“Baghdad ha perduto la sua bellezza e non ne è rimasto che il nome.
Rispetto a ciò che essa era un tempo, prima che gli eventi la colpissero e gli occhi delle calamità si rivolgessero a lei, essa non è più che una traccia annullata, o una sembianza di emergente fantasma.”
Ibn Battuta
Baghdad, 19 luglio 2014
28 aprile 2009
Triste apertura del sinodo caldeo per l'improvvisa morte della madre di Mons. Isaac
Sad opening of the Chaldean synod for the sudden death of Msgr. Isaac's mother in Baghdad
Baghdadhope offers its deepest condolences to Msgr. Isaac and to his family in this painful occasion.
27 aprile 2009
Iraq: domani ad Ankawa il sinodo dei vescovi caldei. A Kirkuk uccisi tre cristiani
Si apre domani, presso la sede del seminario di Ankawa, nel nord Iraq, il sinodo della chiesa caldea. “Al centro dei lavori saranno la situazione della chiesa e del popolo iracheno. I lavori, cui sono attesi circa 15 vescovi, dovrebbero durare fino alla fine del mese” spiega al Sir il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni. Il Sinodo giunge in un momento segnato da una nuova ondata di violenza, anche contro i cristiani. Nei giorni scorsi a Baghdad in alcuni attentati sono morte circa 60 persone mentre, notizia più recente, è l’uccisione domenica a Kirkuk, rivela Warduni, di “due donne caldee e di un siro ortodosso, con diversi feriti”. Omicidi bollati dal vescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, come “vigliacchi crimini terroristici”. “Gli interessi in gioco in Iraq sono moltissimi – aggiunge Warduni - tanti sono anche gli stranieri che entrano nel Paese, e tutto ciò rende la situazione complicata. Le potenze internazionali non riescono a mettersi d’accordo per dare una soluzione ai problemi dell’Iraq che resta un Paese martoriato. Nel Sinodo pregheremo che Dio abbia misericordia di questo popolo straziato e gli dia pace. Tuttavia – conclude – non mancano le buone notizie. Venerdì nel seminario di Ankawa ordineremo tre sacerdoti”.
Iraqi Christians urged not to flee after killings
By Mustafa Mahmoud
Christians in Kirkuk were urged to stand firm by the city's Chaldean archbishop Monday after three members of the religious minority were gunned down in their homes.
Louis Sako told mourners at a cathedral in the ethnically mixed city that the attacks Sunday killing three Christians and wounding two others were outrageous.
"The main objective of these crimes is to create chaos and promote strife and divisions among the people of Kirkuk. I call on Christians not to be jarred by these crimes and to stay in Kirkuk. We are sons of this city," he said.
According to U.S. military officials, gunmen entered a home in southern Kirkuk, killing two women. Gunmen attacked three men in a home in the same area the same night. One was killed.
The attacks echoed violence last year that triggered the flight of thousands of Christian families from the northern city of Mosul, like Kirkuk a volatile mix of Arabs, Kurds and Christians. Most of the families returned home.
Kirkuk also has a sizeable Turkmen population.
In Mosul, the level of violence against Christians was relatively small in comparison to other attacks of a sectarian or religious nature in Iraq's recent past, but it prompted widespread concern inside Iraq and in the West.
Iraq's Christians are believed to number around 750,000, a small minority in a country of around 28 million.
Tensions are running high in Kirkuk which minority Kurds hope to include in their largely autonomous northern region, an idea rejected by the city's other residents.
The impasse over control of Kirkuk, which sits on vast oil reserves, has dragged on since the 2003 U.S.-led invasion to oust Saddam Hussein, who brought Arabs en masse to the city in a bid to dilute Kurdish influence.
Last week, the United Nations submitted to Iraqi officials a highly anticipated report on the future of Kirkuk, which it hopes will prompt renewed political negotiations on who will control the city and the surrounding province.
Abdul Rahman Mustafa, governor of Kirkuk province, echoed Sako's call for Christians not to be intimidated.
"We will not stand with our hands behind our backs. We will pursue the wicked people who are trying to stir sectarian strife in Kirkuk. I'm asking Christian families not to fall for this ploy," said Mustafa, a Sunni Muslim Kurd.
Due cristiani uccisi in Iraq
Tradotto ed adattato da Baghdadhope
La cerimonia funebre per le vittime si terrà oggi nella chiesa caldea del Sacro Cuore a Kirkuk.
Two Christians gunned down in Iraq
They shot dead Yussef Shaba, an employee of Iraq's Northern Oil Co, and wounded his two sons, Bassel and Samer, said police Colonel Adnan Abdullah.
Other gunmen also burst into the home of Mouna Latif Daoud, killed her and wounded her daughter before stabbing both women.
"These two terrorist attacks took place within minutes of each other," Abdullah said.
Chaldean Bishop Louis Sako of Kirkuk condemned "these cowardly terrorist crimes" against against "the Christians, who built up this country," and called for the perpetrators to be brought to justice.
Earlier this month, a Christian had his throat slit in Kirkuk.
Vice President Adel Abdul Mahdi has urged Iraq's Christian minority not to flee the violence-plagued country and urged the international community to help protect it from extremists.
According to Christian leaders, 250,000 of the 800,000 Christians who lived in Iraq before the U.S.-led invasion of 2003 that ousted president Saddam Hussein have now left the country.
The funeral ceremony for the victims will be held today, Aprile 27, in the Sacred Hearth Chaldean church of Kirkuk .
25 aprile 2009
Chiesa antica dell'Est. Un nuovo calendario? Per adesso due nuovi vescovi!
Nel 1964 il Patriarca della Chiesa dell’Est, Mar Eshai Shimun XXIII, decise che la sua chiesa avrebbe abbandonato il calendario giuliano per adottare quello gregoriano. Una decisione spiegata dallo stesso patriarca in un’intervista rilasciata al Baghdad Observer il 30 aprile 1970 in occasione del suo primo ritorno in patria dopo l’esilio forzato cui era stato costretto nel 1933 e che lo aveva portato nel 1940 a stabilire la sede patriarcale negli Stati Uniti.
Precisando che “nessuno conosce la data esatta della nascita di Cristo” Mar Shimun spiegò che la decisione era la risposta agli appelli di molti sacerdoti, vescovi e fedeli che avevano chiesto di abbandonare il calendario giuliano per il Natale e la Pasqua vista la difficoltà di celebrare quelle festività in paesi in cui vigeva l’uso del calendario gregoriano.
Nel 1968 uno scisma all’interno della Chiesa dell’Est la divise in due rami. La chiesa guidata da Mar Eshai Shimun XXIII che nel 1976 fu rinominata dal suo successore Mar Dinkha IV “Chiesa Assira dell’Est” e quella guidata da Mar Thoma Darmo, Metropolita di Trichur (India) della Chiesa dell’Est che, in disaccordo con il Patriarca Mar Eshai Simun XXIII, si trasferì a Baghdad dove nominò tre vescovi che a loro volta lo elessero patriarca della Antica Chiesa dell’Est. Carica che però Mar Thoma Darmo poté esercitare per un solo anno vista la sua morte l’anno successivo. Ad egli successe l’attuale patriarca Mar Addai II.
I motivi dello scisma furono molti ed il peso di ognuno di essi fu diversamente valutato e citato dalle diverse parti in causa. Principalmente - e senza voler approfondire le motivazioni politiche o tribali - le critiche su cui il movimento scismatico si concentrò furono tre.
Da 35 anni, da quando cioè Mar Eshai Simun XXIII, era stato esiliato prima a Cipro e successivamente negli Stati Uniti, la Chiesa dell’Est in Iraq era rimasta senza la sua massima guida spirituale e politica. Una parte dei fedeli e del clero desiderava invece che il Patriarca risiedesse a Baghdad e ne facesse la sua sede.
Nella Chiesa dell’Est fin dal secolo XV era in vigore la pratica (non istituzionalizzata né stabilita dai canoni ecclesiastici) del Natar Kursi (successore designato) secondo la quale la carica patriarcale passava al nipote del patriarca in carica. Pratica che venne abolita dall’attuale patriarca della Chiesa Assira dell’Est, Mar Dhinka IV, al momento della sua nomina nel 1976 quindi successivamente al movimento scismatico del 1968 che la contestava.
L’ultima contestazione riguardava proprio l’adozione del calendario gregoriano avvenuta nel 1964.
Dal 1968 sono ormai passati 41 anni ma questa storia che appare ormai lontana proprio negli scorsi giorni ha ritrovato la sua attualità.
Lo scorso 12 aprile, infatti, Mar Addai II ha anticipato ai fedeli che il prossimo sinodo dell’Antica Chiesa dell’Est che si terrà a fine aprile a Baghdad avrà in discussione come quinto punto dell’agenda proprio la possibile adozione del calendario gregoriano per il Natale (ma non per Pasqua) e li ha invitati ad esprimere la propria opinione in merito.
A questo annuncio si aggiunge quello fatto dal Metropolita dell’Australia e della Nuova Zelanda, Mons. Yako Daniel, che ha spiegato come nel sinodo che si aprirà il prossimo 27 aprile una delle questioni in discussione sarà addirittura la possibile riunione delle due chiese divise nel 1968.
Come sarà possibile questa riunione è difficile dirlo. Fino ad ora essa non è rimasta che un’idea. Un’idea che ha compiuto in questi anni alcuni passi di avvicinamento, come quando nel sinodo della Chiesa Assira dell’Est del 1999 il patriarca ed i vescovi decisero di riconoscere la gerarchia della Chiesa dell’Est e di istituire un comitato congiunto con il fine di “realizzare la piena comunione tra le due parti.” Ma anche di allontanamento, se sono vere le voci riportate da diversi siti e forum di discussione assiri secondo i quali all’inizio di marzo il vescovo della Chiesa Assira dell’Est della California, Mar Awa Royel, ha ordinato ai sacerdoti, ai diaconi ed ai sub-diaconi della sua diocesi di interrompere qualsiasi rapporto, ecclesiastico ma anche sociale, con i membri della Chiesa Antica dell’Est. Ordine che, viene riferito da più fonti, risalirebbe al sinodo della chiesa assira tenutosi lo scorso ottobre 2008.
Quali che siano le vere intenzioni delle due chiese è ancora presto per dirlo.
Certo un’unione è da molti fedeli auspicabile. Ma come potrebbero convivere in un’ipotetica nuova chiesa unita due patriarchi? Non si deve dimenticare come i colloqui ed i passi di avvicinamento tra la Chiesa Assira dell’Est e quella Caldea si siano arenati proprio quando si è giunti al nodo del riconoscimento dell’autorità papale, da secoli accettata dalla chiesa caldea ma rifiutata da quella assira. Nel caso delle due chiese dell’est il problema di un’autorità superiore ad entrambe non si porrebbe, ma quale tra le due riconoscerebbe la superiorità dell’altra rinunciando a tutto ciò che da essa la distingue?
La proposta di Mar Addai, quindi, parrebbe legata più che ad un desiderio di unione a considerazioni di ordine pratico. Davvero minoranza nell’eppur esiguo numero di cristiani in Iraq i suoi fedeli potrebbero beneficiare dall’unirsi nelle celebrazioni più importanti ai cattolici, almeno in quelle zone dove essi rappresentano la maggioranza.
Un desiderio che potrebbe essere condiviso dai fedeli che vivono in paesi a maggioranza cattolica. Per adesso non resta che attendere e prendere comunque nota del fatto che la Chiesa Antica dell’Est sembra voler dare una svolta al suo corso non solo con questa proposta ma anche con la nomina, a tre giorni dall’inizio del sinodo, di due nuovi vescovi: Mar Zaia Khoshaba e Mar Aphram Dawid, ordinati nella chiesa della Vergine Maria a Baghdad alla presenza non solo di Mar Addai ma anche di un folto pubblico di religiosi e politici tra cui per la chiesa caldea Mons. Shleimun Warduni e Mons. Andraous Abouna, per la chiesa assira dell’est Mons. Gewargis Sliwa, per quella siro cattolica Mons. Matti S. Matoka, Fawzi Hariri ministro dell’industria, Pascale Isho Warda ex ministro per i rifugiati e gli sfollati e Abdallah Al Naufali a capo dell’ufficio governativo per i non musulmani.
Ancient Church of the East. A new calendar? By now two new bishops!"
Stating that "no one knows the exact date of the birth of Christ" Mar Shimun explained that the decision was a response to the calls of many priests, bishops and faithful who had asked to abandon the Julian calendar for Christmas and Easter in consideration of the difficulty represented by different dates of the holy celebrations in those countries where the Gregorian calendar was in use.
The latest objection concerned the adoption of the Gregorian calendar occurred in 1964.
On April 12, in fact, Mar Addai II anticipated to the faithful that the next Synod of the Ancient Church of the East to be held in late April in Baghdad will discuss as the fifth point of its agenda the possible adoption of the Gregorian calendar for Christmas (but not for Easter) and invited them to express their views on the matter.
To this announcement was added that made by the Metropolitan of Australia and New Zealand, Msgr. Yako Daniel, who explained how in the synod that will begin on April 27 one of the issues under discussion will even be the possible reunion of the two churches split in 1968.
How will this reunion be put in practice is difficult to say. So far it is only an idea.
But made some steps of division too if the rumours reported by several Assyrian sites and discussion forums are true. According to these rumours in early March the bishop of the Assyrian Church of the East in California, Mar Awa Royel, ordered the priests, deacons and sub-deacons of his diocese to stop any relationship, priestly but also social, with members of the Ancient Church of the East. Order which is reported by several sources would date back to the synod of the Assyrian Church held on last October 2008.
It is still early to say what the real intentions of the two churches are. Of course a union is expected by many faithful. But how could two patriarchs cohabit in a hypothetical new united church? We must not forget how the talks and the steps of approaching between the Assyrian Church of the East and the Chaldean one stranded at the moment of the recognition of papal authority accepted centuries ago by the Chaldean church but rejected by the Assyrian one.
In the case of the two churches of the East the problem of an authority superior to both doesn’t exist, but which of the two would recognize the superiority of the other giving up everything that distinguishes itself from it?
A desire that could be shared by the faithful living in the Catholic majority countries.
Iraq: Genocidio armeno commemorato a Bassora
Nella chiesa armena apostolica della Vergine Maria il sacerdote, Padre Torkom Torkomian ha ricordato con i fedeli le vittime innocenti di quel periodo buio.
Intervistato da Radio Sawa, Padre Torkomian ha anche parlato della comunità armena della città: 120 famiglie per un totale di circa 600 persone. Una sola chiesa rimasta, quella della Vergine Maria, una delle più antiche dell’Iraq risalente al 1736, dopo che le altre due sono state chiuse, ed una comunità fortemente toccata dagli ultimi avvenimenti che si sono risolti nella fuga dalla città.
Una fuga che il sacerdote si augura possa trasformarsi in ritorno visto che, sono le sue parole, la situazione ora è “leggermente migliorata.”
Iraq: Armenian genocide commemorated in Basra
24 aprile 2009
Mons. Felix Shabi, da Karamles a Mosul, da San Diego a Phoenix
Un giovane sacerdote dal buon inglese contribuirà quindi a guidare spiritualmente le circa 700 famiglie in Arizona, tra vecchie e nuove arrivate dall’Iraq.
Grandiosa era stata la cerimonia di addio a Mons. Shabi tenutasi il 16 aprile nella cattedrale caldea di Saint Peter a San Diego a cui avevano partecipato centinaia di fedeli e molti sacerdoti. C’era, ovviamente Mons. Jammo, Mons. Bawai Soro, Padre Michael J. Bazzi e Padre Polis P. Khammi, pastori della stessa cattedrale, Padre Andrew Younan, rettore del seminario dedicato a Mar Abba il Grande, Padre Sabri A. Kejbo della chiesa caldea di St. Michael a San Diego ed a sottolineare il clima di fratellanza tra le chiese anche il parroco della chiesa siro cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Aiuto, Padre Emad Hanna al-Shaikh.
Msgr. Felix Shabi. From Karamles to Mosul, from San Diego to Phoenix
22 aprile 2009
Prime comunioni in anticipo a Baghdad
First communions before usual time in Baghdad
That the climate in Iraq is improving for Christians was clear during the last Easter celebrations that in Catholic and Orthodox churches took place, albeit with exceptional security measures, with regularity and with a great precence of faithful in the churches, from Erbil to Baghdad, from Basra to Kirkuk. Signs of normalcy that so many Iraqis, Christians but also Muslims of course, seek and strive to achieve. Normalcy that for the Christians is represented also by the first communion rites of the children that this year in some churches have been anticipated.
Baghdadhope spoke with Father Douglas Al Bazi, parish priest of the Chaldean church of Mar Eliya in Baghdad.
"It was a really beautiful ceremony. 43 among boys and girls received their first communion and there were hundreds of people in the church with whom we celebrated."
All the media reported an improvement of security conditions compared to previous years. Can you confirm the news?
"Yes, the situation is really improved. We cannot say that it is normal but we must not forget that we have seen the hell, and even to see the children smile fills us with happiness ..."
In general, the first communions were held later in the year. Why this year you have set the date in April?
"It is true. Usually the celebration was at the end of the school year but we thought that in that time many families will go to northern Iraq and that it was more practical in April."
Why will the families leave Baghdad for the north by the end of the school?
"For the heat. In Baghdad the provision of electricity is still limited, everything still depends on generators and the fuel to run them is expensive and difficult to find. That's why people will go to the north."
The words of Father Al Bazi make us remember how the normalization of Iraq, made also by the power supply still missing more than 6 years since the beginning of the war, is still far.
And to be convinced of this it is sufficent to know that on last March 19 a Christian child, Elia Yacoub Yunis, was kidnapped in Erbil, that only by the intervention of the police who blocked the car of the kidnappers on the road to Kirkuk he could return to his parents and that, as the site PUKmedia reports, people close to his family think that it was a kidnapping for extorsion as the father of Elia runs a service company for mobile phones.
20 aprile 2009
Piana di Ninive: un ghetto per i cristiani iracheni é un’illusione
Queste persone che sostengono il progetto della piana di Ninive vivono in tranquilla sicurezza mentre noi cristiani dell'Iraq siamo spesso esposti ad attentati terroristici e alla morte. Forse essi hanno il nobile intento di aiutarci, ma di fatto ciò avviene senza consultarci quanto al nostro destino e al nostro futuro. Essi perciò pretendono di decidere a nostro nome senza averne ricevuto il mandato.
L'avvenire dei cristiani iracheni deve essere studiato prima di tutto dai cristiani che vivono in Iraq: caldei, assiri, siri e armeni, attraverso la mediazione di competenti e disinteressati leader politici, chiamati a prendere una posizione chiara sul futuro dei cristiani.
I cristiani della diaspora possono aiutarci mantenendo viva la consapevolezza dell’opinione pubblica mondiale sulle nostre condizioni di vita, ma non devono sostituirsi a noi. Abbiamo bisogno di essere aiutati proprio a che ci venga riconosciuto il diritto ad essere protagonisti della nostra vita. Chi si trasforma in nostro tutore, alla fine fa il gioco di chi vorrebbe ancora mantenerci in uno stato di minorità.
Nel contesto iracheno d'oggi, chiedere un’enclave per i cristiani è un gioco politico molto pericoloso: sarà certamente strumentalizzato e si rivolterà contro di noi. Dobbiamo essere obiettivi, realistici e prudenti. Un ghetto per i cristiani porterebbe inevitabilmente con sé scontri settari, religiosi e politici senza fine; la nostra stessa libertà ne verrebbe diminuita.
Noi cristiani siamo una componente fondamentale della storia e della cultura irachena. Siamo una presenza significativa nella vita sociale e religiosa del Paese e ci sentiamo iracheni a tutti gli effetti. Abbiamo resistito a minacce e a persecuzioni e abbiamo comunque trovato il modo per continuare a vivere e testimoniare il Vangelo nella nostra terra, senza mai cessare di dimostrarci cittadini leali, anche a prezzo del sangue dei nostri padri, fratelli e figli.
Oggi, sulla stessa scia, vorremmo continuare la nostra presenza e testimonianza in tutta quella che è la nostra terra: l’Iraq, appunto, nella sua interezza. Reclamare la creazione di un ghetto è soprattutto contro il messaggio cristiano, che ci vuole sale e lievito in mezzo a tutta la pasta dell’umanità.
Ciò che invece costituisce un bene per la comunità cristiana di questo Paese è incoraggiare l’unità della Nazione, la democrazia, la convivenza pacifica, la cultura pluralistica, la promozione del riconoscimento dell'altro come persona umana nel rispetto concreto della sua dignità, la collaborazione con tutti per la costruzione di una società migliore, basata sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali sanciti dalla Costituzione nazionale e dal diritto internazionale.
*Arcivescovo di Kirkuk
[1]. Il progetto di un “ghetto assiro” nella piana di Ninive è sostenuto fortemente dalla diaspora cristiana negli Usa, che esercita molta influenza sul Patriarcato di Baghdad, dagli evangelici e dal ministro delle Finanze del Kurdistan, Sarkis Aghajan, che negli ultimi anni ha elargito ingenti somme di denaro per la ricostruzione di numerosi di villaggi e chiese al nord. Il Vaticano non si è mai pronunciato in modo esplicito sulla questione, sebbene la Segreteria di stato sia molto contraria. Lo scorso gennaio, Benedetto XVI, nella visita ad limina con i vescovi caldei, ha sottolineato che il compito dei cristiani in Iraq è di costruire rapporti di comprensione “fra cristiani e musulmani” e di offrire una “testimonianza disinteressata di carità… senza distinzione d’origine o di religione”.
Nineveh Plain: a ghetto for Iraqi Christians is an illusion
Those who back the plan for Nineveh Plain live in relative security whilst we Iraqi Christians are exposed to terrorist attacks and death. Perhaps their noble intent is to help us but in fact they are acting without consulting us to determine our fate and future. Thus they pretend to decide on our behalf without any mandate.
The future of Iraqi Christians must be examined first and foremost by Christians who live in Iraq—Chaldeans, Assyrians, Syriacs and Armenians—through the mediation of competent and disinterested political leaders called to take a clear position on the future of Christians.
Diaspora Christians can help us by maintaining awareness about our fate in world public opinion, but they should not take our place. We need to be helped so our right to determine our destiny can be recognised. Anyone who acts as our guardian in the end helps those who want to keep in a minority state.
In today’s Iraqi context the demand for a Christian enclave is a dangerous political game. It will be exploited by others and will be used against us. We must be objective, realistic and prudent. A Christian ghetto can inevitably lead to endless sectarian, religious and political clashes. Our freedom will be reduced.
We Christians are a fundamental component of the history and culture of Iraq. We are a significant presence in the social and religious life of the country and we feel Iraqi. We have resisted threats and persecution and have found ways to continue to live and bear witness to the Gospel in our land without ceasing being loyal citizens even at the cost of the lives of our fathers, brothers and sons.
Today we want to continue to be present and bear witness in all of our land, in the whole of Iraq. Demanding the creation of a ghetto is especially against the Christian message which sees us as the salt and yeast in the dough of humanity.
A good thing for the Christian community of this country is to encourage national unity, democracy, peaceful coexistence, a pluralistic culture, mutual recognition as humans with dignity, as well as cooperation with everyone to build a better society based on the respect for human rights and fundamental freedoms as guaranteed by the nation’s constitution and international law.
*Archbishop of Kirkuk
1. The plan to set up an “Assyrian ghetto” in the Nineveh Plains is strongly backed by the Christian Diaspora in the United States, which is exercising great influence on the Patriarchate of Baghdad, by Evangelical Christians, and by Kurdistan’s Finance Minister Sarkis Aghajan, who in the last few years has provided large funds for the reconstruction of many villages and churches in the north. The Vatican has never taken an explicit position on the issue but its Secretariat of State has been against the idea. Last January Benedict XVI, during the ad limina visit by Chaldean bishops, insisted that Christians must build ties of understanding “between Christians and Muslims’ and offer a “disinterested witness of charity [. . .] without distinction of origin and religion.”
Iraq: Sako (Kirkuk) "No alla ghettizzazione dei cristiani nella piana di Ninive"
"L'avvenire dei cristiani iracheni deve essere studiato prima di tutto dai cristiani che vivono in Iraq: caldei, assiri, siri e armeni, attraverso la mediazione di competenti e disinteressati leaders politici, che devono prendere una posizione chiara sul futuro dei cristiani”. Così il vescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, risponde attraverso il Sir, ad “alcuni politici, intellettuali e anche religiosi che, dal di fuori dell'Iraq, chiedono l’istituzione di una zona autonoma, un safe haven, per i cristiani nella piana di Ninive”. “Una interferenza che creerà problemi gravi. Queste persone - dice il vescovo - che vivono in sicurezza mentre noi cristiani dell'Iraq siamo spesso esposti ad attentati terroristici e alla morte, forse con il nobile intento di aiutarci, di fatto – non solo senza consultarci quanto al nostro destino e al nostro futuro – pretendono di decidere a nostro nome senza averne ricevuto il mandato”.Per Sako “chiedere un’enclave per i cristiani è un gioco politico molto pericoloso: un ghetto porterebbe scontri settari, religiosi e politici; la nostra stessa libertà ne verrà diminuita. Reclamare la creazione di un ghetto è contro il messaggio cristiano, che ci vuole sale e lievito in mezzo alla pasta dell’umanità. Noi cristiani siamo una presenza significativa nella vita sociale e religiosa del Paese e siamo iracheni a tutti gli effetti”.
18 aprile 2009
La lunga e complicata storia dei passaporti iracheni.
Ora di nuovo tutto sta cambiando perchè, è notizia recentissima, inizierà presto la distribuzione dei nuovi passaporti, quelli della serie A.
Ma cos’ha di diverso un passaporto della serie A? E’ il primo documento iracheno che affianca all’arabo ed all’inglese anche il curdo che per l’articolo 4 punto 1 della costituzione è insieme all’arabo la lingua ufficiale del paese. I nuovi passaporti verranno stampati al ritmo di 600 al minuto da 12 macchine che il governo iracheno ha acquistato in Germania per 10 milioni di dollari.
In ogni caso i passaporti della serie A non sostituiranno automaticamente e subito quelli della serie G che rimarrano validi fino alla naturale data di scadenza.
Un iracheno potrebbe quindi a breve possedere il suo quarto passaporto nel giro di una decina d’anni – serie M, N o H, S, G ed A, senza contare i passaporti della serie D (diplomatici) o E (di servizio).
E’ proprio vero che non è per niente facile essere iracheni, in tutti i sensi!
The long and complicated story of the Iraqi passports.
Sources:
The new passports will be printed at a rate of 600 per minute by 12 machines the Iraqi government bought from Germany for 10 million dollars. In any case the passports of A series will not automatically and immediately replace those of the G series that will remain valid until their natural expiry date.
16 aprile 2009
L'Iraq chiede ai cristiani di rimanere e si impegna a proteggerli
PARIGI (AFP) Il Vice presidente iracheno, Adel Abdul Mahdi, ha chiesto mercoledì alla minoranza irachena cristiana di non abbandonare il paese e l'aiuto della comunità internazionale nel proteggerla dagli estremisti.
Iraq urges Christians to stay, vows protection
According to Christian leaders, 250,000 of the 800,000 Christians who lived in Iraq six years ago, before the invasion that ousted dictator Saddam Hussein, have now left the country, part of a larger refugee exodus.
"The position of Iraqi Christians is vulnerable and Iraq must not be left alone to face this. It's a collective task," Abdul Mahdi, himself a member of Iraq's larger Shiite Muslim community, told a seminar in France.
"Christians are an integral part of Iraq. We need to help Iraq and help Christians remain in Iraq," he told delegates at a conference at the French Institute of International Relations in Paris.
All of Iraq's religious and ethnic communities have been caught up in the insurgent and sectarian violence wracking the country, and in some areas Christians have been targeted by criminals or by Islamic extremists.
One of the largest Christian communities was in the northern city of Mosul, which has become a hotbed of insurgent violence since US and Iraqi forces won the upper hand in the conflict further south in and around Baghdad.
Police reinforcements were sent to the city last year to protect the remaining Christian families after they received threats and homes and churches were vandalised, but there is no sign yet of refugees returning.
14 aprile 2009
Easter in Iraq - Pasqua in Iraq
Clicking on the links below you will be redirected to the original articles by Ankawa.com to see the photos of the Easter ceremonies
Pasqua quasi tranquilla a Baghdad, Mosul e Bassora
Anche a Mosul sembra esservi una situazione più distesa. Negli ultimi anni in questa città cristiani, sacerdoti e vescovi sono stati presi di mira dal terrorismo e dalla malvivenza, subendo uccisioni, rapimenti, espropri, spingendo la maggioranza di essi all’emigrazione. Eppure, secondo la testimonianza di un sacerdote, in occasione della Festa di Pasqua, almeno l’80% dei cristiani sono ritornati in città, fiduciosi delle promesse del governo irakeno e dell’esercito americano.
Anche a Bassora, dopo anni, si è tornati a celebrare la veglia pasquale alla sera del Sabato santo. Negli anni passati, per la guerra o gli assalti contro i cristiani, i riti erano stati molto semplificati o celebrati nel primo pomeriggio. In occasione della festa, vi sono stati anche alcuni incontri fra cattolici, ortodossi e protestanti.
Prima di Pasqua, il presidente Jalal Talabani ha diffuso una lettera di augurio a tutti i cristiani, chiedendo loro di essere fedeli alle indicazioni annunciate da Gesù Cristo, per seminare anche nella società irakena i principi di tolleranza, fraternità, pace e giustizia, necessari a costruire un Iraq democratico e rispettoso dei diritti di tutti. Egli ha anche ringraziato l’impegno bimillenario dei cristiani locali per il loro contributo alla costruzione della civiltà irakena.
Almost calm Easter celebrations in Baghdad, Mosul and BasraAfter
In Baghdad the anniversary of the fall of Saddam Hussein was marked on 9 April. Several explosions were recorded across the city with several deaths. However, this did not prevent Christians from taking part in Easter services. Chaldean Patriarch Emmanuel Delly actually invited Catholics to overcome their fears and trust the police which ensured security outside churches.
In Mosul the situation appeared more relaxed as well. In the last few years priests, bishops and ordinary Christians had been targeted by terrorist groups and criminal gangs, killed, kidnapped and dispossessed of their property, pushing most to flee. This time, according to a priest, at least 80 per cent of the Christian community was back in town for Easter celebrations, confident that promises by the Iraqi government and the US army would hold.
In Basra Easter Eve was celebrated again on Holy Saturday after many years. In the recent past because of the war and anti-Christian attacks services had been cut down to a minimum or celebrated in the early afternoon. This time meetings between Catholics, Orthodox and Protestants were also held.
Before Easter Iraq President Jalal Talabani released a letter of best wishes to the Christian community, calling on the faithful to follow Jesus Christ and sow in Iraqi society the principles of tolerance, brotherhood, peace and justice, which are needed to build a democratic Iraq in which everyone’s rights are respected. He also thanked Iraqi Christians for their contribution to the development of Iraqi civilisation over the past two thousand years.
13 aprile 2009
La Pasqua tra i cristiani nell'Iraq ferito dal sanguinoso conflitto
In Iraq la minoranza cristiana festeggia la Pasqua tra le violenze e gli attentati che continuano ad insanguinare il Paese. E’ una lunga Via Crucis: la mancanza di sicurezza e la povertà spingono molti ad un esodo forzato. Ascoltiamo mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, intervistato da Claudia Di Lorenzi:
12 aprile 2009
Iraq/ Cristiani celebrano la Pasqua fra misure sicurezza speciali
di Apcom
Baghdad, 12 apr. (Ap) - L'esercito iracheno ha rafforzato la sorveglianza delle chiese a Mosul, dove venerdì scorso un furgone-bomba ha ucciso due poliziotti iracheni e ne ha feriti altri 62, incluso un soldato statunitense e 27 civili. Per la Pasqua oggi molti cristiani iracheni sono però rimasti a casa e hanno celebrato la festività in privato.
In Iraq, an Easter resurrection for Christian communities
By Jane Arraf
Baghdad - In what was once one of Baghdad's most dangerous neighborhoods, Iraqi Christians openly celebrated Easter for the first time in three years on Sunday.
In addition to honoring the resurrection of the Christ, the service in Dora also marked the resurrection of their battered community.
Dora is one of several neighborhoods in the Iraqi capital where Christians are beginning to return after being driven out by violence and extremists. A small minority in Iraq, they are estimated to make up less than 3 percent of Iraq's population today. More than 300,000 of Iraq's 800,000 Christians are believed to have left since 2003.
The faithful ventured out Sunday to reaffirm their faith in Iraqi communities which trace their roots back to the earliest days of Christianity. The majority of Iraq's Christians are Chaldeans, Eastern Rite Catholics who believe they are descended from the Babylonians. In the south Baghdad neighborhood of Dora, at the Chaldean church of St. Peter and Paul, auxiliary Bishop Shlemon Warduni of the Patriarchate of Babylon celebrated mass in Arabic and Aramaic – the language of Jesus.
It was the first time mass had been said in the church since 2007, after it was damaged and looted in fighting which raged through Dora.
"Today is Easter but we also have another reason to celebrate – in this area that was damaged and families displaced," Bishop Warduni told the congregation, which last celebrated Easter together in 2006, while gunmen from the Iraqi Ministry of Interior stood watch on the roof. "I remember this church being full and the outside field full, and the hall full of good people," he said.
Workers have spent weeks patching up bullet holes and repairing the building. An adjacent monastery, which was looted after being occupied by US forces, is still vacant.
"In the past two years, we stayed home at Easter and watched the services on TV," says Luay Bedaweede, one of about 200 of the faithful who streamed into the newly renovated church Sunday. He said that, back then, communion wafers were brought to worshippers' homes.
Official support for Christians
In a sign of the Iraqi government's desire to reassure Christians that they are welcome, an Iraqi police general brought greetings from the Minister of Interior. He and a leader of the volunteer security force, the Sons of Iraq, sat in the front row of the Dora church.
"You are messengers of peace. Tell everyone that Christians want only peace," the Bishop Warduni told the security officials.
Young women in denim jeans and sequin-studded T-shirts knelt in prayer next to relatives with their hair partially covered with lace scarves. One of the congregants, Watha Shaba, who had been kidnapped three years ago, reverently unwound a cloth from the bishop's gold and silver scepter. Awide-eyed alter boy furiously rang a bell as incense filled the church.
"Christ is risen," the worshipers recited – the ancient words in an ancient language.
Ousted by Al Qaeda
During the sectarian violence that erupted in 2006, Dora became a stronghold of Al Qaeda in Iraq. In addtion to the Sunni-Shiite violence, fliers told Christians that they would be killed if they openly worshipped, and demanded that they convert to Islam.
When Shiite militias stepped in to fight the Sunni extremists, the neighborhood became too dangerous for almost anyone to stay. "We used to have 3,000 Christian families here – now there are maybe 500," says Gorgis Orawawa, who recently brought his family back from northern Iraq.
Today, the church was filled with families who have had relatives emigrate in the last six years.
"It's a big surprise to see so many people here," says Randa Sabbagh, a college student who returned to Dora with her parents six months ago. They had been living in another Baghdad neighborhood. One brother emigrated to Australia and another went to Syria.
Bishop Warduni blames much of the emigration on European countries and the United Nations, who he says have helped Christians leave Iraq rather than improving conditions for them within the country.
"Instead of searching for jobs for them and helping to bring peace, to bring reconciliation to the country, they accept the immigration. This is bad," he said in an interview earlier this week.
Attacks on Christians in Mosul in November led to another exodus north to Iraqi Kurdistan and beyond Iraq's borders. But a spate of attacks during the last week in Baghdad, which was believed to have become safer in recent months, has many worried.
"One week ago, we were thinking it is much better. But what happened... makes us a little apprehensive because if we have these car bombs it will be no different," the bishop said.
But he vowed that there would always be a Christian community in Iraq.
"This is our country, no one can push us out," said Bishop Warduni. "We were here before everything."
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10 aprile 2009
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Così come in Giordania ed Egitto anche in Grecia la comunità cattolica caldea celebrerà la Pasqua il 19 e non il 12 aprile. Baghdadhope ne ha chiesto la ragione al Procuratore caldeo presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico per l'Europa Mons. Philip Najim in procinto per partire per Atene.
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