Sono iniziati ieri mattina in Vaticano, i lavori della 86.ma Assemblea plenaria
della Roaco, la Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali. L’evento si concluderà domani, giorno in cui i partecipanti alla plenaria saranno ricevuti in udienza da Papa Francesco. L’inizio dei lavori è stato preceduto dalla Messa presso la chiesa romana di Santa Maria in Transpontina, presieduta dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali e presidente della Roaco. All’assemblea prende parte anche il Patriarca caldeo, Raphael I Sako, che al microfono di Manuella Affejee si sofferma sulla situazione dei cristiani in Iraq.
La situazione è molto complicata. Adesso, c’è un miglioramento in Iran. In Siria e in altri Paesi, però, si ripercuote la situazione irachena. Purtroppo, l’esodo dei cristiani continua e noi ci sentiamo un po’ isolati: nessuno ci appoggia. L’unico appoggio spirituale, morale e anche politico che possiamo ricevere è da parte della Santa Sede. La riconciliazione: bisogna aiutare questi cristiani a giocare un ruolo cruciale nella vita sociale e politica. Questo è, dunque, molto importante. Non serve solo una presenza diplomatica. Ci sono delle sfide da affrontare. Se dovesse continuare l’esodo, in questi Paesi non ci sarebbero più cristiani. E’ veramente una grande perdita. E perché l’Unione Europea invece di far arrivare i cristiani nei suoi Paesi – cosa molto costosa – non li aiuta a rimanere lì e non fa qualche progetto? Strade, alloggi per le famiglie povere, un dispensario...
Lei lavora molto a favore della riconciliazione, quale può essere il ruolo dei laici cristiani in Iraq?
Nel Medio Oriente, c’è la mentalità del sospetto e questo gioca molto. Si sentono, dunque, cose talvolta ingiuste e c’è un muro fra le persone. Quando si parla faccia a faccia, però, tutto viene risolto. Bisogna preparare la gente. Anche il primo ministro mi ha detto: “Voi cristiani potete fare tanto e siete preparati come cristiani”. Penso che per noi sia una grande prestazione: noi siamo lì per costruire ponti, ma abbiamo anche bisogno di essere aiutati e supportati. Esiste un dialogo con le autorità musulmane, soprattutto nella vita, ma c’è pure un dialogo teologico. Forse, c’è bisogno di tutto un lavoro nei media, per spiegare la fede cristiana, la tradizione cristiana, il ruolo dei cristiani e la cultura cristiana.
Proprio un rinnovamento del dialogo tra musulmani e cristiani, un approccio più diretto...
Io penso che i cristiani in Medio Oriente siano più preparati ad un dialogo “serio” e non, dunque, ad un dialogo accademico, che questi occidentali che hanno studiato nelle università. Quella è una cosa teorica. Per noi, invece, c’è la teoria, ma c’è anche la prassi.
La situazione è molto complicata. Adesso, c’è un miglioramento in Iran. In Siria e in altri Paesi, però, si ripercuote la situazione irachena. Purtroppo, l’esodo dei cristiani continua e noi ci sentiamo un po’ isolati: nessuno ci appoggia. L’unico appoggio spirituale, morale e anche politico che possiamo ricevere è da parte della Santa Sede. La riconciliazione: bisogna aiutare questi cristiani a giocare un ruolo cruciale nella vita sociale e politica. Questo è, dunque, molto importante. Non serve solo una presenza diplomatica. Ci sono delle sfide da affrontare. Se dovesse continuare l’esodo, in questi Paesi non ci sarebbero più cristiani. E’ veramente una grande perdita. E perché l’Unione Europea invece di far arrivare i cristiani nei suoi Paesi – cosa molto costosa – non li aiuta a rimanere lì e non fa qualche progetto? Strade, alloggi per le famiglie povere, un dispensario...
Lei lavora molto a favore della riconciliazione, quale può essere il ruolo dei laici cristiani in Iraq?
Nel Medio Oriente, c’è la mentalità del sospetto e questo gioca molto. Si sentono, dunque, cose talvolta ingiuste e c’è un muro fra le persone. Quando si parla faccia a faccia, però, tutto viene risolto. Bisogna preparare la gente. Anche il primo ministro mi ha detto: “Voi cristiani potete fare tanto e siete preparati come cristiani”. Penso che per noi sia una grande prestazione: noi siamo lì per costruire ponti, ma abbiamo anche bisogno di essere aiutati e supportati. Esiste un dialogo con le autorità musulmane, soprattutto nella vita, ma c’è pure un dialogo teologico. Forse, c’è bisogno di tutto un lavoro nei media, per spiegare la fede cristiana, la tradizione cristiana, il ruolo dei cristiani e la cultura cristiana.
Proprio un rinnovamento del dialogo tra musulmani e cristiani, un approccio più diretto...
Io penso che i cristiani in Medio Oriente siano più preparati ad un dialogo “serio” e non, dunque, ad un dialogo accademico, che questi occidentali che hanno studiato nelle università. Quella è una cosa teorica. Per noi, invece, c’è la teoria, ma c’è anche la prassi.