By Avvenire
Camille Eid
Camille Eid
È successo esattamente cent’anni fa, ma poteva essere una storia di
ieri. L’Oriente cattolico si è ritrovato ieri in Libano per la
beatificazione del vescovo siro-cattolico Flaviano Michele Melki,
martirizzato dai soldati turchi in odium fidei il 29 agosto
1915 , durante le persecuzioni dell’Impero Ottomano contro armeni,
siriaci e assiri. Il solenne rito, presieduto dal patriarca
siro-cattolico Ignazio Yussef III Younan, si è svolto nel suggestivo
panorama della sede patriarcale di Charfe, a brevissima distanza dal
celebre santuario mariano di Harissa. Oltre all’inviato speciale del
Papa e prefetto della Congregazione delle cause dei santi, cardinale
Angelo Amato, erano presenti tutti i patriarchi cattolici orientali
(maronita, latino, caldeo e armeno) e un rappresentante del patriarca
siro-ortodosso, attualmente in visita nel Canada. Con le delegazioni
siriache venute da Siria, Iraq, Giordania, Palestina ed Egitto, si
trovavano molti siriaci arrivati dall’Europa (in particolare dalla Gran
Bretagna e dalla Svezia, dove vive una nutrita comunità siriaca) e
dall’Australia.
Intervistato da Radio Vaticana prima della cerimonia, il patriarca Younan ha definito l’evento «una consolazione che non si può descrivere, perché in questi tempi così difficili – per le sofferenze che patiamo, per le stragi che hanno luogo in Iraq e in Siria, per le violazioni dei diritti dell’uomo che vengono compiute, di fronte ai tanti cristiani che sono dovuti fuggire o sono stati rapiti – per noi questo è un segno di speranza e una grazia che ci è stata data dal Signore». Secondo il patriarca, la testimonianza del beato Melki, che si era rifiutato di abbandonare la sua sede vescovile («Do la vita per le mie pecore», diceva), interpella oggi i cristiani siriani e iracheni che sono tentati dall’emigrazione dalla proprie terre. Anche il cardinale Amato ha affermato che è desiderio del Papa che questa beatificazione sia un messaggio di speranza e incoraggiamento per tutti i cristiani che oggi sono umiliati e oppressi.
Si tratta del secondo vescovo martire proclamato beato dalla Chiesa. Nel 2001 Giovanni Paolo II aveva beatificato Ignazio Maloyan, arcivescovo armeno di Mardin, anch’egli ucciso nel 1915 – durante il genocidio armeno – in odium fidei. Durante la cerimonia è stato diffuso ai fedeli il testo dell’invocazione a Melki. «Beato e martire Michele, intercedi per noi, e proteggi soprattutto i cristiani d’Oriente e del mondo in questi giorni di pena e di dolore». Lo stesso luogo in cui si è svolto il rito di beatificazione testimonia delle peripezie sperimentate dalla Chiesa siro-cattolica, nata nel 1783 da un ritorno alla piena comunione con Roma di alcuni vescovi e fedeli giacobiti (siro-ortodossi). È infatti nel monastero di Sayyidat al-Najat (Nostra Signora del Soccorso) a Charfe, su un terreno offerto dalla Chiesa maronita, che il primo patriarca siro-cattolico Michele Jarwe ha trovato rifugio nel 1801. Al momento dei massacri del 1915 la sede si trovava a Mardin, nell’attuale Turchia, allora popolata da numerose comunità cristiane. Da qui la decisione di ristabilire nel 1920 la sede patriarcale a Charfe, essendo stata sradicata la presenza cristiana in quella regione.
Intervistato da Radio Vaticana prima della cerimonia, il patriarca Younan ha definito l’evento «una consolazione che non si può descrivere, perché in questi tempi così difficili – per le sofferenze che patiamo, per le stragi che hanno luogo in Iraq e in Siria, per le violazioni dei diritti dell’uomo che vengono compiute, di fronte ai tanti cristiani che sono dovuti fuggire o sono stati rapiti – per noi questo è un segno di speranza e una grazia che ci è stata data dal Signore». Secondo il patriarca, la testimonianza del beato Melki, che si era rifiutato di abbandonare la sua sede vescovile («Do la vita per le mie pecore», diceva), interpella oggi i cristiani siriani e iracheni che sono tentati dall’emigrazione dalla proprie terre. Anche il cardinale Amato ha affermato che è desiderio del Papa che questa beatificazione sia un messaggio di speranza e incoraggiamento per tutti i cristiani che oggi sono umiliati e oppressi.
Si tratta del secondo vescovo martire proclamato beato dalla Chiesa. Nel 2001 Giovanni Paolo II aveva beatificato Ignazio Maloyan, arcivescovo armeno di Mardin, anch’egli ucciso nel 1915 – durante il genocidio armeno – in odium fidei. Durante la cerimonia è stato diffuso ai fedeli il testo dell’invocazione a Melki. «Beato e martire Michele, intercedi per noi, e proteggi soprattutto i cristiani d’Oriente e del mondo in questi giorni di pena e di dolore». Lo stesso luogo in cui si è svolto il rito di beatificazione testimonia delle peripezie sperimentate dalla Chiesa siro-cattolica, nata nel 1783 da un ritorno alla piena comunione con Roma di alcuni vescovi e fedeli giacobiti (siro-ortodossi). È infatti nel monastero di Sayyidat al-Najat (Nostra Signora del Soccorso) a Charfe, su un terreno offerto dalla Chiesa maronita, che il primo patriarca siro-cattolico Michele Jarwe ha trovato rifugio nel 1801. Al momento dei massacri del 1915 la sede si trovava a Mardin, nell’attuale Turchia, allora popolata da numerose comunità cristiane. Da qui la decisione di ristabilire nel 1920 la sede patriarcale a Charfe, essendo stata sradicata la presenza cristiana in quella regione.