Da Baghdad è giunta ieri la conferma, anche in sede d’appello, della condanna a morte comminata da un tribunale iracheno nei confronti dei tre terroristi accusati di aver causato la strage di cristiani nella chiesa della Signora della Liberazione. Il 31 ottobre 2010 un gruppo di kamikaze aprì il fuoco e si fece esplodere nella chiesa della capitale, provocando la morte di 58 persone e il ferimento di altre 75.
Al microfono di Alessandro De Carolis, il vescovo ausiliare di Baghdad, mons. Slemon Warduni, parla di perdono per gli autori dell’eccidio.
Il cristianesimo è per la vita, quindi i principi cattolici non possono condividere la condanna a morte. Sono piuttosto per il perdono, per l’educazione. Anche per la condanna, sì, ma non a morte.
Il ricordo di quella strage, avvenuta a Baghdad nel 2010, ha cambiato qualcosa nei sentimenti della comunità cristiana irachena?
E’ caduta come una condanna per tutti, ed è per questo che ha influito molto sull’emigrazione dei cristiani dall’Iraq. Certamente, è stata una strage molto grave, però abbiamo avuto tante, tante stragi: nei ministeri, sulle strade, nei mercati e in altre chiese, con uccisioni di sacerdoti, di un vescovo… È una cosa impensabile, quello che abbiamo sofferto dal 2003 fino ad oggi. In particolare noi cristiani, ma non solo.
Ha speranza che tutto questo cambi?
Sì, io ho speranza che tutto questo cambi per la misericordia del Signore. Per questo, chiediamo al Signore di darci la pace. Non vogliamo altro. L’Iraq è molto ricco, non ha bisogno di altre forze se i suoi cittadini sanno lavorare senza interessi personali o dei propri partiti o della propria confessione. Interessi che poi si trasformano in ragione di odio, di guerra… E’ questo, quello che ci manca: lo zelo, l’eroismo cristiano dell’amore scambievole. Chiedete voi al Signore, insieme con noi, la pace per tutto il mondo, per il Medio Oriente e in modo speciale per l’Iraq.
Al microfono di Alessandro De Carolis, il vescovo ausiliare di Baghdad, mons. Slemon Warduni, parla di perdono per gli autori dell’eccidio.
Il cristianesimo è per la vita, quindi i principi cattolici non possono condividere la condanna a morte. Sono piuttosto per il perdono, per l’educazione. Anche per la condanna, sì, ma non a morte.
Il ricordo di quella strage, avvenuta a Baghdad nel 2010, ha cambiato qualcosa nei sentimenti della comunità cristiana irachena?
E’ caduta come una condanna per tutti, ed è per questo che ha influito molto sull’emigrazione dei cristiani dall’Iraq. Certamente, è stata una strage molto grave, però abbiamo avuto tante, tante stragi: nei ministeri, sulle strade, nei mercati e in altre chiese, con uccisioni di sacerdoti, di un vescovo… È una cosa impensabile, quello che abbiamo sofferto dal 2003 fino ad oggi. In particolare noi cristiani, ma non solo.
Ha speranza che tutto questo cambi?
Sì, io ho speranza che tutto questo cambi per la misericordia del Signore. Per questo, chiediamo al Signore di darci la pace. Non vogliamo altro. L’Iraq è molto ricco, non ha bisogno di altre forze se i suoi cittadini sanno lavorare senza interessi personali o dei propri partiti o della propria confessione. Interessi che poi si trasformano in ragione di odio, di guerra… E’ questo, quello che ci manca: lo zelo, l’eroismo cristiano dell’amore scambievole. Chiedete voi al Signore, insieme con noi, la pace per tutto il mondo, per il Medio Oriente e in modo speciale per l’Iraq.