"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 giugno 2009

Soldati americani: e gli iracheni guardano al futuro

Fonte: Misna

“Negli ultimi sei anni la serenità è stata del tutto assente dal comune sentire degli iracheni. Assistere al ritiro di militari, carri armati e altri macchinari da guerra incoraggia la gente a sperare in un futuro di normalità”: lo ha detto Qassem al Salman, responsabile dell’agenzia irachena ‘Aswat al Iraq’ contattato dalla MISNA nel giorno che celebra la "sovranità nazionale" e il ritiro delle truppe americane dalle città e dai centri abitati del paese. “Gli iracheni stanno festeggiando da ieri” racconta al Salman, aggiungendo che dai balconi delle case a Kirkuk e Mossul “è stato appeso il tricolore, mentre per le strade si sente l’eco di canzoni tradizionali e inni”. A Baghdad, nel centralissimo parco di Al Zawra’a, è stato allestito un palco sul quale si stanno esibendo cantanti e musicisti, accorsi per festeggiare l’evento. “La paura non è passata e tutti sanno che in futuro attentati e violenze potranno ripetersi, ma il senso di orgoglio per un paese che vuole uscire dall’incubo in cui era piombato negli ultimi anni è troppo forte. La gente ha voglia di sperare in un futuro diverso”.
Entro il 2011, ha ricordato alla MISNA monsignor Philip Najim, procuratore dei cristiani caldei presso la Santa Sede, “le truppe americane dovranno lasciare definitivamente l’Iraq ed è bene che in questo periodo, che molti definiscono di ‘post-occupazione’, le forze irachene prendano confidenza con il ruolo che gli spetta, che è quello di difendere la popolazione dagli attacchi di forze oscure che vogliono il male del paese”. Anche il mondo politico, sottolinea il religioso, “deve prendersi la responsabilità della sicurezza interna se vogliamo tornare a essere un paese indipendente sotto ogni punto di vista” e se il timore di altra violenza non è scomparso, “questo e altri passi sono necessari per restituire agli iracheni la loro identità e permettere all’Iraq, finalmente, di voltare pagina”. Oggi, in un discorso alla nazione, trasmesso in diretta televisiva dopo un incontro con i ministri della Difesa, degli Interni, della Sicurezza nazionale e con i dirigenti dell’intelligence, il primo ministro Nouri al Maliki ha messo in guardia gli iracheni contro “i terroristi che hanno preso di mira l’Iraq, la sua unità e l’unità del suo popolo, e che cercano di far tornare il paese a un clima di violenze settarie con attacchi eseguiti ovunque e contro qualunque gruppo” e aggiungendo di pregare e “per onorare i martiri e i feriti, essere uniti a sostegno dei successi già raggiunti”.[AdL]

Vescovi cattolici: fra “speranza e paura”, l’Iraq assiste al ritiro delle truppe Usa

Fonte: AsiaNews

Speranza e preoccupazione. Così l’Iraq vive il ritiro delle truppe statunitensi dalle città, a sei anni dal conflitto che ha portato alla caduta di Saddam Hussein e a una sanguinosa guerra civile. La speranza è che la popolazione irakena sappia “costruire un futuro all’insegna della riconciliazione nazionale”. Restano le preoccupazioni, per una situazione che al momento è caratterizzata da “divisioni etniche e confessionali” e per “l’influenza negativa di forze esterne al Paese”. Fra queste, le milizie fondamentalista di al Qaeda o il vicino Iran, segnato anch’esso da una profonda crisi politica e da una lotta interna per il potere.
Oggi inizia il ritiro ufficiale dell’esercito Usa dall’Iraq, che dovrebbe essere completato entro la fine del 2011. Per capire con quale spirito la popolazione vive il ritiro delle truppe Usa, AsiaNews ha interpellato mons. Louis Sako – arcivescovo caldeo di Kirkuk, nel nord del Paese – e mons. Sleimon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad.
“La gente è preoccupata – afferma mons. Sako – e ha paura del futuro. Ieri le famiglie cristiane non hanno mandato i loro bambini al catechismo per la prima comunione, e anche nei prossimi giorni non verranno. Aspettano di vedere cosa succederà; non hanno fiducia”. L’arcivescovo di Kirkuk ricorda gli attentati degli ultimi giorni, che hanno causato decine di vittime, e invita le autorità irakene a far fronte alla situazione “con forza” e mostrare “competenza” nella gestione del passaggio dei comandi.
Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, racconta di un clima di “grande speranza” fra le vie della capitale, dove si festeggia con fuochi artificiali il ritiro delle truppe americane. “Si spera – sottolinea il prelato – nella riconciliazione nazionale e nella cooperazione per il bene del Paese, senza guardare solo agli interessi propri”. Egli conferma una sensazione generale “di paura”, ma aggiunge anche la “speranza degli irakeni di essere in grado da soli di mantenere la pace”.
Divisioni interne e minacce esterne restano questioni irrisolte e il principale ostacolo sul cammino della pacificazione. “La popolazione – spiega mons. Sako – aspetta la riconciliazione fra le fazioni politiche, la stabilità, costruzioni, progetti e infrastrutture e il ritorno dei rifugiati”. Il prelato è “sicuro” che il governo lavorerà per “rendere stabile la situazione” ma non è altrettanto certo che l’obiettivo verrà raggiunto. “Ho paura – aggiunge – dell’influenza negativa dei Paesi vicini. L’esercito irakeno da solo non è ancora in grado di proteggere l’ordine. A questo si sommano divisioni etniche acuite nel corso degli anni, che hanno portato profonde divisioni fra sunniti, sciiti, arabi, turkmeni, curdi e persino fra gli stessi cristiani”.
Preoccupazioni che riguardano anche il vescovo ausiliare di Baghdad, che parla di “persone che sono un peso enorme e un ostacolo al cammino di pace” perché “non la vogliono”. “Speriamo – afferma mons. Warduni – che gli irakeni stessi prendano coscienza del valore dell’unità e lascino da parte quanti vogliono il male e il caos. Vogliamo che l’Iraq governi se stesso con le sue forze, politiche, economiche e militari. Ma vi sono interessi esterni che mirano a fomentare divisioni”.
Una frammentazione che contraddistingue anche la comunità cristiana, suddivisa in fazioni politiche e partiti. “Dobbiamo essere un esempio per gli altri – concludono i vescovi irakeni – e collaborare alla ricostruzione del Paese all’insegna dell’unità e del rispetto”.
Fonti di AsiaNews a Mosul, intanto, descrivono una situazione di “tensione e preoccupazione” per la strada. Restano le “divisioni fra sunniti e curdi”, i quali non vogliono “abbandonare intere zone di territorio sottoposte al loro controllo attraverso le milizie Peshmerga”. I sunniti, vincitori alle ultime elezioni, aspirano a riprendere il possesso della zona e “la partenza delle truppe americane potrebbe esasperare la tensione”.
A Baghdad, un giornalista irakeno – che chiede l’anonimato – spiega ad AsiaNews che “le truppe irakene non sono pronte ad assumere la responsabilità della sicurezza nazionale”. Le ragioni, sottolinea la fonte, sono duplici: l’esercito è carente “sia dal punto di vista delle attrezzature”, sia sotto il profilo “psicologico, perché hanno perso le motivazioni per sacrificarsi a difesa del Paese”.
Il nazionalismo e lo spirito di appartenenza nazionale sono in forte calo. La fonte avanza il dubbio di “un piano americano”, in base al quale “gli Usa sanno che l’esercito irakeno non è pronto ad assumere il controllo della nazione, ma hanno deciso ugualmente di ritirarsi, per poi ribadire che la presenza statunitense è fondamentale per la sicurezza. Gli Usa intendono rientrare in un secondo momento, negoziando nuovi accordi”. (DS)

Catholic bishops: between "hope and fear”, Iraq witnesses the withdrawal of U.S. troops

Source: AsiaNews

Hope and concern. This is how Iraq is experiencing the withdrawal of U.S. troops from the cities, six years after the conflict that led to the fall of Saddam Hussein and a bloody civil war. The hope is that the Iraqi people can "build a future in the name of national reconciliation." Concerns remain, for a situation which is currently characterized by "ethnic and confessional divisions" and "the negative influence of external forces to the country." Among these, the fundamentalist militia of al Qaeda or the neighbouring Iran, which is also marked by a deep political crisis and an internal struggle for power.
Today the official withdrawal of the U.S. from Iraq begins, which should be completed by the end of 2011. To understand the spirit in which people are witnessing the withdrawal of U.S. troops, has appealed to AsiaNews, Mgr. Louis Sako - Chaldean archbishop of Kirkuk in the north of the country - and Msgr. Sleimon Warduni, auxiliary bishop of Baghdad.
"People are worried - says Msgr. Sako - and afraid for the future. Yesterday, Christian families did not send their children to catechism classes for first communion, and neither will they in coming days. They are waiting to see what will happen, they have little confidence”.
The archbishop of Kirkuk recalls the attacks of recent days that caused dozens of casualties, and urges the Iraqi authorities to deal with the situation "with force" and show "responsibility" in managing the transition of command.
Shlemon Warduni, auxiliary bishop of Baghdad, tells of a climate of "great hope" on the streets of the capital, where they are celebrating the withdrawal of American troops with fireworks. “There is hope - says the bishop - for a new era of national reconciliation and cooperation for the good of the entire country, not only personal interests." He also confirms a general feeling of “fear,” but adds the "hope of the Iraqis to be able to maintain peace by themselves."
Internal and external threats and unresolved issues remain the main obstacle on the path to peace. "The people - said Msgr. Sako - expect reconciliation among political factions, stability, construction, infrastructure projects and the return of refugees”. The prelate is "sure" that the government will work to "stabilize the situation" but is not so sure that the target will be achieved. "I'm afraid - he adds – of the negative influence of the neighbouring countries. The Iraqi army by itself is not yet able to protect order. This is compounded by ethnic divisions exacerbated over the years that have brought deep divisions between Sunnis, Shiites, Arabs, Turkmens, Kurds and even among Christians themselves. "
Concerns that the auxiliary bishop of Baghdad shares. He speaks of "persons who are a burden and a huge obstacle to the path for peace" because "they do not want it." "We hope - said Msgr. Warduni - that the Iraqis themselves become aware of the value of unity and leave aside those who want evil and chaos. We want Iraq to govern itself by its own strengths, political, economic and military. But there are outside interests that seek to foment divisions. "
A fragmentation that characterizes the Christian community, divided into factions and political parties. "We must set an example for others - the Iraqi bishops conclude - and take part in the reconstruction of the country in a sign of unity and respect."
Sources for AsiaNews in Mosul, meanwhile, describe a situation of “tension and concern” on the streets. There are still “divisions between Sunnis and Kurds”, who do not want to "abandon entire areas of the territory under their control through the Peshmerga militia”. The Sunnis, winners of the last elections, are seeking to regain possession of the area and "the departure of American troops could exacerbate the tension."
In Baghdad, an Iraqi journalist - who has asked to remain anonymous - tells AsiaNews that "the Iraqi troops are not ready to assume the responsibilities of national security." The reasons, the source points out, are twofold: the army is lacking "both in terms of equipment”, and "psychological terms”, because “they have lost the motivation to lay down their lives in defence of the country. "
Nationalism and the spirit of nationality is in sharp decline. The source puts forward the possibility of "an American plan", according to which "the U.S. knows that the Iraqi army is not ready to take control of the nation, but have also decided to withdraw, to then later on confirm that the U.S. presence is essential for security. The United States intends to return at a later date, negotiating new agreements”. (DS)

29 giugno 2009

Le suore domenicane rimangono in Iraq a dispetto della violenza crescente

Fonte: The Catholic Spirit

By Carmen Blanco - Catholic News Service

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Malgrado il crescente numero di iracheni cristiani che sfuggono dalla violenza e dalla persecuzione una suora domenicana irachena rimarrà nel suo paese.
"Mi sono impegnata a rimanere in Iraq per coloro che vi rimangono: i poveri, i più vulnerabili, le vedove ed i loro bambini" ha dichiarato Sorella Maria Hanna in un incontro nel corso di una conferenza dei vescovi cattolici americani a Washington lo scorso 22 giugno. Sorella Hanna, delle domenicane di Santa Caterina da Siena a Mosul ha visitato Washington a giugno per parlare del suo lavoro e per aggiornare le agenzie ed le organizzazioni cattoliche sulle attuali condizioni nel paese.
Il suo obiettivo è costruire scuole ed ospedali per chi è rimasto in Iraq e per dare speranza a tutti gli iracheni. "I nostri servizi non sono destinati ai soli cristiani" ha detto Sorella Hanna, "il nostro ospedale cura cristiani e musulmani e gli studenti delle nostre scuole sono per la maggior parte musulmani. "
Nel 1992 le suore aprirono l'ospedale ostetrico ginecologico Al-Hayat che offre un servzio di pronto soccorso 24 ore al giorno. La loro speranza è di aprire un ospedale specializzato in chirurgia ed uno generale nel nord dell'Iraq.
Per Sorella Hanna i messaggi di pace e solidarietà arrivano agli iracheni attraverso le scuole e gli ospedali che si prendono cura di pazienti di tutte le religioni e gruppi etnici attraverso la cura spirituale e fisica. "La riconciliazione è parte importante della cura" ha dichiarato. Le suore vorrebbero anche aprire una nuova chiesa che potrebbe accogliere dai 40 ai 45 mila fedeli della città di Karakosh e dintorni. L'intento è che essa serva ad altre fedi e gruppi minoritari. Le suore sperano di unire le proprie forze a quelle di altri ordini religiosi per informare sulla risoluzione del congflitto: "Vogliamo che gli iracheni vengano, si incontrino e si riconcilino" ha detto Sorella Hanna al Catholic News Service. I cristiani sono stati vittime di rapimenti ed attacchi violenti che sono aumentati dal momento dell'invasione americana dell'Iraq nel 2003. Da allora le suore hanno dovuto abbandonare due delle loro sedi. Una in particolare è stata bersaglio di diversi attacchi costringendo le suore a trasferirsi in luoghi più sicuri. "Siamo più preoccupate della missione che dei conventi" ha però dichiarato Sorella Hanna.
Quest'anno le suore domenicane hanno restaurato ed aperto una scuola secondaria privata per ragazze a Baghdad. La scuola, fondata negli anni 60, era stata confiscata dal governo negli anni 70 e restituita nel 2007: "Aprire quella scuola rappresenta una minaccia alla nostra sicurezza" ha detto Sorella Hanna riferendosi alle condizioni instabili e pericolosi dell'area in cui essa si trova, "ma è un segno di speranza per le donne e le famiglie vicine."
Sorella Hanna ha espresso preoccupazione per i bambini. Attualmente in Iraq ci sono solo due orfanotrofi per un crescente numero di orfani. Per i bambini che sanno fin troppo cosa voglia dire guerra e rivolta civile le suore sperano di aprire la prima scuola Montessori in Iraq. Sorella Amman, traduttrice di Sorella Hanna, ha dichiarato al CNS che il metodo Montessori interessa le suore perchè nutre la mente, il corpo e lo spirito dei bambini: "Abbiamo bisogno delle vostre preghiere" ha detto Sorella Hanna "e del vostro sostegno per la nostra missione."

Dominican sister vows to remain in Iraq despite increasing violence


By Carmen Blanco - Catholic News Service

Despite growing numbers of Iraqi Christians fleeing their country to escape the violence and persecution, an Iraqi Dominican nun says she will remain in her country.
"I am committed to staying in Iraq for those who remain: the poor, the vulnerable, the widows and their children," Sister Maria Hanna said in a meeting at the U.S. Conference of Catholic Bishops. Sister Hanna, a member of the Dominican Sisters of St. Catherine of Siena in Mosul, Iraq, visited Washington in June to talk about her work and to give Catholic agencies and organizations an update on current conditions in the country. She has set goals to build schools and hospitals for those remaining in Iraq and to give hope to all Iraqis."Our services are not just for Christians," Sister Hanna said. "Our hospital offers care to Christians and Muslims. And the students in our schools are mostly Muslims." In 1992, the sisters opened the Al-Hayat maternity hospital, which offers a 24-hour emergency clinic. They hope to add a surgical hospital and a general hospital in northern Iraq, she said. For Sister Hanna, messages of peace and solidarity are communicated to Iraqis through schools and hospitals that provide patients from all religious and ethnic groups with spiritual, emotional and physical healing. "Reconciliation is an important part of health care," she said. The nuns also hope to build a new church that will serve the 40,000-45,000 people from the city of Karakosh and its surrounding villages, she said. The intent is that it will serve other faith and minority ethnic groups. The sisters hope to join forces with other religious orders to inform the public about conflict resolution. "We want Iraqis to come, meet and reconcile," Sister Hanna told Catholic News Service. Christians have been the target of kidnappings and violent attacks that have escalated since the 2003 U.S. invasion of Iraq. Since then, the sisters have had to evacuate two of their living spaces. One in particular was the target of several attacks, prompting some of the nuns to move to safer locations. "We are more concerned about the mission than the convents," Sister Hanna said. This year, the Dominican Sisters renovated and opened a private secondary school for girls in Baghdad. The school, founded in the 1960s, was appropriated by the government in the 1970s and given back in 2007. "Opening this school poses a threat to our safety," she said, referring to the area's dangerous and unstable conditions, "but it is a sign of hope for women and neighboring families." Sister Hanna expressed deep concern for the well-being of the children. Currently, Iraq has only two orphanages for its growing number of orphans. For children who know far too much of war and civil unrest, the sisters hope to begin the first Montessori school in Iraq. Dominican Sister Amman, a translator for Sister Hanna, told CNS that the Montessori method appealed to them because of the ways it nurtures the mind, body and spirit of the child.

28 giugno 2009

Fotogiornalista italiana mette in luce la realtà dei rifugiati iracheni


Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Attraverso il suo obiettivo l'italiana Delizia Flaccavento esplora la difficile condizione degli immigrati iracheni in Turchia. In un progetto dello scorso inverno la fotogiornalista ha scattato più di 6000 foto della comunità irachena cristiana caldea in Turchia mettendo in luce la sorte delle "altre vittime" della guerra in Iraq.
Delizia Flaccavento ha passato mesi a catturare le speranze e le vite degli immigrati iracheni ad Istanbul allo scopo di ricordare al mondo alcune delle vittime dimenticate della guerra. "Volevo che il mondo sapesse" ha dichiarato a Hürriyet Daily News. "Quando sentiamo le notizie sull'Iraq non sentiamo mai parlare dei rifugiati che sono una delle conseguenze più tragiche della guerra. Era importante per me fare un pò di luce su questo problema."
Flaccavento, docente di fotografia documentaristica e di fotogiornalismo alle università di Yeditepe e Bilgi (Istanbul), ha vissuto ad Istanbul per un anno, il suo lavoro con gli immigrati iracheni ha rappresentato il suo primo progetto in Turchia ed è stato esposto all'inizio del mese presso il Centro Culturale Italiano. La fotografa ha dichiarato di sperare di esporre le sue foto anche altrove.
La mostra delle sue foto ha avuto una risposta positiva e l'autrice ha spiegato come l'opportunità di condividere la sua esperienza con alcuni dei suoi studenti sia stata importante. Molti di loro non sapevano nulla della comunità irachena della città: "Erano sorpresi dai contatti che ho costruito - entrare nelle case, familiarizzare con l'argomento - e questo è ciò che cerco di insegnare loro." "Tutto ciò che si fa richiede tempo. Nella fotografia si può avere talento ed occhio buono ma per catturare immagini davvero significative bisogna prima capire, stabilire un rapporto con il soggetto e passare molto tempo a fare foto."
Flaccavento stima di aver scattato circa 6,000 foto degli iracheni in Turchia nel corso dell'inverno con la sua Canon digitale non usando mai il flash: "In altre situazioni lo uso ma in questo caso non volevo essere intrusiva e se una camera era mal illuminata volevo farlo vedere."
Molte delle foto sono state scattate nell'epicentro della comunità, la chiesa di Sant'Antonio ad Istanbul dove gli iracheni, la maggior parte dei quali cattolici caldei che parlano aramaico, si ritrovano ogni domenica.
Lì, ha raccontato la fotografa, è stata testimone di una delle più tristi realtà della guerra nel lontano Iraq: "Uno dei momenti più tristi in chiesa era quando qualcuno veniva a sapere di un qualche parente ucciso in Iraq." "C'erano funzioni speciali, le donne vestivano di nero e piangevano rivolgendosi al prete, una cosa che succede abbastanza spesso. Ogni giorno muore qualcuno."
Flaccavento ha riferito di come il contatto con la comunità irachena sia stato facile. "Sono molto ospitali, dicevano - sei nostra sorella - così si è creato un rapporto di amicizia. D'altra parte però è stato difficile testimoniare le loro avversità, è dura vedere la gente soffrire ed aspettare. Da un punto di vista umano è dura.
Secondo la fotografa delle migliaia di immigrati iracheni in Turchia solo pochi sono abbastanza fortunati da ottenere asilo in altre paesi. Nel 2007 solo 758 sono stati accettati negli Stati Uniti.
La fotografa ha riferito di casi di immigrati che vivono letteralmente in un limbo da più di 10 anni in attesa dell'asilo. Mentre sono in Turchia, anche se hanno ricevuto lo status di rifugiato dall'agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, sono obbligati a pagare tasse mensili esorbitanti per rimanere nel paese e multe se mancano di presentarsi alla polizia ogni giorno o ogni settimana. Trovare lavoro è una sfida. Secondo la Flaccavento c'è un motivo di giustificata frustrazione tra i rifugiati: "Sono venuti qui con la speranza di trasferirsi rapidamente per poter iniziare una nuova vita ma sono rimasti bloccati. Da una parte adattarsi in Turchia non è difficile per loro: il cibo è simile, alcune parole derivano dall'arabo, e così culturalmente non è proprio uno shock. Eppure è frustrante. Non possono lavorare, è difficile avere un permesso per farlo, e l'Iraq manca loro molto."
A parte alcune famiglie che hanno in mente il "grande sogno americano" la maggior parte avrebbe voluto non dover abbandonare l'Iraq: "Ho sentito una donna di 35 anni dire che la sua vita era finita e che ciò che faceva era solo per i suoi figli perchè sperava in un futuro migliore per loro. Anch'io ho 35 anni ma non considererei mai la mia vita finita come loro vedono la propria. Ciò che dicono sempre è che tutto è fatto per il bene dei propri figli."
Negli Stati Uniti la Flaccavento ha lavorato ad un progetto sulla comunità italoamericana di Brooklyn. Pur descrivendo l'esperienza dell'emigrazione sempre traumatica perchè sospende le persone tra due mondi ha descritto quella degli italoamericani come "meno pesante" di quella degli iracheni: "Una cosa è l'emigrazione per ragioni economiche, un'altra è quella dovuta ad una guerra che obbliga alla ricerca dell'asilo."
La ragione dell fuga che gli emigrati descrivono come predominante è la crescita dell'intolleranza nel paese man mano che le forze alleate incoraggiano la segregazione su base religiosa. Sotto il regime di Saddam Hussein dicono che musulmani e cristiani vivevano in pace. Così in un certo senso Istanbul rappresenta l'Iraq che essi sentono di aver perso, ha spiegato la fotografa. "Vorrebbero tornare in Iraq. Coloro che affermano che non lo faranno mai sono anche più reticenti a parlare e hanno probabilmente avuto esperienze davvero traumatiche durante la guerra. Solo Dio sa cosa è successo. Mi dicevano: se Dio vuole un giorno verrai in Iraq e sarai nostra ospite, mangeremo cibo iracheno, danzeremo insieme e ti faremo vedere dei bei posti." Flaccavento spera di iniziare presto un nuovo progetto in Turchia: "E' un paese diverso e complesso. Lavorare qui è davvero una sfida ma è anche molto gratificante."

Italian Photojournalist Zooms in on Iraqi Refugees

Source: Hurriyet.com

Through her camera lens Italian native Delizia Flaccavento explores the plight of Iraqi immigrants who have fled to Turkey. In a project this winter the photojournalist took over 6,000 photos of the Chaldean Christian Iraqi community in Turkey raising awareness on the 'other victims' of the Iraqi War.
In a rare project, Italian photojournalist Delizia Flaccavento spent months capturing the hopes and lives of Istanbul's Iraqi migrants in an effort to remind the world of some of the war's forgotten victims. "My intent with the project was to create awareness," Flaccavento told the Hürriyet Daily News.
"When we hear news of Iraq we never hear about the refugees who are one of the most tragic consequences of the war. So for me it was important to shed a little light on this."
Flaccavento, a professor of documentary photography and photojournalism at Yeditepe and Bilgi Universities, has been living in Istanbul for a year and her work with Iraqi immigrants was her first project here. Her work was exhibited at the Italian Cultural Center earlier this month and the photographer said she hopes to show the collection wherever it is welcome.
Her exhibition had a very positive response and she said the opportunity to share her experience with some of her students was valuable to her. Many of them were not aware of the Iraqi community in the city.
"They were surprised by the kind of access I got - entering the houses of some people, becoming familiar with your subject - and this is something I try to teach them," she said.
"Everything you do requires time. In photography you might be talented and have a good eye, but to get really meaningful images you have to understand first, connect with your subject and take a lot of time taking photos."
Flaccavento estimates that she took approximately 6,000 photos of Turkey's Iraqis this winter with her digital Canon; never using a flash.
"In other situations I use a flash, but in this case I didn't want to be intrusive at all; if the room was badly lit I wanted to show that, so I only used natural light," she said.
Many of the photos were taken at the epicenter of the community, St. Antoine Church, in Istanbul, where Iraqis, most of whom are Aramaic speaking Chaldean Catholics, gather every Sunday. There, she said, she witnessed one of the grimmer sides of the Iraqi War, even though it was kilometers away.
"I think some of the saddest moments were in the church when relatives got news that someone got killed in Iraq," said Flaccavento.
"There were special services, and the women were dressed in black, and crying to the priest; you know this happens quite often. The deaths do happen daily."
Flaccavento said gaining access to the Iraqi community here was easy.
"They are very welcoming," she said.
The photographer said that of the thousands of Iraqi immigrants in Turkey, only a few are lucky enough to gain asylum in other countries. In 2007 only 758 Iraqi immigrants were accepted by the United States. Flaccavento said she knew of cases of immigrants literally in limbo for over 10 years waiting for asylum. While here, even if they are able to receive refugee status from the United Nations Refugee Agency, they are still obligated by Turkey to pay steep monthly fees in order to stay in country and fines if they fail to report to the police daily or weekly. Finding work is a challenge.
The photographer said there is a pattern of justified frustration among the refugees.
"They come here with the hope to move quickly and be able to start a new life soon, but they get stuck here," she said
. "On the other hand adapting to Turkey is not hard for them. The food is similar, some words come from Arabic; so culturally it's not exactly a shock. But in other aspects it is frustrating to adapt. They cannot work, it's difficult to obtain a work permit and they miss their own country."
Apart from some families with "big American dreams," Flaccavento said, most would not have chosen to leave Iraq.
"I heard 35-year-old women saying, 'my life is finished, everything I'm doing is for my children, I hope a better future for them," Said Flaccavento. "That's how old I am. I would never see my life as finished, but that's how they see it. They always say: 'It's for our children."
While in the United States Flaccavento did a project on the Italian American community in Brooklyn, which she describes as "much lighter" than the Iraqi endeavor though she said the immigration experience is always traumatic suspending people between worlds.
"One thing is an economic migration and one thing is a war situation that forces you to seek asylum," she said.
The predominating tension the immigrants describe is the rise of intolerance in their home country as allied forces encourage segregation based on religion. Under Saddam Hussein's regime they said Muslims and Christians lived in peace. So in some ways Istanbul better represents the Iraq they feel they have lost, explained Flaccavento.
"They long to go back,"said Flaccavento.
"Those who say they'll never go back are also more reticent to talk and have probably had very traumatic experiences during the war. God knows what happened. They are very attached. They would tell me, Inshallah one day you will come to Iraq and you will be our guest; we will eat Iraqi food, we will dance together and we will show you all the beautiful places."
Flaccavento said she hopes to start a new project in Turkey soon. "It's a very visual country, very diverse, very complex so it's really a challenge to try to work on projects here, but also it can be really rewarding."

Cronache da Kirkuk. Terrore e vita

Di Alessandro Ciquera

Viviamo nella tecnologia, i mezzobusti dei telegiornali viaggiano alla velocita' della luce all' interno delle nostre vite sempre indaffarate ed impegnate, tuttavia spesso riusciamo a congelare le varie preoccupazioni per informarci su cio' che accade nel nostro Paese, e di conseguenza nel Mondo intero. Si tratta di un momento intimo, di tregua, quiete dopo la tempesta. Sabato hanno fatto esplodere un "camion bomba" davanti ad una moschea Turcomanna, le stime parlano di quasi settanta morti, ma non si sa nulla di certo, sono andati avanti a scavare a lungo, con soccorsi che arrivavano da ogni parte della Nazione, i feriti, anche in modo grave, sono stati piu' di duecento: non credo che esista un modo preciso per reagire di fronte a queste violenze su persone innocenti. Non esiste nessun manuale che ti indichi il sentimento giusto da tirare fuori dagli scompartimenti dell' anima, non puo' esserci perche' altrimenti non saremmo esseri umani, ma semidei.
Ora pero' vi fornisco un' altra notizia, stiamo iniziando i lavori di ristrutturazione della scuola elementare di Qara Angir (Kirkuk), partendo dalla cosa piu' essenziale: i servizi igienici. Questa e' la nostra risposta al terrorismo! A chi vuole i cittadini piegati, umiliati, esiliati all' interno della propria casa. La piu' grande sconfitta per tutti coloro che credono in una societa' piu' giusta, consisterebbe nel lasciarsi andare a sentimenti come l'ira, l'odio, il disprezzo, il razzismo. L'obiettivo di queste campagne di paura e' proprio gettare nello sconforto piu' totale la gente, farla sentire sola, abbandonata, spingerla verso la cautela, la diffidenza verso le altre etnie, verso l'altro, verso il diverso. No! Dobbiamo urlare in faccia alla nostra coscienza che non vogliamo diventare come i violenti, perche' altrimenti vincerebbero loro, saremmo diventati come loro, mentre noi vogliamo conservare la nostra Umanita'.
Le soluzioni per un corretto contrasto al Terrorismo (ma anche a tutti coloro che ci propinano la forza militare, nelle strade in Italia e nelle capitali del Terzo Mondo, come mezzo di risoluzione sicura per ogni problema) sono ogni giorno sotto i nostri occhi, esistono gia'. Per una madre la risposta consiste nell'accompagnare ogni benedetto giorno il proprio figlio a scuola, a costo di fare le corse in auto, di arrivare tardi al lavoro! Per una coppia di fidanzati consiste nel lavorare dodici ore al giorno, per potersi pagare le vacanze estive, per costruirsi un futuro insieme. Per tutti coloro che si ritengono amici la reazione e' il senso stesso della parola "amicizia", il contare l'uno sull' altro, in un' epoca dove tutto e' incerto, insicuro. Mantenere la normalita', uscire la sera in collina, trovarsi la mattina per bere una spremuta prima di inziare la giornata, godendosi il vento sulla faccia. Chiedete ad un padre in Cassa Intergrazione cosa significa mantenere una famiglia, in mezzo alla tormenta economica. Siamo noi la soluzione al terrore, siamo noi con le nostre umili vite quotidiane, che dimostrano ogni ora, ogni fine del mese, che nonostante tutto si puo' andare avanti, senza calpestare i piu' deboli, senza lasciare indietro nessuno. Quando la tentazione di fregarcene del resto dei nostri simili ci assale guardiamoci intorno, fissiamo dritto negli occhi chi ci sta tendendo la mano in maniera tale da poterlo abbracciare forte, talmente tanto da rialzarlo in piedi, sputando ogni genere di pregiudizio, perche' noi vogliamo essere diversi, vogliamo stare sempre e per sempre dalla stessa parte, nella sponda degli ultimi, la piu' facile da trovare, la piu' difficile da mantenere.Immaginate un sogno, un lago, una montagna, i raggi del Sole sul viso, questa e' la nostra Terra, che appartiene a tutti.Non sappiamo cosa ci attenda dopo questa vita, ma siamo a conoscenza di come possiamo comportarci per utilizzare al meglio il tempo che ci viene concesso. Se lo faremo, sara' in onore di tutti coloro che non hanno ricevuto le stesse nostre fortune, sara' dedicato a chi e' schiacciato e non riesce a rialzarsi, e se anche verra' un giorno dove tutti questi discorsi non avranno senso e la paura avra' la meglio sulla nostra forza, oggi noi scegliamo di non fare un solo passo indietro, di Esistere e di farlo per tutti coloro che amiamo.
Non puo' piovere per sempre: le case bruciano, le persone muoiono, ma la vera Amicizia e il vero Amore saranno incise in ogni pagina e in ogni riga dei nostri ricordi, anche pensando a coloro che ci hanno lasciato troppo presto, e arrivando alle magiche parole "..E vissero tutti felici e contenti....Fine", potremo dire, con un leggero sorriso e un pizzico di orgoglio, che siamo stati noi, a scrivere questo libro d' Oro.

23 giugno 2009

Pax Christi Francia, una conferenza internazionale per la pace

Fonte: SIR

“Forte condanna” degli attentati che sabato 20 e lunedì 22 giugno hanno colpito le città di Kirkuk e di Baghdad è stata espressa nella serata di ieri da Pax Christi Francia nella persona del suo presidente, il vescovo di Troyes, Marc Stenger che auspica anche una conferenza internazionale sull’Iraq. “Ancora una volta – afferma il presule – il popolo iracheno conosce giorni di morte e di desolazione. Condanniamo con forza questo nuovo uso della violenza. Esprimiamo tutta la nostra più profonda solidarietà a questo popolo martire e non dimentichiamo di mobilitarci, a tutti i livelli, per aiutarlo a costruire un futuro di speranza, di libertà, di pace e di unità nazionale”. Mons. Stenger lancia, inoltre, un appello “ai politici” francesi affinché intervengano “per fermare tali situazioni dove non sono garantiti il diritto al rispetto per l'integrità della persona, la garanzia di poter vivere in pace a casa propria, la possibilità di pluralismo delle culture e di appartenenza religiosa”. “Per lottare faccia a faccia contro questi assassini che uccidono tante persone innocenti” il presidente di Pax Christi Francia auspica una conferenza internazionale, su iniziativa francese e sotto l’egida dell’Unione Europea e degli Stati della regione, volta a ristabilire la pace e la speranza per il futuro per la popolazione irachena.

Pax Christi France, an international conference for peace

Source: SIR

“A firm condemnation” of the terrorist attacks that on Saturday 20th and Monday 22nd June hit the cities of Kirkuk and Baghdad was expressed last night by Pax Christi France, in the person of its president, the bishop of Troyes, Marc Stenger, who also would like to hold an international conference on Iraq. “Once again – the prelate states –, the Iraqi people are living days of death and desolation. We firmly condemn this renewed use of violence. We express all our deepest solidarity to this martyr people and we do not forget that we have to take action at all levels to help them build a future of hope, peace and national unity”. In addition, mgr. Stenger urges the French “politicians” to do something “to stop such situations which breach the right to respect people’s integrity, the guarantee to be able to live in peace at home, the possibility of a pluralism of cultures and religious confessions”. “To fight face to face these murderers who kill so many innocent people”, the president of Pax Christi France would like to hold an international conference, on France’s initiative and under the aegis of the European Union and the States of the region, to restore peace and hope for the future of the Iraqi population.

22 giugno 2009

Reliquie di Padre Ragheed Ganni a Roma nel secondo anniversario della sua morte. Padre Youkhanna: "Un sordo, persistente dolore"

By Baghdadhope

Domenica 7 giugno 2009 si è svolta nella cappella del Pontificio Collegio Irlandese di Roma una messa in ricordo di Padre Ragheed Ganni, il sacerdote cattolico caldeo iracheno ucciso a sangue freddo insieme a tre suddiaconi della chiesa del Santo Spirito a Mosul il 3 giugno 2007, e che dal 1996 al 2003 aveva studiato presso l’ ateneo pontificio.

Baghdadhope ne ha parlato con Padre Amer Youkhanna, anch’egli sacerdote della diocesi di Mosul e studente presso il collegio irlandese che ha celebrato la messa di suffragio.
“E’ stata una celebrazione commovente. Tutte quelle persone presenti a ricordare il nostro amico e fratello Padre Ragheed. C’era il rettore del collegio, Mons. Liam Bergin, il vescovo emerito della Diocesi di Down & Connor, Mons. Patrick Walsh, tutto lo staff e gli studenti.” Nel corso della celebrazione ci sono stati dei momenti precisi a ricordo di Padre Ragheed?
“Certo. Alla fine della messa, in rito latino ed in lingua inglese, ho recitato in italiano ed aramaico, ed insieme agli altri tre studenti iracheni del collegio, uno degli inni che la nostra tradizione liturgica dedica ai martiri della fede. Due sacerdoti hanno poi portato all’altare due reliquie donate dalla Diocesi di Mosul al Collegio Irlandese e che, dopo essere state benedette sull’altare sono state collocate provvisoriamente al fondo della cappella in una teca di vetro. Sono una stola di Padre Ragheed ed il libro di preghiere che usava a Roma e che veniva dall’Irlanda, e precisamente da Lough Derg, un importante luogo di pellegrinaggio nella contea di Donegal dove Padre Ragheed aveva trascorso molto tempo.”
Le reliquie saranno quindi spostate in altro luogo?
"Durante l’omelia Mons. Bergin ha detto come l’intenzione è quella di donare la stola alla Basilica di San Bartolomeo sull’Isola Tiberina mentre il libro di preghiere verrà definitivamente sistemato nel Collegio Irlandese. Oltre a ciò un ritratto di Padre Ragheed entrerà a far parte del grande mosaico che il collegio ha commissionato al genio creativo del gesuita Padre Marko Ivan Rupnik a ricordare il primo martire del Collegio Irlandese morto per la sua fede nel XXI secolo.”
Padre Amer, la diocesi di Mosul è quella che ha pagato il prezzo più alto alla violenza in Iraq. Oltre a Padre Raghhed ed ai tre suddiaconi uccisi con lui ricordiamo Padre Paul Iskandar, un sacerdote siro ortodosso anche lui ucciso a sangue freddo e soprattutto Mons. Faraj P. Raho, il vescovo rapito e morto a Mosul lo scorso anno. Lei vive a Roma ma è in contatto con Mosul, può dirci se e cosa hanno cambiato queste morti nella vita della diocesi?
“Molto nel cuore della gente. I fedeli che hanno partecipato a tutte messe di commemorazione di Padre Ragheeed e di Mons. Raho. Coloro che li ricordano per quello che erano, uomini e sacerdoti coraggiosi che non esitavano a testimoniare la propria fede in una situazione evidentemente pericolosa. Con amarezza, invece, devo confessare che poco altro è cambiato. Passati i momenti immediatamente successivi alle morti e le parole di dolore la chiesa locale sembra aver dimenticato quei martiri. Nel documento finale dell’ultimo sinodo tenutosi a fine aprile, il primo al quale non partecipava Mons. Raho, un vescovo morto non per malattia o incidente ma per un orribile atto criminoso, non è stato fatto neanche un accenno alla sua figura, all’eredità spirituale che ha lasciato nella sua diocesi. Questo mi ha profondamente rattristato. Avrei voluto leggere in quel documento i segni di un sinodo più rivolto ai cuori dei fedeli in memoria del martirio di Mons. Raho e di tutti i martiri della fede.”
Ed a lei, Padre Amer, che segni hanno lasciato le morti di due persone così vicine? “Un dolore sordo, persistente, che in alcune occasioni si riacutizza. Con Padre Ragheed ho perso un fratello, con Mons. Raho un padre. Non è facile ma ora conosco, ancora più di prima, il valore della fede in Dio ed il compito che ho nel diffonderla.”

Clicca su "leggi tutto" per il testo della Preghiera per i martiri

PONTIFICIO COLLEGIO IRLANDESE
Secondo anniversario del martirio di Padre Ragheed Ganni
20 gennaio 1972 - 3 giugno 2007
"Solennità della Santissima Trinità"

I Tuoi servi Ti applaudano:
Pregate o Santi Martiri Maestri della fede, perché ci sia tranquillità nel mondo, le guerre cessino ed i conflitti si allontanino da noi, affinché la Chiesa possa lodare Dio per bocca dei suoi figli.
E i Tuoi giusti Ti glorifichino: Perché i Santi Martiri che Ti hanno glorificato con la loro sofferenza e Ti hanno reso testimonianza con il loro sangue siano davanti a Te, intercessori per i peccatori perché siano perdonati nel giorno del giudizio.
E cantino la gloria del Tuo Regno: I Martiri hanno visto la Gloria del Tuo Regno davanti a loro quando venivano immolati dai loro persecutori e sopportavano con gioia i tormenti inflitti nel loro corpo, ed il nostro Signore Gesù ha accolto le loro anime.
Il loro sangue è prezioso ai Suoi occhi: veneriamo le reliquie dei Martiri che hanno resistito nelle difficoltà con onore e con i canti dello Spirito Santo, per trovare un sostegno nella bontà di coloro che amano Dio nel giorno in cui saranno ricompensati per i loro meriti.
Sia glorificato il Signore nei cieli: O Martiri, predicatori di Cristo Re, le vostre corone sono nei cieli e sulla terra le vostre assemblee, così nei cieli e nelle profondità brillino le vostre memorie, o seminatori della quiete in tutto il pianeta.
Pregate il Signore e siate forti: O Martiri, pregate per ottenere clemenza dal Dio misericordioso, perché si stabilisca la Sua pace nei quattro lati del mondo, e quando si manifesterà il nostro Signore e i vostri corpi saranno portati sulle nuvole pregate affinché possiamo ereditare il Regno con Voi.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo: Sia glorificata la forza che si è stabilita nelle reliquie dei Santi la cui voce tuona in tutto il mondo, essendo poste nelle chiese sgorghino da esse aiuti spirituali e si manifesti la verità per la forza delle loro parole.
Dai secoli e per i secoli Amen, Amen: O Martire, che hai amato la purezza per tutti i giorni della tua vita, sei stato prescelto senza macchia per Cristo e per il tuo comportamento nell’assemblea dei santi la tua anima dimora tra gli angeli.
Che tutto il popolo dica; Amen, Amen: O nostro Vivificante, dà a noi il mezzo che Tu pensi sia di aiuto perché non sappiamo che cosa chiedere, ed una cosa sola chiediamo: sia compiuta la tua volontà in noi e la Tua misericordia sia per noi una difesa.
*Cristo che hai promesso: “A chiunque chiede risponderò, e a chiunque bussa alla mia porta aprirò” non allontanare dai Tuoi fedeli la Tua misericordia e la Tua grazia perché in Te si rifugiano per trovare aiuto.



Relics of Fr. Ragheed Ganni in Rome in the second anniversary of his death. Fr. Youkhanna: "A dull, persistent pain"

By Baghdadhope

On Sunday June 7, 2009, in the chapel of the Pontifical Irish College in Rome there was a mass in memory of Father Ragheed Ganni, the Iraqi Chaldean Catholic priest killed in cold blood along with three sub-deacons of the church of the Holy Spirit in Mosul on June 3, 2007, and who from 1996 to 2003 studied at the pontifical university.

Baghdadhope spoke with Father Amer Youkhanna, himself a priest of the diocese of Mosul and a student at the Irish College who celebrated the Mass in honor of Father Ragheed. "It was a moving celebration. All those people gathered to remember our friend and brother Father Ragheed. There was the rector of the College, Msgr. Liam Bergin, the bishop emeritus of the Diocese of Down and Connor, Msgr. Patrick Walsh, the whole staff and the students."
During the celebration were there specific moments in remembrance of Father Ragheed?
"Sure. At the end of the Mass celebrated according to the Latin rite and in English, I recited in Italian and Aramaic, and together with the other three Iraqi students of the college, one of the hymns that our liturgical tradition dedicates to the martyrs of the faith. Two priests led to the altar two relics donated the Diocese of Mosul to the Irish College that after being blessed on the altar have been placed temporarily at the bottom of the chapel in a glass display case. They are one stole of Father Ragheed and the prayer book he used when living in Rome and that came from Ireland, and specifically from Lough Derg, a major pilgrimage site in Donegal County where Father Ragheed spent a long time."
The relics will be moved to another place?
"In his homily Msgr Bergin said that the intention is to donate the stole to the Basilica of San Bartholomew on the Tiber Island while the prayer book will be placed permanently in the Irish College. In addition to this a portrait of Father Ragheed will be part of a great mosaic the College commissioned to the creative genius of the Jesuit Father Marko Ivan Rupnik and will recall the first martyr of the Irish College who died for his faith in the XXI century."
Father Amer, the diocese of Mosul paid the highest price for the violence in Iraq. In addition to Father Ragheed and the three sub-deacons killed with him we remember Father Paul Iskandar, a Syriac Orthodox priest who was also killed in cold blood, and especially Archbishop Faraj P. Raho, the bishop who was kidnapped and died in Mosul on last year. You live in Rome but you are in contact with Mosul, can you tell us if and how those deaths changed the life of the diocese? "They changed much in the heart of the people. The faithful who took part to all the masses of commemoration of Father Ragheed and Msgr. Raho. Those who remember them for what they were, brave men and priests who did not hesitate to witness their faith in an obviously dangerous situation. With bitterness, however, I must confess that little else changed. After the moments immediately after the deaths, and the words of pain, the local church seems to have forgotten those martyrs. In the final document of the synod held in late April, the first to which Msgr. Raho did not participate, a bishop who died not because of a illness or an accident but because of a horrible criminal act, there was not even a hint at his figure, at the spiritual heritage he left in his diocese. I was deeply saddened. I wanted to read in that document the signs of a synod addressed more to the hearts of the faithful in remembrance of the martyrdom of Archbishop Raho and all the martyrs of the faith. "
And you, Father Amer, what signs did the deaths of two people so close to you leave to you?
"A dull, persistent pain that sometime become worse. With Father Ragheed I lost a brother, with Monsignor Raho a father. It is not easy but now I know, even more than before, the value of the faith in God and the task I have in spreading it."

I cattolici in Egitto ricordano l’inizio del quinto anno di Pontificato di Benedetto XVI

Fonte: Fides

I cattolici d'Egitto si apprestano a celebrare il quinto anno di Pontificato di Papa Benedetto XVI con diverse cerimonie. Il 25 giugno una Messa verrà celebrata ad Alessandria (225 km a nord-est del Cairo, sul Mar Mediterraneo), presso la Cattedrale di Santa Caterina. La Messa sarà presieduta da Sua Eccellenza Mons. Makarios Tawfik, Vescovo copto cattolico di Ismaelia, alla presenza di Sua Eccellenza Mons. Michael Fitzgerald, Nunzio Apostolico in Egitto. La Messa verrà seguita da un momento di raccoglimento spirituale animato da quattro corali. Il 27 giugno al Cairo verrà celebrata una Messa presso la Cattedrale caldea di Nostra Signora di Fatima, presieduta da Youssef Ibrahim Sarraf, Vescovo dei Caldei in Egitto, alla presenza del Nunzio. Queste celebrazioni sono molto partecipate in Egitto sia a livello ufficiale, sia a livello di religiosità popolare, dove molti vi assistono per esprimere amore e gratitudine nei confronti di Sua Santità. (L.M.)

19 giugno 2009

Cronache da Kirkuk. Mons. Louis Sako

Di Alessandro Ciquera

"Antica Babilonia: la missione militare di cui ha fatto parte per alcuni anni il contingente Italiano, prima di ritirarsi anche al seguito della tragedia di Nassirya. I nomi delle operazioni degli eserciti hanno spesso e curiosamente il nome di epoche storiche perse nei meandri della storia, come le vecchie foto ingiallite che ogni tanto saltano fuori riesumando i calzini perduti nei cassetti in legno di mogano, qualcosa di incredibilmente lontano, ma che posto come nastrino su di una divisa fornisce un senso di forza, di coraggio, come se i fantasmi dei popoli che abitarono questa terra non si stessero rigirando nella tomba a forza di vedere continuamente i loro figli morire per mano della violenza". Oggi ho pensato questo, incontrando Louis Sako, Arcivescovo della Chiesa Caldea a Kirkuk e rappresentante dei Cristiani in Iraq. Sono arrivato di buon mattino, accompagnato dal mio amico curdo Marwan, di fronte alla magnifica entrata della Basilica. La prima impressione che ho avuto è stata quella di avere di fronte un castello di sabbia, talmente era conservato ed integrato col resto del paesaggio quel luogo, che sembrava uscito da un film di Harrison Ford in Indiana Jones. Le guardie del corpo del Cardinale ci hanno fatto sedere senza troppi commenti in una baracca vicino al cancello, mentre una di loro dopo aver detto qualcosa in arabo e' andata a chiedere conferma della nostra presenza. Pochi minuti dopo, stavolta con un sorriso piu' ampio da parte dei soldati, siamo stati condotti in quella che è la sala di rappresentanza, una specie di stanza quadrata, molto ampia, piena di sedie intorno alle pareti, come un conclave nascosto. Sako e' arrivato circa cinque minuti dopo il nostro ingresso, giusto il tempo di ammirare documenti risalenti a migliaia di anni fa, in arabo e in siriano. La prima impressione che ho avuto è quella del classico brav'uomo, che in qualsiasi altra vita avrebbe potuto fare tranquillamente l'insegnante elementare o il diplomatico, ma che il destino ha condotto a diventare un uomo tra i piu' a rischio nel Nord Iraq. Dopo avermi fissato per un secondo si e' sciolto in un sorriso e mi ha abbracciato: "Buongiorno, ma sei cosi' giovane.." poi con aria sconsolata: "Ma perche' sei venuto qui..?", per un attimo mi e' venuto da ridere, poi la conversazione si e' spostata sulle poltroncine vicino, bevendo un fortissimo caffe' alla turca. Abbiamo conversato piacevolmente per circa un'ora, durante la quale mi ha spiegato come la tragedia umanitaria in Iraq si divida in tre passaggi: i bombardamenti, i rapimenti di bambini e maestri, gli omicidi politici e religiosi. Si ha un grosso senso di ansia, soprattutto per quanto riguarda il futuro, la sorte di coloro a cui si tiene: perche' quando colpiscono, colpiscono coloro che amiamo.
"...Quali sono le ragioni di tutto ciò? Poniamo alcuni esempi immediati: gli Americani nel 2003 occupando l'Iraq hanno commesso alcuni gravi errori, il piu' pesante sicuramente e' stato il dissolvere le Istituzioni, come l'esercito iracheno, la polizia, i vigili urbani. I confini non sono stati chiusi e durante la guerra sono entrate migliaia di persone, molti terroristi. I paesi confinanti non hanno avuto un'influenza positiva sul conflitto, vedi l'Iran. La linea islamica religiosa e le chiamate al regime teocratico hanno sortito il loro effetto, specialmente sulle altre minoranze, tra cui appunto i Cristiani. I messaggi lanciati da alcuni politici USA inneggianti alle Crociate di liberazione non hanno fatto altro che acuire la violenza contro tutti gli altri occidentali che si trovavano sul territorio, i quali spesso, sono stati identificati a loro volta come "invasori", per essere poi catturati e uccisi. Il ruolo dei media non ha favorito la coesistenza pacifica a causa di continue pressioni e minacce e si e' venuto a creare nella gente un senso di profonda frustrazione e ingiustizia, nel contempo chiunque potesse fornire assistenza, dal medico al giudice, e' stato sistematicamente eliminato, tant'è che molti si sono trovati a dover fuggire verso il Nord del paese da Baghdad. La salvezza da questa tragedia puo' venire solamente da una visione chiara e collettiva sulla gestione del Paese, nessuno da solo è in grado di governare, troppa corruzione, troppo scandali, troppo petrolio in mano alle persone sbagliate. Una leadership solidale e responsabile, che non crei scontenti nelle fasce più povere della popolazione..."
Ho salutato Louis Sako con la promessa di tornarlo a trovare, dopo una breve visita alla biblioteca e all'internet point, io e Marwan siamo usciti nuovamente sulla strada soleggiata e densa di polvere, il portone si e' richiuso alle nostre spalle, i soldati hanno ripreso a guardarsi intorno diffidenti, nulla sembrava essere cambiato. Era come uscire da un sogno, dove un anziano saggio spiegava ai giovani i segreti per diventare dei valorosi guerrieri, e difendersi dai Mali. In realta' non esiste nessuno anziano saggio e neanche un modo immediato per far cessare le sofferenze di questo popolo, qui non siamo nelle favole, anche se alla gente non e' stato ancora tolto il diritto di sognare. Hemingway una volta ha dichiarato : "Il mondo è un bel posto, e vale la pena lottare per esso..".
Condivido la seconda parte del pensiero, non sembra una favola, ma ha il profumo di liberta'.
Clicca su "leggi tutto" per l'intervista integrale di Alessandro Ciquera a Mons. Louis Sako
Parla Louis Sako: "Il futuro della Pace e dell'intero Iraq si gioca sulla visione chiara di una leadership collettiva"
Kirkuk, 19/06/2009
Il concetto fondamentale è: "O si esce tutti insieme o si precipita definitivamente, a pochi oramai interessa il futuro di questo Paese dimenticato".
L' Arcivescovo Caldeo di Kirkuk Louis Sako dichiara in quest' intervista la sua visione dei fatti dalla caduta di Saddam in poi: da uomo di Fede e da essere umano, che non desidera più vedere i figli di questa Nazione, curdi, arabi, assiri o turcomanni che siano, morire sotto i colpi della violenza.

Cos'è oggi l'Iraq?
"Una tragedia umana palpabile, reale, un luogo dove le anime sono divise dalla religione, dalla politica, dalle etnie e dal petrolio. Dove i cittadini sono stati sacrificati, sfruttati, in tre diverse guerre senza alcuna giustificazione. I moderni Cavalieri dell' Apocalisse: Bombardamento, Rapimento, Assassinio, Intimidazione. La situazione di primaria importanza è l'assenza di sicurezza e, soprattutto per i Cristiani e le altre minoranze l'incremento delle emigrazioni e delle fughe Si ha un grosso senso di ansia riguardo al futuro, specialmente dopo gli eventi di Mosul e Baghdad"
Quali sono le cause di questa degenerazione?
Le ragioni sono numerose e complesse, qui ne menzioneremo alcune.
Gli Americani occupando il Paese hanno commesso alcuni errori fondamentali: il più grave sicuramente è stato consentire la dissoluzione completa di ogni forma di Istituzione, dall'esercito, considerato troppo fedele al regime abbattuto, alla Polizia, ai Vigili urbani. Sono state aperte le frontiere, senza la benchè minima forma di controllo sulle persone che entravano, anche da Nazioni di dubbia natura laica e democratica, un esempio per tutti l'Iran. I nuovi Governanti in carica hanno strappato con la forza il consenso alle minoranze, anche tramite l'inganno e la minaccia, questo ha creato un enorme senso di frustrazione. La chiamata alla linea dura Islamica per una Teocrazia ha avuto un durissimo impatto sulla comunità Cristiana, alla quale vanno aggiunti i toni da Crociata assunti da determinati politici occidentali. In questo modo sono stati associati tutti i Cristiani residenti come collaboratori degli invasori, verso i quali sono stati compiuti veri e proprio massacri, più per odio insensato che per motivazioni politiche. I Cristiani sono stati accusati di tutto, dalla miscredenza al politeismo, senza nessuna forma di protezione da parte delle istituzioni, già nel caos per motivi loro, sopra citati. Poco tempo fa sono stati uccise circa 500 persone, inclusi tre preti e un vescovo, questo ha condotto il 50% dei credenti a fuggire da Baghdad verso il Kurdistan.
Quale può essere una delle conseguenze più gravi di tutto ciò?
Probabilmente lo smarrimento più completo di ogni regola di autocontrollo e legalità, le recenti elezioni provinciali hanno causato un crescente scontento tra la gente, molti gruppi sono stati emarginati, umiliati, senza rappresentanza e partecipazione, e tutto ciò è molto grave e pericoloso per la stabilità collettiva. I media sono stati più volte intimiditi ed è stata indebolita la cultura della coesistenza. Infine, ma non per ultimo, l'incremento della criminalità comune, che niente ha a che vedere con il terrorismo, ma che è sintomo di un progressivo deterioramento di questa civiltà.
Quali possono essere delle proposte per il Cambiamento vero?
La sopravvivenza della Chiesa Cristiana si basa sulla capacità di ciascuno di fare testimonianza di pace, bisogna difendere i bambini, che sono il nostro unico futuro, proteggerli e difenderli. Ci sono molti potenziali umani che rimangono inutilizzati a causa di una mancanza di visione a lungo raggio, di concetto di leadership collettiva, di unità nazionale. La partenza dei cristiani è un dato indubbiamente molto triste anche per i Musulmani, perchè in questi periodi difficili abbiamo bisogno gli uni degli altri, non ci possono essere spazi per parsonalismi vari, sono dannosi per tutti. Nella storia ci sono stati periodi in cui collaboravamo e ci proteggevamo a vicenda, è tempo di riprendere quegli insegnamenti, prima che sia troppo tardi.

Benedetto XVI: "Ogni giorno prego per i cristiani iracheni"

Fonte: SIR

La “pace in Medio Oriente” e i cristiani dell’Iraq sono “ogni giorno” nel cuore e nelle preghiere del Papa. Lo ha detto lo stesso Benedetto XVI incontrando questa mattina in udienza il neo Patriarca della Chiesa di Antiochia dei siro-cattolici, Sua Beatitudine Mar Ignace Youssef III Younan, accompagnato, in questa sua prima visita ufficiale, dai Patriarchi emeriti, dai Vescovi e da fedeli provenienti dal Medio Oriente e da diverse parti del mondo.
“Prego costantemente – ha detto il Santo Padre – per la pace in Medio Oriente, in particolare per i cristiani che vivono nella tanto amata nazione irachena, di cui offro ogni giorno al Signore le sofferenze durante il sacrificio eucaristico”. Il Patriarca è stato intronizzato il 15 febbraio, dopo essere stato eletto dal Sinodo di questa Chiesa in gennaio. Giovedì scorso nella Basilica di Santa Maria Maggiore, alla presenza del card. Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, c’è stata la cerimonia ufficiale di concessione della comunione ecclesiastica del Papa al nuovo Patriarca, come prevedono i sacri canoni. “Nel corso della vostra storia più che millenaria – ha detto oggi il Papa – la comunione con il vescovo di Roma è sempre andata di pari passo con la fedeltà alla tradizione spirituale dell’Oriente cristiani”. Tre i “compiti prioritari” indicati da Benedetto XVI: “favorire l’unità, la comprensione e il perdono”.

Benedict XVI: "Every day I pray for Iraqi Christians"

Source: SIR

“Peace in the Middle East” and Iraqi Christians are in the Pope’s heart and prayers every day. Pope Benedict XVI revealed it himself as he received this morning in audience the new Patriarch of the Syrian-Catholic Church of Antioch, His Beatitude Ignace Youssef III Younan, on his first official visit, accompanied by distinguished Patriarchs, Bishops and the faithful coming from the Middle East and from all over the world.
“I pray for peace in the Middle East, especially for those Christians who live in Iraq, a beloved country, whose suffering I offer every day to the Lord in the Eucharistic sacrifice”, said the Pope. The Patriarch was enthroned on February 15, after being appointed by the Synod of the Church in January. Last Thursday an official ceremony was held at the Basilica of St Mary Major, in the presence of the Prefect of the Congregation for the Oriental Churches card. Leonardo Sandri, during which the new Patriarch received the ecclesial communion from the Pope as stated in the sacred canons. “In your millennium-old history, communion with the bishop of Rome has always gone hand in hand with your faithfulness to the spiritual tradition of the Christian East”, said the Pope. Three are the “top priorities” set by Benedict XVI: to promote “unity, understanding and forgiveness”.

18 giugno 2009

Il neo Patriarca di Antiochia dei Siri manifesta la sua comunione al Papa

Fonte: ZENIT

"Pace giusta in Iraq, riconciliazione in Libano e in Terra Santa, fine della diaspora dei cristiani dal Medio Oriente": sono le questioni cruciali e le speranze portate a Roma dal nuovo Patriarca di Antiochia dei Siri, Mar Ignatius Joseph III Younan, che ha incontrato Benedetto XVI al termine dell'Udienza generale del mercoledì.
Il Patriarca è stato intronizzato nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora dell’Assunzione, a Beirut, il 15 febbraio, dopo essere stato eletto dal Sinodo di questa Chiesa celebrato a Roma nel gennaio scorso.
In questa sua prima visita ufficiale lo hanno accompagnato 250 pellegrini, secondo quanto reso noto da "L'Osservatore Romano".
"La nostra Chiesa è piccola ma risale ai tempi apostolici – ha affermato il Patriarca – e custodisce una grande tradizione, un prezioso patrimonio liturgico e spirituale. Siamo qui a rinnovare la comunione con il successore di Pietro per poi rispondere meglio ai problemi che ci opprimono e continuare a testimoniare il Vangelo in un contesto tribolato, segnato anche da un fanatismo violento".
Alla fine dell'udienza, Benedetto XVI ha salutato pubblicamente la delegazione siro-cattolica e in particolare il Patriarca, ringraziando per la visita "che mantiene un vivo legame con la tradizione orientale cristiana e il Vescovo di Roma".
Il Papa ha ricordato che giovedì, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, alla presenza del Rappresentante papale, il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, avrà luogo la cerimonia ufficiale di concessione della comunione ecclesiastica del Papa al nuovo Patriarca, come prevedono i sacri canoni.
"Mentre assicuro per Lei, venerato Fratello, e per quanti La accompagnano la mia preghiera, vorrei nel contempo esprimere la mia sollecitudine e considerazione a tutte le Chiese Orientali Cattoliche, incoraggiandole a proseguire la missione ecclesiale, pur tra mille difficoltà, per edificare ovunque l'unità e la pace", ha detto il Papa al termine dell'Udienza.
Dal 9 al 13 giugno, nel monastero di Nostra Signora della Salvezza a Charfé, in Libano, si è celebrato il primo Sinodo siro-cattolico presieduto dal Patriarca.
Secondo quanto riferito dal sito “Baghdadhope”, i Vescovi della Chiesa cattolica siriaca hanno espresso la propria “soddisfazione” per la visita di Benedetto XVI in Terra Santa e per lo “svolgimento pacifico” delle elezioni in Libano, ma anche “preoccupazione per la situazione dei rifugiati iracheni” I cattolici siriaci sono oggi circa 150.000 nel mondo. Vivono soprattutto in Iraq (42.000), in Siria (26.000), in Turchia e circa 55.000 nella diaspora.

Pope Benedict XVI - Mar Ignatius Joseph III Younan

Fonte: ZENIT

Syriac Leader Renews Communion With Rome

El nuevo patriarca de Antioquía de los sirios manifiesta su comunión al Papa

El sínodo de la Iglesia católica siria preocupado por los refugiados iraquíes


Novo patriarca de Antioquia dos Sírios manifesta sua comunhão ao Papa



Liban : Clôture du synode de l'Eglise syro-catholique



البابا يرحب ببطريرك السريان الكاثوليك

17 giugno 2009

Alessandro Ciquera. Cronache da Kirkuk.

By Baghdadhope

Alessandro Ciquera
è un uomo pieno di entusiamo e voglia di fare che ha canalizzato l'energia e la forza della sua giovinezza in un'impresa ciclopica: aiutare i bambini dell'Iraq, per ora in particolare quelli di Kirkuk, con una serie di progetti che mirano alla ristrutturazione di alcune scuole elementari ed alla creazione di un campo che, similmente all'Estate Ragazzi italiana, impegni i bambini coinvolti in attività ludiche nei lunghi mesi di chiusura delle scuole. Quei mesi che, se passati per strada, rappresenterebbero un pericolo per bambini che, purtroppo, vivono in un paese non ancora pacificato.
Baghdadhope pubblicherà i resoconti che Alessandro Ciquera invierà nei prossimi mesi. A cominciare da quello scritto non appena arrivato in Iraq: Ancora una volta, Kirkuk.
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Kirkuk non e' mai stata una "citta' dei sogni", una di quelle metropoli orientali che hanno un qualcosa di affascinante ed al tempo stesso attraente e misterioso, un posto da luna di miele per due novelli sposi o per un gruppo di amici che vanno in vacanza terminata la maturita'. Kirkuk rappresenta la parte buia del Medio Oriente, quella dove la gente ha paura a spostarsi troppo lontano perche' le famiglie rischiano di notare la lunga assenza ed iniziare a preoccuparsi, nella citta' dove il degrado svela il vero volto dei duri anni dell'embargo e della guerra. La domanda piu' frequente che viene da porsi, guardando la situazione dall' esterno e' : ma la gente vive nel quotidiano? Va a scuola? Lavora? La risposta ovviamente e' si', qui ognuno ha speranze, esigenze, obiettivi, l'unica differenza con l'Italia e' la consapevolezza che niente e' scontato, se si vuole qualcosa bisogna guadagnarselo, fino in fondo. Gli Europei spesso nella fretta di giudicare pensano che in determinate situazioni e contesti sociali miseri, la natura umana cambia, e diventa peggiore, cattiva, egoista: forse in parte e' vero, ma non mi sento di condividere totalmente questa ipotesi, l,essere umano in se' e' uguale sotto qualsiasi cielo, a cambiare sono i modi in cui le nostre emozioni reagiscono agli avvenimenti, il nostro rischio, come occidentali, e' quello di dimenticare il piacere dello stupore, della sorpresa,dell'euforia, dando tutto per ovvio, per scontato. Quando invece c'e' poca certezza sul futuro si tende ad apprezzare maggiormente ogni singola cosa, e' un modo per tornare bambini, e forse, per cercare l'immortalita'.Non ha senso perdersi nei sogni e dimenticarsi di vivere, e' molto piu' utile piuttosto utilizzare ogni singolo giorno per stare insieme ai propri amici, per andarsi a prendere una spremuta al bar la mattina presto, quando ancora la maggioranza della gente dorme, andare controccorrente anche nelle nostre abitudini, usufrendo al massimo dei piccoli piaceri che la vita puo' regalarci. Ecco dunque come in una citta' sfortunata si puo' riscoprire la gioia di vivere l'attimo, bevendo a grandi sorsate l'aria, la terra, le stelle, e sentirsi al termine di una giornata sazi, appagati dal mondo . Forse tutto cio' potrebbe apparire scontato, ma io credo che la chiave della felicita', nonche' dell'eterna giovinezza risieda proprio nella nostra capacita' di far prevalere i nostri sentimenti primari sui ritmi che la giornata ci impone, come la leggenda dello "specchio magico", che rifletteva i veri desideri degli uomini che vi si guardavano, gli avidi si vedevano attorniati da ricchezze e proprieta', mentre il semplice giovane studente vi scorge la sua famiglia, i suoi amici, sorridenti intorno a lui.Non vi dico chi e' il giovane, ve lo lascio immaginare, vi dico solo che e' molto felice di farvi avere sue notizie, e nonostante tutto continua ad essere convinto che l'amore verso chi ci circonda, sconosciuto o meno rappresenta la strada per una vita serena, non importa quanto essa sia lunga, perche' non si puo' giudicare un' esistenza in base agli anni vissuti, ma piuttosto in base ai luoghi, ai momenti, alle persone che gli hanno fatto mancare il fiato. Questa e' la vera Vela che ci porta avanti ogni giorno, anche in mezzo alla crisi economica, anche davanti alle famiglie che perdono il lavoro e ai bambini che giocano nella spazzatura nei vari Stati del Terzo mondo, guardiamoci intorno, diamo una stretta a chi vogliamo bene, e spingiamo tutti insieme, ancora una volta, questa Notte piu' il la'.


Benedict XVI: To the Oriental Churches: "Let us pursue our mission to build peace and unity"

Source: SIR

At the end of today’s audience, Benedict XVI greeted the Syrian-Catholic delegation led by the Syrian Catholic Patriarch of the Church of Antioch, His Beatitude Mar Ignace Youssef III Younan, on his first official visit. He was accompanied by distinguished Patriarchs, Bishops and the faithful coming from the Middle East and from all over the world. In his greetings, the Pope expressed his “esteem and respect for the Oriental Catholic Churches” encouraging them to “continue their ecclesial mission, despite the many difficulties, to build peace and unity everywhere.” Tomorrow, a Divine Liturgy will be celebrated in the Basilica of St Mary Major in Rome following the Syrian-Antiochian rite, a “public sign of the ‘communio ecclesiastica’ which was already granted to Patriarch Youssef when he was elected,” said the Pope. The Prefect of the Congregation for the Oriental Churches, card. Leonardo Sandri, will represent the Pope tomorrow.

Benedetto XVI: alle chiese orientali "proseguire missione per edificare pace ed unità"

Fonte: SIR

Al termine dell’udienza di oggi Benedetto XVI ha salutato la Delegazione siro-cattolica guidata dal Patriarca della Chiesa di Antiochia dei siro-cattolici, Sua Beatitudine Mar Ignace Youssef III Younan, accompagnato, in questa sua prima visita ufficiale, dai Patriarchi emeriti, dai Vescovi e da fedeli provenienti dal Medio Oriente e da diverse parti del mondo. Nel saluto il Papa ha espresso la sua “sollecitudine e considerazione a tutte le Chiese Orientali Cattoliche”, incoraggiandole “a proseguire la missione ecclesiale, pur tra mille difficoltà, per edificare ovunque l'unità e la pace”. Domani nella basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma, si terrà una Divina Liturgia in rito siro-antiocheno, “pubblica significazione”, ha detto il Papa, della ‘communio ecclesiastica’ già concessa al patriarca Youssef, al momento della sua elezione. A rappresentare domani il Pontefice sarà il card. Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.

Mons. Najim. 25 anni di vita sacerdotale

By Baghdadhope

Nella foto da sinistra Padre Paul Rabban, Mons. Philip Najim e Padre Sami Al Rais

Negli scorsi giorni tre sacerdoti della Chiesa caldea hanno celebrato i loro 25 anni di servizio sacerdotale: Padre Emanuel Shaleta, nominato nello stesso giorno Corepiscopo, Padre Yoshia Lazar e Mons. Philip Najm, Visitatore Apostolico per l'Europa e Procuratore presso la Santa Sede. La celebrazione che ha segnato il 25 ° anniversario di sacerdozio di Mons. Najim si è svolta in Svezia, e in particolare nella città di Eskilstuna, nella chiesa di Mar Efrem il 31 maggio. Celebranti sono stati Mons. Najim, Padre Paul Rabban, il sacerdote della comunità caldea in città, e Padre Sami Al Rais, parroco della chiesa di Addai e Mari a Essen (Germania) e segretario dei sacerdoti caldei in Europa. Dopo la messa, e anche per celebrare la fine del mese dedicato a Maria, i tre sacerdoti hanno guidato i fedeli in processione al di fuori della chiesa.

16 giugno 2009

Msgr. Najim. 25 years of priestly service














By Baghdadhope

In recent days three priests of the Chaldean church celebrated their 25 years of priestly service:
Father Emanuel Shaleta, appointed in the same days as Chorepiscop, Father Yoshi Lazar and Msgr. Philip Najm, Apostolic Visitator for Europe and Procurator to the Holy See. The celebration that marked Msgr. Najim's 25th anniversary of priesthood was held in Sweden, and specifically in the city of Eskilstuna in the church of Mar Ephrem on May 31. Celebrants were Msgr. Najim, Father Paul Rabban, the priest of the Chaldean community in the city, and Father Sami Al Rais, parish priest of the church of Addai and Mari in Essen (Germany) and secretary of the Chaldean priests in Europe. After the mass, and to celebrate also the end of the month dedicated to Mary, the three priests led the faithful in procession outside the church.

Iraq: Pena di morte. Mons. Sako (Kirkuk) "Atto orribile da abolire"

Fonte: SIR

“I problemi non si risolvono con la pena di morte. Ci sono le prigioni ed altri mezzi per perseguire la giustizia. La vita è la cosa più grande”. Con queste parole, l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako commenta al Sir la condanna da parte della presidenza di turno dell’Ue del governo di Baghdad alla luce delle notizie secondo cui “una ventina di esecuzioni capitali” sarebbero state effettuate “negli ultimi giorni”, mentre si preparerebbero “nuove esecuzioni di massa”. “La pena di morte è un atto orribile – stigmatizza mons. Sako - non é giustificabile umanamente e spiritualmente. E’ un’offesa alla vita e al Creatore. Dio confida anche nell’uomo cattivo perché si converta. I problemi non si risolvono con la morte”. “L'Iraq vive una situazione ancora instabile. Si registrano dei miglioramenti ma i rapimenti, le esplosioni e gli omicidi continuano. L'Iraq deve camminare verso uno Stato di diritto e per far questo ci vuole tempo, riconciliazione e formazione della gente e delle coscienze per evitare vendette”. “Penso - conclude l’arcivescovo - che la comunità internazionale debba imporre a tutti i Paesi la soppressione della pena capitale che é una vergogna per l'umanità intera”.

Iraq: Death penalty, Mgr. Sako (Kirkuk) "A horrible deed to be abolished"

Source: SIR

“Problems are not solved by death penalty. There are prisons and other ways to pursue justice. Life is the greatest thing”. With these words, the archbishop of Kirkuk, mgr. Louis Sako, comments for SIR the current presidency of the EU condemning Baghdad’s government for the news that “about twenty executions” seem to have been performed “over the last few days”, while “new mass executions” are being prepared.
“Death penalty is a horrible deed – denounces mgr. Sako – It is humanly and spiritually unjustifiable. It is an offence to life and to the Maker. God confides in evil men too to be converted. Problems are not solved by death”. “Iraq is going through a still unstable situation. Some improvements have been made, but abductions, explosions and murders continue. Iraq must move towards a constitutional state, and to do this it takes time, reconciliation and educating people and consciences to avoid retaliations”. “I think – the archbishop concludes – that the international community should force every country to abolish death penalty, which is a shame for the whole of mankind”.

Terminato in Libano il sinodo della chiesa siro cattolica

By Baghdadhope


Il primo Sinodo della chiesa siro cattolica presieduto dal Patriarca Mar Ignatius Joseph III Younan è terminato. Tutti i vescovi della chiesa, ad eccezione di Mar Jacob George Hafouri, Arcivescovo emerito di Hassaké-Nisibi dei siriaci, erano presenti. L'inizio del Sinodo è stato caratterizzato da una Messa celebrata dal Mar Joseph III che ha tenuto un discorso sottolineando le necessità della chiesa siro cattolica siriaco in oriente ma anche nei paesi della diaspora. Discorso seguito da quello di Mar Jacob Barnabas, Visitatore Apostolico per la comunità siro-malankarese nelle regioni extraterritoriali dell'India e vescovo titolare della diocesi di Bapara. (India)

Il documento finale del Sinodo ha evidenziato 13 punti di discussione:
1. Partecipazione dei sacerdoti e dei laici alla missione dei vescovi diocesani e ruolo delle donne nella vita della chiesa e della sua missione
2. Attenzione ed incoraggiamento alla vita sacerdotale per farla fiorire ed in particolare ai seminari e monasteri in occasione della Anno Sacerdotale (19 giugno 2009 - 19 giugno 2010) in memoria di San Giovanni Maria Vianney.
3. Creazione di 4 commissioni: Liturgica - Mons. Jacob Benham Hindo, Dialogo ecumenico Mons. Jules Mikhail Al-Jamil, Legale - Mons. Gregorius Elias Tabi, Vocazioni sacerdotali e religiose - Mons. Rabula Antoine Beylouni. Particolare attenzione sarà data alla commissione liturgica per la sua importanza nel rivitalizzare la vita spirituale e la tradizione orientale sulla strada di Sant'Ephrem.
4. Creazione di un sinodo permanente formato da Msgr. Theophilus Georges Kassab, Mons. Denys Antoine Chahda, Mons. Basilius George Alqas Musa e Mons. Jules Mikhail Al-Jamil, che sarà in vigore per i prossimi 5 anni.
5. In occasione dell'Anno Sacerdotale annunciato da Papa Benedetto XVI rappresentanti delle parrocchie siro cattoliche nel mondo si riuniranno per un convegno in Libano la prossima primavera. Il comitato organizzatore sarà affidato a Mons. Gregorius Butros Melki.
6. Decisione di continuare la pratica per la richiesta della beatificazione di Mar Flavianus Mikhail Malki, vescovo di Gazireh, Turchia, martirizzato nel 1915.
7. Creazione di una diocesi per il Canada fino ad ora unita a quella degli Stati Uniti. La proposta verrà presentata dal Patriarca alla Santa Sede.
8. Nomina di un vescovo per la Diocesi di Nostra Signora della Salvezza per gli Stati Uniti e in Canada al posto del precedente Mar Efrem Joseph F. Younan diventato patriarca.
9. Applicazione della regola che fissa a 75 anni il limite di missione pastorale dei vescovi che il Sinodo permanente può decidere di confermare o prolungare.
10. Sottolineato il valore della visita di Benedetto XVI in Medio Oriente alla luce del dialogo tra le religioni e le civiltà, della convivenza, del rifiuto dell' estremismo, della violenza e dell'uso della religione per scopi politici.
11. Espressa soddisfazione per lo svolgimento pacifico delle elezioni in Libano.
12. Espressa preoccupazione per la difficile situazione dei rifugiati iracheni nei paesi limitrofi e nel mondo. Ricordata la necessità di sostenere i rifugiati cristiani nella speranza che possano tornare al più presto possibile nella propria terra. Espressa speranza per la cooperazione tra tutti i gruppi in Iraq per il ripristino della pace, della sicurezza e della convivenza.
13. Annunciata la cerimonia per la comunione di fede tra Benedetto XVI e Mar Ignatius III Joseph Younan che si terrà a Roma il 17-20 giugno 2009.


Elenco dei partecipanti al Sinodo:
Mar Ignatius III Joseph Younan, Patriarca della chiesa siro cattolica di Antiochia
Cardinale Mar Ignatius Musa I Daoud, Patriarca emerito della chiesa siro cattolica di Antiochia. Ex Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali
Mar Ignatius Pierre VIII Abdel-Ahad, Patriarca emerito della chiesa siro cattolica di Antiochia.
Mar Athanase Matti Shaba Matoka, arcivescovo di Baghdad dei siri
Mar Rabula Antoine Beylouni, arcivescovo emerito di Aleppo dei siri ed arcivescovo titolare di Mardin dei siri.
Mar Jules Mikhail Al-Jamil, arcivescovo titolare di Takrit dei siri, vescovo ausiliare emerito del Patriarcato siro cattolico (Libano) e procuratore della chiesa siro cattolica presso la Santa Sede
Mar Flavianus Joseph Melki, vescovo di Dara dei siri e vescovo ausiliare di Antiochia dei siri (Libano)
Mar Gregorious Elias Tabi, vescovo ausiliare di Damasco dei siri
Mar Clément Joseph Hannouche, vescovo del Cairo e vicario patriarcale per il Sudan
Mar Jacob Benham Hindo, arcivescovo di Hassaké-Nisibi dei Siri
Mar Basilius George Alqas Musa, Arcivescovo di Mosul dei siri
Mar Theophilus Georges Kassab, arcivescovo di Homs, Hama e Nabk dei Siri
Mar Denys Antoine Chahda, vicario patriarcale di Aleppo dei siri
Mar Gregorius Butros Melki, Esarca Patriarcale di Gerusalemme, Palestina e Giordania e ausiliare di Antiochia dei siri (Libano)
Mar Iwannis Louis Awad, vicario apostolico in Venezuela per i fedeli di rito orientale siriaco, vescovo titolare di Zeugma (Siria)
Corepiscopo Mons. Youssef Sagh Esarca Patriarcale in Turchia
Corepiscopo Mons. Toma Azizo amministratore dell'eparchia di Nostra Signora della Salvezza (USA e Canada)