"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

13 maggio 2025

Giubileo Chiese orientali. Card. Sako (patriarca caldeo): “Dialogo di vita e sinodalità il nostro contributo”

Daniele Rocchi

“Le Chiese orientali devono giocare il loro ruolo positivo e attivo perché facciamo parte della Chiesa cattolica universale. Il Papa è per tutta la Chiesa, non solo per una parte”.
Lo afferma il card. Louis Raphael Sako, patriarca caldeo di Baghdad, giunto a Roma per partecipare al Giubileo delle Chiese orientali, iniziato il 12 maggio e che si concluderà domani. In un’intervista al Sir, il patriarca sottolinea l’importanza del contributo delle Chiese orientali al cammino di unità con le Chiese ortodosse e al dialogo interreligioso:
“Noi possiamo aiutare a promuovere l’unità delle Chiese, cattolica e ortodossa. Possiamo dialogare per la pace, cercare di favorire un accordo per l’unità e il rispetto mutuale fra le religioni e i popoli”.
Per Mar Sako, “la speranza è il fulcro di questo impegno comune, una speranza che nasce dalla fede e che spinge a rimettere Gesù al centro”.
In questa prospettiva “Papa Leone XIV ha indicato subito la strada. Io spero che tra i tanti suoi collaboratori possano esserci anche alcuni delle Chiese orientali per mostrare l’universalità della Chiesa”.
Dialogo interreligioso e sinodalità. Anche nel campo del dialogo interreligioso, il patriarca caldeo vede un ruolo significativo per le Chiese orientali, soprattutto nei rapporti con l’islam e l’ebraismo. “Papa Leone XIV ci ha subito esortato a costruire ponti. Io credo che l’esperienza maturata nel corso della storia, in questo campo, dalle nostre Chiese locali vada sfruttata”. Il patriarca rimarca l’importanza di un dialogo che non sia solo teorico, ma che si fondi sulla quotidianità e sulla convivenza reale.
“Noi sappiamo come viviamo, conosciamo l’altro meglio di chi ha solo studiato l’islam o l’ebraismo. Noi portiamo avanti il dialogo della vita”.
Un altro contributo prezioso, secondo il cardinale, è rappresentato dalla tradizione di sinodalità propria delle Chiese orientali. “Mi auguro che Papa Leone XIV allarghi il gruppo dei 9 cardinali (C9), il Consiglio dei cardinali, istituito da papa Francesco nel 2013 per coadiuvare e consigliare il pontefice nel governo della Chiesa cattolica”. Un allargamento di questo organismo, spiega, “permetterebbe un dialogo più ampio e una maggiore partecipazione alla guida della Chiesa”.
Un linguaggio nuovo per il mondo digitale. Il patriarca caldeo non nasconde la necessità di un rinnovamento del linguaggio all’interno delle Chiese orientali: “Dobbiamo aggiornare il nostro linguaggio perché la gente è cambiata, sono cambiate la cultura, le mentalità, le sensibilità. Occorre usare un linguaggio che sia più comprensibile alla gente per dire la liturgia, la catechesi. Il mondo è un villaggio digitale e dobbiamo trovare un modo più accessibile per parlare di Gesù, dell’eternità, della fede. Questo non vale solo per i nostri cristiani ma anche per i credenti delle altre fedi”.
Essere a Roma per il Giubileo delle Chiese orientali, conclude Mar Sako, “rappresenta un segno di collegialità e comunione: la Chiesa è una e non deve essere pensata in modo settario, orientali e occidentali. Nessuno deve essere dimenticato o marginalizzato”.

11 maggio 2025

I cardinali entusiasti: «Il Papa ci ascolta». Cos'è il C9 creato da Bergoglio

Fabrizio Caccia

Lo conoscevano già, ma giorno dopo giorno papa Prevost è una magnifica scoperta anche per loro. Ieri mattina, nell’Aula Paolo VI, all’incontro a porte chiuse con i cardinali, si è presentato così: «In Perù dicono che ci sono 2.000 specie, 2.000 categorie di papas, cioè patate, in spagnolo. Beh adesso sono diventate 2.001...». Voleva dire: con lui, con il Papa agostiniano, missionario senza paura e teologo raffinato, che gioca con le parole (papa e papas) ma sembra avere ben chiara l’idea di dove vuol portare la Chiesa.
Il cardinale argentino Leonardo Sandri, 81 anni, all’uscita racconta il gustoso aneddoto e ancora ride. Spiritoso, papa Leone. E pieno di sorprese. Nell’Aula del Sinodo, dopo il suo intervento iniziale, che ha ripreso i temi potenti già lanciati col discorso dalla Loggia delle Benedizioni e l’omelia a San Pietro (la pace nel mondo, l’unità della Chiesa), rivolto ai cardinali ha detto: «Adesso tre minuti di silenzio per riflettere, riflettete, poi incominciate a parlare tra di voi, con i vostri vicini di sedia, quindi se volete chiedete di intervenire...».
E quasi 60 porporati volevano parlare, tra cui pure Sandri, ma a mezzogiorno passato, dopo più di due ore, mancavano ancora una trentina di interventi e Prevost ha sciolto l’assemblea: «Scusate ma ho altri impegni», tra cui la visita privata al Santuario della Madre del Buon Consiglio, a Genazzano, dai suoi amici frati agostiniani.
I cardinali, però, non se la sono presa. Anzi, tutt’altro. Forse è presto per dirlo, ma sembra averli già conquistati: «Con la sua amabilità, la luce che emana», racconta il cardinale Giuseppe Versaldi, 81 anni, un altro che ieri era presente. «Siamo arrivati all’incontro entusiasti e lo eravamo anche dopo, perché Prevost è lui stesso l’esempio vivente della sinodalità della Chiesa, con l’ascolto di tutti e poi il discernimento, la capacità cioè di fare sintesi, guidata dalla Grazia di Dio», continua il porporato di Villarboit (Vercelli).
Ma le berrette rosse nelle oltre due ore passate insieme si sono fatte sentire eccome: «In tanti, di ogni parte del mondo, gli hanno chiesto di coinvolgere il maggior numero possibile di noi nel governo della Chiesa», dice Domenico Calcagno, 82 anni, creato cardinale da Benedetto XVI nel 2012. «Perché noi in fondo siamo il Senato del Papa», gli fa eco Sandri con orgoglio. E sì, scherza (ma mica tanto) Calcagno, «è vero che papa Bergoglio aveva creato il suo C9 (il Consiglio dei cardinali, ndr), piano piano però si assottigliava, via un cardinale dopo l’altro, C8, C7...». Così ieri i cardinali hanno chiesto a Leone XIV pure di moltiplicare gli incontri, «non limitarli a una volta l’anno — continua il porporato di Parodi Ligure (Alessandria) —. Ormai le tecnologie lo permettono, possiamo organizzare delle conference call».
Un altro momento d’indubbia ilarità è stato quando il cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca di Baghdad, ha rappresentato al Papa la necessità di tenere conto anche dei capi delle Chiese orientali, che non sempre sono cardinali. E Calcagno, allora, svela qual è stata la risposta pronta e molto ironica di Prevost: «Certamente cardinale, ma mi sembra che così lei stia preparando già il prossimo Conclave...».
A parte la battuta, su questo argomento il cardinale Sandri ha proposto di invitare anche i capi delle Chiese orientali al Concistoro. Ma Calcagno aggiunge che un altro tema molto sentito, ieri alla riunione, è stato quello — sollevato in particolare dai cardinali italiani — di «stare vicino e aiutare di più i sacerdoti e i vescovi», che si sentono trascurati: «Molti candidati all’episcopato rinunciano perché non tutto è splendore — l’allarme di Calcagno —. C’è chi dice: ma chi me lo fa fare?».
Molti dei cardinali del Conclave partiranno oggi dopo la recita solenne (ore 12) del Regina Coeli dalla Loggia centrale. Già ieri uno a uno sono stati salutati dal Papa. Alla fine Sandri è netto: «Prevost è molto umile, semplice, sereno. Ci è piaciuto».

7 maggio 2025

"Il Papa agevoli il dialogo con l'islam e si occupi dei cristiani perseguitati"

Fabio Marchese Ragona

Sua Beatitudine Louis Sako, Patriarca di Baghdad dei Caldei. Lei è uno dei 133 cardinali elettori che oggi entreranno in conclave. Che emozione è per lei?
 «Una grande emozione, siamo già preparati sia spiritualmente che psicologicamente. Per diversi giorni abbiamo avuto raduni insieme, ognuno ha avuto la possibilità di dire qualcosa e adesso dobbiamo fare una scelta».
Che profilo è emerso per il nuovo Papa?
«Un padre, un pastore, ma anche un catechista per insegnare la fede. La gente perde la fede qui in Occidente. Servirà una voce profetica per realizzare la pace nel mondo contro guerre e conflitti. E per le Chiese orientali, io ho insistito anche sul dialogo con l'Islam: Papa Francesco ha compiuto una tappa con il documento sulla fratellanza umana, bisogna continuare e avere una cura speciale per incoraggiare i cristiani dell'Oriente a rimanere a sperare. Sono le radici del cristianesimo».
Quali devono essere le priorità del nuovo Papa?
 «Unire la Chiesa e garantire l'integrità della fede. Lui non è un capo ufficio è il successore dell'Apostolo Pietro e deve anche essere missionario».
Deve anche avere un'attenzione per i giovani che chiedono di essere ascoltati?
«Deve conoscere la mentalità della gente di oggi per presentare il Vangelo in un linguaggio nuovo, per attirare la gente. Uno che legga i segni dei tempi, che abbia una sensibilità speciale verso i laici, i giovani, i bambini, le donne. Il Papa non è solo uno che governa il clero, è per tutti».
Lei arriva da una terra di sofferenza, il nuovo Papa deve avere come priorità anche i cristiani che spesso soffrono le persecuzioni
«Penso che la priorità debbano essere questi cristiani dell'Oriente, in Libano, in Siria, in Palestina, in Iraq. Tante persone lasciano il Paese, Papa Francesco era molto vicino a loro, se il nuovo Papa non avrà una preoccupazione diretta con le chiese orientali, ma anche con i capi di questi Paesi, per rispettare i diritti dei cristiani, i cristiani fuggiranno».
Quindi il dialogo con l'Islam
«Sì, è molto importante, perché oggi la religione musulmana viene dopo la religione cristiana. I musulmani vivono anche in Occidente, non c'è una pastorale verso di loro, non c'è un'accoglienza, alcuni diventano fanatici e creano problemi. La Chiesa deve pensare anche a loro».
Lei pensa che il nuovo Papa possa essere amato come Papa Francesco?
«Ognuno ha le sua peculiarità, non può esserci un 'copia e incolla', ma penso che chi arriva sarà come lui, continuerà ciò che ha fatto Francesco, ma deve fare di più, perché il tempo, la cultura, la gente cambia. Un padre che pensi a tutti».
Che tenga conto anche della collegialità all'interno della Chiesa
«Deve dare voce a tutti. E aggiungo che lui non deve essere da solo: ci vuole un gruppo di lavoro con lui, anche alcuni laici, preti, cardinali, vescovi, perché lui non può sapere tutto da solo, deve poter chiedere consigli agli altri.
Qual è il suo augurio adesso per la Chiesa che verrà?
«Che sia una Chiesa apostolica, una Chiesa vicina alla gente, dunque non sopra la gente, una Chiesa che cammina, come Papa Francesco ha fatto con la sinodalità. La Chiesa non può essere rigida, la Chiesa deve andare dove la gente va per orientare la gente verso Cristo».

6 maggio 2025

Conclave, è corsa contro il tempo. “C’è grande confusione”

Andrea Gualtieri

«Che grande confusione». Il cardinale Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo è appena arrivato da Giacarta. È stato uno degli ultimi tre elettori che ieri si sono aggregati alle Congregazioni generali, ha prestato giuramento di riservatezza in mattinata e poi si è tuffato nelle riunioni, ansioso di farsi un’idea prima di entrare, domani pomeriggio, nella Cappella Sistina. A fine giornata, dopo aver ascoltato quasi cinquanta interventi, confessa di essere più disorientato di prima: «Abbiamo sentito tante voci, non è facile tirare le somme». L’unica cosa che gli appare chiara è che si andrà avanti in continuità con Francesco. Sì, ma come e soprattutto con chi? «Vedremo, dobbiamo riflettere».
Il tempo, però, è quasi scaduto. Stamattina i cardinali affrontano l’ultima maratona di interventi: più o meno altri venticinque, fino alle 12 e 30. Poi basta, è ora di trasferirsi a Santa Marta dove potranno portare i bagagli già da stamattina e, se lo vorranno, dormire stasera prima della messa pro eligendo pontifice fissata per le 10 di domani nella basilica vaticana.

Il cardinale Radcliffe autografa una palla da baseball al collezionista: "Magari è il prossimo Papa"
Resteranno quindi solo i conciliaboli e i colloqui individuali per scegliere il nuovo Papa. Ammesso di avere un recapito diretto del confratello. «Il problema è che non ci conosciamo, non è possibile che un’occasione di confronto del genere avvenga solo quando poi dobbiamo affrettarci a scegliere il Papa, ora si rischia che il Conclave duri tre o quattro giorni», si lascia andare l’iracheno Louis Sako: «Io sono cardinale da sette anni, finora ci siamo ritrovati quando venivano concesse le nuove porpore, ma al di là di qualche scambio di parole, in quei casi non sono previste discussioni così aperte sulla situazione della Chiesa a Roma e nel mondo. Sarebbe opportuno rendere il concistoro un’istituzione concreta, non solo formale».
Sembra essere il grande tema che aleggia sul preconclave. E che, nello stesso tempo, rischia di condizionarlo. C’è da capire chi ha un’idea più convincente di «collegialità». «Il Papa non può decidere da solo sulle grandi questioni», dice ad esempio Sako.
E nello stesso tempo c’è da declinare l’altro tema su cui Bergoglio ha insistito in modo martellante, la sinodalità.
L’interpretazione che ne è stata data durante lo scorso pontificato ha ricevuto nelle riunioni attacchi frontali da parte dei gruppi più conservatori e anche da qualche voce di frontiera come quella del cardinale Joseph Zen Ze-kiun, salesiano di 93 anni, vescovo emerito di Hong Kong inviso al governo cinese che lo ha persino imprigionato. «A suo tempo mi avevano rilasciato il passaporto per il funerale di papa Benedetto, due giorni a Roma; questa volta dieci giorni», ha raccontato. E dopo aver elogiato la personalità di papa Francesco, si è lanciato in un discorso che è stato fatto poi circolare sui social. Un affondo nel quale si descrive un sinodo snaturato: era «uno strumento storico del magistero della Chiesa», ma ora «non è più il sinodo dei vescovi». Affermazioni che hanno ovviamente suscitato le reazioni dei bergogliani più stretti, in un susseguirsi di interventi nei quali è stato chiamato in causa anche il diritto canonico.
Tutto senza alzare i toni, assicura un porporato già esperto di Conclave nell’elogiare la ricchezza del confronto. «Sì — conferma il cardinale spagnolo Santos Abril y Castelló ci sono tante voci ed è molto interessante ascoltarle. Non tutte, in verità. Ma non le dirò mai quali sono state noiose».
È l’altra partita che si gioca in queste ore. In quegli interventi da dieci minuti, che in qualche caso sforano fino a venti, ci sono nomi papabili che dilapidano il credito di fiducia e altri la cui personalità emerge all’improvviso. Tra questi ultimi, sembra farsi strada il filippino Pablo Virgilio Siongco David, 66 anni vescovo di Kalookan. E se la confusione si trasformasse in sorpresa?

Conclave 2025: cresce il peso di Asia e Oceania nel collegio con 27 elettori

Riccardo Benotti

Saranno 27 i cardinali elettori provenienti da Asia e Oceania a partecipare al prossimo Conclave, pari al 20% del collegio. Di questi, 23 provengono dall’Asia (17%) e 4 dall’Oceania (3%). Una presenza in crescita, che riflette il dinamismo delle comunità cattoliche in due continenti vasti e culturalmente variegati. Molti di loro operano in contesti di minoranza, spesso segnati da tensioni sociali, culturali o religiose. L’età media è di 68 anni. Una Chiesa giovane, missionaria, spesso silenziosa, ma profetica.

Asia meridionale.
Dall’India provengono 4 cardinali: Filipe Neri Ferrão (1953), arcivescovo di Goa e Damão, è attento alla sinodalità e all’identità cristiana in contesto pluralista; Anthony Poola (1961), arcivescovo di Hyderabad, è il primo cardinale dalit nella storia della Chiesa indiana; George Jacob Koovakad (1973), giovane prelato, riflette il volto emergente della nuova generazione ecclesiale; Baselios Cleemis (1959), capo della Chiesa siro-malankarese, porta al Conclave la ricchezza delle Chiese orientali in India.
Dal Pakistan proviene Joseph Coutts (1945), arcivescovo emerito di Karachi, noto per il suo impegno nel dialogo interreligioso e nella promozione della pace in un contesto segnato da tensioni religiose.
Dal Myanmar, Charles Maung Bo (1948), arcivescovo di Yangon, è il primo cardinale del Paese e si distingue per il suo impegno nella riconciliazione e nella difesa dei diritti umani.
Dalla Thailandia, Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij (1949), arcivescovo emerito di Bangkok, ha focalizzato il suo ministero sull’educazione, la pace e la riconciliazione.
Dall’Indonesia, Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo (1950), arcivescovo di Jakarta e ordinario militare per l’Indonesia, è noto per il suo impegno nel dialogo interreligioso e nella giustizia sociale.
Dalla Malaysia, Sebastian Francis (1951), vescovo di Penang, è impegnato nella promozione del dialogo interreligioso e dell’armonia sociale in un contesto multireligioso.
Dallo Sri Lanka, Albert Malcolm Ranjith (1947), arcivescovo di Colombo, ha servito come nunzio apostolico e segretario della Congregazione per il Culto Divino, ed è noto per la sua fermezza dottrinale e il suo impegno nella promozione della liturgia.

Asia orientale
Il Giappone è rappresentato da Thomas Aquino Manyo Maeda (1949), arcivescovo di Osaka-Takamatsu, e da Tarcisio Isao Kikuchi (1958), presidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Giappone e presidente di Caritas Internationalis, entrambi impegnati nel dialogo e nella testimonianza cristiana in un contesto secolarizzato.
Dalle Filippine provengono 3 cardinali: Luis Antonio Gokim Tagle (1957), pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, già arcivescovo di Manila e figura di spicco a livello globale; Jose Fuerte Advincula (1952), arcivescovo di Manila, pastore attento ai poveri e ai giovani; Pablo Virgilio David (1959), vescovo di Kalookan, noto per il suo impegno nella difesa dei diritti umani e della dignità dei più deboli.
Dalla Corea del Sud arriva Lazzaro You Heung-sik (1951), prefetto del Dicastero per il Clero, rappresentante di una Chiesa vivace e missionaria in una società in rapido cambiamento.

Asia sud-orientale e Cina
Da Singapore proviene William Seng Chye Goh (1957), arcivescovo di Singapore, promotore di un cristianesimo radicato nella cultura asiatica.
Da Timor Est arriva Virgilio do Carmo da Silva (1967), primo cardinale del Paese, guida di una Chiesa giovane e profondamente popolare.
Dalla Mongolia, Giorgio Marengo (1974), missionario della Consolata, è tra i più giovani del collegio cardinalizio e porta la voce di una Chiesa nascente.
Dalla Cina continentale giunge Stephen Chow Sau-yan (1959), vescovo di Hong Kong, gesuita, chiamato a una delicata missione di comunione e discernimento in una realtà complessa.

Vicino Oriente
Dall'Iraq arriva Louis Raphaël Sako (1948), patriarca caldeo, testimone della fede tra le difficoltà del Paese mediorientale.
Da Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa (1965), patriarca latino, guida della Chiesa cattolica in Terra Santa, figura di dialogo e costruzione di ponti.
Dall’Iran, Dominique Joseph Mathieu (1963), arcivescovo di Teheran-Ispahan, è il primo cardinale con sede in Iran, noto per il suo impegno nel dialogo interreligioso e nella promozione della pace in un contesto complesso.

Oceania
Dall’Oceania giungono 4 cardinali elettori, provenienti da una regione vastissima e con una presenza cattolica numericamente contenuta ma molto attiva.
John Ribat (1957), arcivescovo di Port Moresby (Papua Nuova Guinea), è il primo cardinale del suo Paese e si è distinto per il suo impegno nella tutela dell’ambiente e dei diritti umani.
Soane Patita Paini Mafi (1961), vescovo di Tonga, è il più giovane cardinale mai nominato da quell’arcipelago e rappresenta una Chiesa insulare profondamente radicata nella vita delle comunità locali.
John Atcherley Dew (1948), arcivescovo emerito di Wellington (Nuova Zelanda), ha guidato per anni la Chiesa neozelandese promuovendo il dialogo e la formazione teologica.
Mykola Bychok (1980), eparca per i fedeli ucraini in Australia, è il più giovane tra i cardinali e testimonia la presenza viva delle Chiese orientali anche nel continente australe. In un contesto di secolarizzazione crescente, i cardinali dell’Oceania portano al Conclave l’esperienza di una Chiesa prossima alle periferie geografiche e umane.

Sako: mantenere viva la presenza dei cristiani iracheni nella terra di Abramo

Dario Salvi
3 maggio 2025

Un pastore per una comunità perseguitata, che da anni si batte per mantenere viva la presenza cristiana nella “terra di Abramo” rivendicando pari diritti fra tutti gli iracheni secondo il principio della “cittadinanza” e fautore di un dialogo schietto, ma sincero, con il mondo musulmano.
Il card. Louis Raphael Sako, patriarca di Baghdad dei caldei, sin dai tempi in cui era arcivescovo di Kirkuk - la nomina risale al 2003, anno dell’invasione statunitense con la caduta di Saddam Hussein - ha sperimentato nella missione difficoltà e sfide di una nazione martoriata da guerre e jihadismo. Ciononostante ha saputo rispondere con coraggio e fedeltà, tanto da accogliere papa Francesco nel primo viaggio apostolico post pandemia nel marzo 2021, quando ancora il Covid-19 rappresentava una minaccia sanitaria ed economia globale. Da quella storica visita del pontefice con tappa a Mosul - un tempo roccaforte Isis - e l’incontro con la massima autorità sciita Ali al-Sistani è nata una chiesa a Ur, inaugurata di recente, testimonianza della radice comune delle tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islam.
Nato il 4 luglio del 1948 a Zakho, nel nord dell’Iraq, egli ha compiuto i primi studi a Mosul per poi entrare nel locale seminario di san Giovanni fondato dai domenicani; l’ordinazione sacerdotale risale al primo giugno 1974 a Mosul, dove resta fino al 1979 a servizio della cattedrale. Si trasferisce poi a Roma e a Parigi dove consegue due dottorati in patristica orientale e in storia, per poi tornare in Iraq come rettore del seminario patriarcale dal 1979 al 2002. Richiamato a Mosul, il futuro primate guida la parrocchia di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, fino all’elezione ad arcivescovo di Kirkuk nel 2003.
Dieci anni più tardi viene eletto patriarca caldeo nel Sinodo indetto a Roma da Benedetto XVI, succedendo al predecessore Emmanuel Delly III dimissionario per limiti di età. Da presule prima, quindi da massima autorità della Chiesa irakena, ha più volte denunciato l’esodo dei cristiani e lanciato appelli all’esecutivo centrale e alle amministrazioni locali per garantire loro un futuro nella terra di origine. Papa Francesco lo ha elevato al rango cardinalizio nel Concistoro del 28 giugno 2018 ed è attualmente membro dei dicasteri per le Chiese orientali, per la Cultura e l’educazione e per il Dialogo interreligioso, oltre a far parte del Consiglio per l’economia.
Nel febbraio scorso, parlando dell’imminente inaugurazione della chiesa a Ur dei caldei, la Ibrahim Al-Khalil Church, il porporato definiva il luogo di culto un “messaggio”, un “segno di apertura” e un “luogo di pellegrinaggio internazionale” per cristiani e musulmani. Come la chiesa del Battesimo sul Giordano e la Casa Abramitica negli Emirati Arabi Uniti (Eau), essa rappresenta un “segno” di cui “abbiamo bisogno oggi” perché “uniscono l’umanità e rappresentano un punto di incontro per tutte le religioni”. L’edificio polivalente - è anche centro sociale e culturale - vuole essere al contempo un incoraggiamento per la comunità cristiana irachena, decimata nell’ultimo ventennio tanto che, se in passato si contavano almeno 1,5 milioni di fedeli, oggi ne sono rimaste poche centinaia di migliaia.
Oltretutto la chiesa a Ur richiama uno dei momenti più significativi vissuti dai cristiani iracheni - e dallo stesso patriarca - nell’ultimo ventennio: la visita di Francesco, primo papa pellegrino nella terra di Abramo e messaggero di pace, di dialogo e di speranza per una comunità che cercava di risollevarsi dalla follia jihadista dello Stato islamico (SI, ex Isis). “Con la sua presenza - raccontava il patriarca caldeo - il Santo Padre ha restituito dignità, e visibilità, a una popolazione cristiana che negli ultimi 20 anni è stata decimata a causa delle guerre, dello sfollamento e dell’emigrazione forzata”. “Venendo fra noi - prosegue - egli ha inviato un messaggio agli iracheni e a tutte le nazioni della regione mediorientale: basta guerre, basta violenza. E ha affermato una volta di più il bisogno di rispettare la dignità umana e la libertà delle persone, unita all’incoraggiamento alla minoranza cristiana esortandola a rimanere nella propria terra. Francesco era per noi un profeta che è venuto a dirci coraggio, non abbiate paura”.
In questi anni il card. Sako ha sperimentato in prima persona le sfide di una nazione in cui i cristiani sono vittime di interessi esterni e di lotte politiche coperte dal manto della religione, che lo hanno spinto a compiere anche gesti clamorosi. Il caso più evidente si è consumato due anni fa quando il primate caldeo ha deciso di trasferire la sede patriarcale da Baghdad a Erbil, in risposta alla campagna “deliberata e umiliante” del presidente Abdul Latif Rashid di annullare il riconoscimento del decreto patriarcale; un provvedimento che minava il ruolo e l’autorità del porporato stesso, sconfessando una tradizione secolare per colpire la massima autorità cattolica. Dietro la decisione del presidente vi era una “guerra per il potere” lanciata un sedicente leader cristiano il quale, sostenuto da milizie filo-iraniane attive in Iraq, aveva come obiettivo di assumere il controllo di beni e proprietà cristiane.
In una intervista ad AsiaNews il card. Sako aveva definito il ritiro del decreto un “assassinio morale” e il trasferimento della sede patriarcale una “protesta estrema”. “A Baghdad - aveva aggiunto - farò ritorno solo quando verrà ritirato”. La vicenda si è risolta fra aprile e giugno del 2024 quando il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani ha restituito “pieni poteri” e autorità al porporato. “È stato molto bello rientrare - ricorda il cardinale - dopo aver portato avanti questa battaglia, fondata sulla giustizia”. Da questa protesta “ferma e pacifica” [concetti alla base della decisione e che egli ha ribadito più volte e con forza] emerge che la Chiesa “non deve avere paura” e deve essere al tempo stesso “trasparente”.
Un approccio, quello improntato al rigore e alla trasparenza, che gli sono valsi anche il rispetto e, in alcuni casi, una vera amicizia con leader religiosi musulmani, sunniti e sciiti. Un rapporto che si può costruire salvaguardando la presenza e testimoniando la propria fede, senza per questo farsi trascinare dal proselitismo che è l’approccio di alcune sette protestanti.
In quest’ottica è stata fondamentale, ancora una volta, la visita di papa Francesco in Iraq che “ha cambiato la mentalità musulmana” osserva il porporato, fornendo anche le chiavi “per una maggiore comprensione della nostra fede”. In un’ottica di dialogo interreligioso, aggiungeva, “l’incontro con al-Sistani penso possa dare una ulteriore spinta. Vi è qualcosa che si muove dentro l’islam e i passi compiuti con il mondo sunnita ad al-Azhar possono essere ripercorsi con l’islam sciita a Najaf. Un dialogo che non sia basato solo sulle parole, ma sull’amicizia e sull’amore. Il papa ha seminato, ora tocca a noi come Chiesa locale e come cristiani irrigare e far crescere questo seme”.
Un’ultima riflessione, il card. Sako la dedica al ricordo di papa Francesco e al loro ultimo incontro nell’ottobre dello scorso anno, in cui “mi ha detto che l’Iraq è nel suo cuore. Una frase che mi ha colpito molto, perché ha parlato di tutto il Paese, dei cristiani e degli iracheni in generale”. “Le parole di Francesco - conclude il porporato, che si appresta a partecipare al Conclave - sono un richiamo anche per il futuro papa: deve essere per tutti, non solo per cristiani ma anche per quanti non credono. Deve essere un messaggero di pace e di fratellanza. Papa Francesco ha saputo leggere e cogliere meglio di chiunque altro i segni dei tempi”.