l’ha scelta. Ancora una volta – sottolinea il presule – la domanda è: perché ci si può convertire all’islam, ma
non viceversa?».
A tali preoccupazioni ha tentato di dare una risposta il presidente Talal Jalabani, durante il
colloquio del 10 novembre con Papa Benedetto XVI, al quale ha assicurato che «la legge
islamica non avrà spazio nella Costituzione» e che «i cristiani hanno gli stessi diritti del resto dei cittadini», aggiungendo che l’opera della Santa Sede nel Paese è importante per la pace «perché riconforta moralmente e spiritualmente tutti gli iracheni». Eppure, in occasione del Sinodo dei cristiani caldei a Roma, sempre nel mese di novembre, il patriarca cattolico caldeo di Bagdad, monsignor Emmanuel III Delly, seguendo l’opinione di molti altri vescovi locali, ha annunciato che i cattolici chiederanno un emendamento alla Costituzione, modificandola o abrogandola in particolare laddove indica che «l’islam è la religione ufficiale dello Stato ed è fonte fondamentale della legislazione». Sulla stessa linea anche monsignor Sako che ha richiamato l’attenzione sul fenomeno dell’abbandono del Paese da parte dei cristiani iracheni più benestanti e del ceto intellettuale che, sentendosi minacciati, cercano rifugio in Giordania o in Siria. Alcuni leader cristiani – citati da «AsiaNews» – ritengono che, nel 2004, solo da agosto a ottobre, abbiano abbandonato l’Iraq tra i 10mila e i 40mila cristiani. Secondo il vescovo, «il nodo cruciale oggi è la situazione dei cristiani, soprattutto sotto la nuova Costituzione che rende impossibile la conversione dall’islam e unifica in modo poco chiaro caldei e assiri». La denuncia del presule è esplicita: «La nostra Chiesa non ha una visione per il futuro, né sul futuro politico del Paese né per quello pastorale; tutto è improvvisato, vissuto alla giornata». Il referendum è stato un «passo importante» per la democrazia, ma questa Costituzione è «troppo confessionale» e la comunità cristiana «non è soddisfatta». Monsignor Sako richiama poi il fatto che «ai lavori per la Costituzione i rappresentanti cristiani erano tutti laici, mentre per i musulmani c’erano anche i religiosi; nessun vescovo era lì e, solo un capo religioso, può capire certe problematiche».
Altro problema che monsignor Sako propone di mettere all’ordine del giorno è «l’aggressivo
proselitismo delle Chiese protestanti arrivate nel Paese con le truppe americane. A Baghdad
– racconta – ce ne sono 16 nuove e a Kirkuk due o tre; sono molti i fedeli che ci lasciano per unirsi a loro». È allora necessario capire il «perché e che cosa cercano. Metodisti e presbiteriani
– spiega – vengono con l’esercito e fanno proselitismo tra cattolici e ortodossi: attirano la gente con i soldi e la promessa di visti per espatriare; celebrano nei dialetti arabi, mentre noi ancora non abbiamo avuto un aggiornamento liturgico». Secondo monsignor Sako, «il futuro della Chiesa caldea è qui in Iraq», da dove, però, sempre più cristiani emigrano. «La nostra gente si sente isolata dal resto del mondo e lascia il Paese in cerca di sicurezza: i curdi nella zona curda, sono molto protetti; gli arabi hanno il sostegno dei Paesi limitrofi, ma i cristiani? Sono soli». Il vescovo fa un esempio: «Se un cristiano è rapito, è la famiglia che deve trovare i soldi per pagare il riscatto; non abbiamo appoggi da nessuno. L’unico sollievo ci è dato dai caldei della diaspora che raccolgono fondi e sono gli unici a poter fare pressione sui Paesi occidentali perché proteggano i cristiani in Iraq e in Medio Oriente».
Nessun riscatto risulta sia stato pagato, invece, né per il rilascio di due monaci caldei del
monastero di Sant’Antonio a Bagdad, sequestrati il 9 gennaio per 24 ore, né per la liberazione
del vescovo cattolico di Mosul, monsignor Basile Georges Casmoussa, rapito il 17 gennaio
e liberato il giorno successivo. Una condanna del sequestro di monsignor Casmoussa è giunta anche dallo Sciri – il Supremo consiglio della rivoluzione Islamica – tramite il suo portavoce Hamid al Bayati che ha ribadito l’importanza della piccola comunità cristiana nell’economia del Paese, esprimendo il desiderio comune di cristiani e musulmani «di lavorare insieme per far rinascere un nuovo Iraq». Intervistato da «AsiaNews», l’esponente sciita ha accusato il passato regime di aver liberato «oltre 30mila prigionieri dalle carceri irachene» e ha sottolineato che i gruppi criminali godono dell’appoggio «di esponenti del regime di Saddam che cercano in tutti i modi di riconquistare i privilegi del passato».
Nella Piana di Ninive, tra Arbil e Mosul, si sono invece verificati numerosi atti di violenza contro le comunità cristiane, denunciati il 17 gennaio da fonti siriache all’agenzia «Aina».
Bande paramilitari, legate al Partito democratico del Kurdistan di Masoud Barzani, si sono rese
responsabili di attacchi contro la chiesa di Mar Yohana a Bakhdeda, ferendo, durante la Messa,
due uomini di guardia al luogo di culto. Non sono stati risparmiati nemmeno gli edifici pubblici e le abitazioni civili, oggetto di saccheggio e occupazione, con minacce e percosse alle persone che vi risiedono e lavorano. Invano, dalla fine del regime di Saddam, i cristiani siriaci avanzano la richiesta di un’autonomia amministrativa della regione da loro abitata, per potersi proteggere dalle incursioni dei curdi che hanno occupato la zona anche militarmente e che ora rendono necessari, per tutelare la propria sicurezza, servizi di guardia armata.