By Famiglia Cristiana
Stefano Pasta
Stefano Pasta
Nel 2003 la coalizione occidentale, guidata dagli Usa di George Bush, avviò la guerra contro Saddam Hussein per “esportare la democrazia”. Giovanni Paolo II vi si oppose fieramente. Temeva, tra l’altro, per i cristiani d’Oriente e aveva ragione: erano oltre un milione allora, sono 300 mila ora. In quegli anni, dal 2001 al 2006, la Chiesa di Roma era rappresentata in Iraq dal nunzio apostolico Fernando Filoni, oggi cardinale e prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Non volle lasciare Baghdad neanche sotto le bombe, testimoniando di essere «un messaggero di pace per le comunità cristiane sparse in quelle terre», come gli aveva chiesto Giovanni Paolo II in occasione della sua ordinazione episcopale.
E oggi riusciranno a resistere i cristiani in Iraq? È la domanda di fondo del libro “La Chiesa in Iraq. Storia, sviluppo e missione, dagli inizi fino ai nostri giorni”, pubblicato da Filoni con la Libera Editrice Vaticana e che il patriarca caldeo Louis Raphael Sako ha detto di voler tradurre in arabo.
Il volume è stato presentato l’11 febbraio all’Università Cattolica di Milano dall’autore, dai docenti dell’ateneo Agostino Giovagnoli ed Elisa Giunipero, dal direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana e dal presidente della Commissione Esteri del Senato Pierferdinando Casini.
Ne parliamo con il cardinale.
Qual è la situazione dei cristiani costretti all’esodo nell’estate 2014?«Rispetto ai giorni della drammatica fuga da Mosul e dalla Piana di Ninive, oggi gli sfollati vivono in condizioni migliori. Alcuni si sono rifugiati all’estero, altri cercano di organizzarsi: hanno affittato case vivendo in due o tre famiglie nello stesso appartamento, oppure alloggiano in container e campi sovraffollati. Si tratta, però, solo di sistemazioni temporanee e di estrema precarietà: per pensare a vere soluzioni, serve una reale pace in Iraq. Nell’ultima visita per la Pasqua 2015, quando Papa Francesco mi ha inviato tra gli sfollati per portare la sua vicinanza, ho comunque visto che i cristiani resistono alle sofferenze con pazienza, senza rinunciare a sperare. È bella la testimonianza di tanti giovani, tra cui vari sacerdoti, che si impegnano in modo gratuito e volontario per aiutare gli altri. Chi soffre maggiormente sono i più deboli: gli ammalati, gli anziani e i bambini. Particolare è la situazione dei giovani, costretti a lasciare scuola e università: molti di loro, che hanno una vita davanti, vedono nella fuga all’estero l’unica via per ricominciare. Va ripetuto con forza: senza la pace, l’esodo continuerà. Anche dall’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca Kirill viene una forte speranza per la pace».Quella dalla Piana di Ninive è stata drammatica, ma per molti cristiani non era la prima fuga, alcuni erano già stati cacciati da Baghdad e altre zone. Qual è stato il momento di svolta?
Ne parliamo con il cardinale.
Qual è la situazione dei cristiani costretti all’esodo nell’estate 2014?«Rispetto ai giorni della drammatica fuga da Mosul e dalla Piana di Ninive, oggi gli sfollati vivono in condizioni migliori. Alcuni si sono rifugiati all’estero, altri cercano di organizzarsi: hanno affittato case vivendo in due o tre famiglie nello stesso appartamento, oppure alloggiano in container e campi sovraffollati. Si tratta, però, solo di sistemazioni temporanee e di estrema precarietà: per pensare a vere soluzioni, serve una reale pace in Iraq. Nell’ultima visita per la Pasqua 2015, quando Papa Francesco mi ha inviato tra gli sfollati per portare la sua vicinanza, ho comunque visto che i cristiani resistono alle sofferenze con pazienza, senza rinunciare a sperare. È bella la testimonianza di tanti giovani, tra cui vari sacerdoti, che si impegnano in modo gratuito e volontario per aiutare gli altri. Chi soffre maggiormente sono i più deboli: gli ammalati, gli anziani e i bambini. Particolare è la situazione dei giovani, costretti a lasciare scuola e università: molti di loro, che hanno una vita davanti, vedono nella fuga all’estero l’unica via per ricominciare. Va ripetuto con forza: senza la pace, l’esodo continuerà. Anche dall’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca Kirill viene una forte speranza per la pace».Quella dalla Piana di Ninive è stata drammatica, ma per molti cristiani non era la prima fuga, alcuni erano già stati cacciati da Baghdad e altre zone. Qual è stato il momento di svolta?
«La radice dell’esodo dei cristiani in Iraq è nella guerra del 2003, condannata con lungimiranza da Giovanni Paolo II. Non significa che il regime di Saddam fosse l’ideale, era un regime che impediva alla gente di assumere iniziative. Eppure, la libertà anarchica che è seguita ha portato a una miriade di violenze, con autorità incapaci di assicurare pace e lavoro ai cittadini. Oggi l’Isis si macchia di terribili atti, ma la guerra è in corso da prima, non è mai finita: informazioni attendibili dicono che dal 2004 al 2009 le vittime sono state oltre 109 mila, di cui 66 mila civili. Un altro elemento decisivo è la conflittualità all’interno dell’islam. L’Iraq, nel VII secolo, è stato il luogo dello sviluppo dei sunniti (oggi presenti nel centro-ovest, tra Baghdad e Mosul), ma nel Paese vi sono anche le radici degli sciiti, con i luoghi sacri di Najaf e Karbala. Il sunnita Saddam tendeva a preferire i primi, mentre i Governi successivi sono stati sbilanciati a favore dei secondi. Anche grazie a questa ostilità verso le autorità di Baghdad, l’Isis ha trovato consenso in una parte della popolazione sunnita. D’altro canto, la contrapposizione tra le due comunità è alimentata politicamente dall’Iran sciita da una parte e dai Paesi arabi sunniti dall’altra».
Chi sono i cristiani in Iraq?«Una presenza millenaria, da sempre minoranza in una regione caratterizzata dalla ricchezza di culture e fedi. Le loro radici sono nelle comunità ebraiche presenti nell’area da prima della nascita di Cristo, mentre l’evangelizzazione cristiana risale al I secolo, con la predicazione in Mesopotamia attribuita a san Tommaso e ai discepoli Addai e Mari. Dall’origine apostolica della Chiesa d’Oriente la storia si dipana nei secoli successivi: le controversie teologiche e filosofiche (ariana, novaziana, adozionista, gnostica, sabelliana, nestoriana) che avrebbero portato la Chiesa a celebrare quattro Concili (Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia); la conquista e la dominazione araba (651-1258); il periodo mongolo (1258-1410), turcomanno (1410-1508), quello dei safavidi persiani (XVII-XVIII secolo) e degli ottomani (XVIII-XIX secolo). Quanto alla presenza della Chiesa latina, l’istituzione della Diocesi di Baghdad è del 1632, mentre quella della prima Delegazione apostolica in Medio Oriente, precisamente in Siria, risale al 1762. Il XX secolo è segnato da sconvolgimenti geografici e demografici, fino alla caduta di Saddam Hussein e le persecuzioni dell’Isis. La presenza cristiana in Iraq è caratterizzata anche da una ricchezza di tradizioni. In questo momento, circa il 70% sono membri della Chiesa caldea, legata a Roma, con sede a Baghdad e guidata dal Patriarca Sako; altre comunità cattoliche sono quella siro-cattolica, con centro a Qaraqosh e nella Piana di Ninive, e quelle, numericamente piccole ma che arricchiscono la nostra tradizione, armena, greco-cattolica e latina. Gli ortodossi sono invece membri della Chiesa assira d’Oriente, quella siro-ortodossa, armena e greco-ortodossa. Tutte queste comunità hanno importanti centri nella diaspora in Usa e Canada, Europa, Australia e Nuova Zelanda».
Qual è stato il rapporto tra cristiani e musulmani in quest’area?«Non è una storia lineare, alterna persecuzioni a scambi che hanno reciprocamente arricchito. Queste comunità sono sopravvissute a secoli di pressioni fatte di imposte e gravami, induzioni matrimoniali e divieti, discriminazioni, odi e intolleranze. A tutto ciò i cristiani, con incredibile capacità di resistenza, di adattamento pratico e culturale sono sopravvissuti senza cedimenti sulla fede. In altri periodi, i cristiani hanno dato impulso alla conoscenza islamica, come avvenuto dal nono all’undicesimo secolo con lo sviluppo delle scienze, o dalle tante scuole e centri culturali aperti dai cappuccini nel 1700 nel nord Iraq, l’attuale regione autonoma curda».Perché ha voluto scrivere un libro sulla loro storia?«In Occidente spesso siamo ignoranti su queste comunità millenarie, ne conosciamo a malapena i nomi. D’altro canto, mi ha colpito la riconoscenza del Patriarca caldeo Sako per aver scritto questo libro; mi ha ringraziato dicendo che la prospettiva storica e divulgativa aiutava i cristiani d’Oriente a prendere coscienza di come guardiamo alla loro presenza. È questo il punto: queste comunità hanno bisogno di sentirsi apprezzate e di tenere vivo il legame con la Cristianità. Non vanno dimenticate».
Qual è stato il rapporto tra cristiani e musulmani in quest’area?«Non è una storia lineare, alterna persecuzioni a scambi che hanno reciprocamente arricchito. Queste comunità sono sopravvissute a secoli di pressioni fatte di imposte e gravami, induzioni matrimoniali e divieti, discriminazioni, odi e intolleranze. A tutto ciò i cristiani, con incredibile capacità di resistenza, di adattamento pratico e culturale sono sopravvissuti senza cedimenti sulla fede. In altri periodi, i cristiani hanno dato impulso alla conoscenza islamica, come avvenuto dal nono all’undicesimo secolo con lo sviluppo delle scienze, o dalle tante scuole e centri culturali aperti dai cappuccini nel 1700 nel nord Iraq, l’attuale regione autonoma curda».Perché ha voluto scrivere un libro sulla loro storia?«In Occidente spesso siamo ignoranti su queste comunità millenarie, ne conosciamo a malapena i nomi. D’altro canto, mi ha colpito la riconoscenza del Patriarca caldeo Sako per aver scritto questo libro; mi ha ringraziato dicendo che la prospettiva storica e divulgativa aiutava i cristiani d’Oriente a prendere coscienza di come guardiamo alla loro presenza. È questo il punto: queste comunità hanno bisogno di sentirsi apprezzate e di tenere vivo il legame con la Cristianità. Non vanno dimenticate».