«Qui non c’è più nessuno, non c’è pace neanche per i morti» dice uno dei ragazzi che assistono al funerale, «ma non lasciamo che i terroristi ci tolgano anche il diritto di far riposare i nostri cari nel villaggio dove sono nati». Adel faceva l’insegnante, ha dovuto abbandonare tutto per mettersi in salvo con la famiglia, allarga le braccia sconsolato in mezzo ad una strada completamente vuota. «E’ una città di fantasmi». A nord di Mosul, in una fascia profonda alcuni chilometri lungo il fronte, i villaggi sono stati completamente abbandonati, per via dei continui bombardamenti da parte delle milizie dell’Isis che martellano le posizioni dei Peshmerga schierati a difesa.
«Abbiamo dovuto impedire alla gente di venire qui», dice il Generale Tariq Hreinne, al comando di una vasta area del fronte, «arrivano missili in continuazione, è troppo pericoloso». La linea del fronte è a poche centinaia di metri. In un paesaggio surreale di case abbandonate in fretta e furia, le erbacce che già tornano a crescere nelle strade deserte, i militari sono l’unica presenza, a guardia di centri abitati sospesi in una dimensione di oblio.
Dai villaggi cristiani pochi chilometri alle spalle del fronte, appena fuori dalla portata delle artiglierie, dove la popolazione è sfollata, quando muore qualcuno un corteo improvvisato si dirige verso il cimitero di Tels’kuf, l’ultimo paese prima delle linee, per celebrare con padre Aram l’antico rito funebre della Chiesa caldea. Un breve ritorno nella città dei fantasmi, sotto la protezione dei Peshmerga che pattugliano la zona, in un silenzio irreale nel cimitero bombardato risuonano i canti in aramaico, la gente passa ancora una volta per un attimo davanti alla propria casa abbandonata ormai dall’estate di due anni fa, bisogna fare in fretta, nessuno sa quando cadrà la prossima bomba.
«Abbiamo dovuto impedire alla gente di venire qui», dice il Generale Tariq Hreinne, al comando di una vasta area del fronte, «arrivano missili in continuazione, è troppo pericoloso». La linea del fronte è a poche centinaia di metri. In un paesaggio surreale di case abbandonate in fretta e furia, le erbacce che già tornano a crescere nelle strade deserte, i militari sono l’unica presenza, a guardia di centri abitati sospesi in una dimensione di oblio.
Dai villaggi cristiani pochi chilometri alle spalle del fronte, appena fuori dalla portata delle artiglierie, dove la popolazione è sfollata, quando muore qualcuno un corteo improvvisato si dirige verso il cimitero di Tels’kuf, l’ultimo paese prima delle linee, per celebrare con padre Aram l’antico rito funebre della Chiesa caldea. Un breve ritorno nella città dei fantasmi, sotto la protezione dei Peshmerga che pattugliano la zona, in un silenzio irreale nel cimitero bombardato risuonano i canti in aramaico, la gente passa ancora una volta per un attimo davanti alla propria casa abbandonata ormai dall’estate di due anni fa, bisogna fare in fretta, nessuno sa quando cadrà la prossima bomba.