"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

15 ottobre 2024

Card. Sako: in Medio oriente ‘armi e disordine’ vincono la timida mediazione internazionale

Dario Salvi

“Siamo responsabili nella ricerca della pace, del dialogo: la comunità internazionale, i Paesi del Medio oriente sono tutti coinvolti. Tuttavia se noi stessi non sappiamo, in prima persona, mettere fine a questa spirale, saranno altri che devono aiutarci a trovare la via per realizzarla”.

È il monito lanciato dal patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, di fronte alla spirale di violenza che ha travolto la regione, insanguinata nell’ultimo anno da conflitti di portata sempre più ampia: da Gaza, con la guerra lanciata da Israele ad Hamas in risposta all’attacco del 7 ottobre 2023, al Libano con il “fronte nord” aperto dallo Stato ebraico nel tentativo di eliminare la “minaccia” di Hezbollah; vi sono poi gli altri attori dell’area, dagli sciiti Houthi nello Yemen fino all’Iran, con la prospettiva di un’escalation di vasta scala.
“La situazione è preoccupante - avverte - non vi è ascolto alla ragione e alla responsabilità, soprattutto verso i civili i quali pagano il prezzo più elevato. E l’assemblea internazionale è timida, vi sono appelli e mediazioni, ma sono stagnanti e non riescono ad avanzare”.

Economia di guerra
Abbiamo incontrato il card. Sako a margine dei lavori dell’assemblea sinodale in corso in questo mese di ottobre in Vaticano, e il quadro tracciato dalla massima autorità ecclesiastica irachena è impietoso e non ammette sconti verso quanti hanno cariche e responsabilità. “Più che debole, che ha una nota peggiorativa, la comunità internazionale è timida nella sua opera di mediazione, perché pur cercando di fare qualcosa, non è mossa - avverte - da quella unità di intenti che oggi risulta necessaria per poter essere efficace”. “La mia convinzione - spiega ad AsiaNews - è che non vi sia più un ordine globale come in passato. Non vi sono più valori, né principi e a regnare è il disordine, un caos nel quale il più forte attacca il più debole. Tuttavia, i problemi e le contrapposizioni devono essere risolti con il dialogo, con la diplomazia morbida, con un’opera di dissuasione non violenta”.
A dettare l’agenda internazionale, in una fase di crisi che investe più settori, è l’economia di guerra in cui prevale “il commercio di armi in un quadro di risorse limitate, una popolazione mondiale in continua crescita e una crisi ambientale sempre più drammatica. Il clima, l’ecologia, l’accesso ai generi alimentari sono tutti fattori che giocano un ruolo nel condizionare questo teatro di guerra”.
Il Medio oriente da troppo tempo è un territorio “senza pace: ci vuole l’attenzione internazionale, una cura per questa parte del mondo sofferente che necessita di stabilità. Anche a fronte di interessi opposti o divergenti fra Occidente e Oriente, bisognerebbe eliminare - avverte il porporato - ogni fonte di violenza, il ricorso alla guerra e alle armi”.

Lo scenario iracheno
Per quanto riguarda lo scenario iracheno vi è un elemento di criticità che finora è rimasto nell’ombra e non è stato coinvolto, se non in modo marginale, nello scenario di guerra: le milizie sciite legate a Teheran, che a differenza degli Hezbollah libanesi e gli Houthi yemeniti non sono intervenuti direttamente nel conflitto attaccando Israele. “Penso che sinora - commenta il patriarca caldeo - abbia prevalso un atteggiamento di saggezza da parte di questi gruppi, che non vogliono entrare in questa guerra per procura” in cui si moltiplicano gli attori. “Abbiamo assistito all’intervento di milizie - prosegue - che a vario titolo e in momenti diversi si sono fatte coinvolgere” pur scongiurando “una guerra fra Stati che avrebbe effetti devastanti. Questo può essere considerato un elemento di saggezza in un panorama in cui sembra prevalere il frastuono delle armi”.
Del resto il movimento di Hamas “è per natura una milizia” che non rappresenta l’intero popolo palestinese e, in passato, si è trovato in disaccordo con la stessa Autorità palestinese. Ed entrambe si trovano a fronteggiare Israele che “è uno Stato con carri armati, un esercito, l’aviazione in un evidente squilibrio in campo”. “Non vi può essere parità di forze - prosegue - fra Israele e Hamas, sono due realtà troppo diverse. Per questo l’unica strada è quella di una mediazione, con la comunità internazionale che esercita una giusta pressione per la nascita di uno Stato” che sia capace di vivere superando la logica del conflitto permanente.
Di recente il patriarca caldeo ha incontrato il premier Mohammed Shia al-Sudani, dal quale ha ricevuto ampie rassicurazioni sul fatto che “non vuole essere trascinato in una guerra regionale, pur restando l’incognita delle milizie e il tema in agenda è come controllare”. L’esecutivo iracheno è in una situazione di “imbarazzo” perché rifiuta la guerra e “sta tentando ogni via di mediazione possibile”. Del resto parte di queste milizie “vorrebbe aiutare Hezbollah, e Hamas, ma prevale l’atteggiamento di moderazione in attesa degli sviluppi. A livello di leader religiosi anche la massima autorità sciita irachena, il grande ayatollah Ali al-Sistani ha lanciato un appello inusuale nei toni e contenuti per la “fine dell’aggressione” e l’invio di aiuti umanitari alla popolazione, segno di una grande preoccupazione per la crisi. Cristiani, musulmani sciiti e sunniti, ebrei “devono lanciare tutti assieme - auspica il porporato - un appello profetico e forte per la pace, la fratellanza, cercando di disinnescare le tensioni. Papa Francesco lo ha fatto più volte, ma è una delle poche voci di pace” al cospetto di quanti “cercano di usare la religione per raggiungere i propri interessi”.

Lo “scandalo” della Chiesa caldea
Per il card Sako la presenza delle milizie non è solo fonte di preoccupazione per le ripercussioni a livello regionale, perché nella storia recente della Chiesa caldea hanno rappresentato un elemento di tensione interna che rischia di sfociare in una spaccatura devastante. Lo “scandalo della Chiesa caldea” come lo chiama il primate, che denuncia “le influenze, anche sul piano materiale con aiuti concreti” cui sono soggette alcune comunità ecclesiastiche.
Il riferimento è ad una milizia in particolare: le Brigate Babilonia del sedicente leader Rayan al-Kildani, che hanno fomentato divisioni, manovrato per il ritiro del decreto presidenziale che ha determinato l’auto-esilio (poi rientrato dopo mesi) dello stesso card. Sako e spinto cinque vescovi a boicottare l’ultimo Sinodo caldeo. Alcune realtà, denuncia, “ricevono soldi e aiuti da parte di una certa milizia, non sono autonome e questa è una grande ferita: la Chiesa non ha bisogno di denaro, ma della fede, e il clero deve servire in maniera totale, con passione, e indipendente da certa politica o da certi interessi”.
La decisione dei cinque vescovi di snobbare l’incontro nella capitale, occasione per celebrare anche il ritorno a Baghdad del patriarca, è stata causa di “profondo shock”. Una parte di questi vescovi “ribelli, soprattutto i più giovani, è stata manipolata” accusa il porporato, che ha già inviato un fascicolo alla Santa Sede per valutazioni ed eventuali provvedimenti. Sullo sfondo il timore, ancora attuale, di un vero e proprio scisma nella Chiesa caldea, dietro il quale vi è la mano delle stesse milizie sciite - attive nel nord dell’Iraq e in territorio curdo - che agiscono per denaro e potere. “Volevano che il Sinodo caldeo fallisse per avere un successo personale, invece è andato molto bene, 17 vescovi (sui 22 totali) si sono mostrati molto uniti” sottolinea il card. Sako, che chiude confidando la sua “preoccupazione primaria per il futuro: quello che per me è importante è preparare il terreno per lasciare al successore la guida della Chiesa caldea. Per un patriarca - conclude senza far nomi, ma delineando le priorità - che può unire e continuare nella tradizione”.

Chiese orientali: Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto il patriarca siro-cattolico di Antiochia, Mar Ignatius Joseph III Younan


Il Patriarcato siro-cattolico di Antiochia ha annunciato in un comunicato che Papa Francesco ha ricevuto, venerdì 11 ottobre, in Vaticano, il patriarca siro-cattolico di Antiochia, Mar Ignatius Joseph III Younan
Durante l’incontro, il patriarca ha discusso con il Papa dell’attuale preoccupante situazione in Medio Oriente, dell’importanza della locale presenza cristiana, delle prospettive future della Terra Santa, della Siria e dell’Iraq, in particolare del Libano con la guerra in corso. Nel colloquio è stata ribadita l’importanza di un cessate il fuoco immediato e la necessità di eleggere un nuovo Presidente della Repubblica in Libano il prima possibile, per porre fine alla soffocante crisi economica e sociale che attanaglia il Paese dei Cedri. Il patriarca ha elogiato “l’assoluto sostegno mostrato da Sua Santità ai cristiani d’Oriente, alle loro cause legittime e al loro diritto alla pace e alla sicurezza”, esprimendo “sinceri ringraziamenti e gratitudine al Pontefice per il suo amore paterno e la sua cura per la Chiesa in tutto il mondo, per la sua speciale attenzione per i fedeli delle Chiese orientali in mezzo a queste difficili circostanze che stanno vivendo, e per il suo commovente messaggio ai cristiani del Medio Oriente lo scorso lunedì 7 ottobre”.
L’incontro è avvenuto nell’ambito del Sinodo sulla sinodalità del quale Joseph III Younan è membro del Consiglio consultivo preparatorio del Sinodo per le Chiese orientali.

Libano, la solidarietà dei caldei del Kurdistan con chi fugge dalla guerra

1 ottobre 2024  

La solidarietà può fare la differenza, offrendo pace, sicurezza e protezione a chi soffre. Per questo l’arcidiocesi caldea di Erbil, che ancora non ha visto rimarginate le ferite inflitte dalla violenza del sedicente Stato islamico (Is), si muove verso gli sfollati libanesi chiedendo alla comunità internazionale di sostenerli “in ogni modo possibile e di pregare per la fine della violenza”.
L’arcidiocesi, guidata dall’arcivescovo Bashar Warda, come informa un comunicato, si impegna al fianco dei libanesi avviando una campagna a sostegno della Chiesa del Libano le cui risorse sono destinate a chi fugge dalla violenza. Monsignor Warda invita la sua comunità “a offrire sostegno spirituale e umanitario alla Chiesa libanese”. 
Domenica 29 settembre, durante una Messa speciale, si è pregato per pace in tutta la regione e si è organizzata una colletta per raccogliere fondi che saranno inviati alle chiese del Libano che attualmente sono impegnate a fornire aiuto di ogni tipo, compreso medico, agli sfollati. Con l’approssimarsi dell’inverno, inoltre, “il bisogno di ulteriore sostegno è urgente e crescente”. 

La preoccupazione per i cristiani
L’arcivescovo, nel ricordare le difficoltà analoghe vissute dalla comunità del Kurdistan iracheno, ribadisce l’importanza di “essere solidali con le vittime della violenza”, allo stesso tempo esprime preoccupazione per la situazione dei cristiani in tutta la regione, minoranza che nel corso degli anni ha “subito attacchi mirati e violenze” e che ora si ritrova “sotto il fuoco incrociato dei conflitti in corso”.
Una comunità che in Medio Oriente ha visto un drammatico declino, arrivando a rappresentare solo il 4% della popolazione, che si è indebolita con la fuga di persone “di talento e istruite”, e che vive in preda alla paura, all’ansia e alla disperazione. Monsignor Warda, nonostante tutto, esprime la sua speranza, invitando la comunità internazionale ad ascoltare il messaggio di Papa Francesco, ed esortandola a far “tacere i tamburi di guerra ed ad alzare la voce della pace”.
Solo la pace permetterà al Libano e a tutta la regione, stremata da anni di combattimenti e ormai senza risorse, di potersi riprendere “dal peso della guerra e del conflitto politico”. 
È urgente agire per aiutare il Libano, è l’appello, agendo con compassione, carità e generosità, affinché “attraverso la preghiera, le donazioni e la promozione della pace” si possa “contribuire ad aiutare queste famiglie nel momento del massimo bisogno”.

Iraqi archbishop says rift with Chaldean patriarch is a ‘misunderstanding’

Junno Arocho Esteves
1 ottobre 2024

Iraqi Archbishop Bashar Warda of Erbil said tensions between himself and Cardinal Louis Sako, the Baghdad-based Chaldean Catholic patriarch, were the result of a misunderstanding and denied accusations he was working against the patriarch.
 In a message sent to OSV News Sept. 24, the Iraqi archbishop said he rejected “all accusations in full,” referring to allegations made by the Chaldean patriarchate on Aug. 28 that Archbishop Warda was “deceived by promises” made by political figures who were behind an attempt to have the government deny recognition of Cardinal Sako’s authority as head of the Chaldean Catholic Church in 2023. Assuring that “we are proud of His Beatitude as the head of the Chaldean Church,” Archbishop Warda told OSV News in a written message: “I categorically reject accusations of corruption … and I will continue to deal with this issue through the relevant church channels,” he added.
In July 2023, Cardinal Sako left Baghdad after Iraqi President Abdul Latif Rashid revoked a decree that formally recognized the cardinal as Chaldean patriarch in the country and his authority to administer the Chaldean religious endowment.
In a statement made to OSV News at the time, Archbishop Warda downplayed the significance of the decree’s revocation, saying that “withdrawing the republican decree does not prejudice the religious or legal status of Cardinal Louis Sako, as he is appointed by the Apostolic See.”
However, the move was viewed by both Cardinal Sako and local Iraqi media as an attempt to usurp the patriarch’s position as head of the Chaldean Church that was allegedly instigated by Rayan al-Kildani, head of the Babylon Brigades, a Chaldean Catholic militia that shares close ties with Iran. 
Many believed that al-Kildani, who was sanctioned for alleged human rights abuses by the U.S. Treasury Department in 2019, pushed for the revocation in an attempt to gain control of the Chaldean Church’s assets. 
While in exile in Erbil for almost a year, Cardinal Sako received support from Grand Ayatollah Ali al-Sistani, Iraq’s leading Shia religious figure, and the Association of Muslim Scholars of Iraq, the highest Sunni authority in the country. Both disapproved of the cardinal’s treatment. 
Countries, including the United States, France and Germany, also expressed their disapproval of the president’s move.
However, in June, Iraqi Prime Minister Mohammed Shia’ Al-Sudani confirmed Cardinal Sako’s standing as patriarch of the Chaldeans in Iraq and the world. 
The cardinal promptly returned to Baghdad and the following month, he presided over the July 15-19 Synod of the Chaldean Church. 
The absence of five bishops — Archbishop Warda, Bishop Paul Thabet of Alquoch, Bishop Azad Sabri Shaba of Dohuk, Chaldean Archbishop Amel Shamon Nona of Sydney, and Bishop Saad Sirop Hanna, the apostolic visitor for Chaldean Catholics in Europe, who is based in in the northern Swedish city of Södertälje — was noted by the patriarchate. 
Bishop Hanna did not respond to a request for comment by OSV News.
In a statement on the Chaldean Patriarchate website titled, “The Truth About What is Happening in the Chaldean Church,” published Aug. 24, Cardinal Sako said he knew “for sure that some people had a hand in withdrawing the presidential decree” to “push me to resign in order to seek succession.” 
“Their attempts did not stop there, as they withdrew their students from the seminary,” he said of the bishops, adding that “I assure them that they are delusional and their bet is losing, because the church belongs to Christ and he sends out workers to the harvest.”
 However, just four days later, the patriarchate issued another statement warning that the “boycott of the Chaldean Synod by five bishops sets a dangerous precedent” that goes against their episcopal vows “to join hands with His Beatitude Patriarch Louis Raphael Sako in order for the church to continue its noble mission.”
The 2023 revocation of the decree, the patriarchate said, “suggested to some that it was the end and made their mouths water,” directly accusing Archbishop Warda of gathering support from the clergy for the cardinal’s removal.
“It is unfortunate that the Archbishop of Erbil was deceived by the promises of that party, and accepted to become its godfather,” the patriarchate wrote. “He did not only denounce the withdrawal of the decree, but he supported it and proposed an alternative: ‘the argument of succession.'”
The patriarchate also accused Archbishop Warda of supporting the “political party,” meaning the Babylon Brigades, “despite his knowledge of its encroachment on the church, the rights of Christians, and the acquisition of their property.”
The statement also said that when Cardinal Sako asked Archbishop Warda to publicly denounce the decree’s revocation, “he refused.”
“While many Muslim clerics denounced this action, how much more so our church’s bishops”
were expected to denounce, the patriarchate said. 
The Chaldean Patriarchate said the actions of Archbishop Warda and the four bishops who did not attend the synod forced “His Beatitude to settle the issue in one of two ways: by means of a public apology or by canon law,” giving them until Sept. 5 to apologize. If not, the statement said, “a report will be submitted to His Holiness Pope Francis for appropriate action to be taken for each of the five bishops.”
 The statement went on to cite what violations the bishops would be accused of, including canon 1447 of the Code of Canons of the Eastern Churches, which states that “one who incites sedition and hatred toward any hierarch whatsoever or provokes his subjects to disobedience, is to be punished with an appropriate penalty, not excluding a major excommunication, especially if the offense was committed against a patriarch or indeed against the Roman Pontiff.”
In a Sept. 7 reflection titled, “Come back to yourself,” Cardinal Sako wrote that it was “very painful when some people turn lies into a weapon for moral assassination! Let us stay away from harming people because God will hold us accountable, especially when we are believers and pray.”
 He concluded his reflection with a note. “This spiritual and educational thought has nothing to do with the boycotting bishops, as the case has made its way to the highest ecclesiastical court,” the cardinal wrote.

Iraq: card. Sako (patriarca), “scioccati per quanto sta accadendo in Libano e in Terra Santa”

By AgenSIR - Patriarcato caldeo
29 settembre 2024

“Dolore e preoccupazione” sono stati espressi dal patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, per quanto sta accadendo in Libano e in Terra Santa. In un messaggio diffuso dal Patriarcato, Mar Sako scrive: “Siamo scioccati dai conflitti, dalle devastazioni, dagli sfollamenti e dalle uccisioni di migliaia di persone, compresi civili innocenti, bambini e donne, e dall’oltraggio dei diritti, delle libertà e della dignità delle persone”. 
La Chiesa caldea, prosegue il messaggio, “invita la comunità internazionale ad assumersi le proprie responsabilità e a intraprendere azioni rapide, serie e concrete per fermare la guerra e cercare collettivamente soluzioni permanenti ai problemi e alle crisi della regione, in modo che i suoi cittadini possano vivere liberamente e con dignità come fratelli e sorelle in pace e stabilità”.

24 settembre 2024

Iraq: Card. Sako (patriarca), “la comunità è responsabile delle vocazioni”


“Le trasformazioni culturali e sociali, il comportamento e gli atteggiamenti di alcuni preti, la mancanza di vita comunitaria tra sacerdoti, le poche nascite”: sono questi alcuni dei motivi per i quali la chiesa Caldea in Iraq e nei Paesi della diaspora soffre oggi di una “carenza” di vocazioni sacerdotali e monastiche.
Lo scrive in una nota il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, diffusa dai media patriarcali, dedicata alle vocazioni.
“Il comportamento e gli atteggiamenti di alcuni sacerdoti sono a volte ben lungi dall’essere coerenti con la spiritualità del sacerdozio e la fedeltà alla Chiesa” afferma Mar Sako che ribadisce come, contrariamente a quanto accade, “la ‘vita in comune’ dei sacerdoti rappresenta un vero sostegno per la vita personale e per la missione comune, salvandoli dall’isolamento”.
Il patriarca denuncia anche il calo delle nascite dovuta al fatto che “la maggior parte delle famiglie oggi tende ad accontentarsi di uno o due figli, a causa del deterioramento della situazione economica e delle frequenti guerre”.
Significativo, a riguardo, il ricordo del cardinale delle parole di una donna nella guerra Iran-Iraq: “non vogliamo avere bambini che muoiono in queste guerre insensate”.
Un altro punto che preoccupa la Chiesa, secondo il patriarca, “è la riluttanza dei giovani a sposarsi. Inoltre, la partecipazione dei giovani alle attività ecclesiali li induce a pensare che non esiste la necessità di intraprendere il cammino sacerdotale”.
Da qui “l’urgenza di incoraggiare le vocazioni da parte del vescovo e dei sacerdoti e la collaborazione dei parrocchiani con i loro preti. È vero che la vocazione di Cristo al sacerdozio è personale, ma – conclude Mar Sako – la comunità è responsabile delle vocazioni e la sua partecipazione è essenziale, perché è in essa che le vocazioni nascono e crescono”.
 

La chiesa di Al-Aqiser e il patrimonio iracheno a rischio per i cambiamenti climatici

Dario Salvi

Il grido d’allarme dell’Autorità generale irachena per le antichità e il patrimonio riguardo la storica chiesa di Al-Aqiser è solo l’ultimo in ordine di tempo, ma anch’esso potrebbe rimanere inascoltato mentre il Paese - e i suoi tesori - rischiano di soccombere di fronte ai cambiamenti climatici. 
A detta degli esperti, infatti, la struttura è soggetta a “deterioramento” per gli effetti dei fenomeni atmosferici e gli stravolgimenti ambientali, anche se l’organismo ha avviato di recente uno stretto rapporto di collaborazione con un gruppo di climatologi per mitigarne gli effetti nocivi.
L’obiettivo è proprio quello di valutare “l’impatto e le conseguenze di lungo periodo” dei cambiamenti climatici siti storici dell’Iraq, un tema di grande attualità al centro anche dei lavori della 79esima sessione dell’Assemblea Generale Onu in programma dal 22 al 30 settembre al Palazzo di Vetro a New York. Fra gli eventi più attesi il Summit of the Future, che si è tenuto nei primi due giorni dell’assemblea per riaffermare gli impegni verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) e la Carta delle Nazioni Unite.

Più del petrolio
Un patrimonio dal grande valore economico e culturale, che costituisce il vero “oro nero” dell’Iraq come aveva dichiarato in passato il patriarca caldeo card. Louis Raphael Sako. Sin dai tempi in cui era arcivescovo di Kirkuk, infatti, il porporato era solito denunciare i pericoli corsi da un “bene universale” da salvaguardare come l’archeologia, che da sola vale “più del petrolio”. Un compito di tutti gli iracheni, non solo i cristiani, richiamato anche nel 2016 durante la “Conferenza internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale nelle aree teatro in conflitto” ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti (Eau).
In particolare, la chiesa di Al-Aqiser (“mini palazzo”, in arabo) è un sito archeologico nell’area desertica di Ayn al-Tamr, vicino a Kerbala, circa 100 km a sud-ovest di Baghdad, ed è descritta come la più antica chiesa cristiana orientale. Fino a poco tempo fa era utilizzata dai caldei, anche se negli ultimi tempi è in condizioni di abbandono e le sue mura soggette a degrado ed erosione. 
Essa risale al V° secolo dopo Cristo e dista cinque chilometri dalla celebre fortezza di Al-Ukhaidir.
Gli storici ritengono che la chiesa sia stati costruita da ribelli nestoriani in cerca di rifugio sotto la dinastia Lakhmid (268-633 d.C.), alleata dell’impero sasanide. Il luogo di culto conserva tracce di iscrizioni in aramaico sulle pareti e presenta un altare rialzato rivolto verso Gerusalemme. Il sito copre un’area di circa 4mila metri quadrati con tombe, torri, monasteri e tesori. 
Un’altra chiesa vicina, scoperta di recente, era utilizzata per cerimonie di sepoltura e sono state trovate decine di tombe allineate anch’esse nella direzione della città santa, mentre tutto attorno la presenza di tumuli suggerisce l’esistenza di un’antica città. Sebbene il tetto sia crollato, le sue mura sono rimaste in piedi e i fedeli continuano a celebrare la messa di Natale all’interno del sito.

Strategie di adattamento
Montasser Sabah Al-Hasnawi, capo del team per i cambiamenti climatici del ministero iracheno della Cultura, ha sottolineato l’importanza di proteggere il patrimonio culturale dai rischi legati all’innalzamento delle temperature e dai disastri ambientali. Durante una visita compiuta di persona al sito culturale e religioso cristiano egli ha sottolineato, una volta di più, la necessità di promuovere e sostenere politiche mirate per la salvaguardia del patrimonio.
“Dobbiamo sviluppare - ha dichiarato l’alto funzionario a Shafaq News - strategie di adattamento al clima per preservare sia le pratiche culturali che i siti archeologici”.
Secondo l’Onu l’Iraq è uno dei Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici a partire dagli effetti devastanti della siccità in un territorio ricoperto per oltre il 50% da deserti che minacciano la vita umana e animale, ma non risparmiano nemmeno siti archeologici e culturali. Dai reperti dell’antica Mesopotamia alla storia recente, si assiste a un progressivo inaridimento accelerato dalla scomparsa degli alberi capaci un tempo di bloccare i venti e andati scomparendo perché bruciati o distrutti dai bombardamenti delle diverse guerre combattute nell’area o abbattuti per far posto a nuove città. Anche le temperature estive roventi, superiori ai 50 gradi, le tempeste di polvere e le forti piogge invernali hanno inferto colpi al patrimonio. Da qui il timore per siti costruiti con mattoni migliaia di anni fa, e che oggi si stanno sgretolando e riducendo in polvere.
L’archeologo Zahd Muhammad ha attribuito la colpa alle “condizioni climatiche, al fatto che sotto Saddam Hussein l’area è stata trasformata in un poligono militare e alla mancanza di regolare conservazione”.
Il sindaco di Ayn al-Tamr, Raed Fadhel, pone anche l’elemento economico, affermando che la manutenzione è legata al budget a disposizione e vi è una progressiva mancanza di fondi: “Richiede una enorme quantità di denaro, ma riceviamo solo - lamenta - fondi esigui” dal governo federale. Vi è infine un problema di interesse legato al patrimonio culturale stesso: circa 60 chilometri più a est, infatti, i santuari sciiti di Kerbala attirano ogni anno milioni di pellegrini, ma questi potenziali visitatori non si fermano alle numerose chiese antiche, alle città mesopotamiche e alle strutture piramidali a forma di “ziggurat” di Babilonia, patrimonio Unesco.

Un nemico silenzioso
Le criticità non riguardano solo una parte del Paese, ma sono una sfida che la nazione deve affrontare nel suo complesso. Esempio ne è il “nemico silenzioso” che, negli ultimi anni, sta prendendo sempre più piede nel sud dell’Iraq. I bassi livelli di acque dei fiumi Tigri ed Eufrate, che convergono nella pianura di Bassora, non riescono a respingere l’onda di acqua marina, e salata, che avanza con crescente impeto verso nord. Una “invasione” strisciante che finisce per distruggere palmeti, alberi di agrumi e altre colture che hanno prosperato per millenni grazie all’ombra fornita dalle palme che le proteggeva dalla luce cocente del sole. A rischio non vi è solo il patrimonio culturale e storico, ma le stesse coltivazioni che per secoli hanno garantito vita e prosperità.
Adnan Khdheir Al-Sinafi, del distretto di Al-Bihar (Bassora), ha lavorato in un palmeto per tutta la vita, come hanno fatto i suoi antenati per generazioni.
Oggi, come molti altri, si trova a un bivio: rimanere e persistere - al netto di pesanti perdite economiche - o andarsene in cerca di mezzi di sostentamento altrove. Lui le ha provate entrambe: “Questa terra era un paradiso. Ho piantato alberi di agrumi all’ombra delle palme e avevamo più di 60 varietà di datteri della migliore qualità” ricorda. “Con l’aumento della salinità, ho visto come i miei alberi morivano e il terreno si degradava gradualmente. Ho perso - afferma - circa 30mila dollari” e ciò che rimane sono “tronchi e ceppi morti”.
Più a nord, nel governatorato di Thi-Qar, le paludi si prosciugano per i bassi livelli d’acqua del Tigri ed Eufrate causati dalla diminuzione delle precipitazioni, dalla costruzione di dighe in Turchia e Iran su fiumi o affluenti e dall’assenza di una gestione sostenibile delle risorse idriche a livello locale. Queste paludi erano un tempo famose per biodiversità, sostentamento delle comunità e pratiche di allevamento e pesca, risalenti all’antica Mesopotamia.
Il monitoraggio delle emergenze climatiche elaborato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni in Iraq ha registrato un ultimo fattore di criticità: lo sfollamento di oltre 130mila persone tra il 2016 e il settembre 2023 per gli effetti negativi dei cambiamenti climatici. La portata è molto più grande di quanto una singola organizzazione possa fare e, se da un lato il governo sta promuovendo una strategia sul clima, è indispensabile anche una collaborazione con comunità internazionale, società civile e privati. Per ridurre la vulnerabilità dei territori servono investimenti in infrastrutture intelligenti, sistemi e politiche di gestione equa di territorio e risorse idriche, opportunità di sostentamento diversificate e sistemi di allerta precoce. In vista della COP28 esperti locali e ambientalisti lanciano un appello per sforzi più ampi e concertati a livello nazionale e regionale, perché questa non è una crisi locale ma globale e richiede un’azione immediata.


The International Organization for Migration
28 novembre 2023

The Silent Enemy: How Climate Change is Wreaking Havoc in Iraq

Arkeo News

19 settembre 2024

Baghdad patriarch reports five bishops to the Pope

Patrick Hudson 

The Patriarch of Baghdad Cardinal Louis Raphaël Sako wrote to the Pope last week with a report on the conduct of Archbishop Bashar Warda of Erbil and four other bishops who did not attend the synod in Baghdad on 15-19 July.
Besides Warda, two of the absentees are based in Iraq: Bishop Paul Thabet of Alquoch and Bishop Azad Sabri Shaba of Dohuk, both ordained to their diocese in 2022. The others were the Chaldean Archbishop of Sydney Amel Shamon Nona and Bishop Saad Sirop Hanna, the apostolic visitor for Chaldean Catholics in Europe. 
July’s synod was the first since the patriarch’s return to the capital after nine months’ self-imposed exile in Erbil, the capital of Iraq’s Kurdish region.
He had moved the patriarchate there after President Abdul Latif Rashid withdrew presidential decree 147 recognising Sako’s status as head of the Chaldean Church and administrator of its endowments.
Prime Minister Mohammed Shia’ al-Sudani issued another decree restoring his “institutional recognition” in June. 
The five absent bishops allege canonical irregularities in Sako’s conduct, claiming the synod ought to have been held earlier in Erbil, or else in Rome. 
A communiqué from the 17 bishops who did attend the synod said their absence was “without legal justification”. 
According to the statement published on 28 August, demanding an apology from the absent bishops, the synod had sent its own letter to them in July asking them to join the meeting as “the natural and legitimate place to address problems…[and] to continue strengthening the unity of the episcopal rank”. 
They also warned that absence violated the first article of Canon 104, under which bishops “legitimately called to the synod of bishops…are bound by the serious obligation to attend that same synod” and those present authorised “to decide upon the legitimacy” of any reason for absence. 
On 31 July, the General Secretary of the Chaldean synod, Archbishop Mirkis, sent a letter to the five absent bishops stating that “the bishops participating in the Synod on July 15-19, 2024 in Baghdad, appreciate the stance of Patriarch Sako, who supported the status, role and rights of the Church during the crisis of withdrawing Decree (147 of 2013)…and we thank His Beatitude for his wise and paternal care.
The letter went on to say “The presence of the bishops in the Synod is an ecclesiastical and conscientious duty, where discussions are conducted in a fraternal spirit far from personal desires, as the Church has not and will not be a party, and is not loyal to individuals, regardless of their status and position, as the first and last reference is the person of Jesus Christ. 
Therefore, we call for respecting the position of the Patriarch as a father and head of his Church and respecting the decisions of the Synod.” 
In the weeks after the synod, the priests of the dioceses of Erbil, Dohuk and Alquoch did not attend a Church-wide retreat for clergy, and the dioceses’ seminarians were withdrawn from the patriarchal seminary in Baghdad to be sent to study in Lebanon. 
A statement published on the patriarchate website on 20 August called these measures “declared disobedience”, while a personal statement by Sako four days later accused the five bishops of complicity in the withdrawal of his decree and of conspiring “to thwart the synod”. 
He threatened “legal action” if they failed to “declare their obedience”
The 28 August statement called their conduct a “dangerous precedent” and said their fellow bishops had demanded “appropriate legal measures for these clear violations”, citing various canons with a penalty of excommunication for disobedience. It demanded a formal apology by 5 September.
“Our bishops are asking me to finish this legally,” Sako told The Tablet on 10 September.
He confirmed that the bishops had made no response by the deadline.
The patriarch said he was confident of the Pope’s support against the dissenting bishops and that “something will be taken against them”.
He insisted he had fulfilled canonical requirements by consulting the Chaldean Church’s four-member permanent synod and issuing a warning to the bishops – by publishing the demand for an apology – as required under Canon 95, before deferring the matter to the Pope.
A statement on the patriarchate website on 7 September had referred to the bishops’ case going “to the highest ecclesiastical court”.
Sako confirmed to The Tablet that he had sent it “directly to the Pope”, who, he said, has “supreme, full, immediate and universal ordinary power in the Church” (Canon 43).
Sako made a series of wider allegations against Archbishop Warda, who has won prominence in Europe and the US through his advocacy and voracious fundraising for projects in his diocese. Sako accused Warda of collaborating with Rayan al-Kildani, the leader of a nominally Christian militia, who is sanctioned by the USA for human rights violations and has made a series of public attacks on the patriarch.
He said that Warda had “pushed me to give my resignation” after the withdrawal of decree 147 by President Rashid last year. 
A statement issued to The Tablet on behalf of the Archdiocese of Erbil on 11 September rejected the “the inappropriate and unsubstantiated public allegations” against Warda and the other four bishops. It said it would “refrain from debating this matter in public” and had submitted its own report to the Vatican. >
“The archdiocese looks forward to a brotherly resolution of any differences between all involved through legitimate dialogue in a spirit of authentic synodality,” the statement said.
In his response, Sako said the place for “legitimate dialogue in a spirit of authentic synodality” is the Chaldean synod of bishops. He added, “By refusing to attend the synod, Archbishop Warda rejects legitimate dialogue.”

18 settembre 2024

Zidane discusses the role of the judiciary in preserving Iraqi Christians' rights and property


Chief Justice of the Supreme Judicial Council, Faiq Zidane, discussed today, Wednesday, the role of the judiciary in preserving the rights and property of Iraqi citizens of the Christian faith in accordance with the provisions of the constitution and the law.
A statement by the Supreme Judicial Council, received by the Iraqi News Agency (INA), stated that "the President of the Supreme Judicial Council, Faiq Zidane, received today the Patriarch of the Chaldean Catholic Church in Iraq and the World, Cardinal Louis Sako, and the Assistant Bishop Basil Babilisos.".
The statement added that "the meeting discussed the role of the judiciary in preserving the rights and property of Iraqi citizens of the Christian faith in accordance with the provisions of the constitution and the law."

Iraq: card. Sako (patriarca caldeo), “stop a guerre, morte, demolizione di case e infrastrutture, sfollamenti e mancato rispetto dei diritti nella nostra regione”

By AgenSIR -Patriarcato caldeo
16 settembre 2024

“È giunto il momento che finisca questo incubo che le persone stanno vivendo, soprattutto nella nostra regione: guerre, morte, demolizione di case e infrastrutture, sfollamenti, mancato rispetto dei diritti, libertà e dignità, a causa dell’avidità, della corruzione, dell’ipocrisia e del caos morale e di valori”.
Lo ha detto il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, celebrando ieri sera, la messa presso la Chiesa dell’Annunciazione, nella capitale irachena, concelebrante il parroco, padre Bashar Bassel.
L’auspicio del patriarca è che “nasca in tutte le parti del mondo un nuovo ordine più rispettoso delle persone, dei popoli e dei Paesi”. “Più pace, stabilità, solidarietà, giusta condivisione dei beni” ha invocato Mar Sako che ha ricordato come questo ordine sia insito “nell’insegnamento di Cristo. Dobbiamo ritornare a Lui per la salvezza, per trasformare tutto, quanto più possiamo, in amore”. “Il grande dono che ci ha fatto Gesù”, ha aggiunto, “è stato il comandamento dell’amore, ‘che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi’. Ci ha amati fino alla morte di croce. Non è forse questo il vero dono, il più grande dono fatto a tutta l’umanità? Il cambiamento avverrà – ha ribadito il cardinale – solo quando ameremo il nostro fratello come noi stessi”.
Diversamente, ha avvertito, “non usciremo dalle delusioni e dai tradimenti. Il cambiamento avviene quando siamo costantemente guidati da Dio a seguire la strada giusta per vivere insieme quotidianamente nell’amore, nel rispetto come fratelli e sorelle, nella preghiera, nella pazienza e nel compiere il bene”.
Un insegnamento, ha concluso, che “vale anche per chi non crede e che ci aiuta ad affrontare con speranza le difficoltà e a leggerle come segni dei tempi, affinché la nostra umanità possa risorgere da queste tenebre profonde”.

Hope and False Hope

September 14, 2024   

Cardinal Louis Raphael Sako

As the Feast of the Cross approaches, carrying for Christian the symbolism of living with a spirit of hope in times of trials and difficulties, so that faithful can walk with the cross to live their faith with joy inhabited by hope. Therefore, in difficult circumstances, we are called to strengthen hope, which is a stance of faith, following the example of Abraham (the Chaldean), who “believed, hoping against hope, that he would become “the father of many nations” (Romans 4: 18).
Unfortunately, people have been changed compared to previous generations. They have somewhat lost values, principles, and social relationships that we were raised on. Everyone talks about the culture of this time, this world. Everyone is running after money, success, power, and happiness, even though people are frustrated by the sum of accumulated problems, and have lost hope, patience, and perseverance. Christians have also changed, to the extent that they have been influenced by the prevailing environment that they have become part of this “world”. They are drawn to grumbling, complaining and criticizing, instead of practicing their right honestly, and realizing that society needs their commitment in the civil, cultural, economic and political fields, to be effective in changing, not dependent and doing nothing!
In the Patriarchate, we receive frustrated Christians every day, expressing their injustice and concerns. They complain desperately that they did not benefit from the advantages of changing governments, and that as a minority their rights were marginalized and their properties were stolen, but when the Church intervenes to do them justice, they accuse it of interfering in politics!
Christians must realize that the uniqueness of their faith makes their path not paved with roses, and that Jesus had announced to his disciples about continuous persecutions. If Christians want making changes, they must give importance to their faith, following the example of the apostles and their forefathers as well as shedding the light of the Gospel on what happens to them through prayer, patience, and be guided constantly towards God.
Cross without Body is a Sign of Hope
Our faithful must meditate on the cross without “crucified body”, in our Eastern Churches (included in our Churches charisma), as a symbol of the glorified cross, since the crucified Jesus has been risen and we too will rise if we follow His path. This can be compared to the cross in Western Churches, which has the “crucified body” as a symbol of sacrifice.
Certainly, it is not the cross that saves us. Jesus is saving us. However, the cross remains the symbol of the greatest love. The cross without body invites us to place ourselves on it, or to experience it in our lives, “whoever does not take up his cross and follow after me is not worthy of me” (Matthew 10: 38). Christians must realize this. By the triumph of the cross, hope will be achieved gradually rather than abruptly. Therefore, we must deal with the difficulties we face with hope, and read them as signs of the times, because to think that we are victims of injustice is a victory for evil. We must therefore make efforts to do good. I sincerely wish that “hope” will be included in catechism “strongly” in our Churches.
The Courage of Hope
True hope means, not being afraid of seeing reality contradictions as it is. We should look positively to our faith, for God, in this confusing time, calls us to show our love more strongly, to hear in our hearts the hymn “Glory to God in the highest, and hope for human beings” (Luke 2: 14). This is a difficult and long “labor”. The future will be better when we contribute in preparing it and never escape from responsibility; or being drawn into evil, dishonest ambitions such as money, power, fame and partitions. So, despite evil’s violence, it will never get in parallel with good, as long as good lasts while evil does not. Therefore, Saint Paul calls us to: “Rejoice in hope” (Romans 12: 12).
Hope is in the promise of God’s presence. Listen to His promise to the prophet Jeremiah: “for I am with you to deliver you” (Jeremiah 1: 8). Also, Jesus says: “I am with you always” (Matthew 28: 20).
This promised presence is “expensive”. It requires us firstly to renounce all “deceitful” comforts. These comforts are unreal, it will rule our lives and distract us from the essence.
In the past, the idea of “self-denial” has been misunderstood, or might be presented poorly. Actually, the Gospel meant to renounce false demands – ambitions i.e. as requested by His disciples James and John (Mark 10: 35-45). God specifically asks us to renounce “false demands” to meet Him. He does not want us to sacrifice what helps us develop our personality in order to live the present, but rather to meet Him in reality, because God is present in real world, not in “fantasy”.
Hope Against all Hope
Christian hope necessarily “hoping against hope” (Romans 4: 18). The French poet Charles Péguy (born early 1873 and died at the beginning of World War I on September 5, 1914), sang this virtue in his poem: On the Threshold of Virtue, it has been cited by Pope Francis as the younger sister of all virtues. It is hope against all the false hopes that tempt us and distract us from facing evil, and distance us from the real world where God awaits us.
How can He save us if we cling to these empty hopes and human consolations? Rejecting these false hopes (ambitions) is indeed an act of hope, and means waiting for salvation from God alone. “I will be with you always”. This is a privileged opportunity for us, which requires us to make an effort to overcome the current difficulties we are facing. The Apostle Paul says in hope, “I have the strength for everything through him who empowers me” (Philippians 4: 13).
God himself is the only hope. This is completely different from what we usually call the hope of achieving something we desire! We should transform hope into a time of prayer, reflection and action.
Hope in its Future Dimension
Hope is to be prepared strongly for the future. This future dimension of hope is important. God’s salvation will bring us happiness that we could not have obtained on our own. It is not just a “waiting”, but a gift that we must receive with joy. Hope is the pledge of its possession.
The living God is present. He surprises us, moves us, and achieve our salvation in an unexpected way. He is wonderful!
Hope is a very “theological virtue”, God is its “object”, Above all, this virtue provides us direct access to Him. The expression must therefore be well understood. We do not possess God as we possess a car, but we have the certainty that we have a merciful Father close to us who knows us and loves us: “Behold, I stand at the door and knock. If anyone hears my voice and opens the door, I will enter his house” (Revelation 3: 20).
Hope and Eternal Life
Hope is in the present and in the future. Eternal life begins now and continues forever, and not only after our death. Since in death we reach “fullness” if we live our faith loyally and joyfully.
Hope is the belief that God makes us capable of performing eternal actions. These actions have eternal fruits, as they originate from love, and they alone build the eternal “Kingdom of God” in us.
In the Mass, Jesus gave us His life (His body) symbolized by bread and wine. Come, let us receive it and live it to the end. With a participation full of hope and joy, it integrates us into Christ and moves us to reach the perfection of the liturgy (Christ).
We must never ever stop receiving this great grace with “love and joy” because, as stated in the liturgy of the Chaldean Mass of St. Thomas, Body of Christ is “for the forgiveness of sins and for eternal life“.
We pray may God help us living in non-stop hope

Iraq's historic Al-Aqiser church threatened by climate change

By Al Shafaq
September 13, 2024

On Friday, Iraq’s General Authority for Antiquities and Heritage warned that Al-Aqiser Church, one of the oldest Christian landmarks in Iraq, is at risk of deterioration due to climate change.
In a statement, the authority said it is collaborating with climatologist team to assess the impact of climatic shifts on Iraq's historical sites, using Al-Aqiser Church as a model.
Montasser Sabah Al-Hasnawi, Director General of the Conference Palace Department and head of the Ministry of Culture’s climate change team, highlighted the importance of protecting Iraq’s cultural heritage from climate-related risks. During a field visit to the site, he stressed the need for adaptive strategies to safeguard Iraq’s cultural practices and archaeological sites. "We must develop climate adaptation strategies to preserve both cultural practices and heritage sites," Al-Hasnawi said.
Al-Aqiser Church, dating back to the 5th century AD, is situated in the desert near Ain Al-Tamr, 70 km southwest of Karbala and 5 km from the Al-Ukhaidir Fortress.
Historical experts told Shafaq News that the church was built by Nestorian Christian rebels who sought refuge under the Lakhmid dynasty (268-633 AD), which was allied with the Sassanian Empire. The Lakhmids allowed the Nestorians to freely practice their faith, a policy welcomed by the Sassanian rulers due to their rivalry with the Byzantine Empire.
The church retains traces of Aramaic inscriptions on its walls and features a raised altar facing Jerusalem. The site covers an area of about 4,000 square meters, including graves, towers, monasteries, and treasuries.
Another nearby church, recently discovered, was used for Christian burial ceremonies, and dozens of graves have been found aligned towards Jerusalem. Surrounding the churches are several mounds that suggest the existence of an ancient city.
Although the church's roof has long since collapsed, its walls remain standing, and Christian visitors continue to hold Christmas Mass at the site.

Iraq: Religious orders return to Eden

John Newton
August 12, 2024

After being forced to flee because of fierce fighting, an Iraqi religious order has finally returned to the place where it was founded – with help from a leading Catholic charity.
The Daughters of the Sacred Heart of Jesus, a Chaldean order of religious Sisters, has been able to go back to the village of Araden in northern Iraq.
Located in the Sapna Valley, which is kept green and lush by the Great Zab river, local lore says the village’s name comes from the Syriac words “ara” – land – and “Aden” – Eden.
Aid to the Church in Need (ACN) helped the order to return to their birthplace by supporting a significant building project including a retreat centre and a shrine to the order’s founder, Father Abdul Ahad Rayes.
Mother Superior Samar Mikha said a key part of their founder’s vision was to educate and encourage young people in their Faith.
She said: “The revitalised space will continue the mission of Father Rayes by supporting the Christian educational needs of the region.
“He was a tireless advocate for education, building schools and nurturing young minds.
“We are committed to carrying forward his legacy by focusing on educational initiatives in the villages surrounding Araden.”
Through the centuries, the village has been a hub of Aramaic-speaking Christian activity, and its three churches Mart Shmoni, Sultana Mahdokht and Mar Awda were all founded more than a millennium ago.
But a succession of conflicts from the First Iraqi–Kurdish War in the 1960s down to bombing raids by Turkish air force at the end of the last decade have seen numbers decline as villagers fled the danger.
Mother Samar said: “Our community has faced numerous hardships, having lost our general mother home three times due to wars and migrations in Iraq.
“This tumultuous history led to a dearth of vocations in our community.”
But the head of the order went on to thank ACN for helping the community re-establish itself in Araden.
She said: “Through your unwavering support, we have not only met our objectives but exceeded our expectations.
“The Abdul-Ahad shrine and retreat house now stands as a symbol of resilience and hope for our community.
“This shrine now provides a space for the much-needed spiritual retreats, offering solace, tranquillity, and silence to our dedicated sisters who serve the community and the Church tirelessly.
“We cannot emphasise enough the profound gratitude we hold for Aid to the Church in Need.”

With thanks to Filipe d’Avillez

France’s first married Chaldean Catholic priest, with his wife’s blessing

11 Aout 2024 

Father Amar Agag, a 38-year-old married man and father of three, was ordained as a priest in the Chaldean Catholic Church in France. While this tradition is common in the church's countries of origin in the Middle East, the ordination of married men among Eastern Catholic communities in the diaspora was authorized by Rome only in 2014.
"Before we begin Amar's ordination, I must ask for his wife's consent."
These words, spoken by Cardinal Louis Raphaël Sako, Patriarch of the Chaldean Church, September 1 at Saint Thomas the Apostle Church in Sarcelles, in the northern suburbs of Paris, marked an unusual moment for the French Catholic Church.
In Eastern Churches, however, the ordination of married men is permitted. Since the late 19th century, only celibate Eastern priests were allowed to serve in the West to maintain consistency with Latin rite priests. But in 2014, the Vatican allowed Eastern bishops to ordain married men in Western countries.
So, on that September Sunday, Amar Agag, father of three, became the first married priest of the Chaldean Catholic Church to be ordained in France.

Role of the wife in the ordination
In this rite, the wife's consent highlights her role in her husband's commitment.
"In a way, the ordination involves her too. The calling is for her and the entire family," Agag explained. His wife was deeply involved in the discernment process. After he felt called to the priesthood, the couple attended spiritual retreats in various church settings for a year. "My wife and I answered yes together," he said.
When Agag first sensed his calling shortly after getting married, he hesitated.

A Chaldean priest had once told him, "I see you becoming a priest someday."
Agag thought his marriage might complicate his path to ordination. Yet this calling echoed one he had heard as a child. In 1994, his family left their native Iraq for Jordan and later moved to France. In Jordan, a Maronite priest, whom Agag assisted serving Mass and visiting the sick, once told his mother, "Leave your son here; I see him becoming a priest one day." At the time, his mother declined. 
Facing challenges along the way
Once in France, Agag's calling was confirmed again--this time by a Muslim. Working as a driver for the Iraqi embassy, the ambassador once asked him, "Why don't you become a priest?" Recognizing this repeated calling, Agag began discerning his vocation.
At first, both he and his wife were concerned about the challenges. With two children and a third on the way, they wondered, "How are we going to manage?" But Agag was convinced they had to trust in divine providence. "God opened every door and provided everything we needed," he said. His mother-in-law agreed to care for the children while the couple attended weekend spiritual retreats.
Agag also adjusted his professional life. He resigned from his job at the embassy to work independently as a driver for people with disabilities. This gave him the flexibility to pursue his studies. After three years of evening classes at the Collège Saint-Bernard in Paris to become a deacon, Amar continued his Bible and pastoral theology studies. Balancing parish and family life
"Normally, the training takes seven years," Agag explained. "But I was ordained earlier because our community needs more priests: in Paris, we need a priest who speaks Arabic." Amar will now serve as the pastor of Notre-Dame-de-Chaldée, the first Chaldean church built in France in 1992 in the administrative district of Paris centered around the charming hilltop Montmartre.
Looking ahead, Agag knows he will face the challenge of balancing parish and family life. After working during the week as a driver, he will dedicate Friday evenings, some Saturdays, and Sundays to his parish duties with his family by his side. "We'll be together, but I've explained to them that when I'm with the parishioners, I'm Father Amar. That means I'm the father of everyone," he said, ensuring no special treatment for his family compared to his parishioners. "At the same time, it's important for my family to be with me at church."
As a married priest, Agag believes he brings a unique perspective to the church. "I can speak from experience during marriage preparation. I understand the challenges couples face, and I know the issues that come with raising children." Since his ordination, Agag has felt "a great sense of joy" in his home.

Chaldean Catholic Church.
The Chaldean Catholic Church, one of the 23 Eastern Catholic Churches in communion with the pope, enjoys autonomy in areas such as canon law. The church holds significant importance in the Middle East, especially in Iraq, where it maintains a notable presence, with about 80% of Iraqi Christians belonging to the church.
The Chaldean Catholic Church has been headquartered in the Cathedral of Mary, Mother of Sorrows, in Baghdad, Iraq, since 1950 and has a membership of about half a million, most of whom live in the Middle East. The largest number of Chaldean Catholics found outside the Middle East is in Michigan, United States. Iraqi Cardinal Sako, primate of the Chaldean Catholic Church, currently resides in Baghdad, with eparchies worldwide.
The Chaldean Catholic Church is a descendant of the Church of the East (the ancient Patriarchal Province of Seleucia-Ctesiphon) in Mesopotamia, modern-day Iraq, and draws on the heritage of the first ancient Church of the East, the one that brought Christianity to Persia, India, and China. Its origins go back to the preaching of St. Thomas the Apostle and his disciples, Addai and Mari, in the first century A.D. The Church of the East is now divided into four Syriac churches: the Chaldean Church, the Assyrian Church of the East, the Ancient Church of the East, and the Syro-Malabar Church.

Iraq, a Erbil la “Festa della Croce” nel segno dell’unità di fede

11 settembre 2024
Federico Piana

Ad Erbil si sta svolgendo un evento che per il nord dell’Iraq potrebbe essere definito storico. Ad Ankawa, sobborgo della città capitale del Kurdistan iracheno collocata nel nord del Paese mediorientale, centinaia di cristiani stanno partecipando alla “Festa della Croce”, iniziata lunedì 9 settembre e che si concluderà il prossimo venerdì. 
L’eccezionalità, che racchiude un’alta dose di speranza, è rappresentata dal fatto che questi cristiani sono cattolici, ortodossi e assiri: è la prima volta che, insieme, gioiscono pienamente nel ricordo del ritrovamento della Santa Croce sulla quale Nostro Signore morì per la redenzione di tutti gli uomini. 
È la prima volta che, senza pensare a ciò che li divide ma soprattutto mettendo in evidenza ciò che li unisce, stanno pregando ogni giorno in una chiesa diversa e partecipando con trasporto ai vari incontri culturali organizzati nelle vie del sobborgo reso festante da luci e colori. 
Tutto per prepararsi alla festa liturgica della Santa Croce che si svolgerà il 14 settembre, per le chiese che seguono il calendario Gregoriano, o il 27 settembre per quelle che seguono il calendario Giuliano. 
In apertura dei festeggiamenti, lunedì scorso, 9 settembre, una grande croce è stata portata in processione alla chiesa assira d’Oriente di San Giovanni Battista: un momento reso solenne e suggestivo dai canti intonati dal clero e dai fedeli che sorreggevano grandi candele accese, segno non solo di lode e adorazione ma anche di condivisione e pace. «Le Chiese erano solite celebrare questa commemorazione separatamente ogni anno. Ma quest’anno è stato meravigliosamente diverso» ha sottolineato monsignor Bashar Matti Warda, arcieparca della diocesi cattolica caldea di Erbil che ha organizzato l’evento con la benedizione di Mar Awa III, Patriarca della Chiesa Assira d'Oriente, e dei vescovi delle Chiese Siro-Cattolica e Siro-Ortodossa.
Nel suo discorso pronunciato durante il festival, il Patriarca Mar Awa iii ha spiegato come «la celebrazione della Festa del Ritrovamento della Croce del nostro Signore Gesù Cristo rappresenta una tappa importante nel disegno divino nella Chiesa d’Oriente. Quando guardiamo alla croce, ricordiamo le sofferenze di Cristo, ma anche la sua gloriosa risurrezione dai morti. E quando facciamo il segno della croce su noi stessi, proclamiamo l’attesa del suo Secondo Avvento e la nostra fede nella vita eterna».
Il Festival della Croce non solo rappresenta un passo ulteriore e concreto nel solco dell’ecumenismo cui la Chiesa cattolica continua a dedicare molta importanza — basta ricordare l’affermazione di Papa Francesco contenuta dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium secondo la quale «l’impegno ecumenico risponde alla preghiera del Signore Gesù che chiede che tutti siano una sola cosa» — ma è anche un segno positivo per il futuro dei cristiani iracheni: nel tempo, le guerre, l’instabilità politica e l’ascesa dello Stato Islamico hanno spinto migliaia di cristiani di tutte le confessioni a abbandonare il Paese. Proprio qualche tempo fa lo stesso monsignor Bashar Matti Warda, in assenza di statistiche ufficiali, aveva dichiarato che «in tutto l’Iraq rimanevano circa 300.000 cristiani». Un numero infinitesimamente piccolo che però non ha cancellato la speranza, come il festival di Ankawa sta dimostrando.

Ordination en France d’un père de famille au sein de l’Église chaldéenne

27 Aout 2024

Photo: Patriarcat chaldéen
L’Ordinariat des catholiques des Églises orientales résidant en France annonce un événement historique en France : l’ordination d’un homme marié, père de trois enfants, au sein de l’Église catholique chaldéenne.
Cette ordination, qui marque un grand moment pour l’Église de France et plus particulièrement pour la communauté catholique orientale en France, se déroulera à Sarcelles ce dimanche 1er septembre 2024.
L’ordination sera présidée par Sa Béatitude Louis Raphaël Ier Sako, Patriarche de Bagdad des Chaldéens et cardinal de l’Église catholique, qui se déplacera en France spécialement pour l’occasion. L’honneur revient à Amar Agag, qui répondra à l’appel sacerdotal tout en maintenant ses engagements familiaux, un élément fondamental pour tous les catholiques orientaux.
Amar Agag, père de trois enfants, incarne cette tradition où la vocation sacerdotale et la vie familiale coexistent. L’Église catholique chaldéenne, fondée en Mésopotamie (l’actuel Irak), est l’une des plus anciennes Églises orientales, ayant ses racines au 1er siècle après Jésus-Christ. Forte de son patrimoine spirituel et liturgique unique, elle a toujours joué un rôle essentiel au Moyen-Orient et dans la diaspora, dont une partie est établie en France, notamment à Sarcelles.
Emmanuel Calasin, pour sa part célibataire, sera également ordonné.
L’Église catholique chaldéenne maintient une tradition riche et vivante, marquée par son rite araméen et une grande fidélité à Rome. L’ordination d’hommes mariés est une pratique historique dans toutes les Églises orientales catholiques, soulignant la diversité des expressions de l’Église catholique dans le monde.
L’Ordinariat des catholiques orientaux en France, institué en 1954 pour servir les fidèles des Églises orientales catholiques résidant sur le territoire français et n’ayant pas d’évêque propre, est engagé à promouvoir et soutenir de tels événements qui renforcent le lien entre les communautés orientales et occidentales de l’Église de France.
L’Œuvre d’Orient, au service des chrétiens d’Orient depuis près de 170 ans, voit en cette ordination un signe de vitalité et de continuité pour les chrétiens d’Orient, ici en France, et dans leurs pays d’origine.

Iraq, un censimento atteso da 27 anni. Salloum: passaggio ‘importante’ per il futuro

By Asia News
3 settembre 2024
Dario Salvi

Un passaggio atteso da 27 anni, in una nazione che ha vissuto sulla propria pelle alcuni degli eventi più drammatici della storia recente della regione mediorientale: dalla guerra lanciata dagli Stati Unti nel 2003 per destituire l’allora dittatore Saddam Hussein all’occupazione, dalla guerra civile fra le diverse anime all’invasione dello Stato islamico (SI, ex Isis), con il suo carico di morte e devastazione legato alla follia jihadista. Ecco perché il primo censimento nazionale indetto per il prossimo novembre dal primo ministro iracheno Mohammed Shia Al-Sudani, per il quale l’esecutivo ha annunciato due giorni di coprifuoco il 20 e 21 del mese in tutte le province, rappresenta un passaggio cruciale per il futuro.

Un passo ‘importante’
Saad Salloum, giornalista e professore associato di Scienze politiche all’università di al-Mustanṣiriyya a Baghdad, una delle più prestigiose della capitale, conferma ad AsiaNews il valore della decisione, necessario per stabilire gli equilibri interni. Una tappa essenziale, per una realtà in cui la componente settaria e confessionale determina la vita politica e istituzionale ed è stata, in passato come oggi, elemento di forte tensione e di conflitto. 
“Certo è molto importante - spiega - che l’Iraq possa finalmente effettuare un censimento complessivo della popolazione, e per la prima volta in 27 anni”.
Del resto, prosegue, “il governo e la comunità internazionale non hanno alcuna idea in merito al peso demografico e alle ripartizioni della popolazione irachena”, sui quali si fondano poi programmi e iniziative legate ai settori più svariati: dall’istruzione all’economia, gli investimenti e l’equilibrio di forze interne.
“È essenziale - avverte - determinare la ripartizione e il numero di giovani, di donne, di bambini”, come gli occupati e il mondo del lavoro, la scuola.
Attorno a questi numeri vengono indirizzate le politiche di un Paese, i partiti e le istituzioni chiamati a organizzare la prossima tornata elettorale entro quattro anni “con una nuova generazione al voto e un peso crescente nelle scelte del mondo dei giovani”.
L’ultimo censimento generale si è tenuto nel 1997 in 15 province del Paese, escluse le tre a nord che costituivano la regione autonoma del Kurdistan. In una riunione, presieduta dal premier Al-Sudani, sono stati discussi i preparativi in corso e sono emerse una serie di decisioni per facilitare l’iter di preparazione e formazione.

Guerre e conflitti interni
In passato il censimento della popolazione veniva effettuato di norma ogni 10 anni, ma dal 1997 un nuovo conteggio è slittato più volte, in particolare nel 2010 quando i preparativi sembravano avviati, a causa delle guerre, dei conflitti interni e della lotta per il controllo dei territori. Il censimento, oltretutto in una nazione dai fragili equilibri come quella irachena, è un esercizio complesso e delicato, dal cui esito possono dipendere le ripartizioni del potere. Esso, infatti, determina seppur indirettamente le quote settarie ed etniche basate sulla distribuzione della popolazione.
Inoltre, svolge inoltre un ruolo significativo nel conflitto in corso tra il governo federale e il Governo regionale del Kurdistan (Krg) sulle appartenenze demografiche in regioni contese come quella Kirkuk, ricca di petrolio e al centro di un’aspra contesa.
In preparazione del censimento, le autorità irachene hanno collaborato con il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa), firmando un memorandum di intesa a luglio. L’agenzia Onu ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa, affermando che “svolge un ruolo cruciale nel dotare l'Iraq di informazioni demografiche accurate, nel facilitare una efficace definizione delle politiche e nel promuovere una crescita inclusiva”.
Da qui il sostegno delle istituzioni internazionali a una nazione che ha sperimentato decenni di conflitti e violenze settarie, ma negli ultimi anni ha saputo trovare - seppure a fatica - una certa stabilità. Un lento processo di rinascita, dopo le devastazioni dell’Isis, per i suoi 43 milioni di abitanti testimoniato anche dalla visita di papa Francesco nel marzo 2021, primo viaggio apostolico del pontefice dall’inizio della pandemia di Covid-19.

La diaspora
In Iraq, spiega Salloum - già vincitore, primo musulmano, dello Zêd Foundation Award for Human Solidariy, riconoscimento assegnato a personalità distintesi nel campo della tutela dei diritti e delle libertà - è in atto da tempo una contrapposizione “fra maggioranza e minoranza”. Tuttavia, vi è una “grande incertezza sui numeri, in merito alle componenti e ai vari gruppi” e i numeri di cui disponiamo oggi “non corrispondono alla realtà. Per questo è essenziale un nuovo censimento - sottolinea - che dia un quadro preciso di turkmeni, cristiani, arabi, sunniti, sciiti, yazidi, delle diverse componenti e anime” finendo per coinvolgere “il bilanciamento stesso dei poteri e la loro ripartizione”. Una questione, aggiunge, che riguarda “gli stessi diritti politici, il Parlamento” in una nazione in cui “il peso dei poteri in gioco è una questione di numeri”.
Un ultimo elemento, sottolinea lo studioso, che sarà importante verificare grazie al censimento in programma a novembre sarà quello relativo al numero di iracheni della diaspora, coloro i quali negli ultimi decenni sono fuggiti all’estero a causa delle violenze o per trovare nuove opportunità. Un elemento significativo per le diverse componenti dell’Iraq, ma anche e soprattutto per la minoranza cristiana spesso perseguitata.
“Tutti i fattori in gioco sono importanti - sottolinea - ma uno dei dati più discussi è quello relativo al numero preciso di cristiani della diaspora, di quanti sono fuggiti dal Paese in questi anni dopo le guerre civili, in conflitto con l’Iran degli anni ‘80, l’invasione Usa del 2003 e Daesh [Isis]. “Abbiamo molte persone ormai al di fuori del Paese, che se ne sono andate. Un numero così elevato da formare quasi due popolazioni, una dentro e l’altra fuori dall’Iraq e anche questo è un elemento da valutare con attenzione - conclude Salloum - per avere una idea chiara della realtà e quanti milioni di iracheni hanno ormai lasciato la loro terra”.

Iraq: card. Sako ricevuto dal presidente del Kurdistan Barzani

By AgenSIR - Patriarcato caldeo
23 agosto 2024

Nella giornata di ieri, il presidente del Kurdistan, Massoud Barzani, ha ricevuto a Erbil il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, capo della Chiesa caldea in Iraq e nel mondo, accompagnato dal suo vicario, l’arcivescovo Basileos Yaldo. Durante l’incontro, secondo quanto riferito dal patriarcato caldeo, il card. Sako “ha elogiato il ruolo del presidente Barzani e i suoi sforzi per proteggere la componente cristiana, sostenere le loro richieste e rassicurarle per garantire il loro futuro nella Regione del Kurdistan e in Iraq, rilevando che le comunità cristiane residenti al di fuori dell’Iraq e della Regione del Kurdistan nutrono sentimenti di ringraziamento e gratitudine per le posizioni del presidente Barzani”.
Dal canto suo il presidente Barzani ha ribadito che “i cristiani e tutte le componenti religiose e nazionali del Kurdistan sono parte integrante del nostro popolo. Difendiamo i loro diritti con tutti i mezzi, e questo per noi è un principio costante e incrollabile”. Durante il colloquio si è parlato anche della situazione politica in Iraq.

15 agosto 2024

À Bagdad prière pour la Paix au Proche-Orient

By Fraternité en Irak
14 août, 2024

À Bagdad, ce 14 août, a eu lieu une très forte prière pour la Paix au Proche-Orient réunissant autour du Patriarche des chaldéens Louis Sako, le Premier ministre Mohamed Shia al Soudani et Ammar al Hakim.
Après avoir tant souffert de la guerre l’Irak prie pour la paix…



12 agosto 2024

Stolen lives, stolen Homes: the plight of Iraqi Christians

August 7, 2024

The Christian community in Iraq, particularly in the northern city of Kirkuk, has lived for centuries in peaceful coexistence within the country's diverse population. Known for their kindness and serene nature, these communities have been an integral part of Iraq's rich history, with their roots tracing back to ancient civilizations like the Assyrians and Chaldeans.

Mass Displacement And Immigration
The 2003 US-led invasion marked a turning point for Iraq's Christians. Waves of targeted attacks, including bombings of churches and monasteries, kidnappings, and assassinations of clergy members perpetrated by extremist groups, sent shockwaves through the community. Many Christians found themselves caught in the crossfire of sectarian violence that engulfed the country between 2006 and 2008.
As security deteriorated across Iraq, emigration became a desperate measure for many Christians seeking to escape the escalating violence. The Islamic State (ISIS) group, which emerged in 2014, dealt another devastating blow to the Christian community, forcing thousands to flee their homes in Nineveh Plain and other areas under the extremist group's control. The mass displacement and persecution inflicted by ISIS have raised serious concerns about the long-term survival of Iraq's Christian minority.

Baghdad Is My Home
Faiza Johnson, a 65-year-old Christian woman who has called Baghdad home for over six decades, said she never imagined leaving her hometown despite the numerous challenges she has faced. Her snow-white hair, she says, is a testament to the sweet and bitter memories she has accumulated over the years, particularly during the US occupation and the sectarian violence that followed.
When ISIS swept through Iraq in 2014, forcing thousands of Christian families to flee their homes, Johnson remained steadfast in her Baghdad neighborhood of al-Karrada. However, the trauma of those years eventually led her and her siblings to leave the country temporarily. Upon their return, they discovered that their family home had been sold, and they were forced to evacuate.
"My love for Baghdad is indescribable," Johnson said. "I never thought about leaving Baghdad, but my family, a son and a daughter, decided to immigrate to America in 2014. They live there now, but I am staying with my sister at our house in al-Karrada. We traveled outside of Iraq for two years, and when we returned, we found that a different family was living in our home. They told us they had bought the house from a real estate agent. After years of legal battles, we regained ownership of the property and eventually sold it before settling in Kirkuk."

Less than a thousand in Kirkuk
The Chaldean Catholic Church in Kirkuk and al-Sulaymaniyah has played a crucial role in supporting the Christian community in the region, according to Archbishop Yusuf Toma. Speaking to Shafaq News Agency, Toma said the church provided aid and assistance to both displaced Christians and other minority groups.
Following the ISIS attacks, nearly 350 Christian families from Nineveh sought refuge in Kirkuk, along with Yazidi, Sabean, and Muslim families. "The church provided care for these displaced families," Toma said, adding, "We also supported 700 students from these families and helped them complete their higher studies. They have now become leaders in their hometowns and villages in the Nineveh Plains."
Similarly, the church in al-Sulaymaniyah welcomed around 500 Christian families. While many have returned to the Nineveh Plains now, approximately 70 families remain displaced after the destruction of their homes on the left bank. Additionally, 60 Christian families displaced to al-Sulaymaniyah from the right bank of Nineveh have also been unable to return.
"The Christian presence in Kirkuk is an integral part of the governorate's diverse population," Toma emphasized. "Our community of around a thousand families lives harmoniously with other communities. However, the exodus of Christians began in earnest after 2003, with hundreds of families migrating to European countries, America, Australia, and elsewhere due to violence and deteriorating security conditions. The targeting of our community by terrorist groups has significantly impacted our numbers."

The Role Of Church
"The church has implemented three projects: the first was equipping the cancer center with modern devices worth 170 million dinars, and the second was building an autism center in the children's hospital at a cost of 300 million dinars," Toma said.
A third project, a thalassemia center for genetic blood disorders, is nearing completion and will soon be handed over to the Kirkuk Health Department.
These initiatives, Toma asserted, are designed to serve all residents of Kirkuk, regardless of their religious or ethnic affiliation. By addressing pressing healthcare needs, such as cancer, autism, and thalassemia, the church is making a tangible difference in the lives of countless individuals and families, he said.

Usurping Christian houses
Emad Matti, the media official of the Chaldean Church in Kirkuk, told Shafaq News that "in Kirkuk alone, 89 properties have been seized by individuals, influential people, and parties. One party is still occupying a Christian's house and refuses to leave."
"The church has managed to recover 63 properties, which are houses and lands abandoned by their owners after they left and traveled outside Iraq. We are working to recover the remaining properties that have been seized in Kirkuk and return the rights to their Christian owners."
He assured that "the Chaldean Church is working to prevent any continued violations of the properties of displaced Iraqis in Kirkuk and other provinces, as there are those who are working with influential parties to sell the properties of Christians, and this has happened on many occasions."
Wael Korkis, a 72-year-old Christian who fled to Europe, told Shafaq News that his family home in Baghdad's al-Karrada district was sold illegally while they were abroad. "Our signatures were forged," he said. "We tried to reclaim it through the courts, but powerful people had forged the documents."
"Many houses that have been seized in the same way: by transferring the ownership from the original owner to a second name who ultimately sells it. They are a network of forgers who buy and sell the properties of Christians in Baghdad and other governorates. On the other hand, trying to recover any property belonging to Christians is a very complicated and cumbersome procedure. However, a law prohibits selling and buying properties owned by Christians in Iraq."
Real estate agents, like Salem Shukri, admit the industry has been tainted by corruption. "Many people working in real estate who are involved in selling the properties of Christians, in collaboration with corrupt government servants," he said. "However, for some time now, both buying and selling properties owned by Christians throughout Iraq has been almost completely halted."