"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

15 settembre 2025

Il Papa: i martiri, simboli di una speranza disarmata e lievito di un’umanità pacifica

Benedetta Capelli
14 settembre 2025

Ci sono storie, volti, percorsi di vita segnati dal sangue ma che non si concludono con la morte violenta e ingiusta. Testimoni di una resistenza inerme e mite che sopravvive e si moltiplica anche se agli occhi del mondo i martiri sono “sconfitti”, il Libro della Sapienza li definisce nella verità: perché “la loro speranza resta piena d’immortalità”. Papa Leone offre oggi, 14 settembre festa dell’Esaltazione della Santa Croce, una riflessione profonda e sentita nella Commemorazione dei nuovi martiri e testimoni della fede del XXI secolo insieme ai rappresentanti delle altre Chiese e comunioni cristiane, nella Basilica di San Paolo fuori le mura, alla presenza di circa 4mila fedeli.

LEGGI QUI IL TESTO DELL'OMELIA DI PAPA LEONE

La debole e mite forza del Vangelo
La speranza piena di immortalità si intreccia con la speranza giubilare, diventa profezia e, sottolinea il Papa, “speranza disarmata”.
Il loro martirio continua a diffondere il Vangelo in un mondo segnato dall’odio, dalla violenza e dalla guerra; è una speranza piena d’immortalità, perché, pur essendo stati uccisi nel corpo, nessuno potrà spegnere la loro voce o cancellare l’amore che hanno donato; è una speranza piena d’immortalità, perché la loro testimonianza rimane come profezia della vittoria del bene sul male. Sì, la loro è una speranza disarmata. Hanno testimoniato la fede senza mai usare le armi della forza e della violenza, ma abbracciando la debole e mite forza del Vangelo.

L’amore più forte della morte
La celebrazione è preceduta dalla processione verso l'altare della Basilica, guidata dal Papa insieme ai Capi e delegati delle Chiese e delle Comunità cristiane di Oriente e Occidente. Leone XIV segue la Croce, nel giorno della festa dell’Esaltazione della Croce e nel ricordo del suo ritrovamento a Gerusalemme a opera di Sant’Elena. Nel pensare a quanti negli ultimi 25 anni hanno perso la vita per la fedeltà a Cristo, il Papa cita san Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso nel 1980 mentre celebrava la Messa. Ne ricorda la fiducia in un Dio “che sente il dolore di chi è torturato e ucciso. Un Dio vivo, che agisce, lavora, conduce questa storia" e in cui si confida e si spera. Dopo la proclamazione del Vangelo delle Beatitudini, il Pontefice nell’omelia rivolge a tutti “un abbraccio di pace” e sottolinea che “questi audaci servitori del Vangelo e martiri della fede hanno dimostrato in modo evidente che ‘l’amore è più forte della morte’”, come aveva già indicato nel Giubileo del 2000 san Giovanni Paolo II.

Con lo sguardo alla Croce
I martiri, sottolinea il Papa, sono “fratelli e sorelle con lo sguardo rivolto al Crocifisso”, nella Croce Gesù “ci ha manifestato il vero volto di Dio, la sua infinita compassione per l’umanità; ha preso su di sé l’odio e la violenza del mondo, per condividere la sorte di tutti coloro che sono umiliati e oppressi”. Oggi quell’oppressione continua a vivere “in situazioni difficili e contesti ostili”, proprio lì uomini e donne continuano a portare la stessa Croce.
Sono donne e uomini, religiose e religiosi, laici e sacerdoti, che pagano con la vita la fedeltà al Vangelo, l’impegno per la giustizia, la lotta per la libertà religiosa laddove è ancora violata, la solidarietà con i più poveri.

Suor Dorothy: la Bibbia, arma d’amore
E allora Papa Leone cita alcuni tra gli uomini e le donne che sono i martiri di oggi. La prima è suor Dorothy Stang, religiosa americana della congregazione di Nostra Signora di Namur, uccisa nel 2005 ad Anapu, nel Pará brasiliano. Il Pontefice esalta la sua “forza evangelica” tra i senza terra in Amazzonia.
A chi si apprestava a ucciderla chiedendole un’arma, lei mostrò la Bibbia rispondendo: “Ecco la mia unica arma”.

Padre Ganni: “un vero cristiano”
Dall’Amazzonia all’Iraq, Leone XIV ricorda padre Ragheed Ganni, prete caldeo di Mosul “che – afferma - ha rinunciato a combattere per testimoniare come si comporta un vero cristiano”. Padre Ganni, minacciato da mesi, venne ucciso dopo la Messa il 3 giugno del 2007 da terroristi del sedicente Stato Islamico, insieme a lui persero la vita tre giovani diaconi. Nel 2019 si è conclusa la fase diocesana del processo di beatificazione, due anni prima, nella celebrazione in memoria dei nuovi martiri nella Basilica di San Bartolomeo a Roma, Papa Francesco aveva indossato la sua stola rossa.

Fratel Tofi: uomo di pace come tanti cristiani ancora oggi perseguitati
Nell’ecumenismo del sangue che, afferma il Papa, “unisce i cristiani di appartenenze diverse” perché “l’unità viene dalla Croce del Signore”, Leone XIV ha un pensiero anche per fratel Francis Tofi, anglicano e membro della Melanesian Brotherhood, che ha dato la vita per la pace nelle Isole Salomone”. Uomo mite, impegnato nel processo di disarmo e riconciliazione tra le fazioni che avevano scatenato la guerra civile nell’isola di Guadalcanal, venne ucciso con altri sei confratelli il 24 aprile 2003.
Gli esempi sarebbero tanti, perché purtroppo, nonostante la fine delle grandi dittature del Novecento, ancora oggi non è finita la persecuzione dei cristiani, anzi, in alcune parti del mondo è aumentata.

Un mondo migliore
Infine il Papa ricorda un bambino pakistano, Abish Masih, ucciso in un attentato contro la chiesa cattolica di Yohannabad, il 15 marzo 2015 a Lahore, che “aveva scritto sul proprio quaderno: ‘Making the world a better place’, ‘rendere il mondo un posto migliore’”. Abish aveva dieci anni quando è morto in seguito alle ferite riportate nell’attacco alla chiesa, nel quale vennero uccise altre 15 persone. Frequentava le scuole di pace della Comunità di Sant’Egidio, il suo quaderno è custodito nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola a Roma, santuario dei nuovi martiri del XX e XXI secolo.
Il sogno di questo bambino ci sproni a testimoniare con coraggio la nostra fede, per essere insieme lievito di un’umanità pacifica e fraterna.

Fare memoria
Il Pontefice assicura poi che i martiri di oggi di tutte le tradizioni cristiane non saranno dimenticati pertanto ribadisce l’impegno della Chiesa Cattolica a custodire la loro memoria. In tal senso adempie a questo compito la Commissione per i Nuovi Martiri, presso il Dicastero per le Cause dei Santi, collaborando con il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Possa il sangue di tanti testimoni avvicinare il giorno beato in cui berremo allo stesso calice di salvezza!

Lampade accese
Nel corso della celebrazione, sono stati citati in diverse lingue alcuni martiri di questo tempo come suor Leonella Sgorbati, missionaria della Consolata, uccisa in odium fidei a Mogadiscio in Somalia il 17 settembre 2006 davanti all’ospedale pediatrico dove lavorava. È stata beatificata il 26 maggio 2018, giorno in cui ricevette il sacramento della Confermazione a Piacenza, la sua terra d’origine. Scriveva alle sue consorelle di essere “autentiche testimoni di Cristo nella nostra vita di ogni giorno, qui dove siamo”. Quello che Lei con la sua vita di servizio ha sempre portato avanti.
Sono stati ricordati anche i cristiani evangelici assassinati dai terroristi nella Missione di Silgadji, il 29 aprile 2019, in Burkina Faso, primo attacco ai fedeli raccolti in un luogo di culto del Paese. Un pensiero anche ai ventuno copti ortodossi uccisi in Libia il 15 febbraio 2015, si trattava di 20 egiziani e un ghanese, vennero sgozzati sulla spiaggia di Sirte dove si trovavano per lavoro perché non rinnegarono la propria fede. Ad ucciderli gli uomini del sedicente Stato islamico. I loro corpi furono poi ritrovati nel 2017 in una fossa comune. Papa Francesco li ha inseriti anche nel Martirologio Romano “come segno della comunione spirituale” che unisce la Chiesa cattolica e quella copta ortodossa.
Nel fare memoria della loro storia sono state accese diverse lampade, poste ai piedi della croce, perché la luce della fede non muore mai come non muore l’amore di Cristo per chi lo segue.

Si festeggia il compleanno del Papa
Al termine della Commemorazione dei martiri e testimoni della Fede del XXI secolo nella Basilica di San Paolo, Papa Leone XIV - riferisce la Sala Stampa della Santa Sede - ha salutato i rappresentanti delle altre Chiese e Comunioni Cristiane nella sagrestia e, successivamente, si è trattenuto con i cardinali e le altre personalità presenti nella Sala della Pinacoteca, dove il Decano del Collegio Cardinalizio, il cardinale Giovanni Battista Re, gli ha rivolto alcune parole di augurio per il suo compleanno. Il Papa lo ha ringraziato, sottolineando la coincidenza con la Festa dell’Esaltazione della Croce: "Dall’inizio della mia vocazione, ho sempre risposto 'non la mia volontà, ma la tua, Signore’".
Esprimendo l’augurio che l’entusiasmo dei fedeli in quest’Anno Giubilare possa portare frutti per la missione di annunciare il Vangelo, il Papa si è detto felice di festeggiare questo giorno con una celebrazione dal carattere ecumenico e ha invitato a proseguire insieme, “testimoni di unità, carità e speranza”. Dopo un breve brindisi, il taglio della torta e il canto di buon compleanno intonato dai presenti, Leone XIV è uscito dalla Basilica e si fermato a salutare la folla all’esterno prima di fare rientro in Vaticano.

Iraq: Ecumenical festival points to future for persecuted Church

September 11, 2025

“What once was meant to be silenced has become a proclamation – Faith has survived, and hope is stronger than death.”
Christians who survived jihadist attacks in northern Iraq have come together to celebrate a major festival which will proclaim that Faith is still alive in the region.
From 9-13 September 2025, Christians from across the region’s different traditions – Assyrian Church of the East, Chaldean, Syriac Catholic and Syriac Orthodox – are joining together for an extended celebration of the feast of the Exaltation of the Holy Cross.
Chaldean Archbishop Bashar Warda, who has been working with leaders from other Churches to plan the events, told Catholic charity Aid to the Church in Need (ACN) – which helped support the celebrations – that this was a sign that the Faith was still alive. He said: “The timing of the festival is deeply symbolic. A decade ago, Daesh sought to erase Christianity from this land. Today, the very same communities will raise the Cross high in public squares, in churches, and in joyful processions. What once was meant to be silenced has become a proclamation – Faith has survived, and hope is stronger than death.”
Islamist extremist group Daesh (ISIS) controlled parts of the Nineveh Plains in northern Iraq from 2014 until 2017. More than 120,000 Christians sought refuge in Erbil in Iraq’s semi-autonomous Kurdistan region after fleeing their homes in August 2014. ACN supported Christian refugees who fled in 2014, and following the defeat of Daesh helped rebuild Christian towns and villages, to allow communities to return to their homes.
Events are set to begin later today (9 September) with a 1¼ mile (2km) candlelight procession in the Erbil suburb of Ankawa from the Chaldean Shrine of St Elijah to the Assyrian Cathedral of St John the Baptist, where a meal will follow prayers and a homily by the Assyrian Church of the East’s Patriarch Mar Awa III. A packed programme will include prayers, music, cultural events, sporting activities and competitions in the lead up to the vigil of the Exaltation of the Holy Cross on 13 September.
The five-day festival is now set to be an annual event in the Churches’ calendar, following ecumenical celebrations in 2024. The 2025 festival builds upon last year’s activities “aiming not only to repeat its success, but also to expand its scope, deepen its content, and involve more youth and families from across the different Churches.”
Archbishop Warda paid tribute to the Joint Youth Committee, composed of 20 volunteers from all four Churches, who have played a lead role. He said: “Young people from all Churches planned the festival together – organising prayers, sports, marathons, concerts, children’s games, and cultural events. Their collaboration became a visible sign of a new future. Older generations watched with admiration as the youth discovered that what unites them – their faith in Christ – is far greater than what divides them. In their hands, the dream of Christian unity in Iraq is already becoming a lived reality.”
The festival is seen as vital to the future of Christianity in the country. According to Saddam Hussein’s last census there were 1.4 million believers, but numbers have fallen to well below a quarter of a million.
Archbishop Bashar Warda said: “The Festival of the Cross 2025 is more than a local celebration. It is a message to the global Church. From the land of Abraham, where Christians suffered exile and persecution, comes a word of hope – we are still here. We are one in Christ. The Cross has not been silenced, and in Iraq, a small and wounded Church has shown the world the power of unity, the courage of faith, and the joy of resurrection life.”

US, Rights Groups Expose Militia Abuses Against Christians in Nineveh

September 9, 2025

A torrent of reports from US agencies, research centers, and media outlets is shedding light on persistent and severe abuses perpetrated by the Babylon militia against the Christian community in Iraq’s Nineveh Plains.
The group, led by Rayan Chaldean, is accused of operating a mafia-like network that uses coercion, intimidation, and criminal activities to maintain control while silencing dissent.
The Chaldeans, one of Iraq’s indigenous Christian populations, have historically faced persecution but found refuge in the Kurdistan Region during times of crisis.
However, since 2014, when Rayan Chaldean established the Babylon militia under the guise of defending Christians, the group has allegedly turned against its own community.
Instead of protecting civilians, the militia integrated into the Popular Mobilization Forces (PMF) and has been widely condemned for abuses and its severed ties with the Chaldean Church.
In 2019, the United States placed Rayan Chaldean on its Magnitsky sanctions list, citing “blatant human rights violations,” including documented torture, property seizures, and hostility toward religious groups.
Human Rights Watch also linked the militia to the destruction of civilian property in Mosul during 2016 and 2017 operations.
A report from the Washington Institute for Near East Policy describes the Babylon militia’s “iron grip” over the Nineveh Plains, accusing it of infiltrating local police, covering up crimes, and engaging in theft, extortion, and illegal trade.
The group’s influence reportedly extends to manipulating elections in Christian-majority areas, with votes secured through fraud and coercion rather than genuine community support.
Despite Rayan’s claim to represent Christians, the militia has clashed with the Chaldean Church.
His disputes with Cardinal Louis Sako, the Patriarch of the Chaldean Church, culminated in a controversial decree by Iraqi President Latif Rashid to remove Sako from his post, a move widely criticized at home and abroad.
Local Christian leaders and activists have repeatedly called for urgent measures, including the removal of militias from security and political structures in the Nineveh Plains, independent oversight of disputed property cases, guarantees for the church’s freedom, accountability for militia crimes, and genuine reconstruction efforts in areas devastated by ISIS.
Observers warn that the continued dominance of the Babylon militia undermines both Christian representation in Iraq and broader stability in the region.

10 settembre 2025

Il primo ministro iracheno riapre due storiche chiese cattoliche distrutte dall’ISIS a Mosul

3 settembre 2025

Il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani
ed il vescovo siro cattolico di Mosul
Monsignor Benedictus Y. Hanno

Il 1° settembre, la città di Mosul, in Iraq, è stata teatro di una cerimonia ufficiale per commemorare la riapertura di due chiese storiche completamente restaurate: la Chiesa di Nostra Signora dell’Immacolata Concezione — nota come Al-Tahera e appartenente alla comunità cattolica siriana — e la Chiesa di Nostra Signora dell’Ora, situata nel Monastero Domenicano.
All’evento hanno partecipato il primo ministro Mohammed Shia’ al-Sudani, funzionari governativi e rappresentanti delle organizzazioni internazionali che hanno sostenuto la ricostruzione.

Un simbolo di convivenza e fratellanza
Durante il suo intervento nella Chiesa dell’Immacolata Concezione, al-Sudani ha affermato: «Questa chiesa sorge tra le macerie per rappresentare la casa dove il Signore riunisce i cuori delle persone senza divisioni né ostilità, in una convivenza antica quanto l’Iraq stesso». Il leader ha sottolineato che la riapertura rappresenta il ritorno allo spirito di Mosul e alla fratellanza tra i suoi abitanti.

L’appello dei cristiani iracheni

Mons. Benedictus Younan Hanno
, vescovo di Mosul e delle comunità cattoliche siriane della regione, ha chiesto al primo ministro di estendere lo stesso sforzo di restauro del patrimonio alla cura della popolazione cristiana. Ha ricordato che circa l’80% dei cristiani iracheni subisce violazioni dei diritti e continua ad essere costretto ad emigrare.
“I cristiani iracheni sono emigrati per forza, lasciando la loro patria tra lacrime e dolore, e continuano ad aspettare di tornare, desiderando rivedere l’Iraq come un paese bello, capace di accogliere i suoi figli cristiani insieme ai loro fratelli di altre comunità”, ha sottolineato.
Dopo i discorsi, è stata suonata la campana della chiesa ed è stato piantato un ulivo nel cortile come simbolo di pace. Successivamente, le autorità si sono recate al monastero domenicano per riaprire anche la chiesa di Nostra Signora della Hora.

Dalla distruzione dell’ISIS alla ricostruzione internazionale
Entrambi i templi, insieme alla Grande Moschea al-Nuri e al suo iconico minareto inclinato, sono stati gravemente danneggiati durante l’occupazione di Mosul da parte del gruppo terroristico Stato Islamico (ISIS) tra il 2014 e il 2017.
Dopo la liberazione della città, l’UNESCO ha avviato il restauro dei monumenti nell’ambito dell’iniziativa “Revivir el Espíritu de Mosul” (Rivivere lo spirito di Mosul), ricostruendoli secondo i loro progetti originali. Il progetto è stato finanziato dagli Emirati Arabi Uniti (EAU) e dall’Unione Europea (UE).





24 agosto 2025

Mar Mattai Monastery – A Timeless Sanctuary of Faith, History, and Resilience

By Syriac Press
August 23, 2025 

Photo Syriac Press


 ucked 35 kilometers northeast of Mosul, Iraq, Mar Mattai Monastery stands as an enduring symbol of spiritual devotion and historical richness. Perched at 2,100 feet on Mount Alfaf, this 4th-century Syriac Orthodox monastery, founded by saint Mar Mattai, is one of Beth Nahrin’s (Mesopotamia’s) most revered Christian landmarks. Its stunning location amidst the rugged beauty of northern Iraq, coupled with its serene climate and commanding views, makes it a cherished destination for pilgrims, historians, and tourists alike. As an archaeological treasure, religious sanctuary, and cultural beacon, Mar Mattai embodies the resilience of Beth Nahrin’s Christian heritage.
Founded in the 4th century by Mar Mattai, a Syriac ascetic renowned for his piety, the monastery quickly became a spiritual hub, drawing thousands of monks and hermits from Nineveh and across Beth Nahrin. At its zenith, it reportedly housed up to 7,000 monks, a testament to its prominence during its golden eras. Despite centuries of invasions, fires, and plunder, the monastery retains sacred elements, including the altar, the House of Saints (part of the main church), Mar Mattai’s cell, ancient cisterns, caves, and hermitages.
A catastrophic fire in 480 AD razed much of its original artistry, erasing intricate inscriptions and decorations. Yet, by 544 AD, dedicated monks restored the site, reviving its ascetic traditions. Further trials followed, including abandonment in 1171 due to attacks from neighboring groups and devastating Mongol and Tatar raids after 1260. Each time, the monastery rose from adversity, with significant renovations in the 1970s bringing electricity and a paved road, transforming it into a modern pilgrimage and tourist site.
Mar Mattai’s enduring fame rests on three pillars: spiritual, ecclesiastical, and scholarly significance. Spiritually, Mar Mattai and his successors played a pivotal role in spreading Christianity across the region. 
They converted notable figures such as Mar Behnam, his sister Sarah, their parents Sennacherib and his wife, and many from the province of Athor. The monastery’s sanctity, enriched by the relics of Saint Mar Mattai and other saints, has long drawn pilgrims seeking healing, blessings, and spiritual renewal. Its reputation as a sacred site persists, with visitors flocking to venerate its holy relics and hear the word of God amidst its tranquil halls.
Ecclesiastically, Mar Mattai rose to prominence as an episcopal seat in the late 5th century, later becoming a metropolitan see, wielding significant influence within the Church of the East. Its metropolitan held a preeminent position, shaping the church’s direction. 
The monastery served as a residence for distinguished figures, including the renowned scholar Bar Hebraeus, who lived there for seven years in the 13th century. It hosted several key synods, produced three patriarchs, seven catholicos, and numerous bishops, cementing its role as a cornerstone of Syriac Christianity.
Scholarly, Mar Mattai was a beacon of intellectual achievement. Its 5th-century library, one of the finest repositories of Syriac manuscripts, housed treasures like the Syriac Gospel by the monk Mubarak Bartalli, adorned with 54 vibrant illustrations. 
Many of these manuscripts are now preserved in prestigious institutions, including the British Museum, Cambridge, Berlin, the Vatican, and Lebanon’s Deir Sharfeh. The monastery’s school fostered luminaries such as Mar Marutha Tikriti and Bar Hebraeus, whose contributions enriched the intellectual landscape of the Abbasid era. The school’s scholars played a vital role in translating and preserving knowledge, bridging Eastern and Western traditions during a golden age of learning.
Today, Mar Mattai remains a vibrant testament to resilience. Accessible via a recently paved road or traditional stone paths winding between mountain ridges, its three-story complex comprises approximately 100 rooms, including two churches dedicated to saint Mar Mattai and the Virgin Mary. 
The name “Al-Tabki,” derived from the Syriac term for “ascent,” reflects the monastery’s elevated position, both physically and spiritually. Despite Iraq’s turbulent recent history, including threats from conflict and instability, Mar Mattai continues to attract visitors from around the world. 
Its blend of spiritual depth, historical richness, and natural beauty makes it a cultural jewel, inviting exploration of its sacred halls and contemplation of its enduring legacy. 
As a living monument, Mar Mattai Monastery stands as a bridge between past and present, offering solace and inspiration to all who visit.

Iraqi Christians face political challenges as election approaches

Georgena Habbaba
August 23, 2025

As Iraq’s Independent High Electoral Commission announces the final lists of political coalitions, parties, and individual candidates ahead of November’s parliamentary elections, a critical question hangs over the country’s Christian community: Will their voice truly be heard in decision-making or will it be sacrificed to the interests of political parties and influential blocs?
More than 30 Christian candidates, running individually or with specific blocs and parties, are competing for the five seats reserved for them under Iraq’s electoral law. These seats are distributed across the provinces of Baghdad, Nineveh, Kirkuk, Dohuk, and Erbil. Meanwhile, the Independent High Electoral Commission recently disqualified three of these candidates for various reasons.
In an effort to attract Christian voters, several electoral entities and coalitions have emerged in what observers describe as the “political exploitation of the Christian component.”
Despite their different political affiliations and disagreements on multiple issues, they share a common strategy: adopting Christian names and aggressively competing for the five seats. This has raised serious concerns about the independence of Christian political decision-making in the upcoming Parliament.

Call to action
Despite a significant decline in Iraq’s Christian population over recent decades, particularly after many were forcibly displaced by ISIS in 2014, the head of the Chaldean Catholic Church, Cardinal Louis Raphael Sako, has consistently urged Iraqis, especially Christians, to participate in the upcoming elections.
He emphasized the crucial role each individual can play in shaping the country’s future.
Sako, whose church represents the majority of Iraq’s Christians, has long advocated for restricting voting for Christian quota seats to Christians only. He has expressed growing concern within his community, noting that the threat of emigration is intensifying “due to armed factions seizing control of their towns, especially in the Nineveh Plain, along with blackmail, harassment, and the confiscation of quotas and government positions, all while effective measures to protect their rights and security remain absent.”

Accusations and demographic decline
Accusations continue to fly between the so-called “Christian” alliances, with groups blaming one another for being controlled by larger, non-Christian parties and for hijacking quota seats while failing to provide genuine Christian representation. This infighting persists as the Christian community faces ongoing demographic decline and harsh conditions.
Meanwhile, new parliamentary figures are gaining prominence, often with success attributed to non-Christian votes, as they are seen as aligned with powerful political parties and alliances.
Calls for electoral law reforms are growing louder, with advocates demanding changes to prevent Christian quota seats from being captured by outsiders. They argue that reform is necessary to ensure the genuine voice of Christian voters is heard, free from marginalization, dependency, or exploitation.
As the election approaches, a critical question remains: Will the upcoming elections provide an opportunity for genuine Christian representatives to win, or will history repeat itself?

This story was first published by ACI MENA, CNA's Arabic-language news partner, and has been translated for and adapted by CNA.

22 agosto 2025

Iraq: card. Sako (patriarca caldeo) a ritiro annuale clero, “no alla schiavitù del potere e del denaro. No al fondamentalismo”


Foto Patriarcato caldeo


“Essere segni di speranza in un modo tormentato”: è stato il tema del ritiro spirituale annuale del clero caldeo (Ankawa, 18-21 agosto) cui hanno partecipato 65 tra sacerdoti, vescovi e religiosi di rito caldeo, sotto la guida del loro patriarca, card. Louis Raphael Sako.
Al termine dei lavori il patriarca ha indirizzato a tutti i partecipanti un messaggio nel quale li invita a riflettere sul senso della “vocazione da vivere con dignità e verità dentro di noi e nel cercare di diffonderla intorno a noi”.
Ricordando le parole di uno dei predicatori del ritiro, Mar Sako ha ricordato che “quella caldea è una chiesa che lotta nonostante le sfide e le tentazioni” e ha citato “la crisi degli sfollati che ha visto la nostra chiesa al loro fianco per guarire le loro ferite e venire incontro ai bisogni spirituali e materiali”.
Da qui l’esortazione del patriarca a “conservare quest’anima umana, spirituale e pastorale. Non importa quali siano le difficoltà, sostenetevi a vicenda – ha detto il cardinale rivolgendosi ai sacerdoti e vescovi presenti -.
Il ritiro spirituale è un’opportunità di riconciliazione e rinnovamento. Siamo esseri umani che possono entrare in crisi o commettere errori, ma siamo in grado di uscirne cambiati”.

Nella lettera Mar Sako mette in guardia anche dai rischi che derivano dalla “schiavitù del potere e del denaro, dalla partigianeria, dal rincorrere interessi personali e materiali a spese della verità. Queste sono tutte trappole del diavolo che fanno perdere tutti coloro che vi cadono dentro”.
In questo ambito forte è il monito del patriarca caldeo ai partecipanti al ritiro a “rispettare e cooperare con la gerarchia ecclesiastica, a ricercare il dialogo, il rispetto, e la sincerità nel rapporto con il proprio vescovo con senso di responsabilità e in spirito sinodale”. “La società è cambiata, la mentalità del mondo è cambiata, la stessa cultura è cambiata – conclude Mar Sako -. Non lasciamoci trascinare dal fondamentalismo e dalle tradizioni non autentiche, ma facciamo risplendere la luce di Dio su tutto, e aiutiamo le persone in questo tempo turbolento a comprendere la loro fede in modo comprensibile e corretto”.

19 agosto 2025

The 7th shrine dedicated to Mary, mother of persecuted Christians, will open in Iraq

By Zenit
August 15, 2025

In the heart of Iraq’s Christian homeland, a new sanctuary is taking shape. Qaraqosh, once emptied of its Christian population by the advance of ISIS, will soon host one of only seven shrines in the world dedicated to Mary, Mother of Persecuted Christians.
Its location is no coincidence.
Eleven years ago to the day of the sanctuary’s announcement, the city’s ancient Syriac Catholic community fled in the night, leaving homes, churches, and centuries of tradition behind.
ISIS had already issued an ultimatum to Christians in nearby Mosul: convert to Islam, pay the jizya tax, or face death.
Qaraqosh knew what was coming. For two years, ISIS turned Christian sanctuaries into firing ranges and military outposts. 
The liberation of Qaraqosh in 2016 by the Popular Mobilization Forces—predominantly Shiite militias—brought an end to jihadist rule but not to hardship. Christians began returning to a city in ruins, navigating a precarious coexistence under new political and military pressures.
The new shrine will stand within the recently built Church of St. Ephrem, its focal point an icon delivered this August by Father Benedict Kiely, founder of the Vermont-based charity Nasarean.org.
Painted by Syriac Catholic deacon Ibraheem Yaldo—himself displaced from his hometown of Bartella in 2014—the icon bears the Aramaic inscription “Mary, Mother of the Persecuted.”
For Archbishop Benedict Younan Hano, who heads the Syriac Catholic Archeparchy of Mosul from Qaraqosh, the timing is deliberate.
“It is a sign that faith endures,” he says, “even in the very place where our largest Christian city was taken and desecrated.”
Hano hopes the shrine will prod Western Christians to pray for their brethren in the Middle East, and to remember that Christianity’s roots run deep in these lands, as Pope Leo XIV reminded Eastern Christians earlier this year.
The Syriac Catholic Church—one of 23 Eastern Catholic Churches in full communion with Rome—still prays in Syriac, a dialect of the language spoken by Christ and the apostles. In Iraq, its faithful form the second-largest Catholic community after the Chaldean Church. But their numbers have plummeted: from 1.5 million Christians nationwide in 2003 to perhaps 150,000 today, with the exodus accelerating under ISIS’s reign of terror between 2014 and 2017.

Hope in Iraq: Churches full as 1,500 children celebrate first Communion

Georgena Habbaba
August 9, 2025

Eleven years have passed since ISIS seized Mosul and the Nineveh towns and with every anniversary commemorated each year, the same question arises: How many Iraqi Christians remain? 
Despite tensions and renewed challenges from regional conflict, Iraqi churches remain full.
Just weeks ago, Christians there celebrated joyfully as 1,000 young boys and girls received their first Communion. 
In Iraq’s capital, Chaldean parishes celebrated first Communion for 50 children, while 32 others received the sacrament at the Syriac Catholic parish.
Most significantly, 11 children took their first Communion at the Syriac Catholic Church of Our Lady of Deliverance — the same church that witnessed a horrific massacre in 2010, when dozens of worshippers and two priests were killed and hundreds wounded.
 
Guarding the deposit of faith In Qaraqosh (Baghdeda), churches belonging to the Syriac Catholic Archdiocese of Mosul and its dependencies celebrated first Communion for 461 children across three separate ceremonies. Another 30 children received the sacrament in nearby Bashiqa and Bartella, with liturgies led by Archbishop Benedictos Younan Hanno. During his homilies, Hanno praised the faithful’s determination to stay on their ancestral land and their courage in returning after forced displacement. He commended their commitment to preserving their faith and passing it to their children, who have grown up in stable, united, devoted families.

Some celebrate, others wait
In Basra, Christian families have dwindled to fewer than 350 across all denominations — Chaldean, Armenian, Syriac, Presbyterian, and Latin — yet they remain on their land despite harsh living and environmental conditions. This year, the Chaldean and Syriac Catholic dioceses postponed first Communion celebrations, waiting to gather enough children for next year’s celebration. In Karemlesh, part of the Chaldean Archdiocese of Mosul, 26 children are preparing to receive the Eucharist. Meanwhile, the Chaldean Diocese of Kirkuk and Sulaymaniyah celebrated first Communion for 26 children at Kirkuk’s Cathedral of the Sacred Heart. The Church in Sulaymaniyah, like Basra, is looking ahead to next year. 

Towns of northern
Iraq Ankawa’s churches within the Chaldean Diocese of Erbil experienced two extraordinary days.
Archbishop Bashar Matti Warda presided over three Masses where 210 children received first Communion. In his homilies, he emphasized that the sacrament goes far beyond beautiful photos and white gowns: It represents a lifelong commitment that transforms communicants’ homes into places where Jesus’ presence lives through forgiveness, active listening, and generosity. Children process into the St. Mary al-Tahir Church, also known as the Church of the Immaculate Conception, in Baghdad, for their first Communion.
Also, in Ankawa, 66 children from the Syriac Catholic Diocese of Adiabene received the Eucharist, along with 15 others in Duhok. In the Chaldean Diocese of Duhok, 75 children celebrated first Communion, while 150 did so in neighboring Zakho Diocese. A similar number in Alqosh Diocese, bereaved of its spiritual shepherd, will receive the sacrament in coming days. The Syriac Orthodox Church also celebrated first Communion for about 70 children in Bartella and 40 in Ankawa, including children from other denominations.

This story was first published by ACI MENA, CNA’s Arabic-language news partner. It has been translated for and adapted by CNA.

Ninive, card. Sako: a 11 anni dai massacri Isis ‘ansia e ossessione’ di migrare

card. Louis Raphael Sako* 
8 agosto 2025

 A 11 anni dall’esodo dei cristiani da Mosul e dalla piana di Ninive, il 6 agosto 2014, in seguito all’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis) col suo carico di morte e distruzione, “l’ansia e l’ossessione” per la migrazione “continuano a crescere” in mancanza di diritti e sicurezza.
È quanto scrive il primate di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, in un messaggio pubblicato sul sito del patriarcato e inviato ad AsiaNews in occasione dell’undicesimo anniversario della cacciata dei cristiani dalla Piana di Ninive. Un dramma ancora vivo nella memoria, mentre restano attuali le persecuzioni per mano di “milizie” che “praticano estorsioni, vessazioni, intimidazioni e sequestro di quote parlamentari”. Un richiamo ai gruppi, legati a sedicenti leader cristiani, contro i quali si è più volte battuto lo stesso porporato. Nella messa celebrata il 6 agosto nella cattedrale di san Giuseppe a Baghdad il porporato ha ricordato il significato della Trasfigurazione al monte Tabor, chiedendo ai fedeli di pregare per la pace.
Il grido di allarme lanciato dal patriarca caldeo non è certo isolato, anche se troppo spesso sembra cadere nel vuoto inascoltato. Nei giorni scorsi leader caldei, assiri e siriaci hanno ricordato il “genocidio” che ha “sradicato” quasi mezzo milione di cristiani autoctoni dalla regione, chiedendo il riconoscimento formale delle atrocità e azioni urgenti della comunità internazionale per salvaguardare l’esistenza di un popolo. Nonostante il Parlamento iracheno abbia ufficialmente riconosciuto i crimini dell’Isis, infatti, non è stato intrapreso alcun passo formale per restituire i cristiani alla loro terra, mentre resta attuale il rischio di nuove persecuzioni a sfondo confessionale dello Stato islamico o altri gruppi. Per scongiurare ulteriori tragedie e preservare la vita e la cultura cristiane della regione serve una presa di coscienza dello Stato, che è chiamato a garantire la sicurezza. A distanza di anni estorsioni, molestie, intimidazioni e discriminazioni a livello politico e di lavoro, sono cronaca attuale nella piana di Ninive e nel nord dell’Iraq.
Di seguito, il messaggio del patriarca Sako:

Nell’undicesimo anniversario del radicale attacco contro i cristiani da parte dei membri dello Stato Islamico (Isis), che ha portato al loro sfollamento da Mosul e dalle città della Piana di Ninive, accompagnato dal saccheggio e dall’incendio delle loro proprietà, case e chiese, l’ansia dei cristiani e l’ossessione della migrazione continuano a crescere, in assenza di misure efficaci per proteggere i loro diritti, la loro sicurezza e i servizi. A ciò si aggiunge il controllo delle loro città nella pianura di Ninive da parte di milizie che praticano estorsioni, vessazioni, intimidazioni, nonché il sequestro delle loro quote parlamentari e delle opportunità di lavoro governative.
Nonostante queste difficili sfide, i cristiani rimangono saldi nella loro fede: la lettera rossa “N” (ن) sulle porte delle loro case rimane impressa nella loro memoria, ispirandoli a rifiutare l’ingiustizia e a testimoniare Cristo con fedeltà, indipendentemente dai sacrifici e dalle difficoltà.
Chiediamo al governo, che rappresenta tutto il popolo iracheno, di assumersi la responsabilità di proteggere questa popolazione cristiana autoctona e di difenderne i diritti. Si tratta di una necessità umanitaria e di un imperativo nazionale, per cui la salvaguardia delle libertà e dei diritti dei cristiani e delle altre minoranze non deve essere determinata solo da considerazioni demografiche, ma da misure giuste ed eque.
Poiché essi sono gli abitanti originari di queste terre, incarnano una ricca cultura e un patrimonio altrettanto ricco, rimangono fedeli alla loro patria, hanno svolto un ruolo essenziale nella vita della nazione irachena nei settori dell’istruzione, della cultura, della medicina e dei servizi sociali e possono ancora contribuire alla rinascita e al progresso dell’Iraq. Di conseguenza, la comunità cristiana merita sicurezza e giustizia per garantire che la sua presenza possa continuare nella propria terra; questo si aggiunge il dovere primario di garantire una coesistenza pacifica all’insegna della tolleranza, del rispetto e dell’armonia.

* Patriarca di Baghdad dei caldei e presidente della Conferenza episcopale irachena

Does the Eleventh Anniversary of the Christians’ Exodus Promise Peaceful Change

By Chaldean Patriarchate
Patriarch Louis Raphael Sako
August 6, 2025

On the eleventh anniversary of the drastic attack on Christians, by members of Islamic State (ISIS), resulted in displacing them from Mosul and towns of Nineveh Plain, accompanied by looting and burning of their properties, homes and Churches, the anxiety of Christians and obsession of migration continue to grow, in the absence of effective measures to protect their rights, security, and services. In addition to the seizing control of their towns in Nineveh Plain by militia groups that are practicing extortion, harassment, intimidation, as well as the abduction of their parliament quotas and governmental job opportunities.
Despite these tough challenges, Christians remain steadfast in their faith: the red letter “N” (ن) on the doors of their homes remaining etched in their memories, inspiring them to refuse injustice and bearing witness to Christ with fidelity, regardless of the sacrifices and hardship.
We call on the Government, which represents all Iraqi people, to shoulder its responsibilities of protecting this indigenous Christian population and upholding their rights. This cause is a humanitarian necessity and a national imperative, for which preserving the freedoms and rights of Christians and other minorities must be determined not by demographic considerations only, but by just and equitable measures; for they are original inhabitants of these lands, who embody a rich culture and heritage; who remain loyal to their homeland; who have played an essential role in the life of Iraqi nation in the fields of education, culture, medicine and social services; and who can still contribute to Iraq’s renaissance and progress.
Consequently, the Christian community deserve security and justice to ensure their continued presence on their land and a peaceful coexistence in tolerance, respect and harmony.

6 agosto 2025

I ragazzi iracheni: torniamo da Roma carichi di speranza per il nostro Paese

Davide Imeneo - Avvenire

Per 110 giovani iracheni, il Giubileo dei giovani è stato un nuovo inizio, un’opportunità per rinvigorire il cammino di fede. Provenienti da diverse città dell’Iraq – Bagdad, Karakosh, Erbil, Duhok e Zakho – e appartenenti alle comunità neocatecumenali di rito caldeo e siro-cattolico, questi ragazzi hanno ripreso la via di casa con una certezza nuova: «Torneranno in Iraq rafforzati nella fede – spiega don Daniele Casturà, missionario italiano e responsabile dell’équipe itinerante del Cammino neocatecumenale – dopo un’esperienza che loro stessi hanno definito fortissima e unica».
Il pellegrinaggio a Roma si è rivelato un tempo di grazia capace di generare frutti concreti: «Questo darà loro la possibilità di testimoniare la freschezza dell’amore di Dio ai loro coetanei e nelle loro chiese molto sofferenti. Il ritorno di questi pellegrini sarà una grande iniezione di speranza per tutti – aggiunge don Daniele – e soprattutto porteranno in loro semi di nuove vocazioni e di nuove famiglie cristiane costruite sulla roccia, che è Cristo».
Questo cambiamento è il culmine di un cammino iniziato un anno fa, con un percorso di preparazione al Giubileo che ha coinvolto tutti i giovani delle comunità irachene. Ogni mese, in due diverse zone del Paese, si sono tenuti incontri per meditare sui messaggi del Papa ai giovani e fare un’attenta lettura e meditazione sui brani della Scrittura. Una settimana prima della partenza, l’intero gruppo si è riunito per un incontro spirituale, per entrare insieme nello spirito del pellegrinaggio.
Il viaggio ha incluso tappe nei luoghi di alcuni grandi santi: Francesco e Chiara d’Assisi, Carlo Acutis, padre Pio, Michele Arcangelo, e soprattutto san Tommaso, a Ortona, «primo evangelizzatore delle terre irachene». I giovani hanno anche incontrato seminaristi del Redemptoris Mater di Macerata e le monache benedettine di Barletta, ascoltando testimonianze vocazionali che li hanno aiutati a riflettere sulla propria chiamata.
Durante il Giubileo, i momenti più significativi sono stati la Veglia e l’Eucaristia con il Papa, e l’incontro di ieri con l’équipe internazionale responsabile del Cammino Neocatecumenale. In quell’occasione, «dopo aver ascoltato l’annuncio del Kerygma fatto dall’iniziatore del Cammino neocatecumenale Kiko Argüello, racconta don Daniele, sei giovani del nostro gruppo hanno espresso la volontà di seguire il Signore nel sacerdozio ministeriale e nove ragazze nella missione e nella vita contemplativa. Siamo rimasti veramente sorpresi e meravigliati di questi grandi doni». Un Giubileo, dunque, che non si conclude a Roma, ma continua nelle parrocchie e nelle comunità del Medio Oriente: giovani che tornano come segni viventi di una speranza nuova, pronti a edificare il futuro sulle fondamenta di una fede più matura, più consapevole e più gioiosa.

Iraq: 11 anni fa l’invasione dell’Isis della Piana di Ninive. Card. Sako (patriarca caldeo), “continuano le discriminazioni contro i cristiani”

By AgenSIR - Patriarcato caldeo

Undici anni dopo il tragico attacco ai cristiani da parte dello Stato Islamico (Isis), “l’ansia dei cristiani e l’ossessione per la migrazione continuano a crescere, in assenza di misure efficaci per proteggere i loro diritti, la loro sicurezza e i loro servizi”.
La denuncia è del patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, che, in un messaggio diffuso dal Patriarcato caldeo, ricorda la data del 6 agosto del 2014 quando i miliziani dello Stato Islamico dilagarono nella Piana di Ninive, costringendo i 120mila cristiani che l’abitavano a fuggire verso il Kurdistan iracheno.
Da lì in poi si susseguirono saccheggi e incendi delle proprietà cristiane, di case e chiese.
A distanza di anni, nonostante estorsioni, molestie, intimidazioni e discriminazioni a livello politico e di lavoro, che subiscono da parte di milizie attive nella Piana di Ninive, rimarca il cardinale, “i cristiani restano saldi nella loro fede.
La lettera rossa ‘N’ (ن), Nazareni, sulle porte delle loro case resta impressa nella loro memoria, ispirandoli a rifiutare l’ingiustizia e a testimoniare Cristo con fedeltà”. Mar Sako lancia un appello al Governo iracheno “affinché si assuma la responsabilità di proteggere la popolazione cristiana autoctona e di tutelarne i diritti. Questa causa è una necessità umanitaria e un imperativo nazionale, per cui la salvaguardia delle libertà e dei diritti dei cristiani e delle altre minoranze non deve essere determinata solo da considerazioni demografiche, ma da misure giuste ed eque”.
Il patriarca caldeo ribadisce che i cristiani “sono abitanti originari di queste terre, incarnano una ricca cultura e un ricco patrimonio; rimangono fedeli alla loro patria; hanno svolto un ruolo essenziale nella vita della Nazione irachena nei campi dell’istruzione, della cultura, della medicina e dei servizi sociali; e possono ancora contribuire alla rinascita e al progresso dell’Iraq”. “La comunità cristiana – conclude – merita sicurezza e giustizia per garantire la sua continua presenza sulla propria terra e una pacifica convivenza nella tolleranza, nel rispetto e nell’armonia”.

Does the Eleventh Anniversary of the Christians’ Exodus Promise Peaceful Change


Patriarch Louis Raphael Sako

On the eleventh anniversary of the drastic attack on Christians, by members of Islamic State (ISIS), resulted in displacing them from Mosul and towns of Nineveh Plain, accompanied by looting and burning of their properties, homes and Churches, the anxiety of Christians and obsession of migration continue to grow, in the absence of effective measures to protect their rights, security, and services. In addition to the seizing control of their towns in Nineveh Plain by militia groups that are practicing extortion, harassment, intimidation, as well as the abduction of their parliament quotas and governmental job opportunities.
Despite these tough challenges, Christians remain steadfast in their faith: the red letter “N” (ن) on the doors of their homes remaining etched in their memories, inspiring them to refuse injustice and bearing witness to Christ with fidelity, regardless of the sacrifices and hardship.
We call on the Government, which represents all Iraqi people, to shoulder its responsibilities of protecting this indigenous Christian population and upholding their rights.
This cause is a humanitarian necessity and a national imperative, for which preserving the freedoms and rights of Christians and other minorities must be determined not by demographic considerations only, but by just and equitable measures; for they are original inhabitants of these lands, who embody a rich culture and heritage; who remain loyal to their homeland; who have played an essential role in the life of Iraqi nation in the fields of education, culture, medicine and social services; and who can still contribute to Iraq’s renaissance and progress.
Consequently, the Christian community deserve security and justice to ensure their continued presence on their land and a peaceful coexistence in tolerance, respect and harmony.

16 luglio 2025

Patriarca caldeo: ‘Siano salvati gli storici cimiteri cristiani di Najaf’

By Asia News - Kurdistan 24  (Dr. Karaman Aziz)

Nel tentativo di salvaguardare il fragile patrimonio cristiano iracheno, il patriarca di Baghdad dei caldei ha lanciato un appello urgente al primo ministro Mohammed Shia al-Sudani, per fermare quelli che definisce “tentativi di distruggere gli storici cimiteri cristiani” della provincia di Najaf. Al loro posto, denuncia il card. Louis Raphael Sako in una riflessione pubblicata sul sito del patriarcato, le autorità locali vogliono sostenere dei piani di sviluppo commerciale che finirebbero per cancellare una testimonianza storica di grande valore.
Secondo quanto riferisce il primate della Chiesa caldea, da “fonti affidabili a Najaf” - città 160 km a sud della capitale - arrivano campanelli di allarme in merito a “tentativi di trasferire il controllo di cimiteri storici cristiani” a investitori e imprenditori, con l’obiettivo di “realizzare progetti” nel campo dell’edilizia. Da qui l’iniziativa del porporato, che si è rivolto direttamente al capo del governo per bloccare l’esproprio e mantenere viva la memoria di una presenza cristiana nell’area.
Secondo la nota, il card. Sako ha chiesto ad al-Sudani di “intervenire e fermare la violazione dei luoghi santi cristiani”, identificando specificamente il “cimitero di Manathira” e il “cimitero di Umm Kheshm per la Manathira cristiana” come a rischio di “minaccia imminente”. “Questi siti storici - ha proseguito il porporato - devono essere sorvegliati e recintati. Inoltre, essi non devono essere vincolati ai progetti di investimento privato, che finirebbero per cancellarli completamente”.
Inquadrando il suo appello in termini di interesse nazionale, il cardinale ha sostenuto che queste aree possiedono un immenso valore culturale ed economico, che va oltre la comunità cristiana ma riguarda tutta la popolazione irachena, musulmani compresi. Il card. Sako prosegue sottolineando che la storia diversificata dell’Iraq precede di molto la sola era islamica, comprendendo “gli accadi, i sumeri, i caldei, i babilonesi, gli assiri, gli arabi, i persiani, i cristiani e infine i musulmani”.
Nella prospettiva di diversificare gli introiti per le casse dello Stato, il primate caldeo ha quindi ricordato come la conservazione - e la promozione - di questi siti finirebbe per rilanciare anche la stessa economia del Paese. “Questi siti archeologici, insieme ai santuari sciiti di Najaf e Karbala, sono luoghi di pellegrinaggio sui quali si può investire adeguatamente in modo che, a lungo termine, diventino mete turistiche e religiose” ha osservato il card. Sako. Egli lancia un ulteriore avvertimento alle autorità, aggiungendo che “fare affidamento solo sui proventi del petrolio non è sostenibile perché un giorno il greggio finirà”.
Questo appello arriva in un contesto di crisi esistenziale per una delle comunità cristiane più antiche del mondo, regione oggi teatro in molte zone di persecuzioni, violenze, abusi e violazioni che finiscono per incentivare l’esodo e svuotare la regione di una sua componente primaria. Del resto l’Iraq prima dell’invasione statunitense del 2003 aveva al suo interno circa 1,5 milioni di cristiani; tuttavia, decenni di conflitti, instabilità e persecuzioni mirate hanno visto quel numero crollare a meno di 200mila oggi.
La campagna genocida del 2014 da parte dello Stato islamico (Isis) contro i cristiani e altre comunità religiose nella Piana di Ninive e nel nord dell’Iraq - oltre alla vicina Siria - hanno segnato una deriva catastrofica. Centinaia di migliaia di persone sono state costrette a fuggire, chiese e antichi monasteri sono stati profanati o distrutti e un profondo senso di vulnerabilità è stato impresso nella memoria collettiva della comunità. Anche dopo la sconfitta militare dell’Isis la crisi è proseguita, come l’esodo. Inoltre, i (pochi) cristiani di ritorno hanno affrontato una nuova serie di ostacoli, tra cui un ambiente fragile in tema di sicurezza, cambiamenti demografici nelle loro città storiche e il problema sistemico dell’appropriazione delle proprietà. Il tentativo di sviluppare cimiteri storici a Najaf è visto da molti come un altro esempio di questa “lenta cancellazione” della loro presenza fisica e culturale dal panorama iracheno. Il patriarca ha infine aggiunto che questa eredità cristiana è stata arricchita anche da celebri poeti arabi cristiani come Imru’ al-Qais e al-Nabigha al-Dhubyani, che hanno svolto un ruolo fondamentale nel plasmare la letteratura araba. Archeologia arte e letteratura costituiscono un patrimonio dal grande valore economico, storico e culturale, tanto da rappresentare il vero “oro nero” dell’Iraq come aveva dichiarato in passato lo stesso primate caldeo. Sin dai tempi in cui era arcivescovo di Kirkuk, infatti, il card. Sako era solito denunciare i pericoli corsi da un “bene universale” da salvaguardare da furti, traffico illegale e persino dai cambiamenti climatici, perché da solo vale “più del petrolio”. Un compito di tutti gli iracheni, non solo i cristiani, richiamato dal patriarca anche nel 2016 durante la “Conferenza internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale nelle aree teatro in conflitto” ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. (EAU)

L’impegno della Chiesa per il futuro dell’Iraq

Guglielmo Gallone
9 luglio 2025

Israele, Gaza, Palestina, Siria, Iran, Cisgiordania: il Medio Oriente è più che mai tornato a dominare lo scacchiere internazionale. Eppure, c’è un Paese di cui si parla poco ma che è sempre più al centro degli equilibri mediorientali: l’Iraq. 
Strategico per la sua posizione di crocevia tra i Paesi del Golfo, il Mar Mediterraneo e la Turchia, in Iraq il 3 gennaio 2020 furono uccisi il generale Qasem Soleimani, al comando della brigata Qods dei pasdaran, e Abu Mahdi al-Muhandis, al tempo capo della coalizione di milizie sciite irachene filo-iraniane. 
Poi, lo scorso 11 giugno, un giorno prima dell’attacco israeliano all’Iran, gli Stati Uniti hanno ordinato l’evacuazione del personale non essenziale dalla loro ambasciata a Baghdad, capitale dell’Iraq, mentre per il personale diplomatico in Bahrein e Kuwait era solo stata autorizzata la partenza volontaria.
Con riferimento proprio all’Iraq e all’Afghanistan furono inoltre utilizzati per la prima volta nel ventunesimo secolo i concetti di “guerra preventiva” e “regime change”, nuovamente attuali quando si parla di Medio Oriente ma che, tanto in Afghanistan quanto in Iraq, furono capaci solo di peggiorare una situazione già precaria. 
Ancora oggi in Iraq si contano oltre un milione di sfollati interni, tre milioni di persone che richiedono assistenza umanitaria e 280.000 rifugiati provenienti da altri Paesi. 
Di questa condizione soffrono in particolare le minoranze presenti nel Paese, fra cui si contano almeno 250.000 cristiani (nel 2003 erano oltre un milione e 300.000). «La situazione è indubbiamente migliorata rispetto al 2006-2007 o al 2014 – esordisce ai media vaticani don Karam Shahmasha, sacerdote iracheno originario della piana di Ninive – oggi non c’è più alcuna persecuzione e anzi la libertà in generale c’è.
«Tuttavia, c’è un alto livello di discriminazione». Padre Karam fa riferimento ai «molti problemi interni, legati soprattutto alle minoranze e ai diritti dei cristiani. Ad esempio, le nostre possibilità sono limitate, specie quando si parla di lavoro. Le discriminazioni in questo senso sono moltissime e dipendono dal partito, dalla religione o dall’etnia cui si appartiene».
Padre Karam conosce bene questa condizione perché proviene da un’area dell’Iraq, la piana di Ninive, non lontana dal confine tra Iraq e Siria, dove nel 2014 120.000 cristiani furono perseguitati e costretti a fuggire a seguito della presa di Mosul da parte dell’Is.
«Abbiamo perso tantissimi fedeli – ci racconta – alcuni furono minacciati, altri lasciarono il Paese. Oltre il 60 per cento della popolazione di ogni villaggio cristiano ha trovato rifugio all’estero e ancora adesso rimane lì. La grande presenza cristiana in quest’area oggi è stata fortemente ridotta. Noi abbiamo perso tutto. Eppure, supportati da realtà come Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), abbiamo deciso di restare. E non abbiamo perso la cosa più importante: la nostra fede. E grazie a Dio siamo rimasti uniti per difenderla».
Le difficoltà, ovviamente, non mancano e quando chiediamo a padre Karam di menzionarci quelle più complesse, ci rassicura evidenziando anzitutto che «grazie a Dio, oggi le nostre Chiese sono vive: tanti fedeli partecipano alla messa, ci sono poi gesti quotidiani di fraternità, riunioni giovanili, attività. Cito ad esempio l’Ankawa Youth Meeting, un forum annuale dedicato alle nuove generazioni che negli scorsi anni ha contato oltre 1500 giovani. Quest’anno, dopo gli incontri preparatori settimanali, ci aspettiamo 750 ragazzi, con un programma centrato sulla vocazione che partirà il 9 luglio. Cerchiamo in tutti i modi di tenere i ragazzi vicini alla Chiesa, anche se è difficile. Il nostro problema non è tanto l’ateismo come in Europa, bensì difendere la nostra identità davanti a religioni diverse. Nelle scuole, nelle università, spesso siamo gli unici cristiani e ci viene chiesto: “Perché sei ancora cristiano?”. Dobbiamo prepararci a rispondere, anche con il sangue, come avvenne nel 2014, e ora con la testimonianza e la fedeltà».
In effetti, Matthias Kopp, esperto di Medio Oriente, portavoce della Conferenza episcopale tedesca e consultore del Dicastero per la Comunicazione, nel suo libro “Il patrimonio cristiano dell’Iraq - sopravvivere nella Mesopotamia” afferma proprio che senza cristianesimo l’Iraq è impensabile.
«È vero – riprende Shahmashail cristianesimo in Iraq non è solo una religione tra le altre. Anzitutto, in origine questo Paese è stato una roccaforte del cristianesimo. Qui passarono gli apostoli Tommaso e Taddeo, si sviluppò fin dai primi secoli la Chiesa d’Oriente, fiorirono comunità cristiane tra le più antiche del mondo e nacquero santi e vescovi. Oggi gli altri ci dicono: “Voi siete diversi”, perché vedono in noi fiducia, pace, valori. Dove ci sono i cristiani, c’è la pace. Un Iraq senza cristiani è un Iraq che ha perso le sue fondamenta. La storia lo dimostra: abbiamo tradotto la filosofia, la teologia, la scienza dal greco al siriaco, poi in arabo, portandola dunque di nuovo in Europa. Siamo stati un ponte per la cultura e per la fede. La nostra presenza è essenziale, non è solo di colore, ma di profondità».
In questo senso, il sacerdote iracheno ricorda ai media vaticani come «tra le altre cose, lottiamo per i diritti umani. Anni fa, quando si parlava di autorizzare il matrimonio con bambine di solo otto anni all’interno della costituzione irachena, i cristiani furono i primi a opporsi. Anche se non siamo tanti nel parlamento, la Chiesa fa sentire la sua voce, difende i valori umani per tutti».
“Ricostruire e ricominciare” era stato l’appello lanciato da Papa Francesco quando, nel marzo 2021, durante il viaggio apostolico in Iraq visitò quei luoghi, arrivando anche nella chiesa dell’Immacolata concezione di Qaraqosh, simbolo della persecuzione contro i cristiani: a distanza di quattro anni, nel pieno dell’anno giubilare dedicato alla speranza e agli inizi del pontificato di Leone XIV, don Karam Shahmasha tiene a rimarcare che «la nostra Chiesa è viva. Lavoriamo per portare luce e speranza. Oltre agli incontri giovanili, un esempio importante è l’Università Cattolica di Erbil. Dopo la distruzione del 2014, la Chiesa non ha solo dato rifugio e cibo ai profughi, ma ha costruito scuole e università. Il 30 settembre celebreremo il decimo anniversario dell’università pensata e nata, anche grazie all’aiuto della Conferenza episcopale italiana, per le varie minoranze. Cerchiamo in ogni modo di sostenere i nostri giovani: sono il futuro della Chiesa. E, con questo auspicio, andiamo avanti».

27 giugno 2025

Iraqi ISIS suspect tied to Damascus church bombing

June 26, 2025

One of the suspects arrested in connection with the suicide bombing at Mar Elias Church in Damascus is an Iraqi national who previously resided in al-Hol camp, the Syrian daily al-Watan reported on Thursday.
The newspaper said it had obtained internal documents from the distribution of heating fuel in the camp, located in Syria’s northeastern Hasakah province near the Iraqi border. Among the listed recipients of humanitarian aid provided by the NGO Blumont in November 2023 was a man named Kinan Ali bin Ramadan, identified as an Iraqi citizen and resident of al-Hol.
His name appeared as number 15 on the aid list and, according to the report, matches one of the individuals recently detained by Syria’s Interior Ministry for alleged involvement in the bombing—an attack attributed to an ISIS-affiliated cell.
The revelation contradicted a statement issued a day earlier by the Syrian Democratic Forces (SDF), who rejected claims that the attackers came from al-Hol. “The statements made by the ministry’s spokesperson regarding suicide bombers coming from al-Hol are inaccurate and lack factual basis,” the SDF said.
The group added that its own investigation found no unauthorized exits from the camp during the time in question, aside from Syrian nationals transferred at Damascus' request and Iraqi nationals repatriated through formal coordination with Baghdad.
The SDF also stressed that al-Hol camp houses mostly women and children from families affiliated with ISIS and does not contain foreign combatants—casting doubt, they said, on the claim that non-Syrian suicide bombers could have emerged from within its confines.
In a press briefing earlier this week, Interior Ministry spokesperson Nour al-Din al-Baba said Syrian security forces had dismantled the ISIS cell responsible for the Mar Elias bombing and prevented a second planned attack targeting the Sayyida Zainab shrine, a key Shiite pilgrimage site south of Damascus.
According to al-Baba, the cell was led by Mohammed Abdul Ilah al-Jumaili, known by his nom de guerre Abu Imad al-Jumaili and referred to within ISIS ranks as Wali al-Sahra (Governor of the Desert). He was reportedly based in al-Hajar al-Aswad district, south of the capital.
The ministry said al-Jumaili facilitated the infiltration of two non-Syrian suicide bombers into Damascus from al-Hol, exploiting what it described as "security gaps" in the vast desert areas of central Syria.

Guerra “dei 12 giorni”, Patriarca caldeo Sako: le strategie per “imporre nuovi regimi” possono peggiorare la situazione

25 giugno 2025

Quella che hanno voluto chiamare “Guerra dei 12 giorni” ha sparso preoccupazione e paura anche in Iraq. Lo conferma all’Agenzia Fides il Cardinale iracheno Louis Raphael Sako, Patriarca della Chiesa caldea, in una breve intervista in cui vede nei fatti accaduti un ulteriore segno della crisi dell’ordine internazionale.
Davanti allo scenario della “guerra infinita” e dei bombardamenti giustificati come strumenti per innescare cambi di regime, il Cardinale ricorda l’esperienza irachena: ripete che “cambiare regime spetta ai cittadini”, e che le strategie di ‘regime-change’ possono “peggiorare la situazione”.

Bombe da Israele e USA sull'Iran, missili iraniani su Israele e le basi militari Usa in Quatar. Patriarca Sako, come guarda Lei a quello che sta avvenendo in Paesi vicini o confinanti con l’Iraq, e come vive tutto questo il popolo iracheno?
CARDINALE SAKO: Ciò che avvenuto è triste. Abbiamo tutti vissuto tempi duri di preoccupazione e paura. Il mondo ha perso l'ordine internazionale. Adesso bisogna ritrovare il buon senso e rigettare il discorso dell’odio, della violenza e della guerra. E’ peccato distruggere la vita e ciò che è stato costruito. La pace è un dono, dobbiamo accoglierlo e custodirlo con entusiasmo, facendo della tutela della pace un autentico impegno di vita.
Nei giorni scorsi, i bombardamenti sull’Iran sono stati presentati come una operazione volta a indebolire il potere iraniano e portare al suo crollo. Lei come considera simili ipotetiche strategie, anche alla luce dell’esperienza in Iraq?
CARDINALE SAKO: Bisogna rispettare la sovranità dei Paesi e risolvere i problemi tramite il dialogo sincero e coraggioso. Cambiare il regime spetta ai cittadini. Imporre un altro regime potrà peggiorare la situazione. Il cambiamento deve avvenire dall’interno, se i cittadini lo trovano necessario. Dopo 22 anni dalla caduta del regime in Iraq, non abbiamo ancora un vero Stato di cittadinanza, né giustizia, sicurezza e stabilità. La corruzione e il settarismo continuano.
Quali sono per i cristiani in Iraq le cose in cui porre speranza, in questo tempo e davanti a questi scenari?
CARDINALE SAKO: I cristiani hanno sofferto molto, insieme a tutti gli iracheni, a causa dell'Isis. Le sofferenze spingono all’esodo e all’emigrazione. Finora siamo marginalizzati, i nostri villaggi occupati dalle milizie, e la quota di seggi nelle istituzioni politiche riservate ai cristiani viene depredata… Per tutto questo sembra non avvicinarsi per i cristiani un avvenire migliore. Ma nonostante quello che avviamo sofferto, sentiamo di avere una vocazione in questa terra, con la nostra fede. Per questo possiamo rimanere fiduciosi, e attendiamo un futuro migliore.

‘Each new conflict’ in region ‘reopens old wounds,’ says Chaldean Catholic archbishop in Iraq

June 24, 2025
Gina Christian

A Chaldean archbishop told OSV News June 23 that he has been unable to contact his fellow bishop in Iran, following recent strikes by the U.S. and Israel on various sites in that nation.
Chaldean Catholic Archbishop Bashar M. Warda of Irbil, Iraq, said he has been attempting to call fellow Chaldean Catholic Archbishop Imad Khoshabeh of Tehran over the past few days, but without success.
“I cannot reach (him). I tried many times, and I will keep calling,” said Archbishop Warda.
He also warned of the grave consequences of conflict, speaking from direct experience.

Islamic State Attacks in 2014
In 2014, Islamic State group fighters launched a devastating wave of attacks against religious minorities in northern Iraq, seizing Mosul and the surrounding Nineveh Plains. Christians and Yazidis, an ancient Indigenous community, fled toward Irbil, the capital of Iraqi Kurdistan, with thousands of Yazidi women and girls who were sexually enslaved by IS militants.
Now, as Israel and Iran trade strikes amid the former’s “Operation Rising Lion” — and with the U.S. launching June 21 attacks on three of Iran’s nuclear facilities — Archbishop Warda pleaded for an end to the escalating violence.
“As someone who has witnessed firsthand the devastation that war leaves behind — how it empties villages, scatters families, and deepens the wounds of identity and trust — I cannot help but echo the words of Pope Leo XIV in his recent appeal for peace,” Archbishop Warda said. “His voice is a beacon of conscience in a world increasingly deafened by the noise of weapons.”
The archbishop added, “War has never brought us lasting peace."
Memories of Shattered Cities'
“We know this by heart. Here in Iraq, we carry the memory of shattered cities and displaced people,” he said. “Each new conflict reopens old wounds and threatens to erase what remains of our fragile presence (as a Christian minority) in this land."
Instead, said Archbishop Warda, “It is time to stop the war machine. Time to return to dialogue, to diplomacy, to the hard but hopeful work of negotiation.”
The Middle East, ravaged by conflict for centuries — with continuous clashes over the past half century in particular — “does not need more destruction,” said Archbishop Warda. “It needs healing. It needs space for its people to breathe again, to believe again, to build again.”
He clarified that he was speaking “not just as a bishop, but as a man from this wounded land (of Iraq),” which although an overwhelmingly Muslim majority nation has been home to Christian communities for some 2,000 years, having been evangelized by St. Thomas the Apostle and his disciples.
Christians ‘Once Thrived’ in Iraq
Iraq was “a land where Christians once thrived, where faith and culture were deeply woven into the soil,” said Archbishop Ward. “Today, that soil is dry and cracked, not only by the heat of the sun, but by the fire of violence and fear.”
“Our prayers are with — and for — all civilians caught in the crossfire of this conflict … the innocent who fall daily, dead or wounded … the displaced who have been forced to leave behind their homes, their dreams, their loved ones,” he said. “As Christians, we do not pray only for our own, but for every human being whose dignity is being crushed under the weight of war.”
He cautioned that “if the world does not act now, if the international community does not insist on peace, the slow disappearance of Christianity from its birthplace may become irreversible.”
At the same time, said Archbishop Warda, “We are not without hope. Hope is what we teach our young people here every day. Hope is what gives our families the courage to stay. And hope is what I choose to hold on to now.”
He added, “Please pray with us. And if (you) can be a voice for peace — through prayer, advocacy, or solidarity — I would be deeply grateful.”

19 giugno 2025

Lutto nella chiesa caldea. Si è spento il vescovo di Alqosh, Monsignor Thabet Mekko

By Baghdadhope* - Sala stampa vaticana

Lutto nella chiesa caldea in Iraq.
Si è spento Monsignor Thabet Mekko, che il 22 novembre 2022 era stato confermato vescovo della diocesi di Alqosh.
Di seguito la biografia di Monsignor Mekko pubblicato dalla sala stampa vaticana al momento della sua elezione a Vescovo Coadiutore dell’Eparchia di Alquoch dei Caldei il 14 agosto 2021.

Curriculum vitae

S.E. Mons. Thabet Habib Yousif Al Mekko è nato il 14 febbraio 1976 a Karemlesh (Iraq).

Ha conseguito la laurea in Scienze geologiche presso l’Università di Mosul e ha quindi iniziato il percorso seminaristico a Roma dove ha ottenuto il Baccalaureato presso la Pontificia Università Urbaniana e la Licenza in Patrologia presso l’Istituto Patristico Augustinianum.

Rientrato in Iraq, è stato ordinato sacerdote il 25 luglio 2008 a Karamlesh.

Ha svolto il servizio pastorale a Karemlesh fino all’invasione della Piana di Ninive nell’agosto 2014 e ha poi accompagnato i fedeli rifugiati ad Erbil. Rientrato a Karemlesh nel settembre 2017, è stato Parroco seguendo da vicino i progetti di ricostruzione e continuando l’attività di insegnamento di Patrologia e Teologia presso il Babel College.

Finora è stato Protosincello dell’Arcieparchia di Mosul dei Caldei.

1 giugno 2025

President Aoun meets with Patriarch Sako during his visit to Chaldean Patriarchate in Iraq


President of the Republic, General Joseph Aoun, concluded his official visit to Iraq today by meeting with the Chaldean Catholic Patriarch of Iraq and the World, Louis Raphael I Sako, at the Patriarchate headquarters in Baghdad.
A meeting was held in the presence of members of the accompanying Lebanese delegation, during which talks centered on the situation of the Chaldean community in both Iraq and Lebanon, the role it plays in preserving spiritual and cultural diversity in the region, and the affairs of the Lebanese and Iraqi communities in both countries.
Patriarch Sako expressed his optimism towards Lebanon's return to normalcy after the crises it has experienced, expressing his support for the goals set by President Aoun for the country's advancement since his election as President of the Republic, particularly in terms of restricting arms to the state, combating corruption, and confronting terrorism.
"We hope you will restore Lebanon's former glory, for Lebanon is a model to be followed, and we have all hope in the new state and government," the Patriarch added as he addressed the President.
Touching on the dangers of sectarian fanaticism and extremist rhetoric that have even infiltrated into universities, fueled by the witnessed circumstances, Sako emphasized that "terrorists and fanatics have nothing to do with religion, whether Christian or Muslim, as faith in God contradicts all such practices." He recalled one of his visits to Grand Ayatollah Sistani, who stressed that terrorism and corruption are among the taboos.
Patriarch Sako called for "strengthening the Christian presence in the Middle East and providing a nurturing environment conducive to this goal through moral and political support," adding that this is what he felt on part of the new Pope, Leo XIV.
President Aoun, in turn, thanked Patriarch Sako for his warm welcome and highlighted the importance of this patriarchal edifice.
"The state is the one that protects sects, not the other way around," Aoun asserted, emphasizing "the importance of pluralism and the preservation of liberties, but only under the umbrella of the state," adding, "Differences are permitted, but not discord."
Aoun underlined the significance of religious diversity and its richness in Lebanon, and the added value it can offer to interaction and coexistence between religions and peoples.
He then spoke about Lebanon's experience with terrorism and the victory it achieved over ISIS, calling for "maintaining vigilance and caution against this organization and all terrorist and criminal organizations to prevent their return and expansion."
President Aoun stressed that "the state's fight against corruption has begun, and nothing is impossible as long as there is will."
He also shed light on the dangers facing societies, including drugs, which have ravaged families and become widespread and accessible to all social classes, poor and rich, causing devastation to families and tearing societies apart.
In this context, Aoun pointed to the steps undertaken by Lebanon's security apparatuses to curb this scourge and significantly mitigate its impact, describing this confrontation as a "long war, but one that must not be stopped."