“Baghdad ha perduto la sua bellezza e non ne è rimasto che il nome.
Rispetto a ciò che essa era un tempo, prima che gli eventi la colpissero e gli occhi delle calamità si rivolgessero a lei, essa non è più che una traccia annullata, o una sembianza di emergente fantasma.”
Ibn Battuta
"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."
Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014
Baghdad, 19 luglio 2014
26 luglio 2017
Deuxième journée à Mossoul et Erbil. Avec le cardinal Philippe Barbarin, le père Eric Mouterde et Adel Camel.
By Site de l'Église catholique dans le Rhône et le Roannais
Deuxième journée à Mossoul et Erbil. Avec le cardinal Philippe Barbarin, le père Eric Mouterde et Adel Camel.
Deuxième journée à Mossoul et Erbil. Avec le cardinal Philippe Barbarin, le père Eric Mouterde et Adel Camel.
Some Chaldean detainees could receive pardons from Gov Snyder
By Fox2 Detroit
Dozens of metro Detroit Chaldeans were detained and ordered deported in June.
Now after several appearances in federal court and stays on the deportations, the latest ruling – gives more than 100 detained Chaldeans from metro Detroit 90 days to plead their case before the immigration courts – or in some cases – seek a pardon from Gov. Rick Snyder.
Now after several appearances in federal court and stays on the deportations, the latest ruling – gives more than 100 detained Chaldeans from metro Detroit 90 days to plead their case before the immigration courts – or in some cases – seek a pardon from Gov. Rick Snyder.
“If they get a pardon it’s like the ‘golden ticket’ because then
their case has changed and they have a path to citizenship,” said Martin
Manna, Chaldean Community Foundation.
Sixty-four detainees have filled out pardon applications that are now
in the hands of the Michigan Parole Board who will review them and make
a recommendation to the governor but his spokesperson says the governor
will have the final say.
“We’re hopeful the governor will act on this in the near term,” Manna
said. “Certainly we believe that if the governor does pardon members of
the community that hopefully the federal government will look upon that
as favorable.”
Manna, with the Chaldean Community Foundation, says those detained
are Christians who have lived in the U.S. legally for decades, but most
committed crimes years ago and served their time.
Only those with state crimes like check fraud or marijuana possession
could be considered for pardons – and even a pardon is no guarantee a
detainee gets to stay.
“At the end of the day this is going to take a political solution,”
he said. “The federal government, the administration – Secretary John
Kelly, or President Donald Trump both have the ability to stop these
deportations.”
Manna says if they don’t – people will die.
“It’s very dangerous for people to be sent back to Iraq,” he said.
“They don’t know the Iraqi government, they don’t have family there,
this is the only country that they’ve really known. This is a life or
death situation, so they’re going to fight until the end.”
Continua il pressing per coinvolgere i cristiani nel referendum sull'indipendenza del Kurdistan
By Fides
I vertici politici della Regione autonoma del Kurdistan iracheno
continuano a manifestare in vari modi l'intento di coinvolgere anche i
cristiani nel sostegno al referendum convocato per il prossimo 25
settembre allo scopo di proclamare la piena indipendenza da Baghdad.
Nella giornata di martedì 25 luglio Fuad Hussein, capo dello staff
presidenziale della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, ha voluto
incontrare alcuni rappresentanti di organizzazioni politiche promosse da
attivisti e responsabili cristiani della regione, per discutere il loro
livello di coinvolgimento e di rappresentanza nel comitato che sta
preparando il referendum indipendentista di settembre. La riunione –
riferiscono fonti locali – è stata convocata dopo che alcuni
responsabili delle sigle politiche promosse da cristiani avevano
espresso pubblicamente insoddisfazione per la cooptazione in seno al
comitato pro-referendum di Wahid Hurmuz, personaggio presentato - a
loro giudizio in maniera indebita - come “rappresentante” della
componente cristiana. La proposta fatta da Fuad Hussein ai suoi
interlocutori è stata quella di indicare entro due giorni due persone
che possano essere coinvolte nel comitato referendario come
rappresentanti delle locali sigle di matrice cristiana.
L'episodio ha confermato indirettamente che la leadership curda delle Regione autonoma del Kurdistan iracheno persegue il disegno di coinvolgere anche componenti cristiane alla causa indipendentista. Nel contempo, esso ha mostrato ancora una volta che i politici di provenienza cristiana non riescono a presentarsi come componente unitaria, e perseguono interessi e obiettivi diversi: infatti, alla riunione con Hussein ha preso parte, tra gli altri, Romeo Hakkari, presidente del Partito Bethnahrein, ma hanno dato forfait i rappresentanti del Movimento Democratico Assiro e del Partito Abnaa al Nahrein (“Figli della Mesopotamia”). Dunque si perpetua una tendenza alla dispersione che non fa tesoro dei molteplici appelli - provenienti anche dal Patriarca caldeo Louis Rahael Sako - a unire le forze dei cristiani anche in politica, agendo come componente cristiana unitaria. “Adesso” affermava già ai primi di maggio il Primate della Chiesa caldea in una intervista con l'Agenzia Fides “la priorità è quella di sostenere il ritorno dei profughi, la ricostruzione di città e villaggi devastati dalla guerra. Non mi sembra il momento di perdersi dietro grandi progetti, che appaiono peraltro connotati da scarso realismo, in una fase incerta, segnata anche dalla volontà di uno Stato autonomo perseguita dai curdi”.
L'episodio ha confermato indirettamente che la leadership curda delle Regione autonoma del Kurdistan iracheno persegue il disegno di coinvolgere anche componenti cristiane alla causa indipendentista. Nel contempo, esso ha mostrato ancora una volta che i politici di provenienza cristiana non riescono a presentarsi come componente unitaria, e perseguono interessi e obiettivi diversi: infatti, alla riunione con Hussein ha preso parte, tra gli altri, Romeo Hakkari, presidente del Partito Bethnahrein, ma hanno dato forfait i rappresentanti del Movimento Democratico Assiro e del Partito Abnaa al Nahrein (“Figli della Mesopotamia”). Dunque si perpetua una tendenza alla dispersione che non fa tesoro dei molteplici appelli - provenienti anche dal Patriarca caldeo Louis Rahael Sako - a unire le forze dei cristiani anche in politica, agendo come componente cristiana unitaria. “Adesso” affermava già ai primi di maggio il Primate della Chiesa caldea in una intervista con l'Agenzia Fides “la priorità è quella di sostenere il ritorno dei profughi, la ricostruzione di città e villaggi devastati dalla guerra. Non mi sembra il momento di perdersi dietro grandi progetti, che appaiono peraltro connotati da scarso realismo, in una fase incerta, segnata anche dalla volontà di uno Stato autonomo perseguita dai curdi”.
25 luglio 2017
Première journée à Qaraqosh avec le cardinal Barbarin
Propos recueillis le 24 juillet 2017 en Irak, à l’occasion du 4e voyage
du cardinal Philippe Barbarin qui nous livre ses premières impressions.
Qaraqosh a accueilli le cardinal Barbarin
By Famille Chrétienne
Hugues Lefèvre
Hugues Lefèvre
Lundi 24 juillet, le cardinal Barbarin s’est rendu dans la plus
grande ville chrétienne de la plaine de Ninive pour y concélébrer la
messe aux côtés de Mgr Petros Mouché, archevêque syriaque catholique de
Mossoul et de Qaraqosh. Il a pu constater que des moyens étaient mis en
œuvre pour que la ville se reconstruise après avoir été occupée durant
trois ans par Daech. Ce mardi, le cardinal se rend à Mossoul.
Devant la cathédrale de Qaraqosh, une petite centaine de chrétiens
attend le cardinal Philippe Barbarin sous une chaleur dépassant les 40°C
à l’ombre. Quelques femmes et enfants ont revêtu des habits
traditionnels, comme pour célébrer un jour de fête. Alors qu’ils
aperçoivent les soutanes noires des prélats et des prêtres au loin, les
youyous des femmes jaillissent et viennent se mêler aux applaudissements
des hommes. La joie de revoir l’archevêque de Lyon est palpable. La dernière fois que le cardinal était entré ici,
c’était une semaine avant que Daech n’envahisse la ville et plonge les
chrétiens d’Irak dans le chaos. C’était il y a trois ans, presque jour
pour jour. C’est dire si le retour de la pourpre cardinalice avait comme
un goût de printemps, de renouveau après un terrible hiver.
Parvenant à se frayer un chemin jusqu’au porche de la cathédrale, les
deux archevêques accompagnés par Mgr Marc Stenger, président de Pax
Christi France et Mgr Michel Dubost, évêque d’Evry, embrassent le sol de
la cathédrale dont les murs et les voutes sont encore entièrement
calcinés. Les chants syriaques envahissent l’édifice. Devant la joie
débordante d’un vieux monsieur accueillant le cardinal les mains levées,
ce dernier n’hésite pas à esquisser avec lui quelques pas de danse. Des
larmes coulent sur le visage de certaines femmes, pendant une messe
émouvante.
Si, en ce lundi, la cathédrale n’est pas bondée comme
il y a trois ans, on peut compter plusieurs dizaines de familles
présentes. Au fond, une dizaine d’enfants court dans tous les sens, à
tel point que des hommes en armes leur demandent – gentiment – de se
calmer. Ces hommes forment les Ninive Protection Units (NPU), la milice
chrétienne qui assure la sécurité de la ville avec la police. En tout,
ce sont plus d’un millier d’hommes qui effectueraient cette tâche.
Après
la célébration, le cardinal se recueille quelques minutes, seul, au
premier rang de la cathédrale. Face à lui, le chœur entièrement noirci
par la folie de Daech. A côté, sur le sol, gît une douille.
370 familles d'ores et déjà réinstallées
L’archevêque
de Lyon est ensuite convié, avec toute la délégation, à se rendre à
l’archevêché syriaque catholique de la ville pour y déjeuner. Dans les
rues de Qaraqosh, on aperçoit alors des commerces, des épiceries, un
cordonnier. Autant d’activités qui n’existaient pas il y a encore
quelques mois. « Quand les déplacés ont compris que la ville avait
été vandalisée à la fin du mois d’octobre 2016, il y a eu un vrai temps
de sidération », explique Pauline Bouchayer, en mission Fidesco à Erbil avec son mari depuis un an. « Ce n’est qu’après les fêtes de Pâques que le choses ont vraiment évolué »,
poursuit-elle. Aujourd’hui, 370 familles se seraient d’ores et déjà
réinstallées dans la ville. Le mouvement est amorcé. Certains estiment
que ce chiffre doublera d’ici à la rentrée de septembre, lorsque l’année
scolaire redémarrera.
Non loin de l’archevêché, d’immenses
travaux de rénovation se poursuivent au centre culturel Saint-Paul, un
centre financé par la fondation saint Iréné du diocèse de Lyon. C’est
dans ce centre que se pilote le grand projet de reconstruction de
Qaraqosh. C’est d’ailleurs ici que le père Georges Jahola a installé son bureau et poursuit son travail de fourmi.
Après
avoir visité le centre culturel, la délégation rend enfin visite à Saat
et son fils, deux ferronniers dont le carnet de commandes ne désemplit
pas. Portes, fenêtres, portails, leur atelier fonctionne bien. C’est
grâce au soutien de Fraternité en Irak et de la fondation Saint Irénée
qu’ils ont pu rouvrir leur commerce.
Voulant profiter de la présence du cardinal pour remercier l’ensemble
des acteurs qui leur ont permis de les relancer, Saat et son fils
offrent à l’archevêque une belle croix dorée d’une quarantaine de
centimètres qu’ils ont eux-mêmes conçu.
En fin d’après-midi, la
délégation repart en direction d’Erbil, à l’est de la plaine de Ninive.
Mardi matin, avec Sa Béatitude Raphaël Sako, le cardinal Barbarin se
rendra à Mossoul pour y apporter une statue de Notre-Dame de
Fourvière.
Irak Mgr Louis Sako : “On sent combien la haine était profonde contre tout ce qui est chrétien“
By La Vie
Sophie Lebrun
Le patriarche des chaldéens se rend ce mardi 25 juillet avec le cardinal Barbarin à Mossoul, ville où il a grandi et été ordonné prêtre, tout juste libérée après trois ans d'occupation par Daech. Nous l'avons rencontré à la veille de son retour.
Pourquoi allez-vous à Mossoul aujourd'hui ?
Mais comment la faire connaître à nouveau ?
Comment faire face aux enjeux pastoraux ?
Sophie Lebrun
Le patriarche des chaldéens se rend ce mardi 25 juillet avec le cardinal Barbarin à Mossoul, ville où il a grandi et été ordonné prêtre, tout juste libérée après trois ans d'occupation par Daech. Nous l'avons rencontré à la veille de son retour.
Pourquoi allez-vous à Mossoul aujourd'hui ?
Mossoul est une ville très symbolique, elle représente toute la
civilisation assyrienne, chrétienne puis arabe et musulmane. Toute la
mosaïque irakienne existe à Mossoul. Pour nous, chrétiens, c'était le
berceau du christianisme : toute notre liturgie a été formée et
organisée au couvent dit « d'en haut », comme nous l'appelions par le
passé car il était sur une colline de la ville. Aujourd'hui c'est le
monastère de l'Immaculée. Toute la liturgie de ce qui s'appelait
l'Église d'Orient a été promulgué là-bas. C'est un lieu de mémoire.
Moi-même j'ai été élevé a Mossoul, j'ai grandi dans cette ville – au
début dans un quartier populaire de l'ancienne vieille ville, puis dans
le nord de Mossoul, dans deux maisons de ma famille côte à côte. C'est
toute mon histoire, car ensuite j'ai été curé à Mossoul pendant plus de
vingt ans, avant d'être recteur du séminaire à Bagdad et évêque de
Kirkouk. Pour moi, Mossoul c'est le premier amour.
Qu'est ce que le diocèse de Mossoul d'aujourd'hui ? C'est un
lieu, mais ce sont aussi des personnes qui sont parfois bien éloignées
les unes des autres…
Nous avons eu dans l'histoire beaucoup de diocèses qui ont été effacés
par les guerres, puis les chrétiens ont été persécutés et maintenant,
que reste-t-il à Mossoul ? Les églises ont été presque détruites : des
pierres enlevées, les portes et les toits percés… Il y règne un désordre
extraordinaire. On ressent presque un sacrilège, on sent combien la
haine était profonde contre tout ce qui est chrétien, alors que nous
sommes pour la paix. Nous avons beaucoup donné aux musulmans, sur le
plan culturel, interreligieux… Les premiers médecins étaient chrétiens,
les premiers avocats aussi, et c'est sans compter les hôpitaux, les
instituts de formation… Aujourd'hui encore, notre solidarité est pour
tous : nous venons à Mossoul avec des colis alimentaires pour 3000
familles, dans un geste envers ceux qui sont toujours à Mossoul. J'ai
parfois le sentiment que les musulmans oublient vite cette longue
histoire.
Il y a un avenir pour chacun de nous en Irak ! Sauf qu'il n'adviendra pas par magie, il ne descend pas du ciel automatiquement.
Mais comment la faire connaître à nouveau ?
Je crois que la seule solution pour tous est un état séculier avec,
donc, une séparation de la religion et de l'État, et comme projet commun
la citoyenneté. Jusqu'à présent dans mon pays, il n'y a pas eu de
projet de citoyenneté qui inclurait tout le monde, quelle que soit sa
religion. Or la religion s'expose mais ne s'impose pas. En tant que
citoyen, j'ai le droit au respect… Et moi-même, je suis d'abord Irakien
et ensuite chrétien. La terre est mon identité : même le Christ a une
citoyenneté, l'Évangile dit qu'il a pleuré pour Jérusalem. Nous
souffrons beaucoup de voir notre pays dans une telle situation.
Certains ont d'ailleurs quitté cette terre...
Après la guerre Irak-Iran, beaucoup de jeunes sont partis pour éviter
le service militaire. Et quand le régime est tombé, d'autres ont suivi,
affaiblissant encore la situation des chrétiens. Nous étions un million
et demi avant la chute, aujourd'hui il n'y a pas de statistique mais on
parle de 400.000 à 500.000 personnes. Mais il y a un avenir pour chacun
de nous en Irak ! Sauf qu'il n'adviendra pas par magie, il ne descend
pas du ciel automatiquement. L'avenir, ça se construit avec les autres.
Cela passe par bâtir des liens de confiance : tous les musulmans ne sont
pas mauvais, tous ne sont pas Daech. Et les chrétiens non plus ne sont
pas tous bons.
Une réconciliation est-elle possible pour ceux qui sont partis ?
Moi, je garde en tête mon histoire : je suis retourné voir la maison de
ma famille à Mossoul, et tous nos meubles avaient été pris par nos
voisins. Ils me l'ont dit, ils ne savaient pas quand et si on
reviendrait et ils se sont servis. Ce n'était pas pour faire du mal, ils
en avaient besoin. Cela ne fait pas d'eux des voleurs.
Il faut soutenir les chrétiens d'Orient dans leur résistance, leur
espérance et leur témoignage car, par leur spiritualité, ils sont un
appui pour le christianisme occidental.
Comment faire face aux enjeux pastoraux ?
Certains prêtres sont partis rejoindre des communautés de chaldéens
réfugiées à l'étranger… mais je crois que le clergé doit rester, sinon
tout le monde partira. Aujourd'hui, nous avons 70 prêtres chaldéens, et
des moines. Dans le pays, il y a environ un prêtre par paroisse, avec
des exceptions : à Bagdad, j'ai 25 paroisses dont 8 sont presque fermées
car il y a moins de chrétiens sur place. À Mossoul, il n'y a pas de
paroisse car les chrétiens ne sont pas encore revenus. Quand les gens
reviendront, petit à petit, je réparerai mon Église et je ferai une
paroisse.
Quels sont les enjeux à Mossoul ?
Il faut d'abord reconstruire physiquement : l'Irak n'est pas un pays
riche, et ce que nous avons finance l'armée, des armes… Aujourd'hui,
seul le pétrole rapporte. Il n'y a pas beaucoup d'industries et
l'agriculture s'est appauvrie, alors que nous avions une bonne
production avant. Le tourisme était un point fort, mais c'est
entièrement à l'arrêt. Il y a surtout un grand risque qui couve dans les
camps de déplacés musulmans en Irak : s'ils ne peuvent pas trouver du
travail, avoir une maison pour vivre avec leur famille, nous risquons un
nouveau Daech.
Rebâtir aussi pour les chrétiens : dans la plaine de Ninive, près de
Mossoul, si les chrétiens ne retournent pas dans leurs maisons, d'autres
y aspirent. Il y a un risque de changement démographique. D'autant que,
même si on ne voit pas de quoi l'avenir sera fait, je crois que petit à
petit, en reprenant nos marques sur place, on pose les jalons pour que
les choses changent.
Les étudiants chrétiens qui étaient en nombre à l'université de Mossoul pourront-ils revenir ?
C'est vrai qu'il y avait 10.000 étudiants chrétiens dans cette
université. Aujourd'hui ils sont à Bagdad, Erbil, 800 sont à Kirkouk…
Avec la situation de tension actuelle, avec des voiles partout alors
qu'il n'y en avait quasiment pas à Mossoul, je ne sais pas s'ils vont
revenir. En même temps, dans les écoles chrétiennes, il y a beaucoup
d'enfants musulmans, c'est une manière de préparer l'avenir, préparer
une génération prochaine plus sensibilisée à la convivance.
Est-ce vous vous sentez soutenu par l'Église du monde ?
Par des visites comme celles des évêques français aujourd'hui (le cardinal Barbarin, accompagné de Mgr Dubost et Mgr Stenger, ndlr),
nous sentons que nous ne sommes pas isolés, mais la position de
l'Église paraît parfois timide. Les orientaux sont très importants pour
l'Église, nous avons une grande richesse liturgique et spirituelle à
offrir au christianisme occidental : nous sommes l'origine du
christianisme, donc notre présence a un sens ici. Il faut soutenir les
chrétiens d'Orient dans leur résistance, leur espérance et leur
témoignage car, par leur spiritualité, ils sont un appui pour le
christianisme occidental.
Cardinal hails 'rebirth' of Iraqi Christian town
By Daily Mail
A French cardinal hailed the "rebirth" of Iraq's devastated main Christian town of Qaraqosh on Monday, where residents are returning following two years of jihadist rule.
A French cardinal hailed the "rebirth" of Iraq's devastated main Christian town of Qaraqosh on Monday, where residents are returning following two years of jihadist rule.
Taking part in mass in the town's
cathedral, Lyon's Archbishop Cardinal
Philippe Barbarin spoke of both "sadness"
and "hope" on returning to the town, which
he had previously visited just a month
before the Islamic State group seized it
three years ago.
"I came here on July 29, 2014. It was
splendid, magnificent, there were choirs,
the church was full," he said.
"To return now and see it again, after so
much aggression, so much violence, so much
pillage, (to see it) being reborn is both
very sad and at the same time full of hope."
Barbarin, in the aftermath of the ouster
of IS from its Mosul stronghold, delivered a
sermon and gave communion at the Cathedral
of the Immaculate Conception.
Its belltower damaged and its insides
marred by flames, the church bears the scars
of more than two years of jihadist rule.
After seizing Qaraqosh (also known as
Hamdaniya) in August 2014, the jihadists
decapitated statues and dumped liturgical
books on the floor of the church.
Iraqi forces recaptured the town, around
15 kilometres (nine miles) from the edge of
Mosul, in October, just two weeks after
launching what was to be a months-long
assault on the jihadists' stronghold in
Iraq's second city.
Most retaken areas were far from
immediately habitable, however.
Months of mine clearing and
reconstruction were needed before the town's
50,000 residents, most of whom had fled
within days of the jihadist takeover, could
return.
But eight months since Iraqi forces
ousted IS, the town is slowly coming back to
life.
A few hundred families have now come
back, shops are reopening and six schools
are due to resume operations by mid-August.
Around a hundred people in civilian and
military dress attended Monday's mass.
"Cardinal Philippe's visit is a visit of
solidarity, which gives us a huge morale
boost. It's a sign that there are people
outside Iraq... who share the suffering
we're going through today in Iraq," said
Khalil Moussa, 42.
Yohanna Petros Mouche, the Syriac
Catholic archbishop of Mosul, said he prayed
for "hope in the hearts of all the
inhabitants of Qaraqosh and all who are
here".
He had "both an infinite sadness and an
extraordinary hope for the rebirth of this
country, this city, this region".
Improbabile il ritorno dei cristiani a Mosul
By Settimana News
Antonio Dall'Osto
24 luglio 2017
Antonio Dall'Osto
24 luglio 2017
Secondo quanto ha dichiarato
l’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Yohanna Petrois Mouche, non c’è
da aspettarsi un rapido ritorno dei cristiani ora che la città è stata
riconquistata e liberata.
In un’intervista rilasciata oggi 24 luglio, alla Pontificia opera tedesca Kirche in Not,
ha affermato che «per il momento è impossibile vivere qui in maniera
durevole poiché Mosul è completamente distrutta». Per ora, ha aggiunto,
sono venuti solo per qualche ora dei cristiani che avevano vissuto qui
prima della conquista delle milizie del cosiddetto “Stato Islamico”,
per vedere le loro case. Hanno trovato tutto distrutto. Per molti perciò
l’alternativa è di tornare nella piana di Ninive, dove pur essendo
stati distrutti i villaggi cristiani, è già iniziata la ricostruzione.
Mosul, ha precisato l’arcivescovo,
adesso è ufficialmente liberata, ma in vari luoghi si nascondono ancora
dei seguaci del Daesh. «Sono però sicuro, – ha sottolineato – che
saranno presto scovati». Ma importante è adesso che cambi
l’atteggiamento degli abitanti «che si sono lasciati sedurre
dall’ideologia islamista». Secondo l’arcivescovo, tuttavia, è possibile
che cristiani e musulmani possano continuare a stare insieme, ma «è
necessario imparare a vivere insieme in pace».
Su un ritorno dei cristiani a Mosul si
era invece espresso con grande perplessità, l’autunno scorso, l’esperto
del Medio Oriente, Otmar Oerhing, coordinatore e internazionale del
dialogo religioso della Fondazione Konrad-Adenauer. Fin dall’inizio
dell’offensiva per la riconquista della città, dopo aver visitato il
paese, aveva dichiarato che, a suo parere, «a Mosul non sarebbe tornato
più nessun cristiano». Per delle ragioni molto semplici.
Anzitutto perché la radicalizzazione
della popolazione musulmana di Mosul era iniziata già parecchio tempo
prima della conquista da parte dello “Stato Islamico”. Le case dei
cristiani erano state marcate con dei contrassegni, e i vicini e i
colleghi avevano detto che a Mosul non c’era più posto per loro.
In secondo luogo, perché, se i
cristiani tornassero, mancherebbe loro il denaro per la ricostruzione;
in più non ci sarebbe alcuna garanzia di sicurezza. Non ci sarebbe da
sperare neanche sulla presenza di truppe dell’ONU, cosa inaccettabile
in uno Stato sovrano. E nemmeno avrebbe effetto «un influsso sul
governo iracheno – in particolare da parte degli Stati Uniti – come
alcuni capi religiosi pensano».
A suo parere perciò «c’è purtroppo molto da dubitare che possa esserci una riconciliazione ».
Chi invece spera che questa sia
possibile è il patriarca caldeo Louis Raphael Sako, il quale fin
dall’inizio della liberazione aveva espresso la speranza che la città di
Mosul tornasse a essere nuovamente un punto d’incontro multiculturale
tra diverse culture, etnie e religioni. E si augurava che dopo la
liberazione dallo “Stato islamico” anche nella circostante piana di
Ninive venissero rispettati i diritti di tutti i cittadini, dei gruppi
popolari e religiosi, e fosse combattuta ogni discriminazione. A suo
parere, i cristiani dovrebbero ora cercare di tessere la fiducia verso i
loro vicini musulmani.
Secondo dati locali, prima della
conquista di Mosul da parte del Daesh, vivevano in città oltre 25.000
cristiani e nella circostante piana di Ninive vi erano molti villaggi a
maggioranza cristiana, dove ci sono almeno 13.000 case danneggiate o
completamente distrutte.
Il futuro dei cristiani si presenta ora a tinte molto fosche.
Kirke in Not
Irak: „Mossul ist komplett zerstört”
Irak: „Mossul ist komplett zerstört”
Giudice di Detroit blocca per 90 giorni la deportazione annunciata di immigrati iracheni
By Fides
Il giudice Mark Goldsmith di Detroit ha bloccato per novanta giorni la potenziale deportazione di cristiani caldei e di altri immigrati iracheni disposta lo scorso giugno in virtù delle nuove regole in materia di immigrazione poste in atto dall'Amministrazione Trump. Il provvedimento era stato già temporaneamente bloccato dallo stesso giudice per periodi più brevi, e tutte le sospensioni scadevano proprio ieri, lunedì 24 luglio. Il nuovo provvedimento disposto nella giornata di ieri dal giudice Goldsmith ha preso atto anche delle ingiunzioni di alcuni cittadini iracheni minacciati di deportazione, che riferivano del rischio di poter subire violenze e persecuzioni, una volta reimpariati a forza nella propria terra d'origine. Nella sua disposizione, Goldsmith ha anche messo in rilievo come i casi penali e giudiziari che pesavano su molti degli iracheni minacciati di deportazione – e tirati in ballo dalle forze di polizia come motivazione dei provvedimenti di espulsione – fossero in realtà casi “dormienti”, rispolverati all'occorrenza, in maniera evidentemente pretestuosa. Nelle motivazioni del suo provvedimento, il giudice ha dichiarato che i diritti costituzionali degli immigrati iracheni – molti dei quali residenti in USA da lungo tempo - sono stati violati, e che le garanzie a tutela delle libertà fondamentali possono essere sospese solo nei rari casi di invasione straniera o sollevazione interna.
Gli iracheni già arrestati lo scorso 12 giugno su disposizione dell'Immigration and Custom Enforcement (ICE, l'agenzia federale statunitense responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell'immigrazione) erano 114, ma i potenziali provvedimenti di espulsione minacciavano circa 1400 immigrati provenienti dall'Iraq. Gran parte degli iracheni già arrestati (vedi Fides 11/7/2017) abitavano nell'area di Detroit e appartenevano a famiglie cristiane caldee. L'operazione era stata messa in atto dopo l'accordo tra Stati Uniti e Iraq con cui il governo di Baghdad aveva accettato di accogliere un certo numero di cittadini iracheni sottoposti all’ordine di espulsione, pur di essere tolto dalla lista nera delle nazioni colpite dal cosiddetto “muslim ban”, il bando voluto del Presidente Donald Trump per impedire l'accesso negli USA ai cittadini provenienti da sei Paesi a maggioranza musulmana considerati come potenziali “esportatori” di terroristi. Anche alcuni degli arrestati cristiani avevano avuto in passato problemi con la giustizia
Anche il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako era intervenuto sul caso: in una lettera al Vescovo caldeo Frank Kalabat, alla guida dell'Eparchia di San Tommaso Apostolo a Detroit, il Primate della Chiesa caldea aveva espresso solidarietà e vicinanza alle famiglie degli iracheni colpiti dalle disposizioni di espulsione, e auspicato un'adeguata soluzione all'emergenza umanitaria provocata dalle misure di allontanamento, rivolte anche contro padri di famiglia con figli piccoli.
Adesso gli immigrati iracheni a rischio deportazione hanno tre mesi di tempo per organizzare insieme ai propri avvocati la loro strategia legale per rendere inefficaci le disposizioni di espulsione emesse dallICE.
Il giudice Mark Goldsmith di Detroit ha bloccato per novanta giorni la potenziale deportazione di cristiani caldei e di altri immigrati iracheni disposta lo scorso giugno in virtù delle nuove regole in materia di immigrazione poste in atto dall'Amministrazione Trump. Il provvedimento era stato già temporaneamente bloccato dallo stesso giudice per periodi più brevi, e tutte le sospensioni scadevano proprio ieri, lunedì 24 luglio. Il nuovo provvedimento disposto nella giornata di ieri dal giudice Goldsmith ha preso atto anche delle ingiunzioni di alcuni cittadini iracheni minacciati di deportazione, che riferivano del rischio di poter subire violenze e persecuzioni, una volta reimpariati a forza nella propria terra d'origine. Nella sua disposizione, Goldsmith ha anche messo in rilievo come i casi penali e giudiziari che pesavano su molti degli iracheni minacciati di deportazione – e tirati in ballo dalle forze di polizia come motivazione dei provvedimenti di espulsione – fossero in realtà casi “dormienti”, rispolverati all'occorrenza, in maniera evidentemente pretestuosa. Nelle motivazioni del suo provvedimento, il giudice ha dichiarato che i diritti costituzionali degli immigrati iracheni – molti dei quali residenti in USA da lungo tempo - sono stati violati, e che le garanzie a tutela delle libertà fondamentali possono essere sospese solo nei rari casi di invasione straniera o sollevazione interna.
Gli iracheni già arrestati lo scorso 12 giugno su disposizione dell'Immigration and Custom Enforcement (ICE, l'agenzia federale statunitense responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell'immigrazione) erano 114, ma i potenziali provvedimenti di espulsione minacciavano circa 1400 immigrati provenienti dall'Iraq. Gran parte degli iracheni già arrestati (vedi Fides 11/7/2017) abitavano nell'area di Detroit e appartenevano a famiglie cristiane caldee. L'operazione era stata messa in atto dopo l'accordo tra Stati Uniti e Iraq con cui il governo di Baghdad aveva accettato di accogliere un certo numero di cittadini iracheni sottoposti all’ordine di espulsione, pur di essere tolto dalla lista nera delle nazioni colpite dal cosiddetto “muslim ban”, il bando voluto del Presidente Donald Trump per impedire l'accesso negli USA ai cittadini provenienti da sei Paesi a maggioranza musulmana considerati come potenziali “esportatori” di terroristi. Anche alcuni degli arrestati cristiani avevano avuto in passato problemi con la giustizia
Anche il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako era intervenuto sul caso: in una lettera al Vescovo caldeo Frank Kalabat, alla guida dell'Eparchia di San Tommaso Apostolo a Detroit, il Primate della Chiesa caldea aveva espresso solidarietà e vicinanza alle famiglie degli iracheni colpiti dalle disposizioni di espulsione, e auspicato un'adeguata soluzione all'emergenza umanitaria provocata dalle misure di allontanamento, rivolte anche contro padri di famiglia con figli piccoli.
Adesso gli immigrati iracheni a rischio deportazione hanno tre mesi di tempo per organizzare insieme ai propri avvocati la loro strategia legale per rendere inefficaci le disposizioni di espulsione emesse dallICE.
24 luglio 2017
"Etre à Mossoul, c'est une joie empreinte d'une certaine tristesse"
By RCF
Valérie-Anne Maître
Valérie-Anne Maître
Ce lundi une délégation emmenée par le cardinal Philippe Barbarin se rend en Irak. Etienne
Piquet-Gauthier, directeur de la Fondation St Irénée à Lyon, fait
partie du voyage. Il répond aux questions de Valérie-Anne Maitre.
Le cardinal Philippe Barbarin a tenu parole, il s’apprête à entrer dans la ville libérée de Mossoul (Irak).
Il y a trois ans, alors que les chrétiens de la plaine de Ninive
devant la menace de l’Etat Islamique, l’archevêque de Lyon avait promis
de venir à Mossoul lorsque la ville serait libre, pour y porter la
réplique de la vierge de Fourvière. La statue protectrice des lyonnais,
est devenue l’un des symboles du jumelage qui lie les deux diocèses.
Depuis, les lyonnais se sont fortement mobilisés pour aider
les réfugiés chrétiens, explique Etienne Piquet-Gauthier, directeur de
la Fondation Saint-Irénée, et actuellement en Irak avec le cardinal.
La Fondation apporte un soutien matériel et financier, elle porte aussi
les messages d’un diocèse à l’autre. Chacun est aussi invité à prier
pour les chrétiens d’Irak.
Depuis lundi, le cardinal Barbarin emmène une délégation
française en Irak, répondant à l’invitation du patriarche des chaldéens
Mgr Louis-Raphael Sako. Pour ce quatrième voyage, jusqu'au 25
juillet, la délégation devrait se rendre à Erbil, Mossoul et Qaraqosh.
L’archevêque de Lyon sera accompagné de plusieurs diacres et prêtres.
Mgr Marc Stender, président de Pax Christi, Mgr Michel Dubost, éveque
d’Evry, le p. Eric Mouterde vicaire général de Lyon, font partie du
voyage. Ils rejoignent Mgr Pascal Gollnish, de l’œuvre d’Orient déjà sur
place pour l’installation de statues de la vierge de Lourdes.
Quindici statue della Madonna di Lourdes ricollocate nei villaggi della Piana di Ninive al posto di quelle distrutte dai jihadisti
By Fides
Nei giorni dal 20 al 25 luglio, in molti villaggi e cittadine della
Piana di Ninive, un tempo abitati in maggioranza da cristiani, 15 statue
della Vergine di Lourdes vengono reinstallate al posto di quelle
rimosse e distrutte dalla furia iconoclasta dei jihadisti durante i tre
anni in cui quell'area ha subito il dominio dell'autoproclamato Stato
Islamico (Daesh).
Qaraqosh, Telkaif, Alqosh, Karamles e in altre località della Piana di Ninive, la ricollocazione delle statue è stata vissuta dai cristiani presenti come un segno confortante del possibile, graduale ritorno alla normalità, scandita anche dalle preghiere recitate e sussurrate davanti alle statue della Vergine Maria. L'iniziativa è stata resa possibile grazie all'intervento dell'associazione cattolica francese
L'Oeuvre d'Orient, dopo che padre Pascal Gollnish, direttore generale dell'associazione, durante un viaggio nella regione, aveva potuto constatare il gran numero di croci divelte e di statue di Maria e di Gesù profanate e distrutte in quei paesi durante i tre anni di dominio jihadista. Già lo scorso marzo – riportano i media ufficiali de L'Oeuvre d'Orient – quindici riproduzioni della statua della Vergine di Lourdes, benedette dal Vescovo Nicolas Brouwet, sono state caricate su un camion e da Lourdes hanno preso la volta della Piana di Ninive. Le cerimonie di ricollocazione delle statue, presso parrocchie, santuari e aree comuni cittadine, vedono la partecipazione di Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, molti dai quali sono appena tornati nelle loro città d'origine dopo aver trascorso tre anni nella condizione di sfollati e rifugiati. Adesso – si legge nei comunicati diffusi da L'Oeuvre d'Orient – i cristiani di quelle città e di quei villaggi “potranno di nuovo pregare davanti alla Madonna di Lourdes, che li ha sostenuti durante il loro esilio”
Qaraqosh, Telkaif, Alqosh, Karamles e in altre località della Piana di Ninive, la ricollocazione delle statue è stata vissuta dai cristiani presenti come un segno confortante del possibile, graduale ritorno alla normalità, scandita anche dalle preghiere recitate e sussurrate davanti alle statue della Vergine Maria. L'iniziativa è stata resa possibile grazie all'intervento dell'associazione cattolica francese
L'Oeuvre d'Orient, dopo che padre Pascal Gollnish, direttore generale dell'associazione, durante un viaggio nella regione, aveva potuto constatare il gran numero di croci divelte e di statue di Maria e di Gesù profanate e distrutte in quei paesi durante i tre anni di dominio jihadista. Già lo scorso marzo – riportano i media ufficiali de L'Oeuvre d'Orient – quindici riproduzioni della statua della Vergine di Lourdes, benedette dal Vescovo Nicolas Brouwet, sono state caricate su un camion e da Lourdes hanno preso la volta della Piana di Ninive. Le cerimonie di ricollocazione delle statue, presso parrocchie, santuari e aree comuni cittadine, vedono la partecipazione di Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, molti dai quali sono appena tornati nelle loro città d'origine dopo aver trascorso tre anni nella condizione di sfollati e rifugiati. Adesso – si legge nei comunicati diffusi da L'Oeuvre d'Orient – i cristiani di quelle città e di quei villaggi “potranno di nuovo pregare davanti alla Madonna di Lourdes, che li ha sostenuti durante il loro esilio”
Aleteia
20/7/2017
15 statues de la Vierge envoyées en Irak pour remplacer celles détruites par l’État islamique
L'Oeuvre d'Orient
20/7/2017
Irak : le temps de la reconstruction a démarré – #deLourdesaNinive
Karamles, dopo l’Isis, torna la prima famiglia cristiana: “Alle spalle un peso portato a lungo”
By Asia News
22 luglio 2017
Rientrare nella cittadina di origine, varcare di nuovo la soglia di
casa e riprendere la vita di un tempo “è come gettare via, lasciarsi
alle spalle un peso portato troppo a lungo”. Adesso, per la prima volta
dopo tre anni, “ci sentiamo davvero nel posto giusto”. È quanto racconta
ad AsiaNews Labib Rammo, cristiano della piana di Ninive, la
cui famiglia è il primo (e finora unico) nucleo a tornare in maniera
stabile a Karamles dall’inizio della ricostruzione.
Egli, come centinaia di migliaia di cristiani, nell’estate del 2014
ha lasciato la propria casa e la propria terra in seguito all’ascesa
dello Stato islamico (SI, ex Isis). A distanza di tre ani la minaccia
jihadista sembra alle spalle, ma il ritorno alla normalità presenta
ancora molte sfide e ostacoli.
AsiaNews ha incontrato questa famiglia grazie all’aiuto di don Paolo Thabit Mekko, sacerdote caldeo di Mosul in prima fila nell’opera di ricostruzione avviata nei mesi scorsi. Come ricordato da mar Louis Raphael Sako,
patriarca della Chiesa irakena, cancellare l’ideologia jihadista e
rilanciare un percorso di convivenza fra cristiani e musulmani è una
delle priorità per un Paese unito e in pace. Una strada “lunga e
faticosa”, avverte il primate caldeo, che si fonda su una “nuova
consapevolezza” per scongiurare un “ulteriore declino, divisione e
frammentazioni del passato”.
Una “speranza” che viene coltivata e condivisa anche da Labib Rammo e
dai suoi parenti, che dicono di aspettarsi “il meglio” ora che i
miliziani di Daesh [acronimo arabo per lo SI] sono fuggiti. Tuttavia,
aggiunge, “la questione della sicurezza è un punto essenziale da
risolvere”, ed è la base da cui partire per “aiutare Karamles e l’intera
piana di Ninive nel suo percorso di rifondazione”.
Labib, 55 anni, è sposato con Nedal Yousif, di nove anni più giovane.
La coppia ha sei figli: Taher nato nel 1993; Maher (1994); Myron
(1995); Marsen (1996);
(2002); Barbara (2003). L’ultimo arrivato
in famiglia è Merna Rammo, nata il 19 marzo di quest’anno. La piccola
sarà battezzata il prossimo 6 agosto nella chiesa parrocchiale di
Karamles, a tre anni esatti dalla notte in cui la famiglia è fuggita
dalla cittadina e dalla piana di fronte all’avanzata dell’Isis.
Negli anni dell’esilio, la famiglia ha vissuto ad Ankawa, il
quartiere cristiano di Erbil, capitale del Kurdistan irakeno. In passato
essi gestivano un mini-market, oltre a coltivare alcuni orti di
famiglia e a fare lavori in proprio. Durante l’esilio, racconta don
Paolo, hanno ricevuto alcuni piccoli finanziamenti e donazioni dalla
Chiesa, anche se “la maggioranza delle spese e dell’affitto riuscivano a
pagarlo con denaro frutto del loro lavoro”. Ad Ankawa, infatti, avevano
avviato una piccola attività dedita alla vendita di verdure e ortaggi.
“Il periodo della fuga - racconta Labib Rammo - è stato difficile,
senza una casa propria, con gli affetti e i legami spezzati, una parte
della famiglia lontana. Le nostre abitudini sono state sconvolte, tutto
questo ha generato difficoltà e ci ha fatto sentire come stranieri nella
nostra terra”. In questo tempo “abbiamo coltivato un orto” e ora che
“abbiamo ritrovato la nostra casa vogliamo aggiungere una camera” perché
“i nostri giovani crescono e sono ormai in età di matrimonio”.
Interpellato su una possibile, nuova convivenza fra cristiani e
musulmani la risposta è secca: “Speriamo”, dice l’uomo, “comunque noi
viviamo in un Paese a maggioranza musulmana, e questo vuol dire in fondo
che stiamo ancora convivendo con loro”. Di certo le sofferenze hanno
rafforzato la fede cristiana, che resta salda “in qualsiasi situazione:
abbiamo perso case e proprietà, ma la nostra fede è rimasta”.
L’ultimo pensiero lo rivolge alla ricostruzione, che resta “un
dovere” così come egli rivolge un invito a tutti i concittadini, perché
“tornare al villaggio di origine è importante”. “Dobbiamo sentire -
conclude - che questa è la nostra terra ed è il luogo in cui
testimoniare la fede cristiana, oggi come sempre. E per farlo sappiamo
di poter contare anche sulla buona volontà e la generosità dei nostri
fratelli cristiani sparsi in tutto il mondo”.
21 luglio 2017
15 statues de la Vierge envoyées en Irak pour remplacer celles détruites par l’État islamique
By Aleteia
Pour remplacer les vierges vandalisées par l’État islamique en Irak, l’Œuvre d’Orient a fait venir de France par camion 15 nouvelles statues. Elles seront bénies ce 20 juillet sur place.
Depuis 10 jours, les amis de l’Œuvre d’Orient ont vu défiler, sur le compte twitter de l’association des photos de statues irakiennes vandalisées par les fondamentalistes. Les photos étaient accompagnées du hashtag #deLourdesaNinive. Ce 20 juillet, la raison d’être de cette initiative est enfin dévoilée : l’Œuvre d’Orient remplace les statues brisées par de nouvelles, venues de France. Elles sont toutes bénies à Ankawa, dans la banlieue d’Erbil, au Kurdistan irakien, par les responsables du clergé local, accompagnés par le père Rodolphe Vigneron, représentant de l’association.
Des processions dans les églises ruinées
Avant de retrouver leurs places dans les églises qui ont subi les affres de l’occupation des djihadistes, les statues seront portées en procession par les chrétiens des communautés chaldéennes et syriaques, jusque dans leurs villes de Qaraqosh, Karamless et Bartella. Pour l’association, ces processions illustrent la promesse de Jérémie 31, 17 : « Il y a de l’Espérance pour ton avenir, dit l’Éternel ; tes enfants reviendront dans leur territoire ».
Le road trip des 15 Maries
Le hasard a voulu que deux musulmans se succèdent au volant du camion qui fait la jonction entre Lourdes et l’Irak. Jean-Mathieu Gauthier, photojournaliste, a fait le trajet en leur compagnie. Le premier, un franco-marocain nommé Walid, s’est montré touché par le chargement qu’il transportait : « Il avait connu, dans son école, un copain chrétien réfugié d’Irak. Et lorsqu’il a appris qu’il portait des statues pour les sanctuaires chrétiens d’Irak, il a montré un temps d’arrêt, s’est montré grave… Il prenait l’affaire très au sérieux. » Avec le deuxième chauffeur, qui ne parlait que le turc, la conversation fut plus limitée, mais il a mené les statues jusqu’en Irak, malgré les inévitables complications à la frontière irako-turque.
Les statues de Marie, hautes d’1m50 symbolisent la solidarité franco-irakienne. Elles ne sont pas sans évoquer cet autre extrait de Jérémie 32, 37, cité par l’Œuvre d’Orient : « Je les ramène en ce lieu, et je les y établis en toute sécurité ».
Mosul needs help to rebuild, Iraqi official cautions
By Catholic News Agency
Hannah Brockhaus
July 14, 2017
Hannah Brockhaus
July 14, 2017
Just days after Iraqi forces
completed their recapture of Mosul from the Islamic State, the nation's
ambassador to the Holy See has said that they are eager to rebuild the
city and have people return home, but it will require help to do so.
“We reiterate our need for greater cooperation and greater help for
the reconstruction and stability of the freed areas, including Mosul,
because there is no complete victory until the displaced are returned to
their homes and guaranteed essential services,” Omer Ahmed Karim
Berzinji said July 13.
“The most important challenge now is the effort for the
reconstruction and the stability of the city through the construction of
infrastructures in order for the displaced to return. We have need of
international support to bring back stability and to prevent the return
of the terrorists.”
Berzinji spoke to journalists at a press conference in Rome July 13.
The presser was held in response to the July 9 declaration that Mosul had been recaptured. The government operation to free Mosul, one of the Islamic State’s remaining key strongholds, had been underway for nine months. The group still controls areas around the Iraqi cities of Tal Afar, Hawija, and Al-Qa'im, as well as portions of Syria.
The presser was held in response to the July 9 declaration that Mosul had been recaptured. The government operation to free Mosul, one of the Islamic State’s remaining key strongholds, had been underway for nine months. The group still controls areas around the Iraqi cities of Tal Afar, Hawija, and Al-Qa'im, as well as portions of Syria.
During this time, thousands were killed and nearly 1 million residents fled the city, the major part of it destroyed.
Fr. Ghazwan Baho, a parish priest in Alqosh – the last major
Christian city on the Plain of Nineveh not taken by the Islamic State –
told CNA they are thankful Mosul has been freed, but the future of the
city is still uncertain.
“We thank God that the evil was overcome, but Mosul is a city almost
80 percent destroyed. The future is dark. There isn't much hope of
reconstruction.”
“It's not enough to win the war, but we need to rebuild,” he said.
“We are afraid of the future, of revenge; our area is a land of
conflict. Let's hope for the best.”
The Islamic State had controlled Mosul, Iraq’s second largest city,
since June 2014. It has imposed a rigid version of sharia in territory
it controls, but its rule also features arbitrary violence, including
killing and enslavement.
A 2016 U.N. report said that 800 to 900 children in Mosul have been
abducted and put through Islamic State religious and military training.
There have been accounts of child soldiers who were killed for fleeing
fighting on the front lines of Iraq’s Anbar province.
The U.N. also estimates that as of Jan. 2016 the group held about
3,500 slaves, mainly women and children of the Yazidi religion. Some of
the women are killed for trying to escape or for refusing sexual
relations with Islamic State fighters.
The Iraq ambassador couldn’t give specifics on the government’s plan for how to free the women, but told CNA that it will certainly be one of their top objectives. Regarding the Islamic State, he said he considers the victory in Mosul the “beginning of their end.”
The Iraq ambassador couldn’t give specifics on the government’s plan for how to free the women, but told CNA that it will certainly be one of their top objectives. Regarding the Islamic State, he said he considers the victory in Mosul the “beginning of their end.”
“I am very enthusiastic to take all of that (remaining) occupied territory,” he continued.
Another result of the battle, he told journalists, has been the
unification of the various “factions” of the Iraqi army who “joined
together for the liberation of Mosul.”
The ambassador emphasized that Iraqis worldwide are celebrating the
victory, saying that “the first thing after the liberation of Mosul, the
most important thing, was that all Iraqis were united.”
Berzinji also noted the help from outside forces, saying “friends and
allies have played a distinct role in supporting the efforts of the
Iraqi government in this battle through the intervention of the
international coalition or outside it.”
“That is why victory in Mosul is a victory for all those who have
helped and have collaborated with us in the fight against this criminal
organization.”
Will stability bring back Christians to their homes in Nineveh
By The Baghdad Post
After over nine hard months of bloody, devastating war in Mosul and as ISIS terrorists are ousted from the war torn city, life slowly comes back to its streets and neighborhoods.
After over nine hard months of bloody, devastating war in Mosul and as ISIS terrorists are ousted from the war torn city, life slowly comes back to its streets and neighborhoods.
Tens
of Christian families are beginning to return to their historic al-Hamdaniya
district in eastern Mosul.
Christian
civilians are currently restoring, rebuilding their homes, infrastructure and
destroyed governmental buildings by both ISIS and Iraqi forces.
Over
500 Christian families chose to leave the displacement camps and take the
challenge of rebuilding, bringing back their neighborhoods and their ways of
life.
The
Baghdad Post met with Sabri Rafu Ibrahim, one of Christian Nineveh Plain
Protection Units (NPU), as he described how once al-Hamdaniya district was
liberated, its residents came back to their homes.
On
the other hand, Victoria told of her suffering under ISIS rule as her vehicle
was stolen by terror group, but she was thankful as they didn't kidnap or kill
her.
Despite the destruction of their homes, Christians expressed their happiness and relief for returning home.
Despite the destruction of their homes, Christians expressed their happiness and relief for returning home.
They
also urged Haider al-Abadi's government to secure other Christian's return to
their home and compensating them for the destruction so they can rebuild and
restore their lives once more.
Christian civilians also praised the Iraqi forces for liberating their homes, warning the government from repeating the same mistakes of the previous sectarian government that created many rifts in the fabric of Iraqi society.
Christian civilians also praised the Iraqi forces for liberating their homes, warning the government from repeating the same mistakes of the previous sectarian government that created many rifts in the fabric of Iraqi society.
After
over three years of life in displacement camps, life seems bright once more for
Nineveh's Christian community.
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