7 ottobre 2024
Un’antica collina nell’area di Kirkuk, in una zona “in origine terra di cristiani”, contiene tesori e patrimoni archeologici in gran parte ancora nascosti e da portare alla luce, che per questo sono finiti nel mirino di trafficanti di beni. Secondo quanto racconta il sito di informazione Rudaw, la questione riguarda un settore collinare contenente “decine di reperti e scavi ancora in gran parte da completare”, per questo gruppi attivisti locali stanno promuovendo una battaglia contro l’esproprio.
L’area al centro della contesa è vasta 23 dunam (circa 57.500 metri quadrati) e, di questi, solo il 40% è stato oggetto di lavori di scavo che hanno portato al rinvenimento di almeno 45 reperti archeologici. Un uomo d’affari locali sta manovrando per rilevare la proprietà della zona dal Dipartimento delle antichità di Kirkuk per accelerare i lavori di perforazione e scavo.
In risposta alcuni abitanti hanno intentato una battaglia legale per impedire l’esproprio, ma sinora “nessuna azione è stata intrapresa nei suoi confronti” come rivela una fonte locale.
Raed Al-Obaidi, residente nel quartiere di Al-Wasiti, racconta: “Questa è un’area archeologica, e qualcuno è venuto e ha affermato di esserne il proprietario”. In realtà, prosegue, “in origine il terreno era dei cristiani” ma questo non ha impedito di perseguire il tentativo di impossessamento.
Sulla questione interviene anche Omar Ahmed, che avanza perplessità sulle modalità di vendita “delle terre che possiedono al loro interno antichità che, in ogni parte del mondo, farebbero riferimento a una autorità a sé stante”. Un altro componente del gruppo che lotta contro l’acquisto sottolinea che “sono terre sottoposte a vincolo archeologico” e già “oltre 400 anni fa erano state recintate. Di recente - prosegue Abbas Mouloud - qualcuno è arrivato e, dopo aver demolito il muro, ha iniziato a scavare, suddividere le terre e metterle in vendita. Stiamo lottando, ma sinora non siamo riusciti a fare nulla”.
Sulla questione interviene anche Omar Ahmed, che avanza perplessità sulle modalità di vendita “delle terre che possiedono al loro interno antichità che, in ogni parte del mondo, farebbero riferimento a una autorità a sé stante”. Un altro componente del gruppo che lotta contro l’acquisto sottolinea che “sono terre sottoposte a vincolo archeologico” e già “oltre 400 anni fa erano state recintate. Di recente - prosegue Abbas Mouloud - qualcuno è arrivato e, dopo aver demolito il muro, ha iniziato a scavare, suddividere le terre e metterle in vendita. Stiamo lottando, ma sinora non siamo riusciti a fare nulla”.
Il Comitato per la rimozione degli abusi ha registrato nei mesi scorsi una denuncia contro questo uomo di affari - la cui identità viene tenuta nascosta - che sta cercando di impossessarsi dei terreni presso l’Autorità garante di Kirkuk, ma non ha ancora ricevuto risposta. Sulla questione è intervenuto anche il governatore Rebwar Taha che conferma il rinvenimento “di manufatti sul sito collinare” e assicura di voler prendere “azioni legali” contro tentativi di esproprio.
L’archeologia costituisce un patrimonio dal grande valore economico, storico e culturale, che rappresenta il vero “oro nero” dell’Iraq come aveva dichiarato in passato il primate caldeo card. Louis Raphael Sako. Sin dai tempi in cui era arcivescovo di Kirkuk, infatti, il porporato era solito denunciare i pericoli corsi da un “bene universale” da salvaguardare da furti, traffico illegale e persino dai cambiamenti climatici, perché da solo vale “più del petrolio”. Un compito di tutti gli iracheni, non solo i cristiani, richiamato dal patriarca anche nel 2016 durante la “Conferenza internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale nelle aree teatro in conflitto” ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti (Eau).