"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

27 febbraio 2008

Il Consiglio dei Cristiani di Kirkuk condanna la nuova pubblicazione di vignette sul Profeta Maometto

Fonte: Ankawa.com

By Baghdadhope

La ripubblicazione sul quotidiano danese "Jyllands-Posten" di una delle vignette raffiguranti il Profeta Maometto che indossa un turbante-bomba, e che aveva fatto parte nel 2006 di una serie di vignette che, considerate offensive per l’Islam, avevano suscitato proteste e violenze anticristiane in diversi paesi musulmani, ha avuto una vasta eco anche in Iraq tanto che il neonato Consiglio dei Cristiani di Kirkuk, temporanemente guidato da Monsignor Luis Sako, Arcivescovo caldeo della città, ha emesso a proposito il suo primo comunicato ufficiale. In esso si afferma la ferma condanna della pubblicazione e di ogni offesa ai simboli religiosi, musulmani o cristiani che siano, un agire che non può che scavare profonde fratture tra le religioni e che viene attribuito dal Consiglio alla graduale perdita dei valori spirituali in atto in Occidente. L’augurio è, sempre secondo il comunicato, che una tale azione non abbia conseguenze in Iraq per il bene di tutti i suoi cittadini.

Council of Christians in Kirkuk condemns the new publication of cartoons depicting the Prophet Mohammad

Source: Ankawa.com

By Baghdadhope

The new publication by the Danish newspaper "Jyllands-Posten" of one of the cartoons depicting the Prophet Mohammed wearing a bomb-shaped turban, that in 2006 was one of a series of cartoons that, considered offensive to Islam, had aroused protests and anti-Christian violences in several Muslim countries, had a wide echo in Iraq, and for this reason the newborn Christian Council of Kirkuk, temporarily headed by Monsignor Luis Sako, Chaldean Archbishop of the city, has issued its first official statement. It affirms the firm condemnation of the publication and of any offense to religious symbols, Muslims or Christians, an act that can only dig deep divisions between religions and that the Council attributes to the Western gradual loss of spiritual values. The hope is, according to the release, that such an action will not have consequences in Iraq for the good of all its citizens.

Non è più la mia terra Il dramma dei cristiani iracheni e il "sogno" di andare via

Fonte SIR

By Daniele Rocchi

Erano 1 milione e mezzo durante il regime di Saddam Hussein, 400mila oggi. In 4 anni sono state distrutte 50 chiese, uccisi tre sacerdoti, sono stati cacciati da posti pubblici. Molti costretti a cedere terreni e abitazioni, pena la morte, obbligati a lasciare città e villaggi di origine, a trovare rifugio in Giordania, Siria, Libano e nel Kurdistan iracheno. Queste cifre dipingono la drammatica condizione in cui versano le comunità cristiane nell'Iraq di oggi. Ne abbiamo parlato con l'arcivescovo di Baghdad dei Latini, mons. Jean B.Sleiman.
Si parla di una diminuzione della violenza a Baghdad. È vero o è solo propaganda?
"L'impressione è quella di una violenza attenuata. Ma potrebbe trattarsi anche di un inganno perché la violenza si trasforma, i protagonisti cambiano e con essi anche i modi. Non c'è ancora una soluzione in vista e fino a quando non verrà trovata non si può parlare di futuro per l'Iraq. Il sogno di emigrare è grande anche tra chi, oggi, vive al sicuro. Nessuno può garantire il domani".
Nemmeno il governo?"
"La parola futuro in Iraq fa rima con miracolo. I problemi dell'Iraq sono complessi e credo che fino ad oggi non si è lavorato per risolverli. Ogni fazione, ogni attore nello scacchiere interno al Paese ha i suoi interessi e non pensa al futuro del Paese. L'Iraq, il Paese del petrolio, non ha benzina per il suo popolo. L'Iraq è ancora all'abbandono".
Tutta questa violenza era, in qualche modo, prevedibile?
"La società irachena durante il regime di Saddam Hussein era congelata. Una volta caduto Saddam sono esplosi conflitti politici, etnici e confessionali che covavano ma che non erano mai stati risolti. La dittatura con la violenza aveva obbligato tutti a tacere. Ora le antiche ferite si riaprono. È il tempo della resa dei conti".

Clicca su "Leggi tutto" per l'intera intervista del SIR
Il Governo parla di riconciliazione e a riguardo ha anche emanato una legge che reintegra funzionari di secondo livello dell'ex partito Baath di Saddam Hussein...
"Si parla di riconciliazione politica ma è solo compromesso: tu prendi 2 ministri, a un altro se ne garantiscono 3 e via dicendo. La legge che reintegra funzionari del partito Baath promulgata per riconciliare sciiti e sunniti può aiutare ma bisognerà vedere come verrà applicata. Torneranno delle figure baathiste e con esse dei sentimenti di vendetta. È opportuno ricordare che molti erano nel partito per obbligo e non per scelta e non tutti si sono macchiati di crimini. Una punizione collettiva per gli ex baathisti è ingiusta".
La violenza generata dallo scontro tra sciiti e sunniti e dalla mancanza di sicurezza colpisce anche i cristiani. Le sofferenze dei cristiani sono uguali a quelle dei musulmani?
"Quando esplode un'autobomba la morte non fa distinzione. Tra sciiti e sunniti ci sono scontri e pulizie etniche. I cristiani non hanno mai sequestrato una persona, non hanno mai fatto del male, subiscono solo. È una differenza importante. I cristiani, in quanto minoranza, sono deboli e non protetti dalle forze dell'ordine. Non vogliamo distinguere tra chi soffre di più e di meno ma il dolore inflitto alle minoranze è gratuito".
È corretto allora parlare di persecuzione?
"In certi casi è giusto parlare di persecuzione, in altri di pressione. Non si può dire che esistano dei piani organizzati per perseguitare i cristiani ma in certe situazioni serve parlare di persecuzione come per il quartiere cristiano di Dora, a Baghdad, dove intere famiglie cristiane sono state costrette alla fuga per non cedere le proprie figlie a fondamentalisti islamici, per non convertirsi a forza all'islam, per non pagare la tassa sulla protezione, per non essere uccise. Fortunatamente non è così dappertutto".
Per fronteggiare la violenza contro le comunità cristiane era stata proposta la creazione di un'enclave cristiana nella Piana di Ninive. È d'accordo?
"No. È un progetto fatto per i cristiani ma non per il loro interesse. I cristiani a Ninive formerebbero una comunità assediata, priva di mezzi per sopravvivere. Ogni isolamento è grave, tanto più per i cristiani chiamati ad essere aperti agli altri. Sarebbero un cuscinetto tra sciiti, sunniti e curdi".
L'esodo dei cristiani dall'Iraq nei Paesi vicini potrebbe favorire un riposizionamento delle comunità cristiane in Medio Oriente?
"Rispondo con un esempio: il Libano un tempo era una meta ambita dei cristiani che emigravano oggi non più. Lo spettacolo che offre il Libano è quello di un Paese in preda ad una crisi politica che genera anche violenza. Non credo, quindi, a un riposizionamento in Medio Oriente quanto piuttosto a una emorragia fuori della regione".
A suo avviso, allora, è fondato il rischio della sparizione dei cristiani dall'Iraq?
"Nei cristiani iracheni c'è la forte paura del domani. Vivono una tragedia che termina con un auto-esilio. Il rischio è fondato. Qualcuno prova a rientrare ma sono pochi. C'è una sofferenza psicologica poiché tornare significa non aver realizzato niente. Molti per partire hanno venduto tutto, lasciato il lavoro ed è difficile ritrovarlo. Il sentimento più diffuso tra i rifugiati cristiani è quello di aver perso legami con la patria, con la sua cultura. Molti arrivano a dire: questa non è più la mia terra".


"This is not more my country" The plight of Iraqi Christians and the "dream" of leaving

Source: SIR

By Daniele Rocchi

Translated by Baghdadhope

They were 1 million and a half during Saddam Hussein’s regime, 400mila today. In 4 years 50 churches were destroyed, three priests were killed, many have lost their government jobs. Many were forced, under death penalty, to cede lands and houses, to leave their native cities and villages, to find refuge in Jordan, Syria, Lebanon and in Iraqi Kurdistan. These figures paint the dramatic condition of the Christian communities in Iraq today. We talked to the Latin Archbishop of Baghdad, Mgr. B. Jean Sleiman.
It is said that violence in Baghdad is decreasing. Is it true or is it just propaganda? "The impression is that of a decreased violence but it could also be a deception because the violence changes, the players change and with them the kind of violence. There is not a solution in sight by now, and until it is not found we cannot talk about a future for Iraq. The dream of leaving is great even among those who now lives in safe conditions. Nobody can guarantee the future ".
Not even the government?
"The word “future” in Iraq rhymes with miracle. Problems of Iraq are complex, and I think that up to now nobody worked to solve them. Every faction, every actor in the arena inside the country has its own interests and do not think about the future of the country. Iraq, the country of oil, has no gasoline for his people. Iraq is still neglected."
All this violence was, in some ways, predictable?
"The Iraqi society during Saddam Hussein’s regime was frozen. Once Saddam fell all political, ethnic and confessional conflicts smouldering, but that had never been solved, exploded. Dictatorship through violence had forced everyone to keep silent. Now old wounds are reopening. It is the time of reckoning.

Click on "Leggi tutto" for the translation of the whole interview by SIR

The government speaks of reconciliation and has also enacted a law to reinstate second level officials of Saddam Hussein’s Baath Party ...
"There is some talk of political reconciliation but it is only a compromise: you will have 2 ministers, to another one 3 of them will be guaranteed, and so on. The law to reinstate officials of the Baath Party promulgated to reconcile Shiites and Sunnis can help, but we must see how it will be applied. Baathist people will come back and with them also feelings of revenge. It is worth recalling that many were in the party for obligation and not by choice, and that not all of them are guilty of crimes. A collective punishment for former baathists is unjust."
The violence generated by the clash between Shiites and Sunnis and by the lack of security also affects Christians. Are the sufferings of Christians the same of Muslims?
"When a car explodes death makes no distinction. Between Shiites and Sunnis there are fightings and ethnic cleansing. Christians have never seized a person, have never done evil, they only suffer. It is an important difference. Christians, as a minority, are weak and not protected by security forces. We do not want to distinguish between those who suffer more or less, but pain inflicted to minorities is gratuitous."
Is it correct to speak of persecution?
"In some cases it is correct to speak of persecution, in other of pressure. It cannot be said that there are organized plans to persecute Christians, but in certain situations it is necessary to talk about persecution as, for example, speaking of the Christian district of Dora, in Baghdad, where entire Christian families were forced to flee to not give their daughters to Islamic fundamentalists, not to be forcibly converted to Islam, not to pay the fee of protection, not to be killed. Fortunately this is not so in all the country. "
To tackle violence against Christian communities it has been proposed the creation of a Christian enclave in the Nineveh Plain. Do you agree?
"No. The project has been thought for Christians but not in their interest. Christians in Nineveh would form a besieged community, deprived of all means of subsistence. Isolation is serious, especially for Christians who are called to be open to others. They would live in a buffer land among Shiites, Sunnis and Kurds. "
The exodus of Christians from Iraq into neighbouring countries could facilitate a repositioning of the Christian communities in the Middle East?
"I will answer with an example: Lebanon was once a popular destination for Christians who emigrated there but it is no more so. The spectacle offered by Lebanon is that of a country prey to a political crisis generating violence. I don’t believe, therefore, to a repositioning in the Middle East but rather to a haemorrhage outside the region. "
In your opinion, then, the risk of disappearance of Christians from Iraq is real?
"In Iraqi Christians there is a strong fear of tomorrow. They live a tragedy ending with a self-exile. The risk is real. Someone tries to come back but they are few. There is a psychological suffering in coming back since it means having achieved nothing. To leave many people sold everything, left jobs and it is difficult to find a new one. The more widespread feeling among Christian refugees is to have lost the ties with their own country, with its culture. Many come to say - this is not more my country -".

26 febbraio 2008

Esplosione a Bakhdida/ Explosion in Bakhdida

Fonte/Source: Ankawa.com

By Baghdadhope

Il sito Ankawa.com ha dato notizie di un’esplosione davanti ad un negozio di liquori a Bakhdida che ha causato il ferimento di almeno 7 persone trasportate in ospedale. La Guardia Nazionale ha circondato ed isolato l’area dell’esplosione.
Bakhdida o Qaraqosh è un villaggio quasi interamente cristiano a circa trenta chilometri da Mosul ed è stato recentemente visitato dalla delegazione di Pax Christi durante il suo viaggio nel nord dell’Iraq.

Ankawa.com web site spread the news of an explosion in front of a liquor store in Bakhdida that caused the injury of at least 7 people who were transported to hospital. The National Guard had surrounded and isolated the area of the explosion. Bakhdida or Qaraqosh is an almost entirely Christian village at about thirty kilometers from Mosul and was recently visited by the delegation of Pax Christi during its trip to the north of Iraq

25 febbraio 2008

Esilio su "Via dell'Amore"

Fonte: Time

By Andrew Lee Butters

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Negli annali del folle amore giovanile Atheer Lokus potrebbe avere aperto un nuovo, sconsiderato capitolo. Il ventenne direttore di ristorante viveva al sicuro ad Ankawa, città cristiana nel nord dell'Iraq controllato dai curdi, fino al mese di aprile 2006, quando iniziò a chattare su Internet con Miriam Eliasan, una diciottenne cristiana di Dora, uno dei quartieri più pericolosi di Baghdad. Dopo sei mesi di scambi di fotografie e di tenerezze egli decise di non poter più vivere senza di lei. Così guidò fino a Baghdad, dove, dopo essere rimasto coinvolto in uno scontro a fuoco tra miliziani e soldati americani, incontrò per la prima volta Miriam nel retro di una chiesa. Non molto tempo dopo scortò la ragazza, la madre, il padre e ciò che essi poterono ammassare in un piccolo camion fino al nord dell'Iraq. Affittò una casa per loro ad Ankawa e si sposò la scorsa primavera. "A Baghdad è stato come vivere in una gabbia" ha detto Miriam. "Ora ho un marito, una casa, e la sicurezza."

Clicca su "Leggi tutto" per la traduzione dell'articolo del Time
Una città piena di rifugiati cristiani è la capitale del romanticismo in Iraq. Sebben Atheer e Miriam possano sembrare impulsivi ci sono molte storie di amore e pericolo ad Ankawa, che è un faro di rifugio per i cristiani in pericolo e forse la capitale irachena del romanticismo. La strada principale che conduce in città è fiancheggiata da negozi da sposa e durante l'alta stagione estiva ci sono matrimoni quasi ogni sera. Ogni giovedì e domenica sera, gli adolescenti ed i giovani adulti passeggiano lungo una strada soprannominata "Via dell’Amore” a causa dei flirts che nascono nella salette delle gelaterie. Oggi l'azione si è spostata in un vicino parco di divertimenti dove i ragazzi e le ragazze camminano in cerchi concentrici in direzioni opposte intorno a un ruota panoramica, lanciando con gli occhi messaggi più veloci di un SMS.
Una delle ragioni che rendono Ankawa un ambiente adatto alle frecce di Cupido è l'essere una cittadina aperta e relativamente sofisticata rispetto alla conservatrice Erbil, la capitale della vicina regione curda. Alcool, comitive miste e matrimoni d’amore sono socialmente più accettabili tra i cristiani che tra i loro vicini curdi, la maggior parte dei quali sono musulmani. Gli abitanti di Ankawa hanno inoltre forti legami con il Libano, che ha una grande popolazione cristiana e la reputazione di capitale della moda in Medio Oriente, e per questa ragione pensano di saper organizzare un matrimonio con stile. ("I nostri abiti fanno vedere un pò di pelle", ha detto il proprietario del negozio da sposa chiamato "Libano.") Anche i curdi cominciano ad essere d'accordo: molti si sposano nelle sale da matrimonio ad Ankawa dove, a differenza di Erbil, uomini e donne possono ballare assieme.
Un'altra ragione per il boom dei matrimoni in città è che combinare matrimoni è un affare serio per un gruppo minoritario che cerca di preservare la propria identità in una regione a stragrande maggioranza musulmana. I cristiani hanno vissuto in Iraq quasi dall'inizio del cristianesimo stesso, e anche se presumibilmente per secoli si sono innamorati e sposati come tutti gli altri, l’amore, dopo la prima guerra del Golfo, è diventato una sorta di lavoro a domicilio ad Ankawa. Quando il Kurdistan si staccò dall’Iraq di Saddam Hussein la città divenne un punto di riferimento per gli scapoli cristiani che vivevano all'estero e vi tornavano in cerca di una moglie che fosse uguale alla mamma.
Dopo l'invasione degli Stati Uniti tuttavia la posta in gioco si è fatta più alta. In quanto gruppo minoritario prospero ed in vista i suoi membri sono diventanti facili bersagli di tutte le componenti della guerra civile settaria in Iraq. Ankawa, una città di circa 20000 abitanti che si trova nel relativamente sicuro Kurdistan, ha visto la sua popolazione aumentare del 50% in pochi anni man mano che i profughi vi si riversavano fuggendo dalle violenza del sud. Osama Thomas, il proprietario di “Love Vision” un negozio e Ankawa che si occupa dei filmati di nozze, ha detto che circa l'80 per cento dei suoi clienti vengono da Baghdad (che lui ha lasciato nel 1995), e tutti sono stati vittime di una qualche tragedia. La metà stessa dei componenti della sua famiglia è stata rapita o uccisa dal 2003. "E’ normale in Iraq", il suo commento.
Oltre a distribuire aiuti e costruire case, i sacerdoti ed leader locali hanno cercato di aiutare i giovani nuovi arrivati a trovare mariti e mogli trasformando anche la home page cittadina in un forum di appuntamenti. Molti sono preoccupati per la stessa esistenza dei cristiani: "Non c'è luce alla fine del tunnel", ha detto un portavoce per il Partito Democratico Assiro, un gruppo cristiano. Ma non tutti i giovani single esuli apprezzano gli sforzi di ospitalità locale. "Ankawa è un piccolo paese", ha detto una giovane donna arrivata qui da Baghdad e seduta nel parco di divertimenti con gli amici, "Appena inizia una storia iniziano i pettegolezzi.”

Exile on Love Street

Source: Time

By Andrew Lee Butters

In the sacred annals of crazy young love, Atheer Lokus may have opened a whole new chapter of recklessness. The 20-year old restaurant manager was living safely in Ankawa, a Christian town in Kurdish-controlled northern Iraq, until April 2006, when he began chatting over the internet with Miriam Eliasan, an 18-year old Christian girl from Dora, one of Baghdad's most dangerous neighborhoods. After six months of trading photographs and sweet nothings, he decided that he could no longer live without her. So he drove all the way to Baghdad, where, after getting caught in a firefight between militants and American soldiers, he met Miriam for the first time in the back of a church. Not long afterwards he moved Miriam, her mother and father, and what possessions they could pack in a small truck back to northern Iraq. He rented them all a house in Ankawa, and married her last spring. "It was like living in a cage in Baghdad," said Miriam. "Now I have a husband, a home, and safety."

Click on "Leggi tutto" for the whole article by Time
A town filled with Christian refugees is the romance capital of IraqThough Atheer and Miriam may sound impulsive, there are many such stories of love and danger in Ankawa, which is both a beacon of refuge for the country's endangered Christians, and, perhaps, the romance capital of Iraq. The main street leading into town is lined with bridal shops, and there are weddings almost every night during the high season in summer. Every Thursday and Sunday evening, teenagers and young adults used to promenade along a road nicknamed "Love Street" because of all the heavy flirting going on in between stops at ice cream parlors. Nowadays, the action has shifted to a nearby amusement park, where boys and girls walk in concentric circles moving in opposite directions around a Ferris Wheel, flashing messages with their eyes faster than the speed of SMS.
Part of what makes Ankawa a target-rich environment for Cupid's arrows is the relative openness and sophistication of the Christian town, compared to conservative Erbil, the nearby capital of the Kurdish region. Alcohol, mixed company, and marriages of choice are all much more socially acceptable among Christians than their Kurdish neighbors, most of whom are Muslims. And Ankawans have strong ties to Lebanon, which has a large Christian population and a reputation as the fashion capital of the Middle East, so they think they know how to throw a wedding in style. ("Our dresses show a little skin," said the owner of bridal shop called "Lebanon.") Kurds are starting agree: many now get married in Ankawa wedding halls, where among other things that would be taboo in Erbil, men and women are allowed to dance together.
Another reason for the town's wedding boom is that matchmaking is a serious business for a minority group trying to preserves its identity in an overwhelmingly Muslim region. Christians have lived in Iraq almost since the beginning of Christianity itself, and though they presumably fell in love and married just like everyone else for centuries, love became something of a cottage industry in Ankawa after the first Gulf war. When the Kurdistan broke away from Saddam Hussein's Iraq, the town became a hub for single Christian men living abroad could now return in search of a mate just like mom.
Since the U.S. invasion of Iraq, however, the stakes have gotten higher. As a conspicuous (and prosperous) minority group, Christians have made easy targets for all sides of Iraq's sectarian civil war. Because Ankawa is situated in the relative safety of Kurdistan, the town of 20,000 has seen its population jump by a half in just a matter of years as refugees have poured in from violence further south. Osama Thomas, the owner of Love Vision, a store in Ankawa that makes wedding videos, said about 80 percent of his clients were from Baghdad (which he left in 1995), and everyone had suffered some kind of tragedy. Indeed, half of his own family has been kidnapped or killed since 2003. "That's normal in Iraq," he said.
Besides distributing aid and building homes, local leaders and priests have tried to help find husbands and wives for young newcomers, among other ways by turning the town Internet home page into a dating forum. Many are concerned the very existence of Christians in Iraq is at risk. "There's no light at the end of the tunnel," said a spokesman for the Assyrian Democratic Party, a Christian group. But not all single young exiles appreciate the local efforts at hospitality. "Ankawa is such a small town," said one young woman from Baghdad sitting at the local amusement park with friends. "If you get into a love situation, everyone gossips."

Nuovo Nunzio Apostolico in Irlanda

By Baghdadhope

Come riportato da
Zenit, l’Arcivescovo Giuseppe Leanza è stato nominato Nunzio Apostolico in Irlanda.
Cosa c’entra questa notizia con l’Iraq?
Monsignor Leanza sostituisce come nunzio a Dublino Monsignor Giuseppe Lazzarotto che dal dicembre 2007 è stato chiamato a dirigere la rappresentanza vaticana in Australia ma che dal 1994 al 2000 ha diretto quella di Giordania ed Iraq.

As reported by Zenit, Archbishop Giuseppe Leanza has been appointed Apostolic Nuncio in Ireland. What’s the link between this story and Iraq? Archbishop Leanza replaces as nuncio in Dublin Archbishop Giuseppe Lazzarotto who on December 2007 was named to head the Vatican diplomatic delegation in Australia but who, from 1994 to 2000, headed the Vatican Nunziature in Jordan and Iraq.

Vescovo di Arbil: un “grido di dolore” per l’attacco turco nel Kurdistan

Fonte: Asia News

“Questo è un grido di dolore rivolto alla comunità internazionale. Non lasciate che gli aerei turchi continuino a violare i cieli del Kurdistan ed a bombardarne il territorio: gli unici a soffrire sono civili innocenti. Oltre 200 villaggi colpiti, persone appena tornate che scappano di nuovo, violenza e paura: è questo il prezzo dell’aggressione che stiamo subendo”. Chi parla è mons. Rabban al Qas, vescovo di Arbil,che condanna l'attacco turco sul Kurdistan.
Le truppe turche hanno attraversato nella notte fra il 21 ed il 22 febbraio il confine con l’Iraq, in un’operazione mirata a colpire i separatisti kurdi del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). L’operazione di terra fa seguito a colpi d’artiglieria e raid aerei che hanno preso di mira i presunti campi base del Pkk in territorio iracheno. Fino ad ora, sono almeno 44 le vittime accertate.
Il vescovo di Arbil, che parla a nome “dei miei fratelli vescovi, dei leader religiosi musulmani e soprattutto della popolazione, l’unica vittima di questa aggressione”. I carri armati turchi nel territorio iracheno e gli aerei di Ankara nei cieli “stanno distruggendo tutto ciò che abbiamo così faticosamente ricostruito negli ultimi anni”.
Secondo mons. al Qas, l’attacco sferrato nella notte di ieri dalle truppe turche in territorio kurdo “non è mirato a colpire i ribelli del Pkk. Quelli non si trovano nei villaggi vicino al confine, la zona colpita dai bombardamenti, ma lontano dalle montagne. Ho visto con i miei occhi 6 aerei turchi attaccare un villaggio cristiano dove non si erano mai viste installazioni militari”.
Appena le truppe sono penetrate nel territorio, “la popolazione è fuggita: questo è ancora più doloroso se si tiene conto di quanti sforzi ha fatto il governo provinciale per far tornare dalla Siria e dalla Giordania tutti coloro che erano fuggiti a causa della guerra. I turchi hanno distrutto dei ponti pedonali, fondamentali per spostarsi da un villaggio all’altro, ed hanno concentrato il loro raggio d’azione in zone abitate per lo più da civili cristiani”.
L’Europa e gli Stati Uniti, così come i cristiani ed i musulmani di tutto il mondo, “non possono rimanere indifferenti davanti a quello che è successo. Abbiamo bisogno dell’aiuto e delle preghiere di tutti: deve tornare la pace, o la situazione non tornerà mai più alla normalità”.

Bishop of Arbil: a "cry of pain" over the Turkish attack in Kurdistan

Source: Asia News

"This is a cry of pain addressed to the international community. Do not let Turkish airplanes continue to violate Kurdish airspace and bomb its territory: the only ones suffering are innocent civilians. More than 200 villages have been struck, people who have just returned are fleeing again, and there is violence and fear: this is the price of the aggression that we are suffering". These words are from Rabban al Qas, bishop of Arbil, who condemns the Turkish attack on Kurdistan.
The Turkish troops crossed the border with Iraq the night of February 21, in an operation aimed at striking Kurdish separatists of the PKK (Kurdistan Workers Party). A ground operation followed artillery strikes and air raids targeting the presumed base camps of the PKK in the Iraqi territory. So far, at least 44 victims have been confirmed.
The bishop of Arbil, who speaks in the name of his "brother bishops, of the Muslim religious leaders, and above all of the population, the sole victim of this aggression", says the Turkish armed vehicles and airplanes in the Iraqi territory "are destroying everything that we have so laboriously rebuilt in recent years".
According to Bishop al Qas, the attack unleashed last night by the Turkish troops in Kurdish territory "is not aimed at striking the PKK rebels. They are not in the villages near the border, the zones struck by the bombings, but far away from the mountains. I saw with my own eyes six Turkish planes attacking a Christian village where military installations have never been seen".
As soon as the troops penetrated the territory, "the population fled: this is even more painful if one considers how much effort the provincial government made to bring back from Syria and Jordan all those who had fled because of the war. The Turks have destroyed foot bridges, essential for moving from one village to another, and have concentrated their action on the areas mostly inhabited by Christian civilians".
Europe and the United States, like Christians and Muslims of the entire world, "cannot remain indifferent before what is happening. We need the help and prayers of all: peace must return, or the situation will never return to normal".

21 febbraio 2008

I vescovi del Medio Oriente affermano che la scomparsa dei cristiani minaccia la speranza


by Cindy Wooden

Translated by Baghdadhope

La scomparsa delle comunità cristiane del Medio Oriente mette a rischio la speranza di trovare un modo per preservare i valori tradizionali arabi ed il riconoscimento individuale dei diritti umani, hanno affermato due dei vescovi cattolici della regione. In Iraq, "tutte le minoranze sono minacciate di estinzione", ha detto l'Arcivescovo di rito latino di Baghdad Mons. Jean Sleiman. "Il dramma dei cristiani è il dramma dell'Iraq. La fuga dei cristiani sta portando ad una omogeneizzazione culturale e religiosa che impoverisce ed indebolisce il paese", ha detto l'arcivescovo il 20 febbraio nel corso di una conferenza a Roma.
Il convegno, promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, ha esaminato la situazione dei cristiani in Medio Oriente, il loro status politico e le loro relazioni con i loro vicini musulmani.
Mons. Antoine Audo, Vescovo caldeo di Aleppo, Siria, durante la conferenza ha dichiarato che, sebbene la situazione sia migliore per i cristiani in Siria rispetto all’Iraq, "molti giovani cristiani pensano di lasciare il paese". "I cristiani in Siria - come tutti - vogliono essere cittadini del mondo ed avere libertà, democrazia,benessere e felicità", ha aggiunto Mons. Audo. L’alto tasso di disoccupazione, però, ed i segni di una crescita del fondamentalismo islamico li rendono dubbiosi sul futuro in "un paese che potrebbe diventare a loro ostile". "I cristiani si chiedono perché dovrebbero rimanere (in Siria) ed essere coinvolti quando vedono ciò che è accaduto in Iraq e in Libano".
Il vescovo ha riferirto poi che alcuni capi della comunità musulmana della Siria e il governo del paese si sono impegnati a promuovere il dialogo e la cooperazione tra musulmani e cristiani, ma chedeve essere fatto di più per creare luoghi d'incontro, dove essi possano "esorcizzare le proprie paure". "Gli arabi cristiani, con la loro cultura araba, sono in una posizione privilegiata per fungere da intermediari tra tradizione e modernità”. "Essi possono aiutare i musulmani a recuperare l’apertura verso le scienze umane e trovare il modo di interagire con gli aspetti positivi della modernità, come la libertà religiosa, la separazione tra chiesa e stato, ed il dialogo interreligioso".

Clicca su "Leggi tutto" per l'articolo di Catholic News Service
L’Arcivescovo Sleiman ha intitolato il suo discorso sui cristiani iracheni "Dalla malinconia alla disillusione". Secondo Mons. Sleiman mentre i cristiani non erano stati trattati con equità sotto il governo del dittatore iracheno Saddam Hussein i loro sogni di uguaglianza, libertà e pace nell’Iraq post-Saddam in Iraq sono stati infranti. "La situazione in Iraq è ancora grave", ha continuato "la violenza è ancora reale anche se per i media e per i politici, tra cui il presidente americano George W.Bush, essa è diminuita. Questa è una trappola perché impedisce alle persone di cercare soluzioni reali, e rende il dramma delle esplosioni di violenza ancora più scioccante".
"La preoccupazione per la scomparsa dei cristiani (da Iraq), è, purtroppo, ben fondata" ha aggiunto il prelato. “Non solo i cristiani sono ancora in fuga, e solo pochissimi fanno ritorno, quanto quelli che rimangono si sentono sempre meno a casa nel proprio paese”. Sempre secondo Mons. Sleiman non è raro sentire dire ai cristiani "Si stava meglio quando si stava peggio". La situazione varia da quartiere a quartiere a Baghdad e da città a città. In alcuni luoghi, ha detto il vescovo, i cristiani sono sottoposti a forti pressioni per convertirsi all'Islam o abbandonare le proprie case, mentre in altri luoghi cristiani e musulmani vivono in pace fianco a fianco assistendo alle rispettive celebrazioni, ed in particolare ai matrimoni.
Senza il dominio di Saddam sulla società irachena, ha continuato, le forme di tribalismo tradizionali e nuove sono in aumento. "Nella società tribali la persona, come soggetto di diritti e di obblighi, e la libertà e la responsabilità non esistono. Non c'è parità o reciprocità. Il diritto di un gruppo al culto è riconosciuto, ma non quello dell’individuo di seguire la propria coscienza". Con la fine del regime di Saddam, ha detto l'arcivescovo, gli Stati Uniti ed i suoi alleati hanno portato le antenne paraboliche, i telefoni cellulari ed i computer della modernità, ma il paese "non ha ancora una idea moderna sull’identità e la dignità della persona umana." L’Arcivescovo Sleiman ha anche dichiarato che senza i cristiani in quanto cittadini uguali agli altri, un Iraq interamente musulmano non avrebbe urgenza di trovare un modo per preservare i valori tradizionali e di riconoscere anche la diversità e l'uguaglianza di tutti gli uomini e le donne.

Middle Eastern bishops say Christians' disappearance threatens hope


By Cindy Wooden

The disappearance of Christian communities from the Middle East threatens hope for finding a way to preserve traditional Arab values while also recognizing individual human rights, said two of the region's Catholic bishops.
In Iraq, "all minorities are threatened with extinction," said Latin-rite Archbishop Jean Sleiman of Baghdad."The drama of Christians is the drama of Iraq. The flight of Christians is leading to a cultural and religious homogenization, which will weaken and impoverish Iraq," the archbishop said Feb. 20 at a conference in Rome. The conference, sponsored by the Community of Sant'Egidio, looked at the situation of Christians in the Middle East, their political status and their relations with their Muslim neighbors.
Chaldean Bishop Antoine Audo of Aleppo, Syria, told the conference that while things are much better for Christians in Syria than in Iraq "many young Christians think of moving.""Christians in Syria -- like people everywhere -- want to be citizens of the world with freedom, democracy, well-being and happiness," he said. But high unemployment and hints at a rise in Muslim fundamentalism make them doubt their future in "a country that could become hostile to them," he said."Christians wonder why they should stay (in Syria) and get involved when they see what happened in Iraq and in Lebanon," Bishop Audo said. The bishop said leaders of Syria's Muslim community and the country's government have been working to promote dialogue and cooperation among Muslims and Christians, but more must be done to create meeting places where they can "exorcise their fears.""Arab Christians, with their Arabic culture, are in a privileged position to be intermediaries" between tradition and modernity, he said."They can help Muslims reclaim their openness to the human sciences and find ways to engage with the positive aspects of modernity, such as religious freedom, the separation of church and state, and interreligious dialogue," he said.

Click on "Leggi tutto" for the article by Catholic News Service
Archbishop Sleiman titled his talk about Iraqi Christians "From Melancholy to Disenchantment." He said that while Christians were not treated equally under the government of Iraqi dictator Saddam Hussein their dreams for equality, freedom and peace in a post-Saddam Iraq have been dashed."The situation in Iraq is still serious," he said. "The violence is still real, even though for the media and for the politicians, including (U.S. President George W.) Bush himself, it has decreased. But this is a trap because it prevents people from seeking real solutions, and it makes the drama of violent outbursts more shocking." The archbishop said, "The concern over the disappearance of Christians (from Iraq) is, unfortunately, well-founded." Not only are Christians still fleeing, with very few returning, but those who stay feel less and less at home in the country, he said. Archbishop Sleiman said it is not uncommon to hear Christians say "We were better off when things were worse."The situation varies from neighborhood to neighborhood in Baghdad and from city to city. In some places, he said, Christians are under intense pressure to convert to Islam or leave, while in other places Christians and Muslims live peacefully side by side and attend each other's celebrations, particularly weddings.Without Saddam dominating Iraqi society, he said, traditional and new forms of tribalism are rising. "In tribal societies, the person as a subject of rights and obligations, freedom and responsibility does not exist. There is no equality or reciprocity. The right of a group to worship is recognized, but not the right of an individual to follow his or her conscience," he said.With the end of the Saddam regime, the archbishop said, the U.S. and its allies brought the satellite dishes, cellular phones and computers of modernity, "but the country still does not have a modern idea of the identity and dignity of the human person."Archbishop Sleiman said that, without Christians as full and equal citizens, a thoroughly Muslim Iraq would feel no urgency in finding a way to preserve important traditional values while also accepting diversity and recognizing the equality of all men and women.

20 febbraio 2008

Mons.Sleiman (Baghdad) : "I cristiani rischiano di scomparire"

Fonte: SIR

"La situazione è critica. Nei cristiani iracheni c'è la forte paura del domani. Essi vivono una tragedia che termina con un autoesilio. La preoccupazione della sparizione dei cristiani dall'Iraq è fondata".
A denunciarlo è mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei latini, che oggi è intervenuto al seminario "Cristiani d'Oriente" promosso dalla comunità di S.Egidio. La violenza settaria, l'instabilità e la mancanza di sicurezza hanno spinto molti cristiani a trovare rifugio in Siria, in Giordania oltre che nel Kurdistan iracheno. "La maggioranza vive in grande difficoltà - ha spiegato il presule al Sir - non ha trovato lavoro e parlare di rientro è presto. Qualcuno prova a ritornare in patria ma sono pochi. C'è una sofferenza psicologica poiché tornare significa non aver realizzato niente. Molti per partire hanno venduto tutto, lasciato il lavoro ed è difficile ritrovarlo. Qualcuno è costretto a rientrare perché espulso dal Paese ospitante". "Il sentimento più diffuso tra i rifugiati cristiani - ha aggiunto - è quello di aver perso legami con la Patria, con la sua cultura. Molti arrivano a dire 'questa non è più la mia terra'". "Si registra un lieve miglioramento
nella sicurezza - ha aggiunto mons. Sleiman - ma la violenza continua anche sotto forme diverse”.

Mgr. Sleiman (Baghdad): "Christians in danger of disappearing"

Source: SIR

Translated by Baghdadhope

"The situation is critical. Iraqi Christians are afraid of tomorrow. They live a tragedy that ends with their exile. Concern for the disappearance of Christians from Iraq is founded".
To denounce it is Mgr. Jean Benjamin Sleiman, Latin Archbishop of Baghdad who spoke today in occasion of the seminar “Christians of the East" sponsored by the community of St. Egidio. Sectarian violence, instability and lack of security led many Christians to find refuge in Syria, in Jordan and in Iraqi Kurdistan. "The majority is living hard times - explained the bishop to Sir – they did not find work and it is soon to talk about returning home. Someone is trying to go back but only few of the total. There is a psychological suffering since returning means having achieved nothing. To leave, many of them sold everything and left work and it is difficult to find a new one. Someone is forced to return because expelled by the hosting country." "The feeling among Christian refugees Christians - he added - is to have lost the ties with their own country, with its culture. Many come to say 'this is not more my land '. There is a slight improvement in security, but violence continues in various forms."

Baghdadhope: 10000 visitatori in 436 giorni. Grazie a tutti

Quando, il 3 ottobre 2005, ho creato il blogspot BAGHDADHOPE pensavo mi sarebbe servito come diario degli eventi riguardanti la comunità cristiana caldea in Iraq. All’inizio, infatti, solo poche persone sapevano della sua esistenza ed io non ero in grado di valutare l’interesse altrui per un argomento così specifico. Dall’11 dicembre 2006, inserendo nel blogspot un contatore delle visite ho capito che il tema – la lotta per la sopravvivenza di una piccola comunità cristiana minoritaria travolta dagli eventi – ha catturato l’attenzione di molte persone e di molti organi di informazione che con il tempo hanno apprezzato la precisione e la tempestività delle notizie postate da Baghdadhope.
Per questa ragione voglio ringraziare i miei lettori. Forse alcuni di essi hanno linkato il blog per sbaglio o forse l’hanno fatto solo una volta, ma molti, proprio attraverso il contatto continuo con esso hanno dimostrato un sincero interesse per un argomento che mi sta molto a cuore.
Grazie a tutti voi 10000, Baghdadhope

Baghdadhope: 10000 visitors in 436 day. Thanks to you all!

When, on October 3, 2005, I created the blogspot BAGHDADHOPE I thought it would serve as a diary of the events concerning the Chaldean Christian community in Iraq. In the beginning, in fact, only a few people knew of its existence and I was not able to assess the interest of others in such a particolar subject. Since 11 December 2006, putting in the blogspot a visits counter I realized that the subject - the struggle for survival of a small minority Christian community overwhelmed by the events - has captured the attention of many people and many press agencies that eventually have appreciated the accuracy and timeliness of the news posted by Baghdadhope.
For this reason I want to thank my readers. Maybe some of them have linked the blog by mistake or maybe they did only once, but many, through continuous contact with it have shown a sincere interest in a topic that is close to my heart. Thanks to all of you 10000, Baghdadhope

Baghdadhope: 10000 visitantes en 436 días. Gracias a todos ustedes!

Cuando, el 3 de octubre de 2005, he creado el blogspot BAGHDADHOPE pensaba que habría servido como un diario de los acontecimientos concernientes la comunidad cristiana caldea en Irak. Al inicio de hecho, sólo unas pocas personas sabían de su existencia y yo no era capaz de evaluar el interés de los demas en un tema tan especifico. Desde el 11 de diciembre de 2006, poniendo en el blogspot un contador de visitas he comprendido que el tema - la lucha por la supervivencia de una pequeña comunidad minoritaria cristiana coenvueltos por los acontecimientos - ha captado la atención de mucha gente y muchas agencias de prensa que a la larga han apreciado la exactitud y la puntualidad de las noticias publicadas por Baghdadhope.
Por este motivo quiero dar las gracias a mis lectores. Tal vez algunos de ellos se han vinculado el blog por error o tal vez lo hicieron sólo una vez, pero muchos, justamente a través del contacto continuo con el Blog han demostrado un sincero interés por un tema que está muy cerca de mi corazón.
Gracias a todos ustedes 10000, Baghdadhope

19 febbraio 2008

Iraq, Mons. Sako: "Alla violenza si risponde con il dialogo"

Fonte: SIR

Questa visita in un momento difficile per l’Iraq è un atto coraggioso e provvidenziale. La vostra presenza qui è una condivisione delle nostre fatiche, angosce, attese e speranze e ci conforta. La vostra solidarietà ci aiuta a perseverare a rimanere e sperare. Speriamo che altri seguano il questo esempio”. Così il vescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, si è rivolto alla delegazione di Pax Christi di Francia e Italia, in Iraq in visita di solidareità, che domenica 17 febbraio è giunta a Kirkuk. A raccontarlo al Sir è lo stesso mons. Sako: “abbiamo accolto la delegazione, guidata da mons. Marc Stenger, presidente di Pax Christi Francia, presso la cattedrale caldea gremita di 1500 persone. Mons.Stenger ha ricordato che lo scopo della visita è manifestare la vicinanza e la solidarietà della chiesa francese e italiana al popolo iracheno, in particolare ai cristiani”. Dopo la messa la delegazione ha incontrato i rappresentati delle diverse chiese: assiri, siri ortodossi, armeni ortodossi. “Ieri – aggiunge mons. Sako - la delegazione ha incontrato diversi esponenti sciiti e sunniti e i membri del consiglio civile della città. Da parte degli imam e degli altri religiosi musulmani c'è stato il comune riconoscimento che la strada per sconfiggere la violenza è l'incontro e il dialogo”.

Iraq: Mons. Sako"The answer to violence is dialogue"

Source: SIR

Translated by Baghdadhope

"This visit in such a difficult time for Iraq is a courageous and providential act. Your presence here is a sharing of our labours, anxieties, hopes and expectations and comforts us. Your solidarity helps us to persevere to stay and hope. We hope others will follow this example."
By these words the bishop of Kirkuk, Mgr. Louis Sako, addressed the delegation of Pax Christi coming to Iraq from France and Italy for a visit of solidarity that arrived in Kirkuk on Sunday, February 17. To tell to Sir is the same Mgr.Sako: "We welcomed the delegation, headed by Mgr. Marc Stenger, president of Pax Christi France at the Chaldean cathedral that was packed with 1500 people. Mgr.Stenger recalled that the purpose of the visit is to express the closeness and solidarity of the French and Italian church to the Iraqi people, particularly Christians." After the mass the delegation met the representatives of the various churches: Assyrians, Syrians Orthodox, Armenian Orthodox. "Yesterday – added Mgr.Sako - the delegation met several Shia and Sunni representatives and members of the board of the city. The Imams and the other Muslim religious representatives recognized that the way to defeat violence is meeting and dialogue ".

Iraq: Parlare con una sola voce


By John Pontifex

Tradotto da Baghdadhope

Un preminente arcivescovo iracheno ha ricevuto il sostegno da parte del presidente del paese di istituire un 'Consiglio dei cristiani' per affrontare le principali sfide che minacciano la sopravvivenza della Chiesa nella sua terra d’origine. Determinato a far rinascere la fiducia tra i cristiani dopo l’ondata di attacchi alle chiese in tutto il paese a gennaio, Monsignor Louis Sako sta mettendo a punto gli ultimi ritocchi per la creazione di un comitato di 30 membri che avrà il compito di aiutare i fedeli a garantire il loro futuro in Iraq.
Parlando dall’Iraq, in un'intervista con Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’Arcivescovo Sako ha detto, come presidente di questo consiglio, di aver ricevuto pieno sostegno da parte del presidente dell’Iraq, Jalal Talabani. Con un mandato che copre Kirkuk, la città del nord dove Mons. Sako è Arcivescovo, il consiglio si presenta come ecumenico riunendo i rappresentanti di cinque principali confessioni cristiane - caldei, armeni, assiri, siro ortodossi e siro cattolici.
Suddiviso in comitati che hanno il compito di affrontare le questioni chiave, il consiglio esaminerà le relazioni sociali, culturali ed interreligiose, e sarà sostenuto da un ufficio stampa che promuoverà le sue iniziative e la partecipazione di gruppi esterni.
L’Arcivescovo Sako ha detto ad ACN: "Per troppo tempo i cristiani hanno lottato per far udire il proprio punto di vista nelle discussioni sui principali argomenti perché spesso non parlano con una sola voce." Il chierico caldeo, che ha discusso il progetto con il Presidente Talabani durante la sua visita a Kirkuk di due settimane fa, ha aggiunto: "Lo scopo principale è far sì che i cristiani abbiano un fronte unito.” "Se abbiamo delle richieste dobbiamo presentarle insieme. Non dovremmo essere separati e quindi deboli". L'Arcivescovo ha detto che la mancanza di unità ha aggravato il problema dei cristiani che vivono come una minoranza di sole 12000 persone in una città di un milione di abitanti, malgrado i cristiani nella regione siano aumentati per gli arrivi di persone in fuga dalla povertà e dalla persecuzione in altre parti del paese.
L’Arcivescovo Sako, che ha apertamente criticato il piano per creare un cosiddetto 'rifugio sicuro' per i cristiani iracheni nella Piana di Niniveh, al di fuori Mosul, ha detto che il consiglio affronterà i temi di attualità in modo da integrare il lavoro tra cattolici e ortodossi. L’Arcivescovo Sako ha inoltre dichiarato la temporaneità della sua carica presidenziale ed ha aggiunto che: "Il rischio è che i partiti politici non accettino tale consiglio. Che pensino che possiamo provare a sostituirli ma questo non è il nostro obiettivo. Il problema è che i cristiani non si sentono parte del processo politico - che le loro opinioni non vengono rappresentate come potrebbero essere.” "Sono stanchi. Si sentono senza speranza e delusi perché non sanno quanto tempo ci vorrà perchè la situazione si stabilizzi".
Successivi attacchi coordinati alle comunità della Chiesa - la più recente ai primi di gennaio, quando una dozzina o più di chiese sono state prese di mira - hanno indebolito la presenza cristiana nel paese, e secondo alcune stime almeno la metà dei cristiani sono fuggiti all'estero, portando il numero rimasto a meno di 600000 persone. Monsignor Sako ha aggiunto che avere un ruolo nel futuro del paese è la chiave per ricostruire la fiducia dei fedeli. "Abbiamo buone relazioni con tanti gruppi a Kirkuk. Essi apprezzano ciò che facciamo. Dobbiamo renderci conto che la nostra presenza non riguarda il nostro numero ma come ci comportiamo e ciò che diciamo." L'arcivescovo ha anche detto di sperare che il progetto abbia successo tanto da poter essere imitato nel resto del paese e portare alla creazione di un Consiglio nazionale dei cristiani.

Iraq: Speaking with one voice

Source: Aid to the Church in Need

By John Pontifex

A leading archbishop from Iraq has received backing from the country’s president to set up a ‘Council of Christians’ to address key challenges threatening the Church’s survival in their ancient homeland. Determined to shore up confidence among Christians after January’s wave of attacks on church buildings across the country, Archbishop Louis Sako is putting the finishing touches to a 30-member committee tasked with helping the faithful to secure their place in Iraq’s future. Speaking from Iraq in an interview with the Catholic charity Aid to the Church in Need, Archbishop Sako said that as the council’s acting president, he had received express support for the plan from Iraq’s President Jalal Talabani. With a remit covering Kirkuk, the northern city where Mgr Sako is Archbishop, the council breaks new ecumenical ground, bringing together representatives from five key Christian denominations – Chaldeans, Armenians, the Assyrians as well as Syrian Orthodox and Catholics. Broken up into committees tackling key issues, the council will examine social, cultural and inter-faith relations, backed up by a press office to promote awareness of its activity and involvement from outside groups. Archbishop Sako told ACN: “For too long, the Christians have struggled to get their views heard in the main debates of the day because so often they don’t speak with one voice.” The Chaldean cleric, who discussed the plan with President Talabani during his visit to Kirkuk two weeks ago added: “The main purpose is that Christians should have a united front. “If we have demands, we should present them together. We should not be separated and thereby enfeebled.” The Archbishop said that a lack of unity compounded the problem of Christians living as a minority of just 12,000 in a city of one million. But numbers of Christians in the region are being bolstered by new arrivals escaping poverty and persecution elsewhere in the country. Archbishop Sako, an outspoken critic of a scheme to create a so-called ‘safe haven’ for Iraq Christians in the Nineveh Plains outside Mosul, said the Council would address topical issues in a way that complements the work of Catholics and Orthodox across the party divide. Archbishop Sako, who said his council presidency was strictly temporary, went on: “The risk is that the political parties will not accept the council. They think we may try to replace them. This is not our goal at all.” He went on: “The problem is that the Christians do not feel part of the political process – that their views are not being represented as well as they could be. “They are tired. They feel hopeless and disappointed because they do not know how long it will take for the situation to be stabilised.” Successive co-ordinated attacks on Church communities – the most recent in early January, when a dozen or more churches were targeted – have weakened the country’s Christian presence beyond recognition, with reports that at least half the population have fled abroad, leaving fewer than 600,000 behind. Archbishop Sako said having a stake in the country’s future was key to the faithful rebuilding confidence. He added: “We have good relations with so many groups of people in Kirkuk. They appreciate what we do. We need to realise that our presence is not about how many there are of us but how we are behaving and what we are saying.” The archbishop said that he hoped the scheme would prove successful enough to be adopted across the country, leading to the creation of a national council of Christians.

Medio Oriente: Sant'Egidio, i cristiani "tra futuro, tradizione ed Islam"

Fonte: SIR

“I cristiani in Medio Oriente tra futuro, tradizione e Islam”. Questo il titolo del convegno organizzato per domani, 20 febbraio, a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio (9.30, piazza S. Egidio 3a). Dopo l’introduzione del fondatore, Andrea Riccardi, interverrà Régis Debray, scrittore e filosofo, presidente onorario dell’Istituto europeo di Scienze Religiose, con una relazione dal titolo: “Il significato di una minoranza”. Il Ministro degli Esteri del Libano, Tareq Mitri, parlerà subito dopo di cosa significa essere cristiani in Libano. Alle 11.30, interverrà mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini (i cristiani iracheni), seguito dal vescovo di Aleppo dei Caldei, Antoine Audo, che illustrerà la situazione dei cristiani in Siria. Nel pomeriggio (15.30), interverranno Samir Morcos, della Fondazione Al Mesry per la Cittadinanza e il Dialogo de Il Cairo (i cristiani in Egitto), padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa (i cristiani di Terra Santa) e Bernard Sabella, dell’Università di Betlemme (i cristiani d’Oriente). Alle 17.30, dopo il saluto del card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, in programma una tavola rotonda con Lucio Caracciolo, direttore di Limes, Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio, Il Ministro degli esteri francesi, Jacques Huntzinger, ed il ministro degli esteri libanese.

Middle East: Sant'Egidio, the Christians "among future, tradition and Islam"

Source: SIR

Translated by Baghdadhope

"Christians in the Middle East among future, tradition and Islam". This is the title of the conference organised for tomorrow, February 20, in Rome by the Community of Sant'Egidio (9.30, piazza S. Egidio 3a). After the introduction of the founder, Andrea Riccardi, Régis Debray, writer and philosopher, honorary president of the European Institute for Religious Sciences, will speak about "The meaning of a minority". Lebanon Minister for Foreign Affairs, Tareq Mitri, will speak about the meaning of being Christians in Lebanon. At 11.30, it will be the turn of Mgr. Jean Benjamin Sleiman, Latin Archbishop of Baghdad, followed by the Chaldean Bishop of Aleppo, Mgr. Antoine Audo, who will illustrate the situation of Christians in Syria. In the afternoon (15.30), the speakers will be Samir Morcos, of Al Mesry Foundation for Citizenship and Dialogue in Cairo, Father Pierbattista Pizzaballa, custodian of the Holy Land (Christians of the Holy Land) and Bernard Sabella, of the University of Bethlehem. At 17.30, after the greeting by Cardinal Leonardo Sandri, Prefect of the Congregation for Oriental Churches, there will be a discussion with Lucio Caracciolo, editor of Limes, Giuliano Ferrara, director of Il Foglio, the French Foreign Minister, Jacques Huntzinger, and the Lebanese foreign minister.

14 febbraio 2008

La delegazione di Pax Christi a Karamles

Fonte: Ankawa.com

By Baghdadhope

Accolta dal dono di ramoscelli d’olivo la delegazione di Pax Christi è giunta ieri nel villaggio di Karamless, circa 30 kilometri a sud est di Mosul.
Ad attendere Monsignor Marc Stenger, vescovo di Troyes (Francia) ed a capo della delegazione, Don Roberto Sacco della Diocesi di Novara, Padre Sabri Anar, parroco della chiesa caldea di San Tommaso Apostolo a Sarcelles (Parigi) erano Monsignor Faraj P. Rahho, vescovo caldeo di Mosul, Monsignor Rabban Al Qas, vescovo di Amadhiya ed amministratore vescovile di Erbil, Monsignor Shleimun Warduni, Patriarca vicario della chiesa caldea, e Padre Yousif Shimon Hanna e Padre Salim Ghanni da Karamless.
Il corteo si è mosso dalla chiesa di Santa Barbara, famoso luogo di pellegrinaggio per gli abitanti del paese e situata su una collina, alla chiesa di Sant’Addai Apostolo dove il vescovo di Mosul ha parlato delle enormi difficoltà e dei pericoli che gli iracheni cristiani stanno vivendo ed ha ringraziato il vescovo di Troyes e la delegazione per l’affetto dimostrato con la loro presenza.
La visita della delegazione di Pax Christi si è conclusa con un omaggio alla
tomba di Padre Ragheed Ganni, il sacerdote caldeo ucciso insieme a tre subdiaconi della sua chiesa il 3 giugno 2007.

The delegation of Pax Christi in Karamles

Source: Ankawa.com

By Baghdadhope

Received by the gift of olive branches the delegation of Pax Christi arrived yesterday in the village of Karamless, about 30 kilometers southeast of Mosul. To wait for Mgr. Marc Stenger, bishop of Troyes (France) and head of delegation, Don Roberto Sacco of the Diocese of Novara, Father Sabri Anar, pastor of the Chaldean church of St. Thomas the Apostle in Sarcelles (Paris) there were Mgr. Faraj P. Rahho, Chaldean bishop of Mosul, Mgr. Rabban Al Qas, Bishop of Amadhiya and episcopal administrator of Erbil, Mgr.Shleimun Warduni, patriarch vicar of the Chaldean church, and Father Yousif Shimon Hanna and Father Salim Ganni from Karamless. The parade moved from the church of St. Barbara, situated on a hill near the villane and a famous place of pilgrimage for its inhabitants, to St. Addai the Apostle church where the bishop of Mosul spoke of the huge difficulties and dangers that Iraqi Christians are facing and thanked the bishop of Troyes and the delegation for the affection shown by their presence there. The visit of the delegation of Pax Christi ended with a tribute to the tomb of
Father Ragheed Ganni, the Chaldean priest killed along with three subdeacons of his church on June 3, 2007.

13 febbraio 2008

Rifugiati iracheni - COMECE: Oehring (Missio) "UE si assuma le proprie responsabilità"

Fonte: SIR

“Non si può più perdere tempo; l’Unione europea deve assumersi le proprie responsabilità e farsi carico della ricollocazione delle minoranze non musulmane fuggite dall’Iraq; gli Stati membri si muoveranno soltanto quando la decisione verrà presa a livello comunitario”
: lo ha detto al SIR Otmar Oehring, capo della sezione diritti dell’uomo di Missio, Opera missionaria cattolica internazionale (Germania). È in corso a Bruxelles, promossa dalla Comece (Commissione degli episcopati della comunità europea), una riunione per fare il punto della situazione degli sfollati iracheni, 4,4 milioni, soprattutto non musulmani tra i quali si trovano molti cristiani, ma anche appartenenti ad altre minoranze religiose. Nello scorso novembre la Comece aveva lanciato un appello a favore di questi rifugiati, e all’inizio di gennaio il presidente, mons. Adrianus van Luyn, aveva a scritto alla presidenza slovena dell’Ue per chiedere che la questione fosse messa all’ordine del giorno della prossima riunione del Consiglio europeo e che un contingente di rifugiati iracheni, circa 60mila, venisse accolto nel nostro continente. Ieri una delegazione di persone impegnate nell’assistenza ai profughi, a Bruxelles per incontrare i rappresentanti della Commissione e del Parlamento europei, ha avuto un primo colloquio con il capogabinetto del vicepresidente della Commissione incaricato delle migrazioni, Franco Frattini.
Per Ohering, membro di questa delegazione, l’esito non è stato soddisfacente: “Siamo stati invitati a rivolgerci ai governi e parlamenti nazionali, ma noi siamo convinti che l’iniziativa debba partire da Bruxelles; l’emergenza rifugiati deve essere una preoccupazione comune, da condividere e affrontare poi singolarmente nei diversi Paesi”. È chiaro, spiega ancora, “che queste persone non potranno più ritornare in Iraq, ma non possono neppure rimanere nei Paesi dove attualmente si trovano (soprattutto Siria, Giordania, Turchia) perché anche lì subiscono continue minacce dai compatrioti iracheni”. “Un crimine contro l’umanità di fronte al quale troppe persone stanno a guardare senza intervenire”: così definisce al SIR la guerra e gli atti di violenza perpetrati in Iraq suor Marie-Claude Naddaf, superiora della Comunità delle sorelle del Buon pastore a Damasco, che si occupa di circa 1.500 rifugiati cristiani e di altre religioni. Di qui la richiesta “alle istituzioni europee di un gesto di responsabilità e di un atto di solidarietà”. “Noi – spiega suor Naddaf – offriamo accoglienza e assistenza a famiglie con bambini. Le donne e i piccoli sono particolarmente vulnerabili: traumatizzati dalla violenza, spesso con handicap o malattie. Hanno bisogno di sostegno umano e psicologico”. In Siria vivono attualmente circa 1 milione e 400mila profughi iracheni, ma il Paese non ha firmato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati.
Il Centro di suor Naddaf, che lavora in partenariato con l’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati), offre anche programmi di formazione alle donne. “Molti bambini – prosegue la superiora - sono stati accolti nelle scuole siriane, ma molti altri sono costretti a lavorare per aiutare la famiglia, spesso priva del padre”. “Gente priva di patria e di futuro” afferma mons. Francois Yakan, vicario del Patriarcato dei Caldei in Turchia, riferendosi alle migliaia di profughi iracheni presenti nel Paese in attesa di ripartire verso altre destinazioni di accoglienza. Mons. Yakan chiede “alle istituzioni europee una seria riflessione per trovare una soluzione giusta e dignitosa a questa emergenza umanitaria”, secondo l’Unhcr “la più grave del Medio Oriente dal 1948”. “In questo tempo di Quaresima – sono ancora parole del vicario – vorrei rammentare le parole di Gesù: se avrete accolto anche uno solo di questi piccoli avrete accolto me”. Attualmente nell’Ue si contano circa 40mila profughi iracheni e l’Unhcr ha lanciato un appello affinché ne vengano accolti almeno altri 20mila.

Iraqi refugees: COMECE: Oehring (Missio) "The EU must take its responsability"

Source: SIR

“We can waste no time now, the European Union must take its responsibility and see to relocating the non-Muslim minorities that left Iraq; the member states will not move until the EU takes a decision”
: it was said to SIR by Otmar Oehring, head of the Human Rights section of Missio, an International Catholic Missionary organisation (Germany). A meeting is going on in Brussels, promoted by Comece (Commission of the EU Bishops Conferences), to look at the situation of the Iraqi refugees, 4.4 million of them, mostly non-Muslims, including many Christians, as well as members of other religious minorities. Last November, Comece had made an appeal for these refugees, and in early January its president, mgr. Adrianus van Luyn, had written to the Slovenian presidency of the EU to ask for the issue to be put on agenda of the next meeting of the European Council and for a quota of Iraqi refugees, about 60 thousand, to be taken by our continent. Yesterday, a delegation of people working in assistance to refugees, that were in Brussels to meet the members of the European Commission and Parliament, met the head of the ministerial staff of the Commission in charge of migration, Franco Frattini. According to Ohering, one of the members of such delegation, the outcome was not satisfactory: “We were invited to appeal to the national governments and parliaments, but we are convinced that the initiative must be taken by Brussels; the refugees emergency must be a common concern, to be shared first, then faced by each country”. It is clear, he goes on, “that these people will not be able to go back to Iraq ever again, but they cannot remain where they are either (mostly Syria, Jordan, Turkey), because even there they are threatened all the time by their Iraqi fellow countrymen”. “A crime against humankind before which too many people look and do nothing”: this is the definition of the war and the violence committed in Iraq given to SIR by sister Marie-Claude Naddaf, Mother Superior of the Community of the Sisters of the Good Shepherd in Damascus, who is in charge of about 1,500 refugees, both Christians and from other religions. That’s why she asked “the European institutions to take responsibility and do something to show their solidarity”. “We – explains sister Naddaf – offer shelter and assistance to families with children. Women and children are particularly vulnerable: shocked by violence, often disabled or sick, they need human and psychological support”. About 1 million 400 thousand Iraqi refugees are living in Syria, but the country has not signed the Geneva Convention on the Refugee Status.
Sister Naddaf’s organisation, working in partnership with Unhcr (United Nations High Commission for the Refugees), also provides women’s training schemes. “Many children – goes on the Mother Superior – are attending the Syrian schools, but many others are forced to work to help their families, often lacking a father”. “People with no country or future”, states mgr. Francois Yakan, vicar of the Patriarchate of the Chaldeans in Turkey, with reference to the thousands of Iraqi refugees living in the country, waiting to leave again for some other destination in search of shelter. Mgr. Yakan asks “the European institutions to engage in a serious reflection and find a fair, dignified solution to this humanitarian emergency”, which, according to Unhcr, “is the worst in the Middle East since 1948”. “At this time of Lent – goes on the vicar –, I would like to recall Jesus’s words: if you have given shelter to only one of these little ones, you will have given shelter to me”. About 40 thousand Iraqi refugees are living in the EU, and Unhcr has made an appeal to take at least another 20 thousand.

12 febbraio 2008

Delegazione di Pax Christi incontra il capo del Kurdistan

Fonte: SIR

La delegazione di Pax Christi, costituita da 10 francesi e 2 italiani guidati dal vescovo francese Marc Stenger, in visita nel nord dell’Iraq, Erbil, Kirkuk, Dook e Zakho, dall’11 al 19 febbraio, ha incontrato, stamattina, il capo del Kurdistan Massoud Barazani. Erano accompagnati dall’arcivescovo di Kirkuk, vescovo di Amadiya e vescovo di Alkosh. L'incontro ha avuto luogo nella sua residenza a Salahdin, nella periferia di Erbil. Mons. Stenger ha spiegato il motivo della visita: “Siamo venuti qui per dire a tutti gli iracheni la nostra solidarietà e preoccupazione. Senza riconciliazione, dialogo la pace non si realizza. Gli uomini devono vivere come fratelli. Le differenze non devono creare barriere fra loro. Siamo qui per visitare le chiese cristiane e dire loro tutto il nostro appoggio”. I cristiani, ha aggiunto, “sono un strumento di dialogo, d'apertura. Pensiamo a coloro che hanno lasciato le loro case e adesso abitano nei nuovi villaggi costruiti per loro, ma pensiamo anche a coloro che hanno lasciato il paese per ragioni di sicurezza. Le autorità irachene hanno l'obbligo d'aiutarli”. Massould Al Barzani ha risposto che “il kurdistan è aperto ai cristiani. In kurdistan non facciamo differenza di religione. La sicurezza in grande parte dipende della riconciliazione fra i politici iracheni. Questo cammino è difficile ma bisogna essere ottimisti”.

Mons. Sako: Alunni cristiani rapiti rifiutano di convertirsi all'Islam. Rilasciati.

Fonte: SIR

“La settimana scorsa in una strada che porta a Baghdad alcuni terroristi hanno rapito 40 alunni di una scuola. Fra loro anche 3 cristiani ai quali è stato imposto di convertirsi all’islam. I 3 giovani si sono rifiutati con forza dicendo di essere pronti a morire per la loro fede. La conclusione è stata che tutti i 40 studenti sono stati liberati”. A raccontare l’episodio al Sir è mons. Louis Sako, vescovo di Kirkuk che oggi incontra la delegazione di Pax Christi, da ieri in Iraq per una visita di solidarietà alle comunità cristiane. “Quello accaduto ai tre giovani cristiani significa che, pur tra tante difficoltà, i nostri fedeli non perdono la fede e la speranza, anzi le rafforzano” sottolinea mons. Sako che per questa Quaresima ha scelto di coniugare la riconciliazione con la solidarietà.
“Nella diocesi di Kirkuk ho lanciato un appello per sensibilizzare i fedeli alla difficoltà dei fratelli più poveri e dei profughi. Nelle chiese abbiamo esposto davanti all'altare una scatola col motto: ‘il bisognoso è mio fratello le tendo la mia mano’. Il denaro raccolto sarà distribuito durante la Settimana Santa ai poveri affinché possano celebrare la Pasqua”. Prosegue anche il cammino di riconciliazione con i musulmani e con le altre chiese cristiane: “anche in Quaresima i nostri fratelli islamici vengono a trovarci, ma per promuovere delle iniziative ci vuole tempo e bisogna imparare. Con gli esponenti delle altre chiese abbiamo creato un consiglio di 30 persone cui spetta far sentire la voce dei cristiani. Questa notizia è stata ben accolta anche dalle autorità civili. La settimana scorsa, poi, abbiamo incontrato il presidente della Repubblica Jalal Al Talibani durante la sua visita a Kirkuk. Gli abbiamo presentato il progetto e ci ha incoraggiato. Con lui abbiamo parlato del futuro della città e anche dal ruolo dei cristiani che sono un pò ai margini della vita politica”.

Abcucted Christian students refuse to be converted to Islam. Released

Source: SIR

“Last week, in a street leading to Baghdad, some terrorists abducted 40 students of a school, including 3 Christians who were ordered to be converted to Islam. The 3 students strongly refused, saying they were prepared to die for their faith. The conclusion was that all of the 40 students were released”. This event was told to SIR by mgr. Louis Sako, bishop of Kirkuk, who today is meeting the delegation of Pax Christi that came to Iraq yesterday for a solidarity visit to the Christian community. “What happened to the three young Christians means that, despite so many difficulties, our devotees are not losing faith or hope, they are actually strengthening them”, highlights mgr. Sako who for this Lent decided to combine reconciliation with solidarity.
“In the diocese of Kirkuk, I made an appeal to raise the awareness of the congregation about the difficulty of our poorer brothers and the refugees. In the churches, we have put a box in front of the altar with the inscription: ‘the needy one is my brother, I’ll offer him a helping hand’. The funds raised will be handed out during Holy Week to the poor, so that they can celebrate Easter”. The process of reconciliation with the Muslims and the other Christian Churches is going on as well: “even at Lent, our Islamic brothers come to see us, but it takes time to promote initiatives and we have to learn. With the leaders of the other churches, we have created a council of 30 people who are in charge of giving voice to Christians. This fact was welcomed by the civil authorities as well. Then, last week, we met the president of the Republic, Jalal Al Talibani, during his tour of Kirkuk. We showed him our plan and he encouraged us. With him, we spoke of the future of the city and the role of Christians, who are a bit left out of the political arena”.

11 febbraio 2008

Caldei di Francia: una “Comunità di preghiera.” Monsignor Philip Najim.

Intervista a Monsignor Philip Najim by Baghdadhope

Monsignor Najim, lo scorso anno, in qualità di visitatore apostolico dei caldei in Europa ha compiuto un viaggio in Germania e nei paesi scandinavi. Da pochi giorni invece è tornato da un breve viaggio in Francia, vuole parlarcene?
“Questo viaggio, a differenza di quello dello scorso è iniziato purtroppo per una triste occasione: i funerali di Padre Davut Gunes, un anziano sacerdote caldeo di origine turca che si è spento a Parigi il 21 gennaio. Alla cerimonia funebre che i sacerdoti caldei in Francia mi hanno chiesto di celebrare hanno assistito circa 2000 persone e si è tenuta nella chiesa caldea di San Tommaso Apostolo a Sarcelles, alla periferia di Parigi. Presenti, a dimostrazione del grave lutto che ha colpito la comunità, erano anche Padre Sabri Anar, il parroco di Sarcelles, Padre Michaël Dumand e Padre Aziz Yalap anche loro di Sarcelles, Monsignor Antoine Goral e Padre Suleiman Öz dal Belgio, Monsignor François Yakan, Vicario Patriarcale caldeo in Turchia, ed in rappresentanza della chiesa di Francia il vescovo latino di Pontoise, Monsignor Jean Yves Riocreux. Assente solo per impegni di docenza presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma, Monsignor Petrus Yosif, il Vicario Caldeo in Francia.”
La cerimonia funebre è stato l’unico momento liturgico cui ha partecipato?
“No, anche questa volta ho avuto occasione di incontrare molti membri della mia comunità sia a Sarcelles sia a Arnouville Les Gonesse, sempre alla periferia di Parigi, dove la chiesa dedicata a San Francesco d’Assisi era gremita di giovani.”
L’emigrazione caldea in Francia è antica, che tipo di comunità ha trovato?
“La definizione che per prima mi viene in mente è quella di una comunità di preghiera in cui la chiesa, come istituzione, è al centro della vita di ognuno. I caldei in Francia sono perfettamente integrati nel tessuto sociale del paese. Lo sono i giovani che vi sono nati e che si considerano francesi cattolici di rito caldeo, e lo sono i più anziani che in molti casi hanno lavorato duramente e si sono affermati nelle loro professioni. Questa integrazione però non ha cancellato l’attaccamento alle nostre tradizioni liturgiche e linguistiche che si esprime proprio attraverso la presenza attiva della chiesa e nella chiesa.”
La chiesa quindi non solo come luogo di culto ma anche come centro sociale di una comunità?
“Certo. Un luogo dove preservare la fede e le tradizioni. Per i funerali di Padre Gunes, ad esempio, si è rispettata la tradizione del “Cibo della Misericordia” per la quale ogni famiglia ha portato in chiesa del cibo da offrire dopo la cerimonia a tutti quelli che vi hanno partecipato. Un modo per elaborare il lutto in seno alla comunità e rafforzarne i legami. La chiesa, inoltre, è centro di ritrovo per i giovani e luogo di intensi programmi pastorali eccellentemente organizzati da un clero che si distingue per l’alto grado di collaborazione. Nelle chiese si svolgono i corsi di preparazione per i sub diaconi, i corsi di lingua aramaica e le riunioni della comunità in occasioni delle diverse celebrazioni.”
Nessun problema quindi per i caldei in Francia…
“Direi di no. Il processo di integrazione sociale si è basato e si basa su molti fattori. La serietà e l’impegno nel lavoro dimostrati dai caldei, il loro rispetto per le regole del paese che li ha accolti, i sacerdoti che hanno rappresentato il contatto con le comunità locali, la presenza di molti giovani che hanno fatto da ponte culturale tra i genitori ed i francesi con cui sono cresciuti, anche i matrimoni misti che nei decenni ci sono stati. La comunità caldea, infatti, è solidale ma non chiusa in se stessa.”
Qual è il paese da cui provengono la maggior parte dei caldei che vivono in Francia e come è organizzata la chiesa caldea?
“Senza dubbio la maggior parte dei caldei sono di origine turca e lo sono anche molti sacerdoti. Per quanto riguarda l’organizzazione della chiesa la missione caldea in Francia è guidata dal 1987 da Monsignor Petrus Yousif che è anche responsabile della chiesa di “Nostra Signora dei Caldei” a Parigi dove, voglio sottolinearlo, esiste proprio grazie a Monsignor Yousif una ricca biblioteca di testi sulla storia della chiesa caldea, sulla teologia, la patristica e la liturgia. A Sarcelles la maggioranza dei fedeli è di origine turca mentre più iracheni si trovano a Lione, dove la missione è affidata, con il permesso del vescovo latino, a Padre Anis, un domenicano iracheno. Anche a Marsiglia, dove la cura dei fedeli è affidata a Padre Paul Bashi, gli iracheni sono molti. Inoltre, proprio in occasione di questo viaggio ho potuto visitare il terreno da poco acquistato per la costruzione di un’altra chiesa a Sarcelles a dimostrazione della crescita della comunità.”
Dal sito della
missione caldea in Francia si apprende che la chiesa caldea, presente in Francia dagli anni 40, ha avuto sede definitiva a Parigi a partire dal 1992 ed a Sarcelles dal 2001. Ora è in costruzione un’altra chiesa. Posso chiederle come sono state finanziate queste opere?
“Quando fu costruita la chiesa di “Nostra Signora dei Caldei” a Parigi ci fu un contributo finanziario da parte della Congregazione per le Chiese Orientali di Roma. Per il resto tutto si deve allo sforzo degli stessi fedeli caldei.”
In qualità di Visitatore Apostolico dei Caldei in Europa ha incontrato anche rappresentanti francesi della chiesa cattolica?
“Sì. Oltre a Monsignor Jean Yves Roicreux, vescovo di Pontoise, ho incontrato Monsignor Claude Bressolette, Vicario Generale dell’Ordinariato dei cattolici delle Chiese Orientali in Francia. Entrambi gli incontri hanno confermato la perfetta sintonia tra la chiesa caldea e quella di Francia e tra i vari argomenti che sono stati toccati mi piace ricordare l’annuncio di una numerosa rappresentanza di giovani caldei che a Sydney faranno parte della delegazione francese in occasione della prossima Giornata Mondiale della Gioventù.”
In un’altra intervista abbiamo parlato della situazione dei rifugiati iracheni in Svezia. Qual è la situazione in Francia?
“In Francia i numeri che riguardano i rifugiati sono molto minori che in Svezia. Le regole sull’asilo sono diverse, e le comunità preesistenti, quelle che hanno maggiore potere di attrazione sui rifugiati, sono a maggioranza turca. La Francia non vive attualmente una situazione paragonabile a quella svedese.”
Monsignore, dalle sue parole si capisce come questo viaggio in Francia l’abbia lasciato soddisfatto…

“E’ vero. Gli incontri con i giovani, a cui tengo moltissimo, le preghiere dei fedeli, le chiese piene, mi hanno confermato ancora una volta come davvero la chiesa sia la “Parola di Dio.”

Chaldeans in France: a "Praying Community" Monsignor Philip Najim

Interview to Mgr. Philip Najim by Baghdadhope

Last year, as the Apostolic Visitator of Chaldeans in Europe you made a trip to Germany and to Scandinavian countries. Some days ago you returned from a short trip to France, do you want to talk to us about it?
"This trip, unlike that of last year, unfortunately began for a sad occasion: the funeral of Father Davut Gunes, a senior Chaldean priest of Turkish origin who died in Paris on January 21. The funeral ceremony the Chaldean priests in France asked me to celebrate was attended by about 2000 people and was held in the Chaldean church of St. Thomas the Apostle in Sarcelles, in the outskirts of Paris. Present, demonstrating the serious grief that struck the community, were also Father Sabri Anar, the pastor of Sarcelles, Father Michaël Dumand and Father Aziz Yalap from Sarcelles too, Mgr. Antoine Goral and Father Suleiman Öz from Belgium, Mgr. François Yakan, the Chaldean Patriarchal Vicar in Turkey and, representing the Latin church in France, the Bishop of Pontoise, Mgr. Jean Yves Riocreux. Absent was, for teaching commitments at the Pontifical Oriental Institute in Rome, Mgr. Petrus Yosif, Chaldean Vicar Chaldean in Paris."
Did you have other liturgical meetings?
"Yes, I had the opportunity to meet many members of my community in Sarcelles and Arnouville Les Gonesse, always on the outskirts of Paris, where the church dedicated to Saint Francis of Assisi was packed with young people."
Chaldean emigration to France is old, what kind of community did you find there? "The definition that first comes to my mind is that of a praying community in which the church, as an institution, is at the centre of everybody’s life. The Chaldeans in France are fully integrated into the social fabric of the country: young people who were born there and who consider themselves as French of Catholic Chaldean rite, and older people who in many cases worked hard and were successful in their professions. This integration, however, has not erased the attachment to our liturgical and linguistic traditions that are expressed through the active presence of the church and in the church."
The church not only as a place of worship but also as a centre of a community?
"Of course. A place where faith and traditions are preserved. For the funeral of Father Gunes, for example, the tradition of "Food of Mercy" has been respected. For it every family brought to the church some food to be offered after the ceremony to all the presents. One way to process the grief inside the community and to strengthen its ties. The church also is a central meeting place for young people and place of intense pastoral programmes excellently organized by a clergy carachterized by a high degree of cooperation among their members. In the churches there are the training courses for subdeacons, of Aramaic language and the meetings of the community in the occasion of the different celebrations. "
No problems then for the Chaldeans in France…
"I would say no. The process of social integration has been and is based on many factors. The seriousness and commitment demonstrated in the field of work by the Chaldeans, their respect for the rules of the country they live in, the priests representing the contact with the local communities, the presence of many young people who have been the cultural bridge between their parents and French people they grew up with, even the mixed marriages that there have been. The Chaldean community is supportive but not closed in itself."
What is the country from which most Chaldeans living in France come and how the Chaldean church is organized?
"Most Chaldeans are from Turkie and so are many priests. Regarding the organization of the Chaldean church mission in Paris it is led since 1987 by Monsignor Petrus Yousif who is also responsible for the Church of Our Lady of Chaldeans in Paris where, I want to stress, thanks to his intensive work there is a rich library full of texts on the history of the Chaldean church, theology, liturgy and patristic. Also in Sarcelles most people come from Turkie while most Iraqis are located in Lyon, where the mission is entrusted, with the permission of the Latin bishop, to Father Anis, an Iraqi Dominican. In Marseille, where the care of the faithful is entrusted to Father Paul Bashi, the Iraqis are many too. Moreover, during this trip I could visit the newly acquired land for the construction of another church in Sarcelles. Something that reflects the growth of the community."
On the web site of the Chaldean mission in France we read that the Chaldean church, present in France since the 40s had its first definitive seat in Paris in 1992 and in Sarcelles in 2001. Now another church is under, construction. Can I ask how these works were financed?
"When the church of Our Lady of Chaldeans in Paris was built there was a financial contribution by the Congregation for Oriental Churches in Rome. Everything else has been built thanks to the efforts of the Chaldean faithful."
As the Apostolic Visitator of the Chaldeans in Europe did you meet some representative of the French Catholic church?
"Yes. Besides Mgr. Jean Yves Roicreux, Bishop of Pontoise, I met Mgr. Claude Bressolette, Vicar General of the Bishoprich for Oriental Catholic faithful in France. Both meetings have confirmed the perfect harmony between the Chaldean church and that of France and between the various topics that have been discussed, I like to remember the announcement of a large representation of young Chaldeans in Sydney as part of the French delegation at the next World Youth Day. "
In another interview, we talked about the situation of Iraqi refugees in Sweden. What is the situation in France? "
"In France the number of refugees is much lower than in Sweden. The rules on asylum are different, and the existing communities, those who have greater power of attraction on refugees, are mostly of Turkish origin. France is not currently a living situation comparable to the Swedish one.”
From your words it’s clear you are satisfied by this trip to France...
"It’s true. The meetings with young people, which I greatly appreciate, the prayers of the faithful, the churches full, confirmed again that the church is really the “Word of God.”