By Asia News
18 novembre 2023
“Buone” relazioni bilaterali e “temi di interesse comune”, in particolare “la missione” della Chiesa cattolica e il futuro della comunità, soprattutto nella piana di Ninive. Sono le questioni al centro dell’incontro di stamane in Vaticano fra papa Francesco e il presidente iracheno Abdul Latif Jamal Rashid, in una fase di crisi profonda fra le istituzioni a Baghdad e il patriarcato caldeo.
Al centro della controversia la decisione del capo dello Stato di ritirare il decreto presidenziale - avallata in settimana dal tribunale - che ne riconosce ruolo e autorità. Il pontefice per due volte aveva respinto, in passato, una richiesta di incontro da parte di Rashid; oggi il faccia a faccia, cui è seguito l’incontro col segretario di Stato card. Pietro Parolin e mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali.
In una nota diffusa dalla Sala Stampa alla conclusione si parla di “cordiali colloqui” in cui sono confermate “le buone relazioni bilaterali” e “si sono affrontati temi di interesse comune”. “In particolare, si è ribadita la necessità - prosegue la dichiarazione - che la Chiesa cattolica in Iraq possa continuare a svolgere la sua apprezzata missione e che si garantisca a tutti i cristiani iracheni di essere parte vibrante e attiva della società e del territorio, in particolare nella Piana di Ninive”. Inoltre, conclude la nota, “ci si è soffermati su alcune tematiche internazionali, con particolare attenzione al conflitto in Israele e Palestina, e all’urgente impegno per la pace e la stabilità”.
A metà luglio il card. Sako ha trasferito in via temporanea la sede patriarcale dalla capitale irachena a Erbil, nel Kurdistan iracheno, in risposta all’annullamento da parte del presidente della Repubblica del decreto che ne riconosce ruolo e autorità. Una “prima volta” nella storia del Paese, come ha sottolineato lo stesso patriarca, in risposta a una decisione sorprendente del capo dello Stato: Abdul Latif Rashid, infatti, ha sconfessato una tradizione secolare colpendo la massima autorità cattolica, che è anche responsabile della gestione di patrimonio e beni ecclesiastici. Ed è qui che ruota la questione: il controllo delle proprietà finite nel mirino del sedicente leader cristiano “Rayan il caldeo” e delle milizie filo-iraniane che lo sostengono (una galassia variegata che comprende sciiti, cristiani, sunniti, etc), minaccia per la pace e la convivenza per tutta la nazione.
In risposta agli attacchi, il porporato - che ha definito il ritiro del decreto un “assassinio morale” - ha trasferito come “protesta estrema” la sede patriarcale a Erbil e non ha escluso il boicottaggio delle prossime elezioni.
Al riguardo, in una recente intervista ad AsiaNews, il card. Sako ha confermato una volta di più il proposito di andare fino in fondo per quella che definisce una battaglia per la sopravvivenza stessa della comunità cristiana in Iraq. “A Baghdad - ha affermato il porporato - farò ritorno solo quando verrà ritirato il decreto. La nostra Chiesa molto ha dato all’Iraq, dalla visita del papa agli aiuti umanitari ai musulmani ai tempi dell’Isis, anche maggiori rispetto a quelli riservati ai cristiani. Oggi, il ringraziamento delle istituzioni è quello di punire il patriarca e un’intera comunità”.
Già a fine ottobre il presidente iracheno, presente a Roma per il World Food Forum, aveva chiesto di essere ricevuto in udienza, ma il papa aveva declinato per la seconda volta replicando la risposta data sei mesi prima a fronte di una richiesta analoga. La scelta del pontefice era chiaramente legata alla controversia in atto fra il capo dello Stato e il patriarca caldeo, anche se la Santa Sede non ha mai preso ufficialmente posizione sulla vicenda tanto che lo stesso card. Sako aveva criticato il “silenzio” di Roma. Di contro, aveva sollevato forti polemiche e perplessità il (casuale) incontro fra Rayan il caldeo e il papa al termine di una udienza generale del mercoledì.
Alte fonti vaticane, interpellate da AsiaNews nelle scorse settimane, avevano spiegato che la diplomazia è “al lavoro” per trovare una “soluzione” alla controversia fra il primate caldeo e il presidente mediante il dialogo e la riconciliazione, per “il bene” della comunità cristiana irachena.