"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

11 aprile 2024

Il patriarca Sako interrompe l’esilio e torna a Baghdad, incontri con le autorità


Foto Patriarcato caldeo
Giornata di festa per i cristiani iracheni e, in particolare, per la comunità caldea della capitale: nella tarda serata di ieri si è concluso, almeno per il momento, l’esilio che si era auto-imposto il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, il quale aveva lasciato la sede patriarcale di Baghdad a luglio per trasferirsi in via temporanea - ma senza una data certa - a Erbil, nel Kurdistan iracheno. Una decisione improvvisa, quanto clamorosa, legata alla controversa disposizione del capo dello Stato Abdul Latif Rashid di ritirare il decreto presidenziale emanato dal predecessore e che gli conferiva l’autorità - anche e soprattutto sul piano giuridico - di patriarca.
Il riferimento è al Decreto 147 firmato il 10 luglio 2013 da Jalal Talabani, equiparabile a una sorta di “riconoscimento istituzionale” della carica di primate; esso sanciva la nomina pontificia del porporato a capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo”, oltre ad essere anche “responsabile dei beni della Chiesa”.
Ed è proprio su questo punto, come spiegava nei mesi scorsi una fonte ecclesiastica in Iraq ad AsiaNews, che si giocava l’intera vicenda: il controllo dei beni e delle proprietà dei cristiani e della Chiesa finite nel mirino del sedicente leader cristiano Rayan il Caldeo e delle sue milizie collegate all’Iran e attive nella piana di Ninive.
Denunciando campagna “deliberata e umiliante”, il cardinale aveva trasferito in via temporanea la sede patriarcale dalla capitale a Erbil; una protesta clamorosa verso una decisione che riguarda “la sola Chiesa caldea” ed è “questa la questione di fondo” come denunciava lo stesso porporato. Il provvedimento del presidente Rashid ne minava il ruolo e l’autorità, sconfessando una tradizione secolare per colpire la massima autorità cattolica locale, che è anche responsabile della gestione del patrimonio e dei beni ecclesiastici. Un lotta di potere guidata da Rayan e i suoi miliziani - una galassia variegata che comprende sciiti, cristiani, sunniti - e che rappresenta una minaccia per la pace e la convivenza. Lo stesso sedicente leader si mostrato in foto e video con papa Francesco al termine di un’udienza generale del mercoledì e usando l’immagine del pontefice sui propri canali social per rivendicare una inesistente autorità morale e religiosa.
In una intervista ad AsiaNews nelle scorse settimane, il card. Sako aveva bollato il ritiro del decreto un “assassinio morale” e il trasferimento della sede patriarcale a Erbil una “protesta estrema”, ipotizzando anche il boicottaggio delle elezioni.
“A Baghdad - aveva affermato - farò ritorno solo quando verrà ritirato il decreto. La nostra Chiesa molto ha dato all’Iraq, dalla visita del papa agli aiuti umanitari ai musulmani ai tempi dell’Isis, anche maggiori rispetto a quelli riservati ai cristiani. Oggi, il ringraziamento delle istituzioni è quello di punire il patriarca e un’intera comunità”. Il porporato non aveva risparmiato critiche anche al “silenzio” di Roma sulla vicenda, anche se la diplomazia vaticana aveva affermato di seguire con attenzione la vicenda e di lavorare da dietro le quinte per trovare una “soluzione” alla controversia per “il bene” della comunità cristiana irachena.
Nelle ultime ore la svolta, con il ritorno a Baghdad accompagnato da mons. Thomas Meram e ricevuto al suo arrivo in aeroporto nella sala d’onore del primo ministro, poi il trasferimento nella sede patriarcale con un convoglio di auto.
Qui, ad accoglierlo, vi erano l’ausiliare di Baghdad mons. Basilio Yaldo, mons. Shlemon Warduni, i sacerdoti e il personale della sede, poi sono seguiti alcuni incontri continuati in mattinata con diverse autorità. Nel frattempo la notizia è rimbalzata in rete, con commenti entusiasti di centinaia di cattolici iracheni, molti dei quali sulle pagine social del patriarcato: “Sei il simbolo della nostra Chiesa” scrive Yousif Awnie Khadoor; “grazie a Dio è tornato sano e salvo nella sua sede” aggiunge Raeed Aessa, mentre Manhal Alsanati sottolinea i sentimenti di “orgoglio e gratitudine” con cui “diamo il bentornato a casa. Un ritorno che rafforza lo spirito di appartenenza e unità”; “Vi ringraziamo per le posizioni prese e gli sforzi che fate per la Chiesa e i fedeli” afferma Adnan A. Mansor Koro, mentre Amanj Nissan chiosa: “Dio apre una porta per risolvere tutte le questioni stagnanti, e l’acqua torna al suo corso naturale”.
Soddisfazione, infine, viene espressa anche da rappresentanti del panorama politico e istituzionale iracheno fra i quali l’ayatollah Abdul Aziz al-Hakim, leader dell’Islamic Supreme Council of Iraq. In un messaggio sui social il leader sciita afferma: “Siamo molto soddisfatti del ritorno“ del patriarca e “mentre lo accogliamo, speriamo che tutte le differenze in sospeso siano risolte” ed esprimendo al contempo “il nostro grande orgoglio per le famiglie cristiane” che completano il mosaico iracheno.