Il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Mar Emmanuel III Delly, ha invitato i cristiani iracheni a non celebrare pubblicamente il Natale per "la grave situazione di sicurezza nel paese" come ha riportato il Patriarca Vicario Monsignor Shleimun Warduni, aggiungendo che la rinuncia alle pubbliche celebrazioni è anche intesa come "atto di solidarietà con i fedeli della altre religioni, specialmente i musulmani."
Tra i molti articoli che hanno descritto le sofferenze e le festività "nascoste" dei cristiani iracheni ne ho tradotti ed adattati alcuni, uno per anno, a dimostrazione che le parole del Patriarca riflettono una situazione che purtroppo dura ormai da molto.
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23 dicembre 2005
di Omar al-Ibadi
Manca solo un giorno alla più importante celebrazione per i cristiani, eppure la chiesa della Vergine Maria a Baghdad ha un aspetto desolato.
Non ci sono le luci e le decorazioni scintillanti degli anni passati.
Un piccolo e sgraziato alberello decorato in argento e rosso è vicino al pulpito – un povero sostituto del gigantesco albero di Natale che nel passato veniva decorato al suono degli inni sacri intonati dai giovani della parrocchia.
Solo sei donne sono venute a pregare alla sera, qualche giorno prima di Natale, e file di banchi sono rimaste vuote nella chiesa debolmente illuminata.
Ma non è sempre stato così
“Di solito celebravamo l’occasione pregando, e centinaia di fedeli si riunivano e si facevano gli auguri” ha detto Padre Boutros Haddad, il parroco della chiesa situata in un quartiere a prevalenza cristiana. “Ora non possiamo più farlo per la mancanza di sicurezza.”
Un altro triste natale si avvicina per i circa 600.000 cristiani iracheni che godevano di una relativa libertà sotto Saddam, ma che ora vivono nella paura degli attacchi da parte dei sempre più potenti gruppi islamismi e delle milizie.
Dalla caduta di Saddam chiese sono state fatte esplodere, i negozi di liquori gestiti dai cristiani sono stati attaccati, e molti appartenenti alla piccola comunità sono stati uccisi o rapiti.
Molti di loro hanno già abbandonato l’Iraq per pascoli meno pericolosi come la Giordania o la Siria. Altri non osano avventurarsi verso le chiese.
“Siamo andati a vivere in Siria l’anno scorso per quello che abbiamo passato, non ce la facevamo più” dice la ventiseienne Rana Noah, a Baghdad per un breve periodo per un funerale, prima di tornare in Siria
Per coloro che sono rimasti in Iraq il periodo festivo somiglia poco a quello degli anni passati. I negozi di Baghdad che vendono gli alberi di Natale ancora mostrano le loro merci, ma gli affari non vanno bene.
“Nessuno dei miei soliti clienti sono venuti quest’anno, molti sono partiti dopo le esplosioni delle chiese dello scorso anno” (1 agosto 2004) dice Sajid Rasool Shaker che ogni anno, per anni, ha venduto alberi di Natale.
Almeno 20 persone furono uccise durante gli attacchi alle chiese a Baghdad e Mosul nella seconda metà del 2004.
Il senso di gioia è scomparso.
“Negli anni passati i fedeli arrivavano in chiesa alle nove di sera per riversarsi nelle strade dopo mezzanotte, abbracciandosi e facendosi gli auguri” ricorda Mohammad Hikmat, insegnante alla chiesa della Vergine Maria.
Per il terzo anno di fila il coprifuoco notturno a Baghdad renderà impossibile le celebrazioni
“Quest’anno preghiamo per la pace in Iraq, ma lo facciamo per dovere e non per piacere” dice Hikmat, “siamo incatenati alla tristezza, abbiamo bisogno di pace ora più che mai.”
Il Natale non è molto felice per i cristiani iracheni20 dicembre 2004
di Edmund Sanders
Secondo alcuni esponenti della leadership cristiana irachena 50.000 dei circa 800.00 cristiani hanno lasciato il paese dallo scorso anno, principalmente verso la Giordania e la Siria. Dopo un anno di attacchi alle chiese, minacce di morte ed uccisioni i cristiani rimasti hanno annullato le celebrazioni natalizie.
“Quest’anno ufficialmente non celebreremo” ha detto Padre Peter Haddad, parroco della chiesa della Vergine Maria a Baghdad.
Per paura di altri attacchi i vescovi dell’Iraq a prevalenza musulmana hanno recentemente annunciato la cancellazione delle celebrazioni legate al Natale imminente. Alcune chiese hanno addirittura cancellato le messe della Vigilia, una cosa mai successa durante il regime di Saddam Hussein.
Una volta, infatti, più di 700 fedeli si riunivano nella chiesa di Padre Peter. Lo scorso sabato invece la chiesa ne ha accolto solo 27.
I cristiani hanno vissuto in Iraq per centinaia di anni, in pacifico rapporto con i musulmani per la maggior parte di essi, ma dopo l’invasione a guida americana gli insorti hanno cominciato a bersagliare la loro comunità, accusando i cristiani di cooperare con gli “infedeli” americani lavorando come traduttori, personale di pulizia e commercianti. Le vessazioni sono diventate così gravi che molte donne cristiane hanno cominciato ad indossare il velo.
“Non siamo gli agenti di nessuno e non accettiamo di essere equiparati agli occupanti a causa della religione comune” ha recentemente detto ai suoi parrocchiani Monsignor Luis Sako, Vescovo caldeo di Kirkuk, che ha cancellato tutte le celebrazioni natalizie. “Fare esplodere le nostre chiese e terrorizzarci non servirà a risolvere i problemi dell’Iraq.”
In passato, George Goryal, padre di 4 figli, celebrava il Natale con un picnic in famiglia, quest’anno rimarranno a casa. La famiglia spera di poter almeno presenziare alla messa della Vigilia, ma Goryal dice di essere così terrorizzato da eventuali attacchi da avere escogitato una strategia per ridurre i rischi:“Andremo a messa due alla volta, è la cosa più sicura.”
Alcune chiese hanno fatto ricorso alle guardie armate. Alla chiesa Assira di Nostra Signora della Salvezza uomini armati con fucili d’assalto e pistole sono rimasti di guardia durante il funerale di un parrocchiano ucciso mentre andava ad aprire il bar che gestiva in un club di Baghdad.
Alcuni esponenti del clero cristiano hanno dichiarato che piuttosto che dover fare ricorso ai metal detectors, alle perquisizioni, o ai soldati americani di guardia, cancelleranno le celebrazioni.
"Le famiglie cristiane si dovrano accontentare di celebrare in casa con parenti ed amici” dice Sameer Khoori, vice direttore dell’Hindiya, un club privato cristiano. In genere i cristiani in Iraq usavano festeggiare con lussuose feste nei ristoranti, visite ai parchi di divertimento e grandi riunioni familiari. Come negli Stati Uniti, le famiglie usavano anche decorare le case con luci colorate e ghirlande di pino.
Ora, dicono i cristiani iracheni, non c’è ragione di appendere le luci colorate se l’energia elettrica dura solo quattro ore al giorno. Anche le visite ai parenti fuori città sono impossibili vista la mancanza di carburante per le auto.
Nonostante i problemi, però, molti iracheni dichiarano di voler mantenere lo spirito natalizio.
“La nostra fede non svanirà” dice Hazim Jameel, un tassista di 47 anni che nel suo giorno libero ha acquistato un albero di Natale. “E’ di vitale importanza che la gente viva in modo normale”. Sua moglie, Fadia Issa, aggiunge che la famiglia preparerà la cena tradizionale di Natale e farà i regali ai tre bambini perché: “per loro è importante.” “Sono giorni molto brutti, ma passeranno” conclude il marito.
Cristiani iracheni nervosi all’approssimarsi del Natale
10 Dicembre 2003
di Luke Baker
Possono non aver decorato le entrate con rami di agrifoglio, ma per tutti gli altri aspetti i cristiani iracheni si stanno preparando al Natale.Yasmeen Yuaw ha comprato i regali per la sua bimba di tre anni, Natalie, e mercoledì scorso cercava di decidere quale albero di Natale comprare – uno grande per 80.000 dinari (circa 40 dollari) o uno più piccolo per 50.000. Rafid Najib, il proprietario del negozio Virgin Mary, a Garraj Amana, un quartiere quasi interamente cristiano nel centro di Baghdad, sta vendendo i suoi alberi di Natale di plastica fatti in Cina.
Eppure, piuttosto che con gioia, è soprattutto con paura che i cristiani di Baghdad attendono il momento magico del loro calendario.
“Il problema è la sicurezza” dice Elishwa Sadiq, procedendo a fatica con l’aiuto di un bastone mentre fa accomodare i giornalisti in casa sua, decorata con dipinti di Gesù.
C’erano timori, prima, ma ora abbiamo più paura. Non possiamo andare a far spese a causa delle esplosioni e dei rapimenti. Eravamo all sicuro sotto Saddam non ora.”
I cristiani iracheni, la maggior parte dei quali, sono assiri cattolici anche conosciuti come caldei, raramente erano discriminati sotto Saddam che guidava il laico Iraq, almeno fino agli ultimi anni del suo governo.
Uno dei suoi più fidati consiglieri, Tareq Aziz, era un caldeo. Come musulmano sunnita lo scopo principale di Saddam Hussein era di tenere a bada la maggioranza sciita che costituiva il 60% della popolazione di 26.000.000 di persone.
Prima della Guerra a guida Americana per spodestare Saddam, la comunità cristiana, stimata in un milione di persone, temeva che i musulmani l’avrebbero perseguitata nel corso della lotta per il predominio in un Iraq islamico.
Ci sono stati isolati incidenti, con volantini distribuiti nelle comunità cristiane che avvertivano le donne di indossare il velo e gli uomini di non bere alcolici. I rapitori hanno spesso avuto come vittime i cristiani che, senza una rete tribale di protezione, sono considerati non in grado di vendicarsi.
Eppure, sempre, i cristiani – come tutti gli iracheni – affermano che la sicurezza è il loro problema principale, un problema ancora più sentito con l’avvicinarsi del Natale.
Molti civili iracheni sono stati uccisi nel conflitto che oppone le forze a guida Americana ed i guerriglieri che lottano contro l’occupazione, ed il crimine aumenta vertiginosamente nel caos che ha seguito la caduta di Saddam ad aprile.
“Quest’anno sarà diverso” dice Mazin Poutros, una guardia di sicurezza che vive di fronte una chiesa caldea frequentata attivamente da circa 500 fedeli, nel centro di Baghdad.
“Il grosso problema è la sicurezza. Nessuno vuole uscire per strada o andare a trovare qualcuno con i bombardamenti e le uccisioni. E’ troppo pericoloso” aggiunge con una scrollata di spalle.
Putros, che ha dovuto chiudere il negozio che aveva in una strada popolare di Baghdad dopo che gli americani lo avevano isolato con barriere di cemento, dice inoltre di non poter più permettersi alcune tradizioni di Natale. “Di solito compravamo i regali di Natale ai bambini, ma quest’anno sarà difficile, non possiamo neanche permetterci la spesa dell’albero.”
In ogni caso però, aggiunge Putros, i suoi familiari più intimi si riuniranno dopo essere andati in chiesa per una cena, il 25, bere un bicchiere di vino e cercare di dimenticare i tempi difficili.
Altri, invece, a dispetto delle preoccupazioni, festeggeranno Natale.
“Non ci saranno le luci sull’albero perché manca l’elettricità” dice Yuaw “ma ci saranno dei regali e diremo ai bambini di comportarsi bene se vogliono i loro.”