"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

19 novembre 2024

Iraq: card. Sako (patriarca caldeo) invita i cristiani a partecipare al censimento del 20 e 21 novembre

By Agensir - Patriarcato caldeo
18 novembre 2024 

Si svolgerà il 20 e 21 novembre, dopo 27 anni, il censimento generale della popolazione dell’Iraq.
Un evento importante che ha spinto il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, a invitare i cristiani nel Paese a partecipare attivamente e a collaborare con i team incaricati (120mila rilevatori) di questa indagine sulla popolazione. A riguardo Mar Sako parla di “dovere nazionale” e si rammarica per “la mancata inclusione di migliaia di iracheni che vivono nei paesi vicini, tra cui centomila cristiani”. Inserirli, per il patriarca, “avrebbe aggiunto un elemento in più sull’appartenenza nazionale. La diversità è forza, non differenza. Attendiamo con impazienza – conclude il cardinale – l’accuratezza, l’onestà e l’integrità dell’équipe incaricata del censimento e dei cittadini nel fornire le informazioni corrette”.
L’ultimo censimento in Iraq risale al 1997, Saddam Hussein era al potere e l’Iraq contava una popolazione di 22 milioni di persone. Nel 2009 e nel 2020 furono indetti altri censimenti, non andati a buon fine per la violenza (2009) contro i rilevatori e il Covid. Nei giorni del 20 e 21 novembre in Iraq è stato dichiarato il coprifuoco per garantire la sicurezza degli intervistatori.

17 novembre 2024

Erbil, l'aiuto dell'università cattolica ai sopravvissuti allo Stato islamico

13 novembre 2024
Joseph Tulloch

Nel 2014, il cosiddetto Stato Islamico attraversò l'Iraq settentrionale, conquistando vaste aree di territorio. Una invasione che portò a sfollamenti di massa, in particolare di gruppi minoritari come cristiani, yazidi, turkmeni e shabak. Molti di loro fuggirono nella regione curda del nord-est dell'Iraq, dove – a raccontarlo è padre Karam Shahmasha, sacerdote della locale arcidiocesi caldea - la Chiesa locale nel tempo ha cercato di fornire loro alloggio, cibo e cure mediche.

La fondazione dell'Università
Queste iniziative caritatevoli – prosegue Shahmasha – hanno poi dato vita a un progetto ancora più grande: la fondazione dell'Università cattolica di Erbil (Cue), con lo scopo di divenire un “faro di luce in mezzo al caos” e con l’obiettivo di accogliere studenti di ogni provenienza, in particolare coloro che avevano sofferto di più a causa delle violenze. In un discorso del 2023, tenuto al Boston College, monsignor Bashar Warda, arcivescovo cattolico caldeo di Erbil, nonché cancelliere e presidente del consiglio di amministrazione della Cue, sottolineava che le porte della Cue erano state aperta “a coloro che sono stati maggiormente colpiti dall'ISIS: gli sfollati, i cristiani e gli yazidi... Ci impegniamo a essere una voce forte per chi è stato ferito”.

Celebrare la cultura yazida
Padre Shahmasha sottolinea il sostegno che l’Università offre agli studenti della comunità yazida, che ha subito il brutale genocidio per mano dell'Is, peggiore persino rispetto al trattamento spietato riservato ai cristiani della regione. Grazie a una serie di generosi benefattori, cattolici e non, la Cue è in grado di distribuire ogni anno numerose borse di studio agli studenti yazidi, organizza, inoltre, regolarmente eventi che celebrano la cultura yazida - come la celebrazione annuale del Capodanno yazida - e collabora con le organizzazioni che si battono per i diritti degli yazidi. Con l'aiuto della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, inoltre, la Cue è in grado di assegnare ogni anno un gran numero di borse di studio ‘Papa Francesco’, destinate principalmente a studenti cristiani.

La Cue oggi
A nove anni dalla sua fondazione, l'Università vanta più di 600 studenti, provenienti da diversi contesti. Padre Shahmasha ne sottolinea la più recente iniziativa: un programma di studi orientali ospitato dal College of Arts dell'università. Programma che è primo del suo genere nella regione e che offre corsi sulla “gamma di religioni ed etnie che hanno abitato a lungo l'area mesopotamica”, con argomenti diversi come gli studi curdi, la teologia cattolica e i libri della Torah, con l’obiettivo – conclude – “di promuovere la coesistenza pacifica” tra i vari gruppi etnici e religiosi dell'Iraq, contribuendo alla “costruzione di una comunità vibrante”.

12 novembre 2024

Ecumenismo con i Santi: Papa Francesco abbraccia il Patriarca assiro Mar Awa e annuncia l'inclusione di Sant'Isacco di Ninive nel Martirologio Romano


Un abbraccio sotto gli occhi del Cristo Risorto dipinto da Perugino e l'annuncio dell'iscrizione di uno dei Padri più venerati della tradizione siro-orientale nel Martirologio Romano. A trent'anni dalla firma della Dichiarazione cristologica comune, volta a riaffermare la comune fede in Cristo, e a quaranta dalla prima visita a Roma di un Patriarca assiro, Chiesa cattolica e Chiesa Assira d'Oriente continuano sulla strada del dialogo e della preghiera, verso il ripristino della piena e completa comunione visibile.
La Dichiarazione cristologica comune, firmata l'11 novembre 1994 da San Giovanni Paolo II e dal Catholicos Patriarca Mar Dinkha IV, ha rappresentato il tema centrale dell'incontro, avvenuto nel Palazzo Apostolico, tra Papa Francesco e Mar Awa III, Catholicos Patriarca della Chiesa Assira d’Oriente. Presenti all'incontro anche i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d'Oriente, istituita dalla stessa Dichiarazione e che ha recentemente avviato una nuova fase di dialogo sulla liturgia nella vita della Chiesa.
Il "grazie" del Pontefice è andato proprio ai membri della Commissione mista per il loro impegno. «Infatti, senza il vostro lavoro, questi accordi dottrinali e pastorali non sarebbero stati possibili», ha detto nel suo discorso Papa Francesco, e ha aggiunto: «Mi rallegro della pubblicazione di un libro commemorativo, con i vari documenti che segnano le tappe del nostro cammino verso la piena comunione, con prefazione comune di Vostra Santità e mia. In effetti, il dialogo teologico è indispensabile nel nostro cammino verso l’unità, giacché l’unità a cui aneliamo è unità nella fede, a condizione che il dialogo della verità non venga mai separato dal dialogo della carità e dal dialogo della vita: un dialogo umano, totale».
La piena unità nella fede, ha sottolineato il Vescovo di Roma, «è già raggiunta dai santi delle nostre Chiese. Sono loro le nostre guide migliori sulla via verso la piena comunione. Per questo, con l’accordo di Vostra Santità e del Patriarca della Chiesa Caldea, e incoraggiato anche dal recente Sinodo della Chiesa cattolica, sono lieto di annunciare che il grande Isacco di Ninive, uno dei Padri più venerati della tradizione siro-orientale, riconosciuto come un maestro e un santo da tutte le tradizioni, sarà introdotto nel Martirologio Romano».
Monaco e vescovo nella seconda metà del VII secolo, nato nell'attuale Qatar, dove visse una prima esperienza monastica, Isacco fu ordinato vescovo della antica Chiesa d'Oriente per la città di Ninive, nei pressi dell'attuale Mosul (Iraq), dal catholicos di Seleucia-Ctesifonte, Giorgio I. Dopo alcuni mesi di episcopato, chiese di ritornare alla vita monastica e si ritirò nel monastero di Rabban Shabur a Beth Huzaye (nell'attuale Iran sud-occidentale). Qui compose varie collezioni di discorsi a contenuto ascetico-spirituale che lo hanno reso celebre.
Nonostante appartenesse a una Chiesa che non era più in comunione con nessun'altra, perché non aveva accettato il Concilio di Efeso del 431, gli scritti di Isacco furono tradotti in tutte le lingue parlate dai cristiani: greco, arabo, latino, georgiano, slavo, etiope, rumeno e altre. Isacco divenne così un'importante autorità spirituale, soprattutto nei circoli monastici di tutte le tradizioni, che lo venerarono rapidamente tra i loro santi e padri.
Per la sua intercessione, ha auspicato il Papa, «i cristiani del Medio Oriente possano rendere sempre testimonianza a Cristo Risorto in quelle terre martoriate dalla guerra. E continui a fiorire l’amicizia tra le nostre Chiese, fino al giorno benedetto in cui potremo celebrare insieme sullo stesso altare e ricevere la comunione dello stesso Corpo e Sangue del Salvatore».
L'inclusione di Sant'Isacco nel Martirologio Romano, sottolinea un comunicato diffuso dal Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, «dimostra che la santità non si è fermata con le separazioni ed esiste al di là dei confini confessionali. Come ha dichiarato il Concilio Vaticano II: 'riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo talora sino all’effusione del sangue, è cosa giusta e salutare' (Unitatis Redintegratio 4)».
«Si augura» si legge ancora nel Comunicato del Dicastero «che l’inserimento nel Martirologio Romano di Isacco di Ninive, testimone del prezioso patrimonio spirituale cristiano del Medio Oriente, contribuirà alla riscoperta del suo insegnamento e all’unità di tutti i discepoli di Cristo».

8 novembre 2024

Chiesa Assira d’Oriente: Patriarca Royel III dona a Sant’Egidio una croce di pietra che apparteneva alla chiesa di San Giorgio a Mosul, vandalizzata nel 2014

7 ottobre 2024

Una croce di pietra che apparteneva alla chiesa di San Giorgio a Mosul, vandalizzata nel 2014 dall’Isis è stata donata ieri sera dal patriarca della Chiesa Assira d’Oriente, Mar Awa Royel III alla Comunità di Sant’Egidio.
La croce, che reca i segni della devastazione di cui è stata oggetto, è stata posta sull’altare delle croci nella chiesa di Sant’Egidio nel quartiere di Trastevere.
 Il Patriarca, ieri sera, insieme ad una delegazione di arcivescovi e metropoliti da diverse parti del mondo, venuti a Roma per celebrare il trentesimo anniversario dell’inizio del dialogo teologico con la Chiesa cattolica, ha presieduto la preghiera serale nella basilica di Santa Maria in Trastevere ed è stato salutato dal presidente della Comunità Marco Impagliazzo che ha ricordato la “lunga amicizia” che lega Sant’Egidio alla Chiesa assira, la cui storia soprattutto negli ultimi decenni è stata segnata da eventi dolorosi, a causa del succedersi di guerre, terrorismo e instabilità politica che hanno segnato in particolare la Siria e l’Iraq.
Oggi, in occasione del 30° anniversario della Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d’Oriente, dalle 17.30 alle 19.30 si terrà un Atto accademico presso l’Angelicum. Interverranno, Sua Santità Awa III, il car. Kurt Koch, la prof.ssa Theresia Hainthaler, il vescovo mons. Antoine Audo, il metropolita Mar Meelis Zaia, il vescovo Johan Bonny.

Kirkuk: la battaglia dei cristiani contro l’esproprio di beni archeologici

7 ottobre 2024

Un’antica collina nell’area di Kirkuk, in una zona “in origine terra di cristiani”, contiene tesori e patrimoni archeologici in gran parte ancora nascosti e da portare alla luce, che per questo sono finiti nel mirino di trafficanti di beni. Secondo quanto racconta il sito di informazione Rudaw, la questione riguarda un settore collinare contenente “decine di reperti e scavi ancora in gran parte da completare”, per questo gruppi attivisti locali stanno promuovendo una battaglia contro l’esproprio.
L’area al centro della contesa è vasta 23 dunam (circa 57.500 metri quadrati) e, di questi, solo il 40% è stato oggetto di lavori di scavo che hanno portato al rinvenimento di almeno 45 reperti archeologici. Un uomo d’affari locali sta manovrando per rilevare la proprietà della zona dal Dipartimento delle antichità di Kirkuk per accelerare i lavori di perforazione e scavo.
In risposta alcuni abitanti hanno intentato una battaglia legale per impedire l’esproprio, ma sinora “nessuna azione è stata intrapresa nei suoi confronti” come rivela una fonte locale.
Raed Al-Obaidi, residente nel quartiere di Al-Wasiti, racconta: “Questa è un’area archeologica, e qualcuno è venuto e ha affermato di esserne il proprietario”. In realtà, prosegue, “in origine il terreno era dei cristiani” ma questo non ha impedito di perseguire il tentativo di impossessamento.
Sulla questione interviene anche Omar Ahmed, che avanza perplessità sulle modalità di vendita “delle terre che possiedono al loro interno antichità che, in ogni parte del mondo, farebbero riferimento a una autorità a sé stante”. Un altro componente del gruppo che lotta contro l’acquisto sottolinea che “sono terre sottoposte a vincolo archeologico” e già “oltre 400 anni fa erano state recintate. Di recente - prosegue Abbas Mouloud - qualcuno è arrivato e, dopo aver demolito il muro, ha iniziato a scavare, suddividere le terre e metterle in vendita. Stiamo lottando, ma sinora non siamo riusciti a fare nulla”.
Il Comitato per la rimozione degli abusi ha registrato nei mesi scorsi una denuncia contro questo uomo di affari - la cui identità viene tenuta nascosta - che sta cercando di impossessarsi dei terreni presso l’Autorità garante di Kirkuk, ma non ha ancora ricevuto risposta. Sulla questione è intervenuto anche il governatore Rebwar Taha che conferma il rinvenimento “di manufatti sul sito collinare” e assicura di voler prendere “azioni legali” contro tentativi di esproprio.
L’archeologia costituisce un patrimonio dal grande valore economico, storico e culturale, che rappresenta il vero “oro nero” dell’Iraq come aveva dichiarato in passato il primate caldeo card. Louis Raphael Sako. Sin dai tempi in cui era arcivescovo di Kirkuk, infatti, il porporato era solito denunciare i pericoli corsi da un “bene universale” da salvaguardare da furti, traffico illegale e persino dai cambiamenti climatici, perché da solo vale “più del petrolio”. Un compito di tutti gli iracheni, non solo i cristiani, richiamato dal patriarca anche nel 2016 durante la “Conferenza internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale nelle aree teatro in conflitto” ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti (Eau).

Investing in the children of Iraqi Kurdistan

November 6, 2024

ACN supported the construction of a new floor for a kindergarten in Enishke, allowing it to expand its services, receive more children from families in the surrounding villages, including Kurds and Yazidis, and help sow the seeds of peace and fraternity for future generations.

The Enishke village is located in the Diocese of Dohuk, in a mountainous region of Iraqi Kurdistan in northern Iraq.
Christian, Kurdish, and Yazidi families live in the many settlements around Enishke, struggling to survive in a climate of economic hardship, political instability, and lingering insecurity.
The lack of resources and investment from both the regional and federal governments meant that when the local parish priest, Father Samir Yousif, visited local communities, he often found young children deprived of opportunities and a healthy upbringing. “When I was visiting families in the past, I would find the children locked up in their house,” he explained to the international Catholic charity Aid to the Church in Need (ACN).
In 2013, Father Samir started a small kindergarten in Enishke, which served up to 16 children. What the Chaldean priest did not know at the time was that the whole region was about to change, with the terrorist organization ISIS taking control of much of the nearby territory in August 2014, sending a wave of Christian, Yezidi, and moderate Muslim refugees into Iraqi Kurdistan.
After the expulsion of ISIS, he realized that much more needed to be done. He made plans to build a new floor for the kindergarten, allowing it to expand its services. “Our goal is to create an educated, aware, and open generation, and also to create peaceful coexistence among Christian, Kurdish, and Yazidi children,” said Father Samir. ACN is one of the organizations supporting this project, as part of its overarching strategy to help Christians in Iraq to overcome the tragedies of the ISIS invasion, and to enable them to live in their homelands.
In July, the Chaldean Catholic Bishop of Dohuk traveled to Enishke to inaugurate the completed project, which can now take up to 100 children, directly benefiting around 90 families. During the event, Bishop Azad Shaba expressed hope that the ACN-sponsored project might serve the whole of Iraqi society and not only Christian families. “We commend the opening of this kindergarten, through the efforts of the priest and teachers in this town, and we encourage it to be open to all our Muslim brothers in the region, because it translates the teachings of Christ. Our goal is to help people in need, and by this, we do not mean just raising buildings, but to raise up people, who will have a role in constructing a future Christian society,” he said.
The project has also created jobs for local people, helping their families as well as the families whose children are attending. Father Samir told ACN that since it opened, dozens of children have already graduated from the kindergarten, moving on to other schools, where they have been commended for their academic abilities.
“With the support of our bishop, we always focus on giving value to every stage of a person’s life, but childhood and children are the most important. We have a saying: ‘In order to have a future, it is not enough to have children only,’ and for this, we must raise and educate. The best time for this is childhood. We have another saying, that ‘engraving on childhood is like engraving on stone.’”
The new floor of the kindergarten opened in July 2024 and includes three classrooms, a kitchen, sanitary facilities, and a large and well-equipped area for playing. “It is well-built and secure, to be safe for our children. We are very grateful to ACN and to all donors, and God bless you,” said Father Samir.

Warda: ‘The whole Middle East is burning”

Filipe D'Avillez
November 1, 2024

Ten years ago he was on the frontline over helping over 13,000 families who fled the terrorists of ISIS and found refuge in Erbil — since then he has overseen the reconstruction of towns and villages, but has also watched tens of thousands of his faithful leave the country in search of stability and peace abroad.
In recent months, the archbishop has also been a prominent figure in an internal and unresolved dispute between the patriarch of the Chaldean Catholic Church, and a group of bishops which includes Warda .
Warda sat down with The Pillar at the end of a recent visit to Europe, made at the invitation of Aid to the Church in Need.
The archbishop addressed briefly the burgeoning rift in the Chaldean Catholic Church, while refusing to discuss the details. But he did speak in length about the experience of Christianity in Iraq after ISIS, of the sometimes difficult relationship with Islam, of the role Christians play in the Middle East at the moment and of his hopes for a lasting peace in the Holy Land.

Ten years ago, you were already the bishop of Erbil when ISIS took Mosul and then the Nineveh Plains. What was that like?

It was a terrifying moment, with a lot of confusion, especially seeing so many people arriving with nothing to find shelter in churches, shrines, schools and centers, filled with fear, anger and tears.
It was a shocking experience, not only for us as a Church, but also for them, and for the priests and the sisters who lost all of their pastoral work.
But we quickly responded, and with other bishops, and with the priests, we worked together to face that genocide, to accompany our people, to provide them with a minimally dignified living, food, shelter and education, and we were able to get past that period.
What is the situation now?
There is no persecution now. ISIS has been defeated and Christ is victorious! This is something we are very joyful for.
But the whole of the Middle East is burning with more crises, more disputes: the Gaza war, now the south of Lebanon, more difficulties and challenges, internally displaced persons.
This sense of lack of security, that the war might escalate and reach us, and the feeling of political instability is still hanging over the region. When there is no security there is no investment, the private sector does not develop, and this leads to unemployment, which affects everybody, but being a minority, we feel all of these difficulties as a pressure on us. We have lost two thirds of the Christian presence because of all of these disputes.

In the Middle East in general, or in Iraq?
In general! 
Fifty years ago, we were 20% of the population of the Middle East, today we are talking about less than 4%. And when it comes to Iraq, in 2003 we were over 1 million, today we are 250,000, maybe even less.
Your archdiocese covers the capital of Iraqi Kurdistan. Less than a century ago the Kurds actively took part in massacres of Christians, but more recently Christians found safety in Kurdistan from the ISIS onslaught. What is the situation like at the moment? Is there trust between Christians and the Kurds?
The history of Christians in the Middle East, and also in Iraq, is marked by all of this lack of trust, and there were some dark pages. When it comes specifically to the question you asked, the Kurds did commit some massacres against us. But at the moment I cannot say this is the situation.
In 2004 and 2005, when all of the sectarian strife happened in Baghdad and Mosul, and many Christians moved to the north, that was, for us, a return to our historical villages.
The Christians were welcomed and helped by the Iraqi Kurdish government, which spent hundreds of millions renovating all of these villages. The policy of the Kurdish government is to encourage more coexistence, to try and help the Christians, not just to survive but also to thrive. There is a trust which is being built and is strong, and which we need in that part of the world.
In 2003 there were some 2,000 families in Erbil, especially in the district of Ankawa. Today we are talking about 8,000 Christian families, the largest Christian gathering in the Middle East.
Those numbers show that things are different now.
In Erbil, for example, I have four schools, all of them established after 2010; a hospital – I would say one of the best — and a Catholic university, where we have Christian and Muslim students, from different nationalities. This shows us that life has changed and that these difficult pages in our history are behind us.
There has been tension between Kurdistan and the Iraqi federal government over independence and disputed territory.
How has that issue affected Christians, who live in some of these territories?
I cannot deny that there was a lack of trust and communication between Baghdad and Erbil, which resulted in more political disputes. Whenever there is a political dispute our people will suffer more, because we are a minority.
Regarding the Nineveh Plains, the southern and northern parts are Christian. This is one of the issues, among many, which is not being solved according to Article 140 of the Iraqi Constitution, concerning disputed areas. 
At the moment, even if the dispute is heated, there is a new atmosphere of dealing with these issues through politics, and on the ground there has been peace, and no arms were used, which is quite an achievement, because we are fully aware how many weapons there are, and God forbid they should be used stupidly, because this would affect so many people.
There are Christians who defend that there should be an independent, or at least autonomous homeland for Christians in the Middle East, possibly in the Nineveh Plains. Do you believe that could be a good idea?
Personally – and I stress this is a personal opinion – I think that before ISIS things were different. On the ground, in Nineveh alone there were around 125,000 Christians.
Today that is not the case.
I was one of the people who, at that time, said that yes, maybe we could have a more independent administration, more autonomy within federal Iraq. But today life has changed, facts on the ground have changed, and so it is not really that easy to decide. If we were to go for that project, would it benefit Christians or other parties? This is an open question. Before, things were different. Today we have maybe half of the original number. Circumstances are different and we have to reconsider according to the current situation.
Christianity in the Middle East can sometimes be more of an ethnic identity than a lived experience of faith. Is that the case in Iraq, do you feel it is changing?
One of the effects of the persecution and pressure of the past four or five decades is that the people who were most qualified, pastorally and educationally, have left the country. So many of the people who are better educated are now serving in the diaspora, and we have been left with those who, as in any community, are more concerned with their day-to-day lives.
That is why, as a Church, we are focusing on catechism and youth activities, because I believe that our strength comes from the awareness of every Christian about his Christian vocation, that is the strength of the Christians in Iraq. More catechism, and more evangelization of our community is needed.
I am on this trip to Europe at the invitation of Aid to the Church in Need, and every year they support our catechism and youth programs, and we have Radio Maria, as an instrument of education. I personally give 30 to 40 public conferences every year, focusing mainly on the Bible. And we keep publishing books, and using the media to try and evangelize, so yes, it is really an important issue, that each Christian should be aware of his or her vocation, to be a man and woman of faith, rather than just ethnicity.
Does the Church enjoy religious freedom in Iraqi Kurdistan? For example, could you accept a convert from Islam in your Church?
One of the facts that we have to be fully aware of is that once you live in the land of Islam, there is no freedom of religion, though there is a freedom of worship.
The Iraqi constitution is based on Islamic Shariah, which means that evangelization outside the Christian community is forbidden. We have 1,400 years of dialogue of life with Islam, and we know that we cannot do that. We sometimes hear reports that there is no freedom of religion in this part of the world, but where is the surprise? This is something that we know as Christians. We cannot [convert Muslims], because that would be endangering the lives of the Muslims seeking baptism, or endangering the Christian community.
If someone comes and asks about the Church, about Christianity, it is our duty to respond. But baptism? That would be the person’s choice, but they cannot do that in an Islamic country. It is simply forbidden. The world has to understand that this is the fact.
For Muslims, Judaism and Christianity are just steps on the way to Islam, because Islam is the honorable religion of God. That is why they treat us as a “People of the Book”, with some tolerance, but evangelization means that you are waging war against Islam.
In a recent conference hosted by ACN you said you have yet to hear an apology from Muslim leaders for the persecution carried out by ISIS. Is that really necessary?
An apology is needed. Not for us, but for them, for their young people, for their future generation, to tell their young people that some Muslims committed crimes against humanity in the name of God, in the name of Islam. I am always urging my brothers, the Imams, to think deeply about this, it is not an act of weakness! It is for the future Muslim generation, to prevent their young people from going in that direction, because the temptation is always there.
You mentioned that two-thirds of Christians have left Iraq. When young Christians tell you they are planning to leave, what do you say to them?
This is one of the most difficult questions we are asked. Usually this person will have reasons: no job, for example, or concern about the future of the Middle East, another war, or economic difficulty, the future of one’s family. It is very difficult... I always say that I know that migration is a right, I cannot stop that, because it is a right to try and find a dignified life wherever one wishes. But I tell them to be careful not to be smuggled, not to pay, and not to become victims of people who would use them as a means to commit crimes.
And sometimes we can help with finding a [local] job. Through our schools, our hospitals, the NGO that we have, the radio station, we have over 830 jobs. It is just a contribution, but thanks to all the donors and benefactors, the Church can really be part of the solution.
If they tell me they want to leave because everyone else is leaving, then I will encourage them to stay, but if there are other issues, I’ll say “think twice before you leave, but I cannot decide for you”.
As we know, the Chaldean Church has been embroiled in controversy over the past years. Part of that controversy appears to be a campaign against Patriarch Sako, which led to the president of Iraq revoking a decree which recognizes him as head of the Chaldean community. He has accused Rayan al-Kildani, the Christian leader of the Babylon Brigades militia, of being behind this, and there have been charges that you are close to al-Kildani. Is this true?
I am not a politician, I am a bishop, and as such my door is open to everyone.
Of course, it should be said that Rayan al-Kildani works in Baghdad, not in Erbil, politically he is completely outside of my region.
But people should know that I have welcomed, and will welcome, anyone, because the role of the Church is to be a bridge of peace and reconciliation. Throughout history, and especially recent history, the Catholic Church has played a role in really creating an atmosphere of reconciliation, and as far as I know there was no Vatican decree listing names of people the Church cannot deal with internationally or locally.
Monday, Tuesday and Wednesday the door of the office is open, people can come without appointments. They don't need an appointment to see me. If I am there, I will see them immediately.
If a person or a group is acting in a wrong way, then I have to be able to say so. But if I shut the door, then to whom would I say it? If they did anything wrong, I have the right to say that what is happening is wrong.
The Pillar has reported on a dispute between you and the patriarch. This reached its height, at least publicly, when you refused to attend the most recent synod of Chaldean bishops, and the patriarch threatened ecclesiastical sanctions. Is that a decision that you regret?
This was an internal Church matter; it was not supposed to become public.
Disputes among brothers happen all the time.
The patriarch is the head of the Chaldean Church, he has our full respect, we pray for him and for the Pope every day, in every mass.
I would just say that these things happened in the Church and we don't need to make a big case of it, just leave it to the Church and it will be solved.
But do you think that that dispute has damaged the image of the Chaldean Church?
I don't think so. The Chaldean Church, with Patriarch Sako, is strong. The patriarch’s voice is loud and clear when it comes to speaking about Iraq in general, and we have to give him credit for that.
He sometimes even puts the interests of Iraq above the interests of the Christians, because his aim is to help Iraq and all Iraqis, but when it comes to Christian issues, he has also been a strong voice around the world for the protection of the persecuted and oppressed Iraqi Christians.
What is your hope for the Christian community in Iraq in another ten years?
My hope right now is that the war in Gaza and Lebanon should stop, that the violence should end, and to give time and space for a just political solution that might really last, not just something temporary.
My hope for the Christians in Iraq – and I will be working with all the bishops and Church leaders to this end – is how to make this community thrive, how to make it influential in Iraq, and to be the voice of Christ in Iraq.
Our Muslim brothers and sisters tell us that we are the salt of the earth. When we ask them if they read that in the Gospel, they say no, it is that we are truthful, honest, responsible, committed, decent, peaceful, and that we need these values, because without them no community can be sustained. We thank God that we have this mission, not just that we have these values. And when we say that we have this mission we mean that God wants us there to carry on this mission of kindness, gentleness, peacefulness, truth, honesty, and to spread them there. The goal is to be the voice of Christ.
You visited Europe at the invitation of ACN. How important are NGO such as that in supporting the Church in your diocese? ACN were the hand of mercy, the hand of God.
I should also mention others, like the Knights of Columbus, bishops’ conferences, the Chaldeans in the diaspora, all of those, but especially ACN, because they have been working with us for so many years. Just since 2013 the reports show that they raised around $60 million for the region, not just Erbil, but in general, over the time of displacement and of the rebuilding of these villages. Without them, we would probably be telling a different story today.

15 ottobre 2024

Card. Sako: in Medio oriente ‘armi e disordine’ vincono la timida mediazione internazionale

Dario Salvi

“Siamo responsabili nella ricerca della pace, del dialogo: la comunità internazionale, i Paesi del Medio oriente sono tutti coinvolti. Tuttavia se noi stessi non sappiamo, in prima persona, mettere fine a questa spirale, saranno altri che devono aiutarci a trovare la via per realizzarla”.

È il monito lanciato dal patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, di fronte alla spirale di violenza che ha travolto la regione, insanguinata nell’ultimo anno da conflitti di portata sempre più ampia: da Gaza, con la guerra lanciata da Israele ad Hamas in risposta all’attacco del 7 ottobre 2023, al Libano con il “fronte nord” aperto dallo Stato ebraico nel tentativo di eliminare la “minaccia” di Hezbollah; vi sono poi gli altri attori dell’area, dagli sciiti Houthi nello Yemen fino all’Iran, con la prospettiva di un’escalation di vasta scala.
“La situazione è preoccupante - avverte - non vi è ascolto alla ragione e alla responsabilità, soprattutto verso i civili i quali pagano il prezzo più elevato. E l’assemblea internazionale è timida, vi sono appelli e mediazioni, ma sono stagnanti e non riescono ad avanzare”.

Economia di guerra
Abbiamo incontrato il card. Sako a margine dei lavori dell’assemblea sinodale in corso in questo mese di ottobre in Vaticano, e il quadro tracciato dalla massima autorità ecclesiastica irachena è impietoso e non ammette sconti verso quanti hanno cariche e responsabilità. “Più che debole, che ha una nota peggiorativa, la comunità internazionale è timida nella sua opera di mediazione, perché pur cercando di fare qualcosa, non è mossa - avverte - da quella unità di intenti che oggi risulta necessaria per poter essere efficace”. “La mia convinzione - spiega ad AsiaNews - è che non vi sia più un ordine globale come in passato. Non vi sono più valori, né principi e a regnare è il disordine, un caos nel quale il più forte attacca il più debole. Tuttavia, i problemi e le contrapposizioni devono essere risolti con il dialogo, con la diplomazia morbida, con un’opera di dissuasione non violenta”.
A dettare l’agenda internazionale, in una fase di crisi che investe più settori, è l’economia di guerra in cui prevale “il commercio di armi in un quadro di risorse limitate, una popolazione mondiale in continua crescita e una crisi ambientale sempre più drammatica. Il clima, l’ecologia, l’accesso ai generi alimentari sono tutti fattori che giocano un ruolo nel condizionare questo teatro di guerra”.
Il Medio oriente da troppo tempo è un territorio “senza pace: ci vuole l’attenzione internazionale, una cura per questa parte del mondo sofferente che necessita di stabilità. Anche a fronte di interessi opposti o divergenti fra Occidente e Oriente, bisognerebbe eliminare - avverte il porporato - ogni fonte di violenza, il ricorso alla guerra e alle armi”.

Lo scenario iracheno
Per quanto riguarda lo scenario iracheno vi è un elemento di criticità che finora è rimasto nell’ombra e non è stato coinvolto, se non in modo marginale, nello scenario di guerra: le milizie sciite legate a Teheran, che a differenza degli Hezbollah libanesi e gli Houthi yemeniti non sono intervenuti direttamente nel conflitto attaccando Israele. “Penso che sinora - commenta il patriarca caldeo - abbia prevalso un atteggiamento di saggezza da parte di questi gruppi, che non vogliono entrare in questa guerra per procura” in cui si moltiplicano gli attori. “Abbiamo assistito all’intervento di milizie - prosegue - che a vario titolo e in momenti diversi si sono fatte coinvolgere” pur scongiurando “una guerra fra Stati che avrebbe effetti devastanti. Questo può essere considerato un elemento di saggezza in un panorama in cui sembra prevalere il frastuono delle armi”.
Del resto il movimento di Hamas “è per natura una milizia” che non rappresenta l’intero popolo palestinese e, in passato, si è trovato in disaccordo con la stessa Autorità palestinese. Ed entrambe si trovano a fronteggiare Israele che “è uno Stato con carri armati, un esercito, l’aviazione in un evidente squilibrio in campo”. “Non vi può essere parità di forze - prosegue - fra Israele e Hamas, sono due realtà troppo diverse. Per questo l’unica strada è quella di una mediazione, con la comunità internazionale che esercita una giusta pressione per la nascita di uno Stato” che sia capace di vivere superando la logica del conflitto permanente.
Di recente il patriarca caldeo ha incontrato il premier Mohammed Shia al-Sudani, dal quale ha ricevuto ampie rassicurazioni sul fatto che “non vuole essere trascinato in una guerra regionale, pur restando l’incognita delle milizie e il tema in agenda è come controllare”. L’esecutivo iracheno è in una situazione di “imbarazzo” perché rifiuta la guerra e “sta tentando ogni via di mediazione possibile”. Del resto parte di queste milizie “vorrebbe aiutare Hezbollah, e Hamas, ma prevale l’atteggiamento di moderazione in attesa degli sviluppi. A livello di leader religiosi anche la massima autorità sciita irachena, il grande ayatollah Ali al-Sistani ha lanciato un appello inusuale nei toni e contenuti per la “fine dell’aggressione” e l’invio di aiuti umanitari alla popolazione, segno di una grande preoccupazione per la crisi. Cristiani, musulmani sciiti e sunniti, ebrei “devono lanciare tutti assieme - auspica il porporato - un appello profetico e forte per la pace, la fratellanza, cercando di disinnescare le tensioni. Papa Francesco lo ha fatto più volte, ma è una delle poche voci di pace” al cospetto di quanti “cercano di usare la religione per raggiungere i propri interessi”.

Lo “scandalo” della Chiesa caldea
Per il card Sako la presenza delle milizie non è solo fonte di preoccupazione per le ripercussioni a livello regionale, perché nella storia recente della Chiesa caldea hanno rappresentato un elemento di tensione interna che rischia di sfociare in una spaccatura devastante. Lo “scandalo della Chiesa caldea” come lo chiama il primate, che denuncia “le influenze, anche sul piano materiale con aiuti concreti” cui sono soggette alcune comunità ecclesiastiche.
Il riferimento è ad una milizia in particolare: le Brigate Babilonia del sedicente leader Rayan al-Kildani, che hanno fomentato divisioni, manovrato per il ritiro del decreto presidenziale che ha determinato l’auto-esilio (poi rientrato dopo mesi) dello stesso card. Sako e spinto cinque vescovi a boicottare l’ultimo Sinodo caldeo. Alcune realtà, denuncia, “ricevono soldi e aiuti da parte di una certa milizia, non sono autonome e questa è una grande ferita: la Chiesa non ha bisogno di denaro, ma della fede, e il clero deve servire in maniera totale, con passione, e indipendente da certa politica o da certi interessi”.
La decisione dei cinque vescovi di snobbare l’incontro nella capitale, occasione per celebrare anche il ritorno a Baghdad del patriarca, è stata causa di “profondo shock”. Una parte di questi vescovi “ribelli, soprattutto i più giovani, è stata manipolata” accusa il porporato, che ha già inviato un fascicolo alla Santa Sede per valutazioni ed eventuali provvedimenti. Sullo sfondo il timore, ancora attuale, di un vero e proprio scisma nella Chiesa caldea, dietro il quale vi è la mano delle stesse milizie sciite - attive nel nord dell’Iraq e in territorio curdo - che agiscono per denaro e potere. “Volevano che il Sinodo caldeo fallisse per avere un successo personale, invece è andato molto bene, 17 vescovi (sui 22 totali) si sono mostrati molto uniti” sottolinea il card. Sako, che chiude confidando la sua “preoccupazione primaria per il futuro: quello che per me è importante è preparare il terreno per lasciare al successore la guida della Chiesa caldea. Per un patriarca - conclude senza far nomi, ma delineando le priorità - che può unire e continuare nella tradizione”.

Chiese orientali: Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto il patriarca siro-cattolico di Antiochia, Mar Ignatius Joseph III Younan


Il Patriarcato siro-cattolico di Antiochia ha annunciato in un comunicato che Papa Francesco ha ricevuto, venerdì 11 ottobre, in Vaticano, il patriarca siro-cattolico di Antiochia, Mar Ignatius Joseph III Younan
Durante l’incontro, il patriarca ha discusso con il Papa dell’attuale preoccupante situazione in Medio Oriente, dell’importanza della locale presenza cristiana, delle prospettive future della Terra Santa, della Siria e dell’Iraq, in particolare del Libano con la guerra in corso. Nel colloquio è stata ribadita l’importanza di un cessate il fuoco immediato e la necessità di eleggere un nuovo Presidente della Repubblica in Libano il prima possibile, per porre fine alla soffocante crisi economica e sociale che attanaglia il Paese dei Cedri. Il patriarca ha elogiato “l’assoluto sostegno mostrato da Sua Santità ai cristiani d’Oriente, alle loro cause legittime e al loro diritto alla pace e alla sicurezza”, esprimendo “sinceri ringraziamenti e gratitudine al Pontefice per il suo amore paterno e la sua cura per la Chiesa in tutto il mondo, per la sua speciale attenzione per i fedeli delle Chiese orientali in mezzo a queste difficili circostanze che stanno vivendo, e per il suo commovente messaggio ai cristiani del Medio Oriente lo scorso lunedì 7 ottobre”.
L’incontro è avvenuto nell’ambito del Sinodo sulla sinodalità del quale Joseph III Younan è membro del Consiglio consultivo preparatorio del Sinodo per le Chiese orientali.

Libano, la solidarietà dei caldei del Kurdistan con chi fugge dalla guerra

1 ottobre 2024  

La solidarietà può fare la differenza, offrendo pace, sicurezza e protezione a chi soffre. Per questo l’arcidiocesi caldea di Erbil, che ancora non ha visto rimarginate le ferite inflitte dalla violenza del sedicente Stato islamico (Is), si muove verso gli sfollati libanesi chiedendo alla comunità internazionale di sostenerli “in ogni modo possibile e di pregare per la fine della violenza”.
L’arcidiocesi, guidata dall’arcivescovo Bashar Warda, come informa un comunicato, si impegna al fianco dei libanesi avviando una campagna a sostegno della Chiesa del Libano le cui risorse sono destinate a chi fugge dalla violenza. Monsignor Warda invita la sua comunità “a offrire sostegno spirituale e umanitario alla Chiesa libanese”. 
Domenica 29 settembre, durante una Messa speciale, si è pregato per pace in tutta la regione e si è organizzata una colletta per raccogliere fondi che saranno inviati alle chiese del Libano che attualmente sono impegnate a fornire aiuto di ogni tipo, compreso medico, agli sfollati. Con l’approssimarsi dell’inverno, inoltre, “il bisogno di ulteriore sostegno è urgente e crescente”. 

La preoccupazione per i cristiani
L’arcivescovo, nel ricordare le difficoltà analoghe vissute dalla comunità del Kurdistan iracheno, ribadisce l’importanza di “essere solidali con le vittime della violenza”, allo stesso tempo esprime preoccupazione per la situazione dei cristiani in tutta la regione, minoranza che nel corso degli anni ha “subito attacchi mirati e violenze” e che ora si ritrova “sotto il fuoco incrociato dei conflitti in corso”.
Una comunità che in Medio Oriente ha visto un drammatico declino, arrivando a rappresentare solo il 4% della popolazione, che si è indebolita con la fuga di persone “di talento e istruite”, e che vive in preda alla paura, all’ansia e alla disperazione. Monsignor Warda, nonostante tutto, esprime la sua speranza, invitando la comunità internazionale ad ascoltare il messaggio di Papa Francesco, ed esortandola a far “tacere i tamburi di guerra ed ad alzare la voce della pace”.
Solo la pace permetterà al Libano e a tutta la regione, stremata da anni di combattimenti e ormai senza risorse, di potersi riprendere “dal peso della guerra e del conflitto politico”. 
È urgente agire per aiutare il Libano, è l’appello, agendo con compassione, carità e generosità, affinché “attraverso la preghiera, le donazioni e la promozione della pace” si possa “contribuire ad aiutare queste famiglie nel momento del massimo bisogno”.

Iraqi archbishop says rift with Chaldean patriarch is a ‘misunderstanding’

Junno Arocho Esteves
1 ottobre 2024

Iraqi Archbishop Bashar Warda of Erbil said tensions between himself and Cardinal Louis Sako, the Baghdad-based Chaldean Catholic patriarch, were the result of a misunderstanding and denied accusations he was working against the patriarch.
 In a message sent to OSV News Sept. 24, the Iraqi archbishop said he rejected “all accusations in full,” referring to allegations made by the Chaldean patriarchate on Aug. 28 that Archbishop Warda was “deceived by promises” made by political figures who were behind an attempt to have the government deny recognition of Cardinal Sako’s authority as head of the Chaldean Catholic Church in 2023. Assuring that “we are proud of His Beatitude as the head of the Chaldean Church,” Archbishop Warda told OSV News in a written message: “I categorically reject accusations of corruption … and I will continue to deal with this issue through the relevant church channels,” he added.
In July 2023, Cardinal Sako left Baghdad after Iraqi President Abdul Latif Rashid revoked a decree that formally recognized the cardinal as Chaldean patriarch in the country and his authority to administer the Chaldean religious endowment.
In a statement made to OSV News at the time, Archbishop Warda downplayed the significance of the decree’s revocation, saying that “withdrawing the republican decree does not prejudice the religious or legal status of Cardinal Louis Sako, as he is appointed by the Apostolic See.”
However, the move was viewed by both Cardinal Sako and local Iraqi media as an attempt to usurp the patriarch’s position as head of the Chaldean Church that was allegedly instigated by Rayan al-Kildani, head of the Babylon Brigades, a Chaldean Catholic militia that shares close ties with Iran. 
Many believed that al-Kildani, who was sanctioned for alleged human rights abuses by the U.S. Treasury Department in 2019, pushed for the revocation in an attempt to gain control of the Chaldean Church’s assets. 
While in exile in Erbil for almost a year, Cardinal Sako received support from Grand Ayatollah Ali al-Sistani, Iraq’s leading Shia religious figure, and the Association of Muslim Scholars of Iraq, the highest Sunni authority in the country. Both disapproved of the cardinal’s treatment. 
Countries, including the United States, France and Germany, also expressed their disapproval of the president’s move.
However, in June, Iraqi Prime Minister Mohammed Shia’ Al-Sudani confirmed Cardinal Sako’s standing as patriarch of the Chaldeans in Iraq and the world. 
The cardinal promptly returned to Baghdad and the following month, he presided over the July 15-19 Synod of the Chaldean Church. 
The absence of five bishops — Archbishop Warda, Bishop Paul Thabet of Alquoch, Bishop Azad Sabri Shaba of Dohuk, Chaldean Archbishop Amel Shamon Nona of Sydney, and Bishop Saad Sirop Hanna, the apostolic visitor for Chaldean Catholics in Europe, who is based in in the northern Swedish city of Södertälje — was noted by the patriarchate. 
Bishop Hanna did not respond to a request for comment by OSV News.
In a statement on the Chaldean Patriarchate website titled, “The Truth About What is Happening in the Chaldean Church,” published Aug. 24, Cardinal Sako said he knew “for sure that some people had a hand in withdrawing the presidential decree” to “push me to resign in order to seek succession.” 
“Their attempts did not stop there, as they withdrew their students from the seminary,” he said of the bishops, adding that “I assure them that they are delusional and their bet is losing, because the church belongs to Christ and he sends out workers to the harvest.”
 However, just four days later, the patriarchate issued another statement warning that the “boycott of the Chaldean Synod by five bishops sets a dangerous precedent” that goes against their episcopal vows “to join hands with His Beatitude Patriarch Louis Raphael Sako in order for the church to continue its noble mission.”
The 2023 revocation of the decree, the patriarchate said, “suggested to some that it was the end and made their mouths water,” directly accusing Archbishop Warda of gathering support from the clergy for the cardinal’s removal.
“It is unfortunate that the Archbishop of Erbil was deceived by the promises of that party, and accepted to become its godfather,” the patriarchate wrote. “He did not only denounce the withdrawal of the decree, but he supported it and proposed an alternative: ‘the argument of succession.'”
The patriarchate also accused Archbishop Warda of supporting the “political party,” meaning the Babylon Brigades, “despite his knowledge of its encroachment on the church, the rights of Christians, and the acquisition of their property.”
The statement also said that when Cardinal Sako asked Archbishop Warda to publicly denounce the decree’s revocation, “he refused.”
“While many Muslim clerics denounced this action, how much more so our church’s bishops”
were expected to denounce, the patriarchate said. 
The Chaldean Patriarchate said the actions of Archbishop Warda and the four bishops who did not attend the synod forced “His Beatitude to settle the issue in one of two ways: by means of a public apology or by canon law,” giving them until Sept. 5 to apologize. If not, the statement said, “a report will be submitted to His Holiness Pope Francis for appropriate action to be taken for each of the five bishops.”
 The statement went on to cite what violations the bishops would be accused of, including canon 1447 of the Code of Canons of the Eastern Churches, which states that “one who incites sedition and hatred toward any hierarch whatsoever or provokes his subjects to disobedience, is to be punished with an appropriate penalty, not excluding a major excommunication, especially if the offense was committed against a patriarch or indeed against the Roman Pontiff.”
In a Sept. 7 reflection titled, “Come back to yourself,” Cardinal Sako wrote that it was “very painful when some people turn lies into a weapon for moral assassination! Let us stay away from harming people because God will hold us accountable, especially when we are believers and pray.”
 He concluded his reflection with a note. “This spiritual and educational thought has nothing to do with the boycotting bishops, as the case has made its way to the highest ecclesiastical court,” the cardinal wrote.

Iraq: card. Sako (patriarca), “scioccati per quanto sta accadendo in Libano e in Terra Santa”

By AgenSIR - Patriarcato caldeo
29 settembre 2024

“Dolore e preoccupazione” sono stati espressi dal patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, per quanto sta accadendo in Libano e in Terra Santa. In un messaggio diffuso dal Patriarcato, Mar Sako scrive: “Siamo scioccati dai conflitti, dalle devastazioni, dagli sfollamenti e dalle uccisioni di migliaia di persone, compresi civili innocenti, bambini e donne, e dall’oltraggio dei diritti, delle libertà e della dignità delle persone”. 
La Chiesa caldea, prosegue il messaggio, “invita la comunità internazionale ad assumersi le proprie responsabilità e a intraprendere azioni rapide, serie e concrete per fermare la guerra e cercare collettivamente soluzioni permanenti ai problemi e alle crisi della regione, in modo che i suoi cittadini possano vivere liberamente e con dignità come fratelli e sorelle in pace e stabilità”.

24 settembre 2024

Iraq: Card. Sako (patriarca), “la comunità è responsabile delle vocazioni”


“Le trasformazioni culturali e sociali, il comportamento e gli atteggiamenti di alcuni preti, la mancanza di vita comunitaria tra sacerdoti, le poche nascite”: sono questi alcuni dei motivi per i quali la chiesa Caldea in Iraq e nei Paesi della diaspora soffre oggi di una “carenza” di vocazioni sacerdotali e monastiche.
Lo scrive in una nota il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, diffusa dai media patriarcali, dedicata alle vocazioni.
“Il comportamento e gli atteggiamenti di alcuni sacerdoti sono a volte ben lungi dall’essere coerenti con la spiritualità del sacerdozio e la fedeltà alla Chiesa” afferma Mar Sako che ribadisce come, contrariamente a quanto accade, “la ‘vita in comune’ dei sacerdoti rappresenta un vero sostegno per la vita personale e per la missione comune, salvandoli dall’isolamento”.
Il patriarca denuncia anche il calo delle nascite dovuta al fatto che “la maggior parte delle famiglie oggi tende ad accontentarsi di uno o due figli, a causa del deterioramento della situazione economica e delle frequenti guerre”.
Significativo, a riguardo, il ricordo del cardinale delle parole di una donna nella guerra Iran-Iraq: “non vogliamo avere bambini che muoiono in queste guerre insensate”.
Un altro punto che preoccupa la Chiesa, secondo il patriarca, “è la riluttanza dei giovani a sposarsi. Inoltre, la partecipazione dei giovani alle attività ecclesiali li induce a pensare che non esiste la necessità di intraprendere il cammino sacerdotale”.
Da qui “l’urgenza di incoraggiare le vocazioni da parte del vescovo e dei sacerdoti e la collaborazione dei parrocchiani con i loro preti. È vero che la vocazione di Cristo al sacerdozio è personale, ma – conclude Mar Sako – la comunità è responsabile delle vocazioni e la sua partecipazione è essenziale, perché è in essa che le vocazioni nascono e crescono”.
 

La chiesa di Al-Aqiser e il patrimonio iracheno a rischio per i cambiamenti climatici

Dario Salvi

Il grido d’allarme dell’Autorità generale irachena per le antichità e il patrimonio riguardo la storica chiesa di Al-Aqiser è solo l’ultimo in ordine di tempo, ma anch’esso potrebbe rimanere inascoltato mentre il Paese - e i suoi tesori - rischiano di soccombere di fronte ai cambiamenti climatici. 
A detta degli esperti, infatti, la struttura è soggetta a “deterioramento” per gli effetti dei fenomeni atmosferici e gli stravolgimenti ambientali, anche se l’organismo ha avviato di recente uno stretto rapporto di collaborazione con un gruppo di climatologi per mitigarne gli effetti nocivi.
L’obiettivo è proprio quello di valutare “l’impatto e le conseguenze di lungo periodo” dei cambiamenti climatici siti storici dell’Iraq, un tema di grande attualità al centro anche dei lavori della 79esima sessione dell’Assemblea Generale Onu in programma dal 22 al 30 settembre al Palazzo di Vetro a New York. Fra gli eventi più attesi il Summit of the Future, che si è tenuto nei primi due giorni dell’assemblea per riaffermare gli impegni verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) e la Carta delle Nazioni Unite.

Più del petrolio
Un patrimonio dal grande valore economico e culturale, che costituisce il vero “oro nero” dell’Iraq come aveva dichiarato in passato il patriarca caldeo card. Louis Raphael Sako. Sin dai tempi in cui era arcivescovo di Kirkuk, infatti, il porporato era solito denunciare i pericoli corsi da un “bene universale” da salvaguardare come l’archeologia, che da sola vale “più del petrolio”. Un compito di tutti gli iracheni, non solo i cristiani, richiamato anche nel 2016 durante la “Conferenza internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale nelle aree teatro in conflitto” ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti (Eau).
In particolare, la chiesa di Al-Aqiser (“mini palazzo”, in arabo) è un sito archeologico nell’area desertica di Ayn al-Tamr, vicino a Kerbala, circa 100 km a sud-ovest di Baghdad, ed è descritta come la più antica chiesa cristiana orientale. Fino a poco tempo fa era utilizzata dai caldei, anche se negli ultimi tempi è in condizioni di abbandono e le sue mura soggette a degrado ed erosione. 
Essa risale al V° secolo dopo Cristo e dista cinque chilometri dalla celebre fortezza di Al-Ukhaidir.
Gli storici ritengono che la chiesa sia stati costruita da ribelli nestoriani in cerca di rifugio sotto la dinastia Lakhmid (268-633 d.C.), alleata dell’impero sasanide. Il luogo di culto conserva tracce di iscrizioni in aramaico sulle pareti e presenta un altare rialzato rivolto verso Gerusalemme. Il sito copre un’area di circa 4mila metri quadrati con tombe, torri, monasteri e tesori. 
Un’altra chiesa vicina, scoperta di recente, era utilizzata per cerimonie di sepoltura e sono state trovate decine di tombe allineate anch’esse nella direzione della città santa, mentre tutto attorno la presenza di tumuli suggerisce l’esistenza di un’antica città. Sebbene il tetto sia crollato, le sue mura sono rimaste in piedi e i fedeli continuano a celebrare la messa di Natale all’interno del sito.

Strategie di adattamento
Montasser Sabah Al-Hasnawi, capo del team per i cambiamenti climatici del ministero iracheno della Cultura, ha sottolineato l’importanza di proteggere il patrimonio culturale dai rischi legati all’innalzamento delle temperature e dai disastri ambientali. Durante una visita compiuta di persona al sito culturale e religioso cristiano egli ha sottolineato, una volta di più, la necessità di promuovere e sostenere politiche mirate per la salvaguardia del patrimonio.
“Dobbiamo sviluppare - ha dichiarato l’alto funzionario a Shafaq News - strategie di adattamento al clima per preservare sia le pratiche culturali che i siti archeologici”.
Secondo l’Onu l’Iraq è uno dei Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici a partire dagli effetti devastanti della siccità in un territorio ricoperto per oltre il 50% da deserti che minacciano la vita umana e animale, ma non risparmiano nemmeno siti archeologici e culturali. Dai reperti dell’antica Mesopotamia alla storia recente, si assiste a un progressivo inaridimento accelerato dalla scomparsa degli alberi capaci un tempo di bloccare i venti e andati scomparendo perché bruciati o distrutti dai bombardamenti delle diverse guerre combattute nell’area o abbattuti per far posto a nuove città. Anche le temperature estive roventi, superiori ai 50 gradi, le tempeste di polvere e le forti piogge invernali hanno inferto colpi al patrimonio. Da qui il timore per siti costruiti con mattoni migliaia di anni fa, e che oggi si stanno sgretolando e riducendo in polvere.
L’archeologo Zahd Muhammad ha attribuito la colpa alle “condizioni climatiche, al fatto che sotto Saddam Hussein l’area è stata trasformata in un poligono militare e alla mancanza di regolare conservazione”.
Il sindaco di Ayn al-Tamr, Raed Fadhel, pone anche l’elemento economico, affermando che la manutenzione è legata al budget a disposizione e vi è una progressiva mancanza di fondi: “Richiede una enorme quantità di denaro, ma riceviamo solo - lamenta - fondi esigui” dal governo federale. Vi è infine un problema di interesse legato al patrimonio culturale stesso: circa 60 chilometri più a est, infatti, i santuari sciiti di Kerbala attirano ogni anno milioni di pellegrini, ma questi potenziali visitatori non si fermano alle numerose chiese antiche, alle città mesopotamiche e alle strutture piramidali a forma di “ziggurat” di Babilonia, patrimonio Unesco.

Un nemico silenzioso
Le criticità non riguardano solo una parte del Paese, ma sono una sfida che la nazione deve affrontare nel suo complesso. Esempio ne è il “nemico silenzioso” che, negli ultimi anni, sta prendendo sempre più piede nel sud dell’Iraq. I bassi livelli di acque dei fiumi Tigri ed Eufrate, che convergono nella pianura di Bassora, non riescono a respingere l’onda di acqua marina, e salata, che avanza con crescente impeto verso nord. Una “invasione” strisciante che finisce per distruggere palmeti, alberi di agrumi e altre colture che hanno prosperato per millenni grazie all’ombra fornita dalle palme che le proteggeva dalla luce cocente del sole. A rischio non vi è solo il patrimonio culturale e storico, ma le stesse coltivazioni che per secoli hanno garantito vita e prosperità.
Adnan Khdheir Al-Sinafi, del distretto di Al-Bihar (Bassora), ha lavorato in un palmeto per tutta la vita, come hanno fatto i suoi antenati per generazioni.
Oggi, come molti altri, si trova a un bivio: rimanere e persistere - al netto di pesanti perdite economiche - o andarsene in cerca di mezzi di sostentamento altrove. Lui le ha provate entrambe: “Questa terra era un paradiso. Ho piantato alberi di agrumi all’ombra delle palme e avevamo più di 60 varietà di datteri della migliore qualità” ricorda. “Con l’aumento della salinità, ho visto come i miei alberi morivano e il terreno si degradava gradualmente. Ho perso - afferma - circa 30mila dollari” e ciò che rimane sono “tronchi e ceppi morti”.
Più a nord, nel governatorato di Thi-Qar, le paludi si prosciugano per i bassi livelli d’acqua del Tigri ed Eufrate causati dalla diminuzione delle precipitazioni, dalla costruzione di dighe in Turchia e Iran su fiumi o affluenti e dall’assenza di una gestione sostenibile delle risorse idriche a livello locale. Queste paludi erano un tempo famose per biodiversità, sostentamento delle comunità e pratiche di allevamento e pesca, risalenti all’antica Mesopotamia.
Il monitoraggio delle emergenze climatiche elaborato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni in Iraq ha registrato un ultimo fattore di criticità: lo sfollamento di oltre 130mila persone tra il 2016 e il settembre 2023 per gli effetti negativi dei cambiamenti climatici. La portata è molto più grande di quanto una singola organizzazione possa fare e, se da un lato il governo sta promuovendo una strategia sul clima, è indispensabile anche una collaborazione con comunità internazionale, società civile e privati. Per ridurre la vulnerabilità dei territori servono investimenti in infrastrutture intelligenti, sistemi e politiche di gestione equa di territorio e risorse idriche, opportunità di sostentamento diversificate e sistemi di allerta precoce. In vista della COP28 esperti locali e ambientalisti lanciano un appello per sforzi più ampi e concertati a livello nazionale e regionale, perché questa non è una crisi locale ma globale e richiede un’azione immediata.


The International Organization for Migration
28 novembre 2023

The Silent Enemy: How Climate Change is Wreaking Havoc in Iraq

Arkeo News

19 settembre 2024

Baghdad patriarch reports five bishops to the Pope

Patrick Hudson 

The Patriarch of Baghdad Cardinal Louis Raphaël Sako wrote to the Pope last week with a report on the conduct of Archbishop Bashar Warda of Erbil and four other bishops who did not attend the synod in Baghdad on 15-19 July.
Besides Warda, two of the absentees are based in Iraq: Bishop Paul Thabet of Alquoch and Bishop Azad Sabri Shaba of Dohuk, both ordained to their diocese in 2022. The others were the Chaldean Archbishop of Sydney Amel Shamon Nona and Bishop Saad Sirop Hanna, the apostolic visitor for Chaldean Catholics in Europe. 
July’s synod was the first since the patriarch’s return to the capital after nine months’ self-imposed exile in Erbil, the capital of Iraq’s Kurdish region.
He had moved the patriarchate there after President Abdul Latif Rashid withdrew presidential decree 147 recognising Sako’s status as head of the Chaldean Church and administrator of its endowments.
Prime Minister Mohammed Shia’ al-Sudani issued another decree restoring his “institutional recognition” in June. 
The five absent bishops allege canonical irregularities in Sako’s conduct, claiming the synod ought to have been held earlier in Erbil, or else in Rome. 
A communiqué from the 17 bishops who did attend the synod said their absence was “without legal justification”. 
According to the statement published on 28 August, demanding an apology from the absent bishops, the synod had sent its own letter to them in July asking them to join the meeting as “the natural and legitimate place to address problems…[and] to continue strengthening the unity of the episcopal rank”. 
They also warned that absence violated the first article of Canon 104, under which bishops “legitimately called to the synod of bishops…are bound by the serious obligation to attend that same synod” and those present authorised “to decide upon the legitimacy” of any reason for absence. 
On 31 July, the General Secretary of the Chaldean synod, Archbishop Mirkis, sent a letter to the five absent bishops stating that “the bishops participating in the Synod on July 15-19, 2024 in Baghdad, appreciate the stance of Patriarch Sako, who supported the status, role and rights of the Church during the crisis of withdrawing Decree (147 of 2013)…and we thank His Beatitude for his wise and paternal care.
The letter went on to say “The presence of the bishops in the Synod is an ecclesiastical and conscientious duty, where discussions are conducted in a fraternal spirit far from personal desires, as the Church has not and will not be a party, and is not loyal to individuals, regardless of their status and position, as the first and last reference is the person of Jesus Christ. 
Therefore, we call for respecting the position of the Patriarch as a father and head of his Church and respecting the decisions of the Synod.” 
In the weeks after the synod, the priests of the dioceses of Erbil, Dohuk and Alquoch did not attend a Church-wide retreat for clergy, and the dioceses’ seminarians were withdrawn from the patriarchal seminary in Baghdad to be sent to study in Lebanon. 
A statement published on the patriarchate website on 20 August called these measures “declared disobedience”, while a personal statement by Sako four days later accused the five bishops of complicity in the withdrawal of his decree and of conspiring “to thwart the synod”. 
He threatened “legal action” if they failed to “declare their obedience”
The 28 August statement called their conduct a “dangerous precedent” and said their fellow bishops had demanded “appropriate legal measures for these clear violations”, citing various canons with a penalty of excommunication for disobedience. It demanded a formal apology by 5 September.
“Our bishops are asking me to finish this legally,” Sako told The Tablet on 10 September.
He confirmed that the bishops had made no response by the deadline.
The patriarch said he was confident of the Pope’s support against the dissenting bishops and that “something will be taken against them”.
He insisted he had fulfilled canonical requirements by consulting the Chaldean Church’s four-member permanent synod and issuing a warning to the bishops – by publishing the demand for an apology – as required under Canon 95, before deferring the matter to the Pope.
A statement on the patriarchate website on 7 September had referred to the bishops’ case going “to the highest ecclesiastical court”.
Sako confirmed to The Tablet that he had sent it “directly to the Pope”, who, he said, has “supreme, full, immediate and universal ordinary power in the Church” (Canon 43).
Sako made a series of wider allegations against Archbishop Warda, who has won prominence in Europe and the US through his advocacy and voracious fundraising for projects in his diocese. Sako accused Warda of collaborating with Rayan al-Kildani, the leader of a nominally Christian militia, who is sanctioned by the USA for human rights violations and has made a series of public attacks on the patriarch.
He said that Warda had “pushed me to give my resignation” after the withdrawal of decree 147 by President Rashid last year. 
A statement issued to The Tablet on behalf of the Archdiocese of Erbil on 11 September rejected the “the inappropriate and unsubstantiated public allegations” against Warda and the other four bishops. It said it would “refrain from debating this matter in public” and had submitted its own report to the Vatican. >
“The archdiocese looks forward to a brotherly resolution of any differences between all involved through legitimate dialogue in a spirit of authentic synodality,” the statement said.
In his response, Sako said the place for “legitimate dialogue in a spirit of authentic synodality” is the Chaldean synod of bishops. He added, “By refusing to attend the synod, Archbishop Warda rejects legitimate dialogue.”

18 settembre 2024

Zidane discusses the role of the judiciary in preserving Iraqi Christians' rights and property


Chief Justice of the Supreme Judicial Council, Faiq Zidane, discussed today, Wednesday, the role of the judiciary in preserving the rights and property of Iraqi citizens of the Christian faith in accordance with the provisions of the constitution and the law.
A statement by the Supreme Judicial Council, received by the Iraqi News Agency (INA), stated that "the President of the Supreme Judicial Council, Faiq Zidane, received today the Patriarch of the Chaldean Catholic Church in Iraq and the World, Cardinal Louis Sako, and the Assistant Bishop Basil Babilisos.".
The statement added that "the meeting discussed the role of the judiciary in preserving the rights and property of Iraqi citizens of the Christian faith in accordance with the provisions of the constitution and the law."

Iraq: card. Sako (patriarca caldeo), “stop a guerre, morte, demolizione di case e infrastrutture, sfollamenti e mancato rispetto dei diritti nella nostra regione”

By AgenSIR -Patriarcato caldeo
16 settembre 2024

“È giunto il momento che finisca questo incubo che le persone stanno vivendo, soprattutto nella nostra regione: guerre, morte, demolizione di case e infrastrutture, sfollamenti, mancato rispetto dei diritti, libertà e dignità, a causa dell’avidità, della corruzione, dell’ipocrisia e del caos morale e di valori”.
Lo ha detto il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, celebrando ieri sera, la messa presso la Chiesa dell’Annunciazione, nella capitale irachena, concelebrante il parroco, padre Bashar Bassel.
L’auspicio del patriarca è che “nasca in tutte le parti del mondo un nuovo ordine più rispettoso delle persone, dei popoli e dei Paesi”. “Più pace, stabilità, solidarietà, giusta condivisione dei beni” ha invocato Mar Sako che ha ricordato come questo ordine sia insito “nell’insegnamento di Cristo. Dobbiamo ritornare a Lui per la salvezza, per trasformare tutto, quanto più possiamo, in amore”. “Il grande dono che ci ha fatto Gesù”, ha aggiunto, “è stato il comandamento dell’amore, ‘che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi’. Ci ha amati fino alla morte di croce. Non è forse questo il vero dono, il più grande dono fatto a tutta l’umanità? Il cambiamento avverrà – ha ribadito il cardinale – solo quando ameremo il nostro fratello come noi stessi”.
Diversamente, ha avvertito, “non usciremo dalle delusioni e dai tradimenti. Il cambiamento avviene quando siamo costantemente guidati da Dio a seguire la strada giusta per vivere insieme quotidianamente nell’amore, nel rispetto come fratelli e sorelle, nella preghiera, nella pazienza e nel compiere il bene”.
Un insegnamento, ha concluso, che “vale anche per chi non crede e che ci aiuta ad affrontare con speranza le difficoltà e a leggerle come segni dei tempi, affinché la nostra umanità possa risorgere da queste tenebre profonde”.

Hope and False Hope

September 14, 2024   

Cardinal Louis Raphael Sako

As the Feast of the Cross approaches, carrying for Christian the symbolism of living with a spirit of hope in times of trials and difficulties, so that faithful can walk with the cross to live their faith with joy inhabited by hope. Therefore, in difficult circumstances, we are called to strengthen hope, which is a stance of faith, following the example of Abraham (the Chaldean), who “believed, hoping against hope, that he would become “the father of many nations” (Romans 4: 18).
Unfortunately, people have been changed compared to previous generations. They have somewhat lost values, principles, and social relationships that we were raised on. Everyone talks about the culture of this time, this world. Everyone is running after money, success, power, and happiness, even though people are frustrated by the sum of accumulated problems, and have lost hope, patience, and perseverance. Christians have also changed, to the extent that they have been influenced by the prevailing environment that they have become part of this “world”. They are drawn to grumbling, complaining and criticizing, instead of practicing their right honestly, and realizing that society needs their commitment in the civil, cultural, economic and political fields, to be effective in changing, not dependent and doing nothing!
In the Patriarchate, we receive frustrated Christians every day, expressing their injustice and concerns. They complain desperately that they did not benefit from the advantages of changing governments, and that as a minority their rights were marginalized and their properties were stolen, but when the Church intervenes to do them justice, they accuse it of interfering in politics!
Christians must realize that the uniqueness of their faith makes their path not paved with roses, and that Jesus had announced to his disciples about continuous persecutions. If Christians want making changes, they must give importance to their faith, following the example of the apostles and their forefathers as well as shedding the light of the Gospel on what happens to them through prayer, patience, and be guided constantly towards God.
Cross without Body is a Sign of Hope
Our faithful must meditate on the cross without “crucified body”, in our Eastern Churches (included in our Churches charisma), as a symbol of the glorified cross, since the crucified Jesus has been risen and we too will rise if we follow His path. This can be compared to the cross in Western Churches, which has the “crucified body” as a symbol of sacrifice.
Certainly, it is not the cross that saves us. Jesus is saving us. However, the cross remains the symbol of the greatest love. The cross without body invites us to place ourselves on it, or to experience it in our lives, “whoever does not take up his cross and follow after me is not worthy of me” (Matthew 10: 38). Christians must realize this. By the triumph of the cross, hope will be achieved gradually rather than abruptly. Therefore, we must deal with the difficulties we face with hope, and read them as signs of the times, because to think that we are victims of injustice is a victory for evil. We must therefore make efforts to do good. I sincerely wish that “hope” will be included in catechism “strongly” in our Churches.
The Courage of Hope
True hope means, not being afraid of seeing reality contradictions as it is. We should look positively to our faith, for God, in this confusing time, calls us to show our love more strongly, to hear in our hearts the hymn “Glory to God in the highest, and hope for human beings” (Luke 2: 14). This is a difficult and long “labor”. The future will be better when we contribute in preparing it and never escape from responsibility; or being drawn into evil, dishonest ambitions such as money, power, fame and partitions. So, despite evil’s violence, it will never get in parallel with good, as long as good lasts while evil does not. Therefore, Saint Paul calls us to: “Rejoice in hope” (Romans 12: 12).
Hope is in the promise of God’s presence. Listen to His promise to the prophet Jeremiah: “for I am with you to deliver you” (Jeremiah 1: 8). Also, Jesus says: “I am with you always” (Matthew 28: 20).
This promised presence is “expensive”. It requires us firstly to renounce all “deceitful” comforts. These comforts are unreal, it will rule our lives and distract us from the essence.
In the past, the idea of “self-denial” has been misunderstood, or might be presented poorly. Actually, the Gospel meant to renounce false demands – ambitions i.e. as requested by His disciples James and John (Mark 10: 35-45). God specifically asks us to renounce “false demands” to meet Him. He does not want us to sacrifice what helps us develop our personality in order to live the present, but rather to meet Him in reality, because God is present in real world, not in “fantasy”.
Hope Against all Hope
Christian hope necessarily “hoping against hope” (Romans 4: 18). The French poet Charles Péguy (born early 1873 and died at the beginning of World War I on September 5, 1914), sang this virtue in his poem: On the Threshold of Virtue, it has been cited by Pope Francis as the younger sister of all virtues. It is hope against all the false hopes that tempt us and distract us from facing evil, and distance us from the real world where God awaits us.
How can He save us if we cling to these empty hopes and human consolations? Rejecting these false hopes (ambitions) is indeed an act of hope, and means waiting for salvation from God alone. “I will be with you always”. This is a privileged opportunity for us, which requires us to make an effort to overcome the current difficulties we are facing. The Apostle Paul says in hope, “I have the strength for everything through him who empowers me” (Philippians 4: 13).
God himself is the only hope. This is completely different from what we usually call the hope of achieving something we desire! We should transform hope into a time of prayer, reflection and action.
Hope in its Future Dimension
Hope is to be prepared strongly for the future. This future dimension of hope is important. God’s salvation will bring us happiness that we could not have obtained on our own. It is not just a “waiting”, but a gift that we must receive with joy. Hope is the pledge of its possession.
The living God is present. He surprises us, moves us, and achieve our salvation in an unexpected way. He is wonderful!
Hope is a very “theological virtue”, God is its “object”, Above all, this virtue provides us direct access to Him. The expression must therefore be well understood. We do not possess God as we possess a car, but we have the certainty that we have a merciful Father close to us who knows us and loves us: “Behold, I stand at the door and knock. If anyone hears my voice and opens the door, I will enter his house” (Revelation 3: 20).
Hope and Eternal Life
Hope is in the present and in the future. Eternal life begins now and continues forever, and not only after our death. Since in death we reach “fullness” if we live our faith loyally and joyfully.
Hope is the belief that God makes us capable of performing eternal actions. These actions have eternal fruits, as they originate from love, and they alone build the eternal “Kingdom of God” in us.
In the Mass, Jesus gave us His life (His body) symbolized by bread and wine. Come, let us receive it and live it to the end. With a participation full of hope and joy, it integrates us into Christ and moves us to reach the perfection of the liturgy (Christ).
We must never ever stop receiving this great grace with “love and joy” because, as stated in the liturgy of the Chaldean Mass of St. Thomas, Body of Christ is “for the forgiveness of sins and for eternal life“.
We pray may God help us living in non-stop hope