"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

18 giugno 2024

Iraq’s historic Christian heartland recovering from ISIS occupation


Thousands of Christians have returned to their homes in the historic Christian heartland of Iraq and are rebuilding their lives, including once again living out the Sacraments of the Catholic Church, after fleeing a decade ago from the ISIS takeover.
The Islamist extremist group captured Mosul and the villages to the north and east of the city in June of 2014, prompting a mass exodus of Christians and Yazidis. About 9,000 Christian families have managed to return to their homes on the Nineveh Plains surrounding the city in Iraq’s historic Christian heartland.
Speaking to Aid to the Church in Need (ACN), Chaldean Archbishop Bashar Warda of Erbil, the capital of the Kurdistan region in Iraq, explained that the occupation of Mosul left Christians on the Nineveh Plains vulnerable, and on 6 August 2014, prompted by further ISIS aggression, the entire Christian population fled to Iraqi Kurdistan.
The archbishop told ACN that 13,200 Christian families had fled to his archdiocese in Iraq’s autonomous Kurdistan region. He said he was grateful to the international community for providing emergency aid and helping to rebuild the destroyed villages, making it possible for thousands of Christian families to return to their native land, with “everyone working towards one goal”.
“All those sad and terrifying memories are still there, but at least [the Christian families] can start building and see that the future is in [their] hands,” he told the Catholic aid agency.
The archbishop said the “churches are filled again” and “there are so many children” receiving catechesis and preparing for their First Holy Communion.
 Warda went on to highlight the special role of the Catholic University of Erbil – Iraq’s only Catholic university, established in 2015 and supported by ACN – in nurturing Christian unity in the region.
He said that his community still needs all the help it can get to “keep the flame of the Christian faith shining” in Iraq’s historic Christian heartland, adding “I ask my people just to be patient and persevere”.
Warda explained to ACN that, despite the end of the ISIS occupation, many Christians have either left or are planning to leave the country because of the ongoing economic hardship, and that young people “ask for jobs, not just to receive donations”. He added that, even though persecution is no longer the main concern for Christians in the area, “the pressure of being a minority is real”.
He urged the international community not to forget Iraq’s suffering Christians “in the midst of so many crises around the world”. The archbishop said that he “would love to see” the UK government and other world leaders remind Iraqi politicians that they “care about the minorities – Christians, Yazidis, and the rest”.
The Chaldean Bishop of Alqosh, Paul Thabit Mekko, told the Vatican’s Fides news agency that many Christians still feel that the period of ISIS rule in Mosul remains a huge trauma that has left a deep scar in the city, and so remain unsure about returning.
“We do not know if the situation will change,” Mekko said. “Today many live in Ankawa, the district of Erbil inhabited by Christians. They feel safer there; there are more opportunities to work. They do not think of returning to a city that has changed a lot since [that] time.”
He added: “They would not recognise it.”

11 giugno 2024

Il patriarca caldeo, Cardinale Louis Raphael Sako, torna a vedere riconosciuto il suo ruolo di capo della chiesa e garante dei suoi beni


Il patriarca caldeo, Cardinale Mar Louis Raphael Sako, ha ricevuto oggi nella sede patriarcale di Baghdad Hazem Watan e Qahtan al-Kaabi, consiglieri del primo ministro iracheno Mohammed Shia al-Saudani.
I due esponenti politici erano latori di una lettera a firma dello stesso primo ministro con la quale si riconosce la validità del decreto di tradizione plurisecolare che vuole che il patriarca sia a capo dei fedeli della sua chiesa in Iraq e nel mondo ed anche garante dei beni della stessa chiesa.
Il decreto infatti era stato ritirato nel luglio dello scorso anno per decisione del presidente della repubblica irachena, Abdul Latif Rashid, che aveva di fatto annullato la decisione in proposito presa dal suo predecessore, appellandosi alla sua incostituzionalità visto che nel 2018 le autorità giudiziarie e costituzionali avevano stabilito che il presidente della repubblica non avesse il potere o l'autorità di emanare decreti che riguardassero i capi delle denominazioni religiose.
La decisione del presidente fu, ovviamente, contestata dal patriarca che per farlo si appellò alla storia plurisecolare del riconoscimento del patriarca come capo della chiesa e responsabile dei suoi beni che risale addirittura al periodo della dominazione ottomana, e sottolineò come un attacco così diretto e grave da parte del governo al maggior rappresentante di una chiesa avrebbe potuto favorire la decisione dei suoi fedeli di abbandonare il paese.
Seguirono mesi infuocati, il patriarca Sako a metà settembre si trasferì ad Erbil, nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, e non mancò di accusare più volte il presidente di essersi piegato alla volontà di Rayan il Caldeo, il capo della Brigata Babilonia da lui avversato fin dai suoi esordi sulla scena irachena.
Quando nel 2014 i miliziani dell'ISIS guidati da Abu Bakr al Baghdadi conquistarono prima Mosul, esattamente il 10 giugno, ed ad agosto i villaggi cristiani della Piana di Ninive la massima autorità sciita del paese, quell'Ayatollah Ali al.Sistani che nel 2021 avrebbe ricevuto con tutti gli onori Papa Francesco in visita apostolica in Iraq, si appellò ai suoi fedeli perché li combattessero e così nacque un'organizzazione formata quasi interamente da milizie sciite ma anche da una cristiana, la Brigata Babilonia, appunto, guidata da Rayan il Caldeo che fin da subito venne sconfessata dal patriarcato.
Combattere contro i miliziani dell'ISIS era giusto, ma sarebbe stato meglio farlo nell'abito degli eserciti iracheno o curdo e non in una brigata la cui stessa esistenza avrebbe rischiato di attirare maggiori violenze sui cristiani vista la sua composizione confessionale. Seguirono mesi di accuse reciproche ma Rayan il caldeo non perse terreno ed anzi, nelle elezioni del 2021, il braccio politico della Brigata Babilonia conquistò 4 dei 5 seggi riservati alla minoranza cristiana ed un ministero, anche se non di primo piano, nel nuovo governo. Una vittoria ottenuta, sempre secondo il patriarcato, grazie non ai voti dei cristiani ma a quelli di elettori di fede sciita, la confessione che di fatto controllerebbe la Brigata ed il Movimento Babilonia il cui scopo sarebbe quello di creare un'enclave cristiana nella Piana di Ninive e per i quali il revocare al patriarca Sako il diritto al controllo dei beni della chiesa era un passo necessario allo scopo.
Alla luce della notizia appena battuta della lettera del primo ministro che riconferma il decreto che vuole il patriarca caldeo a capo della chiesa in Iraq e nel mondo e responsabile dei suoi beni è ancora presto per spiegarne i motivi che l'hanno giustificata e certamente saranno di più di quelli che ufficialmente verranno dichiarati.
Di certo c'è che con il pieno riconoscimento del suo ruolo ed il suo ritorno nella sede patriarcale di Baghdad il patriarca Sako potrà concentrare ora maggiori energie nella sua battaglia storica: la sopravvivenza in patria della comunità irachena cristiana in generale e cattolica caldea in particolare. 
Una comunità, quest'ultima, che già ieri, il giorno prima della notizia sul decreto quindi, aveva avuto quella del prossimo sinodo che si svolgerà a Baghdad tra il 15 ed il 19 luglio prossimi. 

Ed un sinodo non si può svolgere senza il patriarca a presiederlo. 

Mosul Eye: dieci anni dopo l’Isis, gli occhi di un popolo ferito che rinasce

Dario Salvi

Ricorrono in questi giorni i 10 anni dall’ascesa dell’Isis a Mosul, con la successiva espansione lungo la piana di Ninive sino a conquistare metà dei territori di Siria e Iraq in un biennio. Un anniversario che, nonostante la successiva sconfitta del movimento islamista nel nord dell'Iraq, per tante ragioni rappresenta ancora una ferita aperta, con la lotta all’ideologia radicale che rimane un problema irrisolto. Lo sostiene oggi in una lunga riflessione pubblicata sul sito del patriarcato, il primate caldeo card. Louis Raphael Sako che parla di “eventi dolorosi impressi nella memoria”.
Per impedire che tragedie analoghe si ripetano in futuro, il presule torna ad auspicare “soluzioni durevoli” partendo da politiche di sviluppo che fermino l’esodo dei cristiani. A questo il porporato unisce la lotta alle milizie, lo studio della storia cristiana e la costruzione “di uno Stato che sia davvero civile e democratico”. Per ricordare il decennio trascorso da una delle pagine più buie della storia moderna non solo dell’Iraq, ma dell’intera comunità globale, AsiaNews ha intervistato Omar Mohammed, autore di Mosul Eye. Una delle rarissime voci che, al rischio della vita, in quei giorni terribili si spese per testimoniare l’abisso di brutalità e barbarie dei miliziani.

“Si poteva evitare?”. Vi era una possibilità per scongiurare il collasso di Mosul e “il drammatico impatto” sulla sua popolazione, sulla sua “struttura sociale” che ne è uscita stravolta, sulla sua storia che “è cambiata per sempre?”.
Sono gli interrogativi che pone, a 10 anni di distanza dall’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis), lo studioso, citizen journalist e blogger Omar Mohammed che attraverso la pagina “Mosul Eye” ha raccontato le atrocità commesse dai jihadisti in città. AsiaNews lo ha raggiunto al telefono in una località che chiede di mantenere segreta per sicurezza, ripercorrendo con lui le fasi drammatiche della caduta della metropoli del nord, il regno del terrore e la sconfitta militare per l’offensiva dell’esercito iracheno col sostegno degli Stati Uniti.
“Gli occhi” con i quali la popolazione ha testimoniato, e raccontato per quanto possibile, la tragedia che si stava consumando “sono stati la nostra forma di resistenza all’Isis” racconta lo studioso, “così ci siamo contrapposti e abbiamo resistito” portando ancora oggi impresso sul volto il marchio della sofferenza. “Quando ho incontrato per quasi un’ora in privato papa Francesco [nel viaggio apostolico del marzo 2021] - ricorda - ha pronunciato una frase che mi ha inquietato: guardandomi ha detto di poter dare un volto alle sofferenze di un popolo”. Il pontefice ha reso evidente quanto il dramma di Mosul, le ferite sarebbero state per sempre “parte del mio volto”.

Mosul, 10 anni dopo
A un decennio di distanza la metropoli del nord è una realtà che cerca di ripartire dopo le devastazioni jihadiste, grazie anche alla ricostruzione dei suoi monumenti più celebri - dalla moschea di al-Nouri alla chiesa dell’orologio - aprendosi pure al turismo. “L’autobomba contro il quartier generale dell’esercito” ai primi di giugno del 2014 rappresentò “la svolta”, perché “da quel momento tutto è collassato e la nostra storia è cambiata per sempre” afferma Omar Mohammed. “Proprio in questi giorni - aggiunge - ho ripensato a quei momenti e sono caduto in una profonda crisi depressiva, perché non riuscirò mai a capire il livello di brutalità che hanno portato” unito al “disprezzo per tutto quello che la natura umana rappresenta”.
In passato la “capitale del nord”, soprattutto in seguito all’invasione statunitense del 2003, aveva già registrato fasi di violenza e attacchi di matrice estremista. Fatti di sangue che avevano coinvolto anche i cristiani, come testimoniano le morti di p. Ragheed Ganni nel 2007 e il sequestro un anno più tardi, concluso col ritrovamento del cadavere, dell’allora arcivescovo caldeo mons. Paul Faraj Rahho.
“Quelli erano episodi - spiega il blogger e studioso - ma dopo che Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico] ha assunto il controllo la brutalità è diventata sistematica, parte del sistema di governo”. “Dopo la caduta dell’Isis - prosegue - ho avuto accesso agli archivi e ho potuto osservare come la loro idea di governo fosse proprio mirata a imporre un modello di brutalità sulle persone, un metodo radicato nello Stato islamico”.

Occhi per raccontare il terrore
Negli anni di dominio jihadista “Mosul Eye” ha svolto un ruolo di primo piano nel denunciare le violenze: un blog a lungo anonimo, che solo dopo la liberazione della città nel luglio 2017 ha avuto un nome e un volto. Per oltre due anni e mezzo Omar Mohammed si è rivelato una delle pochissime fonti affidabili documentando la vita sotto l’Isis, decapitazioni, devastazioni e massacri a sfondo etnico e confessionale su Facebook, Twitter e Wordpress quando i social erano irraggiungibili. Il gruppo estremista ha conquistato la metropoli e i villaggi del nord Iraq fra il 4 e il 10 giugno 2014, innescando un esodo massiccio di cristiani, yazidi e altri gruppi etnici perseguitati. Nelle settimane successive ha esteso il dominio sulla piana di Ninive, innescando una emergenza umanitaria con centinaia di migliaia di persone in fuga. “Ripensando a quel periodo - racconta - emerge con maggiore chiarezza il lavoro di ‘Mosul Eye’, senza il quale non vi sarebbero state altre fonti ad eccezione della narrativa ufficiale Isis”. Oggi, invece, la città “ha una propria storia da raccontare, e questo è l’aspetto più importante: la popolazione di Mosul ha avuto occhi per testimoniare”, non ha distolto lo sguardo da una realtà tragica facendo del racconto “una forma di resistenza” al califfo Abu Bakr al-Baghdadi e ai suoi uomini. Perché questo orrore fatto di decapitazioni, esecuzioni, fosse comuni, “campi sterminio” e minorenni giustiziati per aver ascoltato musica “non rimanesse nascosto e non andasse perduto, dimenticato”.
Un’opera, riletta a posteriori, che è “molto importante anche per il futuro della città” ponendo le basi per una vera ricostruzione che non è solo delle infrastrutture, delle chiese, delle moschee, degli edifici e delle attività artigianali o imprenditoriali, ma prima di tutto sociale, umana. “Le persone - spiega - hanno la tendenza a rimuovere, ad andare avanti con la propria vita. Ecco perché ho lanciato un progetto di raccolta delle testimonianze orali incontrando cristiani, musulmani, yazidi, registrando la loro storia personale e collettiva, preservandola per le generazioni future. Persone che vogliono ricordare, perché questo non accada più” come i Killing fields o la prigione di Tuol Slegn in Cambogia, i campi di concentramento “come Mauthausen che ho visitato di recente”. Al riguardo egli propone due esempi: da un lato “il tentativo di proteggere e conservare gli edifici usati dall’Isis per i massacri”, evitando che vengano “distrutti come ha fatto il governo con quello in cui avvenivano le esecuzioni”. Vi è poi la memoria di persone che si sono sacrificate, fra le quali il professore universitario musulmano Mahmoud Al ‘Asali morto per salvare i cristiani. “La nostra missione, oggi, è fare in modo che le persone ricordino. Per questo la sua famiglia ha voluto donare i suoi testi, libri e manoscritti alla biblioteca di Mosul al cui interno vi è un angolo a lui dedicato”.

Il papa, la memoria e l’inclusione
A distanza di 10 anni dall’ascesa dell’Isis il quadro di Mosul resta “complicato”, vi è “molto da fare” e per molti “la ferita è ancora aperta”. “Serve lavorare per dar vita a un sistema sociale in cui non vi sia solo la diversità, ma anche l’inclusione” sottolinea Omar Mohammed, insistendo su quest’ultimo elemento come fattore chiave per una vera ricostruzione. “Una inclusione - aggiunge - grazie alla quale religione o etnia non siano più elemento di paura o fattore scatenante di violenza” per cristiani e musulmani, per sunniti o sciiti, per gli yazidi e altre minoranze dell’area. A questo egli aggiunge la necessità di controllare “le milizie sciite” attive a Mosul come nella piana di Ninive, le quali spesso sono fonte di o alimentano illegalità e nuove violenze etnico-confessionali, un elemento già denunciato in questi anni dai leader cristiani.
Fra i momenti più significativi della fase di rinascita post-Isis, il blogger evidenzia la visita di papa Francesco nel marzo 2021, il suo incontro personale “durato quasi un’ora” col pontefice e “lo scatto che tengo sulla mia scrivania come ricordo prezioso”. “La sua presenza [in una fase storica ancora segnata da chiusure e restrizioni ai viaggi per la pandemia di Covid-19, ndr] ha creato un senso di fiducia fra comunità, perché - racconta - ha voluto incontrare cristiani, musulmani, yazidi, inviando un messaggio di speranza, di guarigione”. Dell’ora trascorsa assieme ricorda una frase in particolare che “mi ha inquietato: dopo avermi visto, il papa ha detto che ‘Adesso posso dare un volto alle sofferenze della popolazione di Mosul’. Grazie alle sue parole - prosegue - è diventato chiaro anche per me quanto le sofferenze [sotto Daesh] fossero impresse per sempre nel mio volto”. Al contempo, la visita ha lasciato un senso di “orgoglio” profondo.
Lo studioso ha avviato e sostenuto personalmente in questi anni quattro progetti: la biblioteca; la raccolta orale e scritta di documenti, storie e testimonianze; il tentativo di preservare l’eredità ebraica di Mosul ricostruendone la presenza in passato (fuggiti o espulsi fra il 1948 e il 1950 dopo la nascita di Israele); il piano di rimboschimento per restituire un volto “verde” alla città. “Quattro iniziative con quattro prospettive diverse - afferma - e l’obiettivo comune di riunire la società, creare nuovi legami”. “Ancora oggi vi sono segni del passaggio dell’Isis: la radicalizzazione, l’ideologia estremista in alcuni ambiti e non dobbiamo illuderci che sia sparita. Da qui dobbiamo ripartire e lavorare - conclude - per rafforzare l’istruzione, alimentare la cultura della vita con una particolare attenzione ai giovani, alle generazioni future, secondo il principio dell’inclusività”.

Iraq: 10 anni fa Isis invadeva Mosul. Card. Sako (patriarca):”Costruire uno Stato civile”

Daniele Rocchi

Il 10 giugno 2014 lo Stato Islamico (Isis) dichiarava l’istituzione di un califfato islamico a Mosul introducendo la legge islamica. Qualche settimana dopo (17 luglio) i cristiani locali furono costretti a scegliere tra lasciare la città, pagare la tassa di protezione (jizya) o affrontare l’esecuzione e la confisca delle loro proprietà. Tre giorni dopo sulle case dei cristiani rimasti cominciò ad apparire la lettera “ن” (n) ad indicare i “nazareni”, seguaci di Gesù. Era l’anticamera della grande fuga avvenuta nella notte tra il 6 e il 7 agosto di circa 120.000 cristiani che, dalle città e dai villaggi della Piana di Ninive, raggiunsero il più sicuro Kurdistan (Ankawa-Erbil, Dohuk, Zakho e Sulaymaniyah), lasciando in fretta e furia le loro proprietà che sarebbero state poi saccheggiate e depredate dai miliziani dell’Isis e, in diversi casi, anche dai loro vicini musulmani.
A distanza di 10 anni, e nonostante i loro territori siano stati liberati nel 2017 e le loro case, scuole e chiese rimesse in piedi dalle Chiese locali sostenute da agenzie umanitarie, “solo il 40% dei cristiani ha fatto rientro a Mosul e nei loro villaggi della Piana di Ninive”, denuncia il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, in una sua nota. Si tratta di qualche centinaio di persone, una minoranza rispetto a tutti coloro che hanno scelto stabilirsi permanentemente nella regione del Kurdistan.
Iraq svuotato dei cristiani. Le ragioni di questo mancato rientro dei cristiani e della conseguente fuga all’estero, secondo Mar Sako, vanno ricercate nella “mancanza di fiducia in un futuro stabile e sicuro, nella presenza di milizie e gruppi paramilitari nei loro luoghi di origine, nelle difficoltà nel trovare lavoro” e in problemi con le leggi, non ultima la norma che stabilisce che, “quando uno dei genitori si converte all’islam, anche il figlio deve essere registrato come musulmano”. A testimonianza di questa situazione, il patriarca caldeo ricorda anche che, “tra il 2003 e il 2023, circa 1.275 cristiani sono stati uccisi in Iraq”.
Tra loro anche sacerdoti, come padre Ragheed Ganni, e l’arcivescovo di Mosul, mons. Paulos Faraj Rahho. Nello stesso periodo 85 chiese e monasteri tra Baghdad, Mosul e Bassora sono stati bombardati da estremisti e dall’Isis, 23mila le case dei cristiani e di altri membri di minoranze occupate
Soluzioni concrete. “Senza soluzioni concrete e permanenti”, afferma il card. Sako, “l’esodo dei cristiani non si arresterà e l’Iraq si svuoterà dei suoi abitanti originari che simboleggiano l’autenticità e la profondità storica e culturale dell’identità irachena”. Per questo motivo, tra le proposte avanzate dal patriarca alle istituzioni del Paese, quelle di “inserire la storia dei cristiani iracheni nei programmi scolastici, di ritirare le milizie dal territorio e affidare la sicurezza alla Polizia federale e a quella urbana, come prevedono le leggi costituzionali”. Un punto molto a cuore a Mar Sako è la denuncia “dell’incitazione all’odio. Coloro che vi fanno ricorso, anche sui social, devono essere condannati”.

Piana di Ninive, Iracheni in fuga da Isis
In questo ambito “un ruolo importante” lo giocano quei “leader religiosi rispettati che hanno un grande impatto nella diffusione dei valori umani e nazionali comuni e nella preparazione di una generazione istruita e illuminata”.
“Per costruire uno Stato vero, democratico e civile, che restituisca speranza ai cittadini – afferma il cardinale – il governo e i partiti politici devono eliminare le tensioni settarie e coinvolgere i cittadini di tutti gli schieramenti e componenti religiose e nazionali educandoli alla lealtà assoluta verso la patria, elevandosi verso nuovi orizzonti, in modo da raggiungere sicurezza, stabilità e crescita e trattando con le ‘minoranze’ secondo il principio di cittadinanza e uguaglianza”.
“In questo modo – conclude – si favoriranno le competenze, le élite saranno incoraggiate a ritornare nel Paese, cresceranno investimenti e opportunità di lavoro. Tutto ciò contribuirà alla ricostruzione e alla prosperità del Paese e collocherà l’Iraq nel consesso delle nazioni civili”.

Christians are gripped by anxiety on the tenth anniversary of their displacement (2014), and the exodus continues

June 10, 2024

Cardinal Louis Raphael Sako

Painful events remain deeply embedded in minds.

What happened was unimaginable. On June 10, 2014, the Islamic State (ISIS) declared an Islamic caliphate in the city of Mosul and began enforcing Islamic law. On July 17th, Christians were forced to choose between leaving the city, paying a jizya tax, or facing execution and confiscation of their property.
On July 20th the remaining Christians fled the city of Mosul, on their doors were marked the letter “ن” (nun), denoting Nazarenes (Christians). On the night of August 6-7 of the same year Around 120,000 Christians fled the cities and villages of the Plain of Nineveh with just their clothes leaving their properties behind to be looted and plundered by ISIS members and even some of their neighbors.
Most of the displaced sought refuge in the safe cities of the Kurdistan Region of Iraq, where they were sheltered by Chaldean churches, which remain a source of strength for Christians, in Ankawa/Erbil, and the cities and villages of Dohuk, Zakho, and Sulaymaniyah. For three years, all churches supported by charities, provided them with housing, food, and education for their children.
Although their territories were liberated in 2017, and the efforts of churches and charities to rehabilitate their homes, schools, and churches, with their support, only 40% have returned (according to Chorbishop Raed Kallo about 120 Persons out of 50.000 in Mosul and according to Father Shaher Noury, 52 poor Family’s out of 800 in Telkef).
Due to a lack of confidence in a stable and secure future in their original places The rest have either left the country or settled permanently in the Kurdistan Region, which welcomed them, Some churches (Non Chaldeans) have even moved their headquarters and built dedicated churches in the Kurdistan Region.
This trauma remains firmly embedded in their minds. What made it even worse after their displacement was the violations that forced them to emigrate and threaten their presence in their homeland. For example: militia\paramilitary groups dominance in their areas, exclusion from jobs due to the quota system, irregular salaries for the employees of Kurdistan Regional Government, issues with legal status law, in case one of the parents converted to Islam, their child will automatically be registered as Muslim and the seizing of their resources and properties by mobbing political entities.

Some statistics:
Between 2003 and 2023, approximately 1,275 Christians were killed in various violent incidents across Iraq.
Several clergymen were kidnapped and executed in Mosul and Baghdad, including Paulos Faraj Rahho the Chaldean Archbishop of Mousel, and Fathers Polis Ragheed Ganni, Youssef Iskandar, Youssef Adel Fathers Thair Abdallah and Wassim Sabeh during the massacre at the Church of Sayidat al-Nejat Cathedral (2010).
85 churches and monasteries in Baghdad, Mosul, and Basra were bombed by extremists and then ISIS.
23,000 homes and properties of Christians and other minorities were occupied. This is documented in case the government takes action to rectify the situation.
Their numbers were reduced due to the emigration of over one million Christians.

Towards Permanent Solutions
It is crucial for Iraqis to recognize that if the situations remain as they are currently, without real solutions, and the exodus continues, Iraq will be emptied of Christians, who symbolize the authenticity and historical and cultural depth of Iraqi identity. Their history should be included in the curriculum of Iraqi public schools. Despite their wounds, Christians remain attached to their country and their church and their mission.

1- We expect from The political governors to admit the unique identity of the traumatized people of the Nineveh Plains towns and respect their heritage. They also expect the withdrawal of dominant militias from their areas and the handover of the security matter to the federal police and guards from their towns, all according to applicable legal and constitutional laws.
2- The exclusionary ideology does not benefit Islam. The ideology of ISIS and many similar fanatic groups needs to be dismantled, as it is an extremist ideology that eliminates everything that differs from them in life and religion. They use violence, murder, and the violation of human dignity. They don’t understand that the world has changed, and religious, sectarian, and cultural diversity and freedom of expression are now recognized global values. Those who incite hatred and violence must be criminalized and condemned. Similarly, hate speech and Sermon against religions, especially those seen on many social media platforms, must be addressed. Here, we emphasize the important role of respected religious leaders who have a great impact in spreading common human and national values and preparing an educated and enlightened generation.
3- For establishing Building of a true, democratic, civil state, what restores hope to citizens, regardless of their affiliations, is for the government and serious political parties to work on developing a roadmap to reform matters and build a true, democratic, civil, independent, and strong state that transcends sectarian tensions and embraces all citizens of all spectrums, religious and national components alike, based on a just constitutional foundation.
It is based on giving priority to education, educating its citizens and raising them on absolute loyalty to the homeland, and rising to new horizons, in a way that achieves security, stability, and growth.
There is a need to change the current educational curricula. According to this constitutional Law, the government muss deals with “minorities” on the principle of citizenship and equality, preserving their rights, and providing them with a decent living.
This suitable environment will encourage competencies and elites to return to the country, attract investments and create job opportunities, contribute to the country’s reconstruction and prosperity, and place Iraq among the ranks of civilized countries.

A 10 anni dall’inizio dell’occupazione jihadista, a Mosul sono tornate meno di 50 famiglie cristiane

Gianni Valente

Mosul, 10 anni dopo. Era il 10 giugno del 2014 quando i miliziani jihadisti dello Stato Islamico riuscirono a fra sventolare le loro bandiere nere su tutta la seconda città irachena, mentre le truppe governative si ritiravano dalla metropoli. Prima dell’arrivo dei jihadisti, a Mosul vivevano almeno 1200 famiglie cristiane.
Mosul è stata sottratta allo Stato Islamico dal 2017. Da allora, i cristiani fuggiti che hanno fatto stabile ritorno alle loro case sono pochissimi. “Sono circa 30-40 famiglie, spesso non complete. Molti sono anziani. Diverse famiglie vanno e vengono da altri posti, non rappresentano una presenza stabile e che si riesce a notare” conferma all’Agenzia Fides Paolo Thabit Mekko, Vescovo caldeo di Alqosh.
I giorni della conquista jihadista di Mosul vengono ricordati come l’inizio di un tempo pieno di traumi e dolore, che sembra aver mutato profondamente il profilo di una città un tempo descritta come luogo di convivenza tra diverse comunità di fede, compresa quella che viene riconosciuta come una delle più antiche comunità cristiane del mondo.
Fino a due decenni fa, i cristiani a Mosul erano più di 100mila, inseriti in un tessuto sociale in cui la maggioranza sunnita conviveva con sciiti, yazidi e altre minoranze. Il numero dei cristiani era iniziato poi a diminuire dopo l’intervento militare a guida USA che nel 2003 aveva portato alla caduta del regime di Saddam Hussein. Da allora erano aumentate le violenze di matrice settaria.
Nel giugno di 10 anni fa, molte famiglie cristiane avevano lasciato Mosul già prima della conquista completa della città da parte dei miliziani di Daesh. Il 12 giugno, l’allora Arcivescovo caldeo di Mosul, Amel Shimon Nona, confermava all’Agenzia Fides che la stragrande maggioranza delle 1.200 famiglie cristiane aveva lasciato la città. Lui stesso e i suoi sacerdoti avevano trovato riparo nei villaggi della Piana di Ninive come Kramles e Tilkif, a poche decine di chilometri da Mosul. Allo stesso tempo, l’Arcivescovo Nona smentiva le voci su attacchi alle chiese operati dagli uomini di Daesh. “La nostra chiesa dedicata allo Spirito Santo” riferiva allora a Fides l'Arcivescovo “è stata saccheggiata da bande di ladri ieri e l'altro ieri, mentre la città veniva presa da Daesh. Ma le famiglie musulmane residenti nei dintorni hanno chiamato proprio i miliziani islamisti, che sono intervenuti ponendo fine al saccheggio. Le stesse famiglie musulmane ci hanno telefonato per farci sapere che adesso si sono messe loro a presidiare la chiesa, e che non faranno tornare gli sciacalli”.
Nelle settimane successive, proseguì l’esodo di migliaia di cristiani da Mosul. Le loro case vennero “segnate” insieme quelle degli sciiti come dimore che potevano essere espropriate dai miliziani e dai nuovi adepti dello Stato Islamico. Due suore e tre ragazzi vennero temporaneamente sequestrati dai jihadisti. Poi, a gennaio 2015, i miliziani dell'autoproclamato Califfato espulsero da Mosul 10 anziani cristiani caldei e siro-cattolici rastrellati dai villaggi della Piana di Ninive e temporaneamente ospitati nella seconda città irachena, dopo che aver rifiutato di abiurare la fede cristiana e di convertirsi all'islam.
Durante l’occupazione jihadista, Mosul divenne la capitale irachena dello Stato Islamico. Un anno dopo, nel giugno 2015, Daesh controllava un terzo dell’Iraq e quasi metà della Siria, minacciava la Libia, godeva della affiliazione di decine di gruppi armati in Medio Oriente e Africa.
L’operazione militare messa in atto per por fine al dominio jihadista di Mosul nel 2017 è durata mesi è ha avuto fasi estremamene cruente.
A distanza di 7 anni – ripete il Vescovo Paolo Thabit Mekko all’Agenzia Fides – “credo che più del 90 per cento dei cristiani fuggiti da Mosul non pensa di farvi ritorno. Quello che hanno visto e subito ha creato un muro psicologico. Alcuni sono stati cacciati, altri si sono sentiti traditi. Non sappiamo se la situazione potrà cambiare. Adesso molti vivono a Ankawa, il distretto di Erbil abitato da cristiani, si sentono più sicuri, c’è più possibilità di lavorare. Non pensano di tornare in una città che è molto cambiata da come era quando ci vivevano. Non la riconoscerebbero”.

6 giugno 2024

Iraq, dalla fonderia Marinelli di Agnone due campane per la chiesa di Mosul


Due nuove campane realizzate nell’antica fonderia Marinelli di Agnone sono state installate la scorsa settimana in Iraq dall’Unesco nella chiesa siro-cattolica di Al-Tahera nell’ambito dell’iniziativa “Revive the Spirit of Mosul” dedicata alla ricostruzione e alla rinascita dei monumenti culturali della città. Rinomata per il suo artigianato, la Pontificia Fonderia Marinelli ha prodotto campane per molti siti iconici, tra cui la Torre di Pisa, il Vaticano e la sede delle Nazioni Unite a New York.
Mentre l’Unesco sta completando la ricostruzione del centro storico di Mosul, ha scelto l’azienda molisana per fondere le due nuove campane per la chiesa di Al-Tahera, dedicata alla Vergine Maria e costruita nel 1859. 
Le campane, suonate per la prima volta dall’arcivescovo Younan Hano, capo dell’arcidiocesi di Mosul, recano iscrizioni in arabo e inglese con messaggi di pace e perdono. Decorati con disegni floreali e croci, presentano anche un’immagine centrale della Vergine Maria, a testimonianza della dedica della chiesa. 
Il progetto è stato creato dall’architetto dell’Unesco Marc Yared in stretta collaborazione con il Christian Endowment della chiesa. La chiesa siro-cattolica di Al-Tahera è un notevole esempio dell’architettura storica e della diversità culturale di Mosul.
Il sito di 650 metri quadrati è stato gravemente danneggiato durante l’occupazione Daesh nel 2017. L’installazione delle campane segna il completamento, a breve, del restauro della chiesa. È il secondo monumento emblematico ricostruito dall’Unesco dopo il convento domenicano di Notre Dame de L’Heure, completato nell’aprile 2024.
Entro la fine dell’anno, l’Unesco avrà completato anche la ricostruzione della moschea Al-Nouri e del minareto Al -Hadba. Il lavoro su questi tre siti è stato finanziato dagli Emirati Arabi Uniti.

1 giugno 2024

Pope Francis sent a congratulation letter to Patriarch Sako on His Golden Priesthood anniversary

By Chaldean Patriarchate



Cardinal Louis Raphael Sako stresses importance of developing personal status laws

By Kurdistan24
May 27, 2024

Cardinal Louis Raphael Sako, the Patriarch of the Chaldean Catholic Church in Iraq and the World, on Monday stressed the importance of developing personal status laws concerning marriage, divorce, inheritance, children, moral and national principles, rights, duties, and freedoms for all.
Cardinal Sako’s remarks came during the Personal Status Law Congress for Christians in Iraq, hosted by the Catholic University in Erbil.
“The Iraqi parliament must adapt to changing times and find a fundamental solution to Iraq's issues,” the patriarch stated.
He also said that Iraq's constitution guarantees equality for all, but it must be a sovereign nation that respects its citizens, doesn't discriminate between communities, and provides a suitable life for its citizens.
To address the problems of diversity among different communities, nationalities, and religions, the top religious leader proposed a unified law on personal status while calling for a comprehensive law to address all communities and religions' personal status.
Following the rise of ISIS in 2014, thousands of Christians fled to the Kurdistan Region, where they sought sanctuary in the multi-ethnic and Christian-majority town of Ankawa whose population is estimated to be nearly 60,000 residents.
Religious leaders of the community on several occasions have praised the KRG’s efforts to protect Christians, whose numbers have been shrinking in Iraq since 2003 due to persecution and terrorism.

UNESCO to finish reconstructing Our Lady of Immaculate Conception Syriac Catholic Church in Mosul, Iraq

By Syriac Press
May 25,2024

The United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO) stated that it is about to complete the reconstruction of the Our Lady of Immaculate Conception Syriac Catholic Church in Mosul, northern Iraq,
The church reconstruction, which will be funded by the United Arab Emirates, included the installation of new bells made in Italy in one of the oldest foundries in the world.
Collective efforts were made to restore this landmark which is rooted in cultural diversity, with its vibrant architecture and activities.
The website of the United Nations Assistance Mission for Iraq (UNAMI) posted via Facebook photos of the restoration work of this ancient church.