"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

29 gennaio 2008

Source: ZENIT

“Io ho un nuovo amico, un sacerdote caldeo iracheno"
Generosa risposta a favore dei sacerdoti iracheni

"Tengo un nuevo amigo, un sacerdote caldeo iraquí"

Generosa respuesta a favor de sacerdotes iraquíes

"Tenho um novo amigo, um sacerdote iraquiano"

Generosa resposta a favor de sacerdotes iraquianos

"Ich habe einen Freund - einen irakischen chaldäischen Priester"

Turiner Solidaritätskampagne für Irakische Priester erhält großes Echo

Al centro dell’Assemblea della ROACO la situazione drammatica dei cristiani iracheni

Giovanni Peduto

Si è tenuta questa settimana in Vaticano l’Assemblea semestrale della ROACO, la Riunione delle Opere di Assistenza alle Chiese Orientali. Al centro dei lavori, in particolare, l’Iraq, argomento che sarà ripreso nella prossima sessione, fissata per il 18 e 19 giugno. Ma cosa è emerso dall’Assemblea dei giorni scorsi?
Giovanni Peduto lo ha chiesto al segretario generale della ROACO, don Leon Lemmens.
"Prima di tutto è emersa una grande premura, un grande senso di solidarietà con le sorti dei cristiani iracheni. Abbiamo, dunque, dedicato quasi la totalità dei lavori di questa sessione della ROACO proprio alla questione irachena e soprattutto a come aiutare di più i cristiani iracheni e, quindi, le loro Chiese."
La minoranza cristiana è sempre più in difficoltà: abbiamo visto gli ultimi attacchi contro le chiese. E continua la diaspora. Come aiutare queste comunità? "Come purtroppo sappiamo, ormai, la maggior parte dei cristiani iracheni vive fuori dall’Iraq: si parla infatti di circa 60 mila persone che vivono vicino ad Amman, altre 100 mila e forse anche di più vivono in Siria, altre ancora in Libano e in Turchia. Altri cristiani iracheni poi, pur vivendo in Iraq, vivono in realtà una condizione di rifugiati nel Nord del Paese. La situazione generale, dunque, dei cristiani iracheni è veramente difficilissima. Nel corso dei nostri lavori, a questo riguardo, abbiamo anzitutto analizzato quello che stiamo già facendo per questa situazione, quello che stanno facendo le Agenzie della ROACO, e in particolare la Caritas. Abbiamo potuto verificare che la Caritas è veramente molto impegnata tanto in Giordania quanto in Siria, ma anche all’interno dell’Iraq, grazie all’aiuto di tante persone e con l’apporto anche di importanti mezzi finanziari. Abbiamo anche visto come la Pontifical Mission ad Amman sia molto impegnata e cerchi di andare realmente incontro ai bisogni dei cristiani iracheni."
Clicca su "leggi tutto" per l'intervista di Radiovaticana

Suppongo che non basti quanto già si fa ma occorre molto altro impegno …
"Certo è che rimane ancora molto da fare e rimane molto da fare anzitutto per tutti coloro che sono rifugiati nei Paesi limitrofi. Si ha bisogno di aiuti materiali, perché molti di questi cristiani iracheni hanno lasciato il loro Paese e non hanno più un lavoro e, dunque, non hanno alcun guadagno e poi anche perché la loro situazione legale è veramente molto precaria. Mancano poi anche le strutture pastorali che danno la possibilità di avere una vita spirituale per questi cristiani che hanno bisogno di luoghi dove radunarsi ed incontrarsi. Si pensa, si sogna quindi di riuscire a creare una parrocchia caldea proprio ad Amman, perché ancora non esiste. Sarebbe veramente importante riuscire a creare questa parrocchia, perché diventerebbe per loro un centro, attorno a cui potrebbero collegarsi ed unirsi anche tutte le altre attività assistenziali. Anche in Siria – come dicevo precedente – la Caritas ha iniziato ad operare, ma dovrebbe poter riuscire a potenziare gli aiuti materiali, perché anche qui sono ingenti i bisogni materiali. Anche qui si dovrebbe poter riuscire a mettere in piede una piccola struttura pastorale, così da poter stare vicino a questa gente. Il vescovo di Aleppo sta facendo molto proprio a questo riguardo per la zona di Aleppo, dove ovviamente è lui il vescovo."

Molto delicata è pure la situazione in Kurdistan ...
"Per quanto riguarda la situazione in Kurdistan bisogna dire che è difficile riuscire a farsi un’idea precisa di cosa sta succedendo, ma anche in Kurdistan si è rivelato un acuto e forte bisogno pastorale, come pure il bisogno di aiuti materiali."

A parte le analisi, concretamente quali progetti sono stati delineati?
"Avendo tracciato un po’ il panorama della condizione dei cristiani iracheni, di quello che già si sta facendo, individuando anche quelle che sono state e che sono le mancanze nell’aiuto, probabilmente ben presto partiranno due missioni organizzate dalle nostre agenzie che si recheranno ad Amman e in Siria per contattare persone, enti ed organismi ed individuare cosa esattamente si possa fare e con chi farlo. Questo, quindi, per riuscire a mettere in piedi dei nuovi progetti di aiuto concreto tanto sul piano materiali ed assistenziale quanto sul piano pastorale, perché anche questo aspetto è molto importante. Un’altra missione, invece, si recherà nell’Iraq del Nord e in Kurdistan per provare a compiere lo stesso lavoro, quindi prendere contatti e sviluppare nuovi progetti di aiuto. Quello che vorremmo riuscire a fare è cercare di potenziare la vicinanza della Chiesa universale a questi cristiani iracheni."

E’ stata affrontata la questione se aprire le frontiere dell’Europa e dell’America del Nord per accogliere i rifugiati iracheni cristiani bloccati in Siria e in Giordania?
"Questa questione è certamente di importanza massima per il futuro della Chiesa caldea, ma anche per il futuro stesso della Chiesa siro-ortodossa e siro-cattolica. Il primo sforzo, certamente, deve essere quello di cercare di far rimanere nella zona i cristiani iracheni e quindi il nostro impegno deve essere quello di aiutarli a restare. Ma c’è anche chi pensa, invece, che sia necessario invitare i governi dell’Europa dell’Est, dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e del Canada ad essere più disponibili nell’accoglienza di alcune persone, la cui situazione è veramente drammatica."

La situation dramatique des chrétiens d’Irak au cœur de la session de la ROACO

Source: ZENIT

By Anita S. Bourdin
L'assemblée semestrielle de la « Réunion des Œuvres d'Assistance aux Eglises orientales
» (ROACO), s'est tenue au Vatican la semaine dernière. La prochaine réunion aura lieu les 18 et 19 juin. Le secrétaire général de la ROACO, le P. Leo Lemmens a évoqué au micro de Radio Vatican la situation des chrétiens d'Irak qui a été au cœur de cette réunion.
«Avant tout, il ressort de cette assemblée une grande sollicitude, un grand sens de la solidarité avec les chrétiens irakiens. Nous avons donc consacré la quasi totalité des travaux de cette session de la ROACO justement à la question irakienne et surtout à la recherche de la façon d'aider davantage les chrétiens irakiens et leurs Eglises ».
«Comme nous le savons hélas, ajoutait le P. Lemmens, la majeure partie des chrétiens d'Irak sont désormais en dehors de l'Irak. On parle en effet d'environ 60.000 personnes vivant près de Amman, et 100.000 autres ou peut-être même plus vivant en Syrie, et d'autres encore au Liban et en Turquie. Il y a d'autres chrétiens irakiens qui, tout en vivant en Irak, vivent en réalité dans une situation de réfugiés dans le Nord du pays. La situation générale des chrétiens irakiens est donc vraiment très difficile. Au cours de nos travaux, nous avons à ce propos avant tout analysé ce que nous sommes déjà en train de faire pour faire face à la situation. Ce que les agences de la ROACO sont en train de faire et en particulier la Caritas. La Caritas est vraiment très engagée en Jordanie et en Syrie, mais aussi à l'intérieur de l'Irak, grâce à l'aide de tant de personnes et avec l'apport aussi de moyens financiers importants. Nous avons aussi vu à quel point la Mission pontificale de Amman est engagée et cherche à répondre aux besoins des chrétiens irakiens ».

Click on "leggi tutto" for the interview by Radiovaticana as reported by Zenit
Pour le P. Lemmens, « il reste encore beaucoup à faire » et ceci «d'abord pour tous ceux qui sont réfugiés dans les pays limitrophes ».
Il précise : «On a besoin d'aides matérielles, pace que beaucoup de ces chrétiens irakiens ont quitté leur pays et n'ont plus de travail, et donc n'ont plus de source de revenu, mais aussi parce que la situation légale est vraiment très précaire. D'autre part, il y a un manque de structures pastorales qui donnent la posssibilité d'avoir une vie spirituelle : ces chrétiens ont besoin de lieux où se rassembler et où se rencontrer. On espère donc réussir à créer une paroisse chaldéenne à Amman même, parce qu'il n'y en a pas encore. Ce serait vraiment important de réussir à créer cette paroisse, parce qu'elle deviendrait pour eux un centre autour duquel pourraient aussi être rassemblées toutes les activités d'entr'aide. En Syrie aussi, comme je le disais, la Caritas a commencé à travailler mais elle devrait pouvoir réussir à développer les aides matérielles parce que là aussi, les besoins matériels sont immenses. Là aussi, on devrait pouvoir réussir à mettre sur pied une petite structure pastorale de façon à pouvoir être proche de ces personnes. L'évêque d'Alep fait beaucoup justement dans ce sens pour la zone d'Alep ».
Pour ce qui concerne la situation au Kurdistan, le P. Lemmens fait observer qu'il est «difficile de réussir à se faire une idée précise de ce qui se passe», mais que là aussi il existe «un besoin pastoral aigü et fort et un besoin d'aide matérielle ».
Donc, pour ce qui est des projets, après avoir «dessiné le panorama de la situation des chrétiens irakiens, de ce qui se fait actuellement, et en identifiant quels ont été ou quels sont les manques, il devrait y avoir bientôt deux missions organisées par nos agences, à Amman et en Syrie, pour contacter les personnes, les organismes et préciser ce qui peut se faire et avec qui », a précisé le P. Lemmens.
«Et ceci, ajoute-t-il pour réussir à mettre en place des nouveaux projets d'aide concrète au plan matériel et au plan pastoral, parce que cet aspect aussi est très important ».
Mais il annonce aussi une «troisième mission, dans le Nord de l'Irak, et au Kurdistan, pour essayer de faire le même travail, et donc prendre des contacts et développer de nouveaux projets d'aide: ce que nous voudrions réussir à faire, c'est augmenter la proximité de l'Eglise universelle envers ces chrétiens d'Irak ».
Pour ce qui est d'ouvrir les frontières de l'Europe et de l'Amérique du Nord pour accueillir les réfugiés irakiens chrétiens bloqués en Syrie ou en Jordanie, le P. Lemmens répond: «Cette question est certainement d'une grande importance pour l'avenir de l'Eglise chaldéenne, mais aussi pour l'avenir même de l'Eglise syro-orthodoxe et de l'Eglise syro-catholique».
Et d'expliquer l'ambiguité: «Le premier effort doit certainement être de chercher à faire rester dans la région les chrétiens irakiens et donc notre engagement doit être de les aider à rester. Mais il y a aussi ceux qui pensent qu'il est au contraire nécessaire d'inviter les gouvernements de l'Europe de l'Est et de l'Union européenne, des Etats-Unis et du Canada à être plus disponibles pour l'accueil de certaines personnes dont la situation est vraiment dramatique».
Selon
l'Oeuvre d'Orient, 40 églises ont été attaquées en Irak d'une façon ou d'une autre entre juin 2004 et janvier 2007. Les derniers attentats datent du 6 janvier 2008 et ils ont visé 3 églises et 3 couvents.
Les interventions faites par la Congrégation romaine pour les Églises Orientales en faveur du clergé et des fidèles catholiques orientaux à Rome et dans les différents pays d'origine sont possibles grâce aux aides financières accordées par le Saint Siège, par les Agences internationales d'aide et par les particuliers, rappelle la page en ligne de cette congrégation.
La Réunion des Œuvres d'Aide aux Églises Orientales (R.O.A.C.O.) est un comité qui réunit les Agences et Œuvres de divers pays du monde qui s'engagent à soutenir financièrement dans différents secteurs, des lieux de culte aux bourses d'études, des institutions d'éducation à l'assistance socio sanitaire.
Elle est présidée par le préfet de la congrégation, actuellement le cardinal argentin Leonardo Sandri, et elle a pour vice-président le secrétaire du dicastère, Mgr Antonio Maria Vegliò. A côté de la Catholic Near East Welfare Association (États-Unis d'Amérique), approuvée par le pape Pie XI en 1928, et de la Mission pontificale pour la Palestine (États-Unis), crée en 1949, en font partie également les Agences qui recueillent des fonds en Allemagne, en France, en Suisse, aux Pays-Bas et en Autriche.

Dossier: Irak, comment renouer avec le dialogue?

Source: Radiovaticana

Toujours prise dans les divisions et la violence, l’Irak ne cesse de faire l’actualité. Comment parler d’unité alors que le pays semble s’enfoncer dans la guerre civile et les luttes fratricides ? Quelles perspectives de dialogue ? Mgr Jean-Benjamin Sleiman, archevêque latin de Bagdad qui était en visite à Rome ces derniers jours appelle à une plus grande unité, au-delà même des communautés chrétiennes et souhaite redonner sens au dialogue.



28 gennaio 2008


L’università della Santa Croce intitola un’aula a padre van Straaten


Un’aula della Pontificia università della Santa Croce sarà intitolata a padre Werenfried van Straaten, fondatore di “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS). Nel V anniversario della morte di padre van Straaten una messa di suffragio verrà celebrata lunedì 31 gennaio 2008 alle 17.00 nella Basilica di Sant’Apollinare a Roma. Al termine della celebrazione, nella vicina Università ci sarà la cerimonia per dedicargli l’aula, presenti il Magnifico rettore, monsignor Mariano Fazio, il presidente della Sezione Italiana di ACS, monsignor Sante Babolin e il presidente internazionale di ACS, il dottor Hans-Peter Rthlin.
L’intitolazione dell’Aula vuole essere un simbolico riconoscimento e un ringraziamento ad “Aiuto alla Chiesa che Soffre” da parte del mondo universitario cattolico, per le oltre 300 borse di studio assegnate annualmente a religiosi, religiose e laici che, provenienti dalle diocesi di tutto il mondo, studiano nelle Università pontificie romane per completare la formazione che è da sempre una priorità di ACS nel sostegno dell’opera pastorale della Chiesa. Nel 2007 sono stati destinati a questo scopo oltre 5 milioni di euro.
Tra le migliaia di sacerdoti che ACS ha sostenuto negli studi, può essere significativamente ricordato padre Ragheed Aziz Ganni, giovane prete iracheno ucciso nel giugno scorso al termine della celebrazione della Santa Messa, davanti alla chiesa del Santo Spirito a Mosul, in Iraq. Recentemente, dopo il suo ritorno in patria, il sacerdote aveva scritto all’Opera per raccontarle la difficile realtà dei cristiani nel suo Paese: “l’Eucaristia – aveva scritto padre Ragheed – ci restituisce la vita che i terroristi vogliono toglierci. Senza la Messa domenicale, senza l’Eucaristia, noi cristiani iracheni non potremmo sopravvivere”.

Pontifical University to name hall in honour of Father van Straaten

Source: Asia News

A hall of the Pontificia Università della Santa Croce (Pontifical University of the Holy Cross) will be named after Fr Werenfried van Straaten, founder of “Aid to the Church in Need” (ACN). A memorial Mass will be celebrated at 5 pm next Thursday in Rome’s Sant’Apollinare Basilica to mark the fifth anniversary of his death. At the end of the service the naming ceremony will take place in the nearby university. Mgr Mariano Fazio, Santa Croce’s rector; Mgr Sante Babolin, president of ACN’S Italian section, and Dr Hans-Peter Röthlin, ACN International president, will be present.
The naming of a hall in Father van Straaten’s honour is a symbolic recognition and an expression of gratitude towards “Aid to the Church in Need” by the Catholic academic world for the more than 300 scholarships given to men and women religious as well as lay people who study and train in Rome’s Pontifical universities. Education has always been a priority for ACN in its support for the Church’s pastoral work. Last year the overall outlay was over € 5 million (US$ 7.5 million).
Fr Ragheed Aziz Ganni was one of the thousands of priests who benefited from ACN support. The young Iraqi priest was killed in June of last year in front of Mosul’s Holy Spirit Church, in Iraq, after he celebrated Mass. But not long before his death, Father Ganni had a chance to write to ACN and describe the harsh reality Christians must endure in his country.
“The Eucharist,” he wrote, “gives us back the life terrorists try to take from us. Without Sunday Mass, without the Eucharist, we Iraqi Christians could not survive.”

Solidarietà e donazioni non bastano, alla Chiesa irachena servono progetti concreti

Fonte: Asia News

di Louis Sako Arcivescovo caldeo di Kirkuk

Invitato da “Aiuto alla Chiesa che soffre”, l’arcivescovo caldeo di Kirkuk ha partecipato la settimana scorsa ad incontri in Germania per sensibilizzare l’Europa sui problemi dei cristiani in Iraq. Egli spiega che per contenere il “mortale esodo” della comunità, prima di parole e offerte economiche, serve un serio impegno della stessa Chiesa irachena: riorganizzazione interna, negoziati con il governo curdo, nuovo impulso alla missione. “Senza paura!”.

Clicca su "leggi tutto" per la lettera di Mons. Luis Sako
Gli attentati che hanno colpito obiettivi cristiani a Baghdad, Mosul e Kirkuk questo mese rappresentano un preciso messaggio, nascondono domande dirette: “Con chi sono schierati i cristiani? Cosa vogliono? Che posizione politica hanno? Che mire sulla piana di Ninive?”. Dopo le bombe esplose tra il 6 e il 17 gennaio, il tema della sopravvivenza della Chiesa assiro-caldea in Iraq è tornato sotto i riflettori di media e opinione pubblica occidentale. Grande solidarietà ci arriva dall’occidente, denaro è messo a disposizione dal governo del Kurdistan. Ma manca una prospettiva. Anche perché noi stessi leader religiosi iracheni non l’abbiamo offerta. Non abbiamo detto al mondo cosa ci aspettiamo e di cosa abbiamo bisogno!

Il mortale esodo che affligge la nostra comunità non potrà essere evitato, finché la Chiesa irachena in prima persona non prenderà una chiara posizione nel quadro politico e non studierà un coraggioso progetto pastorale. Il futuro della Chiesa caldea-assira è in Iraq: qui è la sua terra, qui si è formata la sua storia e il suo patrimonio, parte importante del più vasto patrimonio cristiano unversale. Chiesa vuol dire missione. Una Chiesa in diaspora perde la sua identità. La presenza cristiana nel corso della storia ha contribuito molto allo sviluppo dell’Iraq. I cristiani sono stati e possono continuare ad essere anche oggi strumento di dialogo, convivenza pacifica e collaborazione con i fratelli musulmani. Svuotare il Paese di questa comunità è un peccato mortale.
La domanda che necessita una risposta urgente e decisa è: “Come aiutare i cristiani iracheni?”. La nostra Chiesa deve riorganizzarsi e aggiornare non solo la sua struttura, ma anche il suo discorso. Per sopravvivere a questi tempi ci serve una Chiesa forte, con una chiara visione pastorale e “politica”, con precisi piani non solo per proteggere i suoi fedeli, ma anche per favorire la riconciliazione.
Quasi la metà dei cristiani, religiosi e laici, vivono come rifugiati nei Paesi confinanti. E altri continuano a lasciare le loro case. Un primo passo potrebbe essere aiutare questa gente a fare ritorno ai loro villaggi di origine nel più sicuro nord, piuttosto che incentivarne la fuoriuscita. Sarebbero così sottratti alla misera vita che viene loro offerta in Siria o in Giordania e limiterebbe il loro esodo verso ovest. A tal fine è indispensabile negoziare con il governo regionale del Kurdistan iracheno per creare posti di lavoro, edificare abitazioni e studiare progetti mirati a breve e lunga scadenza. Il ministro dell’Economia del Kurdistan, il cristiano Sargis Aghajan, stanzia ingenti somme per la comunità. Alcuni dicono il 3 per cento degli introiti dell’industria petrolifera. L’Olanda ha offerto 6 milioni di euro. Gli Stati Uniti 10 milioni di dollari. Con questi soldi si possono creare scuole, dispensari, strade, istituti tecnici, scuole per infermieri. mandare religiosi e religiose per aprire missioni. Non dobbiamo avere paura!

Solidarity and donations are not enough, the Iraqi Church needs concrete projects

Source: Asia News

by Louis Sako Chaldean archbishop of Kirkuk

Invited by "Aid to the Church in Need", the Chaldean archbishop of Kirkuk participated last week in meetings in Germany to sensitise Europe on the problems of Christians in Iraq. He explains that in order to contain the "mortal exodus" of the community, before words and economic offers, a serious effort is needed on the part of the Iraqi Church: for internal organisation, negotiations with the Kurdish government, and a new military impulse. "Without fear!".


Click on "Leggi tutto" for the letter by Mgr. Luis Sako

The attacks that struck Christian targets in Baghdad, Mosul, and Kirkuk this month represent a clear message, and conceal straightforward questions: "With whom are the Christians aligned? What do they want? What political position do they have? What are their intentions for the plain of Nineveh?". After the bombs that exploded between January 6 and 17, the topic of the survival of the Assyro-Chaldean Church in Iraq has come back under the scrutiny of the Western media and public opinion. The West shows us great solidarity, and money is made available to the government of Kurdistan. But a perspective is lacking, in part because we ourselves, the Iraqi religious leaders, have not offered one. We have not told the world what we expect and what we need!
The mortal exodus that afflicts our community cannot be averted until the Iraqi Church itself takes a clear position on the political situation and constructs a courageous pastoral plan. The future of the Chaldean-Assyrian Church is in Iraq: this is its land, it is here that its history and heritage were formed, an important part of the wider universal Christian heritage. Church means mission. A Church in diaspora loses its identity. Over the course of history, the Christian presence has contributed greatly to the development of Iraq. Christians have been, and can continue to be today, an instrument of dialogue, peaceful coexistence, and collaboration with our Muslim brothers. Emptying the country of this community is a mortal sin.
The question that requires an urgent and decisive response is: "How can the Iraqi Christians be helped?". Our Church must reorganise itself and update not only its structure, but also its message. To survive these times, we need a strong Church, with a clear pastoral and "political" vision, with precise plans not only for protecting its faithful, but also for fostering reconciliation.
Almost half of the Christians, religious and laity live as refugees in neighbouring countries. And other continue to leave their homes. A first step could be that of helping this people to return to their villages of origin in the safer northern region, rather than promoting their exit. They would thus be spared the miserable life that is offered to them in Syria or Jordan, and would limit their exodus to the West. To this end, it is indispensable to negotiate with the regional government of Iraqi Kurdistan to create jobs, build houses, and study long and short-term projects. Kurdistan's minister of the economy, Sargis Aghajan, a Christian, is providing vast sums for the community. Some say these total 3 percent of oil revenues. Holland has offered 6 million euro. The United States, 10 million dollars. This money could be used to create schools, clinics, roads, technical institutes, nursing schools; to send religious men and women to open missions. We must not be afraid.

23 gennaio 2008

“Io ho un nuovo amico, un sacerdote caldeo iracheno”

Fonte: Ufficio Pastorale Migranti Arcidiocesi di Torino

“La terra dove la gente seppellisce i propri morti ed è obbligata a dimenticarli subito per fare posto nei propri ricordi a quelli che ancora ci saranno.”

Questa frase, riadattata da una famosa canzone di Hassam Al-Rassam, descrive la ancora tragica situazione irachena. Una situazione comune a tutto il paese, ma che è particolarmente sentita dalla sua componente cristiana che, in quanto minoranza, vive ogni morte come un ennesimo tentativo di sradicarla dalla terra di Abramo dove ha avuto origine.
I tragici avvenimenti che in questi anni hanno colpito paesi e comunità nel mondo hanno spostato l’attenzione dei mezzi di informazione dall’Iraq ma anche i recenti attentati che hanno avuto come obiettivo molti luoghi di culto cristiani (quattro a Baghdad, tre a Mosul e due a Kirkuk nel gennaio 2008) anche se pianificati accuratamente per non fare vittime, testimoniano come la vita degli iracheni cristiani sia ancora difficile e piena di pericoli.

Per questa ragione l’UFFICIO PASTORALE MIGRANTI dell’ARCIDIOCESI DI TORINO rilancia, per il QUINTO ANNO CONSECUTIVO il progetto

“Io ho un nuovo amico, un sacerdote caldeo iracheno”

volto a sostenere economicamente dieci giovani sacerdoti di Baghdad. Il progetto, gestito da Don Fredo Olivero, Direttore dell’UPM e dal sacerdote caldeo Padre Douglas Dawwod (Al Bazi) ha dato in questi anni non solo un sostegno economico a questi sacerdoti ma un altrettanto importante sostegno morale a testimonianza di un impegno che va oltre l’emergenza.

Per aiutare i sacerdoti caldei di Baghdad chiedi informazioni a:

Don Fredo Olivero
Ufficio Pastorale Migranti Arcidiocesi di Torino

Via Ceresole 42
10155 Torino
011 2462443
f.olivero@diocesi.torino.it

“I have a new friend: an Iraqi Chaldean priest”

Source: Pastoral Migrants Office Archdiocese of Turin (Italy)

“The country where people bury their loved ones in the morning and are forced to forget them in the evening to make space in their memories to the next dead”

This paraphrase of a sentence of a famous song by Hassan Al-Rassam well describes the still tragic Iraqi situation. A common situation for all Iraqis, but particularly felt by the Christian people who, belonging to a minority, live every death as the umpteenth attempt to uproot them from Abraham’s land, their ancestral one.
The dire events that in the last years affected different countries and communities in the world diverted the attention of the media from Iraq, but the recent attacks to Christian worship places, (4 in Baghdad, 3 in Mosul and 2 in Kirkuk on January 2008) even if accurately planned not to kill anyone, testify how life for Iraqi Christians is still difficult and full of dangers.
For this reason, Pastoral Migrants Office of Archdiocese of Turin (Italy) renews, for FOR THE FIFHT CONSECUTIVE YEAR the project:

“I have a new friend: an Iraqi Chaldean priest”

to support economically 10 young Chaldean priests in Baghdad. The project, managed by Don Fredo Olivero, Director of the Pastoral Migrants Office of Archdiocese of Turin (Italy) and by the Chaldean priest Father Douglas Dawood (Al Bazi) in the past four years did not only give to 10 young priests a material support, but an equally important moral one too, as a proof of a commmitment that goes beyond the emergency.

To help the Chaldean priests in Baghdad or to ask for information, please contact:

Don Fredo Olivero
Ufficio Pastorale Migranti Arcidiocesi di Torino
Via Ceresole 42
10155 Torino
f.olivero@diocesi.torino.it

“Yo tengo un nuevo amigo, un sacerdote caldeo iraqueño”

Source: Ufficio Pastorale Migranti Arcidiocesi di Torino (Italia)

“El lugar donde la gente entierra a sus muertos y debe olvidarlos inmediatamente para dejar lugar en sus propios recuerdos a quellos che todavìa habràn”.

Esta frase adaptada de una famosa canción de Hassam Al-Rassam, describe la todavìa tràgica situación iraqueña. Una situación comun a todo el paìs, pero que es particolarmente sentida de su componente cristiana, que en su calidad de minorìa, vive cada muerte como un enesimo tentativo de erradicarla de la tierra de Habraham, donde ha tenido su origen.
Los tragicos eventos que en estos años han golpeado paices y comunidades del mundo han sustitudo la atención de los medios de información del Irak, pero inclusive los recientes atentados que han tenido como objetivo muchos lugares de culto cristianos, (cuatro en Bagdad, tres en Mosul, y dos en Kirkuk) aùn cuando planificadas cuidadosamente para no tener victimas, son testimonios de como la vida de los cristianos iraqueños sea todavìa muy dificil y llena de peligros.
Por esta razón el “UFFICIO PASTORALE MIGRANTI” de la Arquidiosesis de Torino relanza por el quinto año consecutivo, el proyecto:

“Yo tengo un nuevo amigo, un sacerdote caldeo iraqueño”

Dirigido a sostener economicamente diez jovenes sacerdotes de Bagdad. El proyecto dirigido por Don Fredo Olivero, Director del UPM y del sacerdote Padre Douglas Dawood, (Al Bazi) ha dado en estos años no solo un apoyo economico a estos sacerdotes, sino también un importante apoyo moral como testimonio de un enpeño que va mas allà de la emergencia.

Para ayudar a los sacerdotes caldeos de Bagdad pedir información a:

Don Fredo Olivero
Ufficio Pastorale Migranti Arcidiocesi di Torino
Via Ceresole 42
10155 Torino (Italia)
f.olivero@diocesi.torino.it


Rinnovo dell’affiliazione del Babel College (Baghdad - Ankawa) alla Pontificia Università Urbaniana (Roma)

15 gennaio 2008

By Baghdadhope

Il 21 dicembre scorso il “Babel College for Philosophy and Theology” di Bagdhad, provvisoriamente trasferitosi ad Ankawa, ha ottenuto dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica il Rinnovo dell'Affiliazione alla nostra Facoltà di Teologia, per un triennio. Al Rettore, Sua Ecc.za Mons. Jacques Isaac, ai Professori ed agli alunni di questo Seminario, l’Università porge le più vive congratulazioni per il risultato conseguito e presenta gli auguri per un futuro proficuo lavoro accademico e formativo.

Per notizie sul Babel College clicca sui titoli:

La Chiesa irachena: in cammino nonostante le difficoltà

Baghdad: Da BABEL COLLEGE a COP AMANCHE

Soldati americani occupano ancora il Babel College di Baghdad

Inaugurazione del Babel College ad Ankawa

Renewal of the affiliation of Babel College (Baghdad - Ankawa) to Pontifical Universitas Urbaniana (Rome)

Source: Pontificia Università Urbaniana (Rome)
January 15 2008

By Baghdadhope

On December 21 2007 the Congregation for Catholic Education granted to “Babel College for Philosophy and Theology” of Baghdad temporarely moved to Ankawa, a three-year affiliation renewal to Pontifical Urbaniana University, To its rector, His Excellency Mgr. Jacques Isaac and to the teachers and the students of Babel College, the Pontifical Urbaniana University sends heartfelt congratulations and wishes for a fruitful academic educational work.

22 gennaio 2008

Un lutto per la Chiesa Caldea in Iraq ed in Francia

Fonte: Missione Caldea in Francia
By Baghdadhope

La Missione Caldea in Francia ha annunciato la scomparsa, il 21 gennaio, di Padre Davut Gunes, nato nel 1918 in Turchia ed ordinato sacerdote nel 1967.
Le esequie si svolgeranno domani nella Chiesa di SAn Tommaso Apostolo a Sarcelles. (Parigi)

The Chaldean Mission in France annunciated the death, on January 21, of Father Davut Gunes, who was born in Turkey in 1918 and ordained priest in 1967.
The funeral rites will be held tomorrow in the church of Saint Thomas the Apostle in Sarcelles. (Paris)


Nous avons le regret de vous annoncer le décès du père Davut GUNES(SOLEIL), hier, lundi 21 janvier 2008 dans la soirée.
C’est une grande perte pour notre communauté et pour l'Eglise chaldéenne. Nous le portons dans nos prières, comme il l’a fait tout au long de sa vie.
Un dernier hommage lui sera rendu lors d’une soirée de prières en l’église Saint Thomas Apôtre, demain mercredi 23 janvier 2008, à 20h30. Vous pourrez vous recueillir devant sa sépulture.
Les obsèques auront lieu jeudi 24 à 14h00 en l'église Saint Thomas Apôtre (7-11, Rue des Champs Gallois 95200 Sarcelles), et le corps sera inhumé dans le caveau du clergé chaldéen à l'ancien cimetière de Sarcelles Village.
Paix à son âme.

21 gennaio 2008

La drammatica situazione dei cristiani in Iraq tra i temi al centro dell'assemblea della ROACO

Fonte: Radiovaticana

Iniziano domani in Vaticano i lavori dell’assemblea semestrale della ROACO, la Riunione delle Opere di Assistenza alle Chiese Orientali.
Tra i temi al centro dell’incontro la drammatica situazione dei cristiani in Iraq.

Giovanni Peduto ne ha parlato con il segretario generale della ROACO, mons. Leon Lemmens.
"Certo, la situazione dei cristiani in Iraq è drammatica, lo sappiamo. Si pensa che più della metà dei cristiani iracheni ha lasciato il Paese, ed ora si trovano soprattutto in Siria e in Giordania, in parte anche in Libano, in Turchia ... E lì stanno proprio male, perché sono bloccati, non hanno un futuro economico, umano, nemmeno hanno uno statuto legale, possono essere rimandati in Iraq ogni giorno ... Però, non è ancora il momento di tornare in Iraq, lo sappiamo bene; abbiamo sentito anche ultimamente, nelle ultime settimane, attentati dinamitardi contro le chiese in varie città dell’Iraq ... Ecco, dunque, questa è una situazione che ci preoccupa molto. Ma anche all’interno dell’Iraq stesso, ci sono cristiani che sono rifugiati dal Sud o da Baghdad verso il Nord, verso il Kurdistan; ci possono vivere, materialmente, per il momento, perché sono aiutati dal governo regionale del Kurdistan iracheno; ma anche lì mancano un po’ le prospettive a lungo termine. E certo, proprio durante questa riunione della ROACO, noi vogliamo focalizzare la nostra attenzione sulla situazione dei cristiani iracheni: come possiamo aiutarli? Questo sarà veramente il centro dell’attenzione della prossima ROACO."

Clicca su "leggi tutto per l'intervista di Radiovaticana
L’attenzione della ROACO continuerà poi ad essere rivolta ai cristiani in Terra Santa…
"Certo che i cristiani in Terra Santa stanno a cuore della ROACO da sempre, perché la terra di Gesù è la terra che ci ha dato la fede anche tramite la prima comunità, ma anche perché le Chiese in queste terre hanno una grande eredità; inoltre, loro rappresentano la presenza viva della Chiesa in questa terra di Gesù, che propongono l’accoglienza, che danno il senso cristiano di questa terra. Noi sappiamo tutti che la loro situazione certamente non è facile, soprattutto perché c’è la situazione di non-pace – diciamo così – ancora, tra Israele e Palestina, e soprattutto la situazione dei cristiani nella zona palestinese è molto preoccupante, per la mancanza di libertà di movimento e quindi anche la mancanza di una prospettiva per un futuro “umano” per i giovani che tendono ad andare via. Dunque, la ROACO da sempre – e anche oggi – continua a sostenere tanti progetti, tanto in Israele, d’altronde, dove c’è una bella comunità cristiana, soprattutto in Galilea, quanto in territorio palestinese. Penso, per esempio, alla Betlehem University, che è stata anche fondata dalla ROACO e dove oggi studiano più di 2 mila giovani palestinesi di cui almeno un terzo sono cristiani. E’ una realtà molto bella, di alto livello."
Naturalmente, in ogni riunione della ROACO voi pensate anche ai progetti da portare avanti ... ce ne può citare qualcuno in particolare?
"Io penso, per esempio, al Libano: il Libano ha avuto questa guerra, nell’estate 2006, tra Hezbollah ed Israele, e in questa guerra sono stati danneggiati tantissimi edifici della Chiesa, delle varie Chiese presenti nel Sud del Libano; sono chiese ma sono anche scuole, ospedali ... Allora, all’interno della ROACO è stato compiuto uno studio sui danni subiti, sono stati raccolti tutti i dati e tra le agenzie è stato preparato un piano di aiuti per restaurare tutti questi edifici. Credo che questa sia una cosa molto bella e anche molto apprezzata dai cristiani in Libano, perché proprio nel Sud del Libano vivono i cristiani più poveri del Libano, quelli più esposti alla guerra e ad atti di terrorismo da tantissimi anni ..."
Oltre che delle Chiese cristiane del Medio e Vicino Oriente, di quali altre Chiese si occupa la ROACO?
"La ROACO si occupa di tutte le Chiese orientali cattoliche, dunque per esempio pensiamo all’Est europeo, alla Chiesa ucraina, alla Chiesa cattolica anche in Romania, la Chiesa cattolica in Slovacchia, in Bulgaria, in Grecia, in Turchia, anche ... Poi, c’è anche l’area dell’India, il Kerala, dove ci sono due belle chiese cattoliche di rito orientale, la Chiesa malabarese e la Chiesa malankarese, che sono ambedue ben fiorenti, vanno molto bene, hanno molte vocazioni, hanno migliaia di vocazioni tanto per il sacerdozio tanto per la vita religiosa: dunque ci sono immensi bisogni di costruzione e di mantenimento di case di formazione, di seminari ma anche di noviziati ... Questo è un ingente sforzo! Poi, queste Chiese hanno anche una grande presenza in campo umanitario, tramite dispensari, cliniche, scuole e anche loro, dunque, bussano alla porta della ROACO per essere aiutate in questo sforzo umanitario che è rivolto a tutta la gente, a tutte le persone che vivono in quell’area. Infine, c’è anche la zona dell’Eritrea e dell’Etiopia, due Paesi tra i più poveri al mondo, dove la Chiesa cattolica orientale non è tanto grande, però ha una presenza molto significativa. Per esempio, in Eritrea è la Chiesa cattolica orientale che gestisce quasi metà delle scuole e metà degli ospedali e dei dispensari. Dunque, pur essendo nel Paese una piccola minoranza, è una presenza di grande importanza per il Paese; però, loro sono poveri ed hanno bisogno di essere aiutati e molto. E le nostre agenzie lo stanno facendo, a beneficio di tutta la popolazione tanto provata."

Roma: Messa in rito caldeo per la Settimana dell’Unità dei Cristiani

By Baghdadhope

L’inizio della settimana che la Chiesa dedica all’unità tra le sue diverse componenti è stato celebrato nella suggestiva cornice della cappella Mater Misericordia all’interno del Pontificio Collegio Urbano di Roma con una Santa Messa in rito caldeo. (Vedi foto post precedente)
A guidare la celebrazione sono stati Monsignor Philip Najim, Procuratore del Patriarcato di Babilonia dei Caldei presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico in Europa, e Don Remigio Bellizio uno dei vice rettori del Collegio, coadiuvati, come è tradizione per il rito caldeo, da un diacono, Robert Said, e da suddiaconi che hanno accompagnato i diversi momenti della messa con i canti tipici dello stesso rito.
La presenza tra i cantori di suddiaconi appartenenti a diverse tradizioni delle chiese orientali presenti nei paesi arabi (caldei, ma anche siro cattolici e copti cattolici) e tra i fedeli di seminaristi di diverse nazionalità e tradizioni ha non solo rispecchiato la storia del
Pontificio Collegio Urbano "De Propaganda Fide" che nei secoli ha accolto e preparato alla missione evangelizzatrice migliaia di seminaristi, (tra cui ricordiamo l’attuale Patriarca della Chiesa Caldea, il Cardinale Mar Emmanuel III Delly, quello che l’ha preceduto, Mar Raphael I Bedaweed, Monsignor Shleimun Warduni, vescovo di Baghdad e Monsignor Sarhad Y. Jammo, vescovo dell’eparchia della California) ma ha soprattutto sottolineato l’importanza dell’unità dei cristiani in un mondo che appare sempre più secolarizzato e diviso.
Il rito, caratterizzato dall’uso dell’italiano ma soprattutto dell’aramaico, lingua liturgica ed ancestrale di molti cristiani originari del Medio Oriente, ha avuto momenti di sentita partecipazione specialmente quando, dopo la lettura del Vangelo, ha preso la parola Monsignor Najim che, come voce delle sofferenze degli iracheni cristiani, ha tracciato un excursus storico della Chiesa Caldea, quella che in Iraq accoglie il maggior numero di fedeli.
“Chiesa dei martiri” ecco la definizione usata da Monsignor Najim per descriverla. Martiri tuttora venerati da quella tradizione tra cui proprio la particolare occasione della Settimana dell’Unità dei Cristiani ha imposto di ricordare Yohanna Sulaka, l’abate del Monastero di Rabban Hormizd, nel nord dell’Iraq, che, dopo l’unione con Roma nel 1553 fu ucciso al suo ritorno in patria e che quindi viene definito “il primo martire dell’unità” e l’ultimo sacerdote che ha offerto la vita per la sua fede, Padre Ragheed Ghanni che il 3 giugno 2007 fu brutalmente ucciso insieme a tre suddiaconi, Basman Yousef Daoud, Ghasan Bidawid e Wahid Hanna, di fronte alla Chiesa del Santo Spirito di Mosul.
Una chiesa che, nonostante le difficoltà, è ben viva nel presente con i suoi sacerdoti, i suoi monaci, le sue suore, i suoi fedeli in patria ed in diaspora, non solo nel paesi limitrofi all’Iraq ma anche in altri continenti. Negli Stati Uniti dove le diocesi sono due, in Australia sede dell’ultima diocesi creata, ed in Europa dove si contano ben 20 tra chiese e missioni, e dove agli inizi del prossimo marzo verrà consacrata la prima chiesa interamente dedicata al rito caldeo in Germania. Una presenza viva, seppur sofferente, come lo stesso
Pontefice Benedetto XVI ha sottolineato lo scorso novembre in occasione della nomina del Patriarca di Babilonia dei Caldei, Sua Beatitudine Mar Emmanuel III Delly, a primo Cardinale della Chiesa Caldea e dell’Iraq.
Una chiesa per la quale Monsignor Najim ha auspicato un futuro di pace e convivenza in Iraq ed all’estero con tutte le altre confessioni cristiane e le diverse religioni.

Baghdadhope ha chiesto a Monsignor Najim un commento sull’avvenimento.
“E’ stato un momento di letizia, di comunione. Con parole semplici ma piene di calore Don Remigio Bellizio ha sottolineato come la mia stessa presenza in qualità di Procuratore Caldeo presso la Santa Sede fosse segno della profonda unità e comunione della Chiesa Caldea con quella cattolica universale. La bellezza della Chiesa è proprio in questo: la capacità di accogliere ed unire le sue diverse tradizioni ognuna delle quali è portatrice di valori di fede dai quali il Cristiano non può prescindere.
A questo proposito voglio ricordare le parole di Giovanni Paolo II che disse: “Non si può respirare come cristiani, direi di più, come cattolici, con un solo polmone; bisogna avere
due polmoni, cioè quello orientale e quello occidentale”.
L’unità dei cristiani è nostro dovere, ma anche riconoscimento delle nostre radici comuni. Se consideriamo le chiese presenti in Iraq esse sono le chiese di un solo popolo, con la stessa storia, liturgia, sofferenze e progressi. E’ per questa ragione che il dialogo, finalizzato all’unità, è di fondamentale importanza. Così ad esempio è quello tra la Chiesa Caldea e la Chiesa Assira d’Oriente che deve procedere in una forma non solo teologica ma soprattutto costruttiva, per il bene delle nostre popolazioni in patria ed all’estero e perché è proprio nell’unità che risiede la nostra forza."

Rome: Holy Mass according to the Chaldean rite for the "Christian Unity Week"

By Baghdadhope

The beginning of the week dedicated by the church to the Christian unity among its different components has been celebrated in the Mater Misericordia chapel of the Pontifical Urbanian College in Rome by a Holy Mass according to the Chaldean rite. (See photos in previous post)
The celebrants were Mgr. Philip Najim, Procurator of the Patriarchate of Babylon of the Chaldeans to the Holy See, and Apostolic Visitor for Chaldeans in Europe, and Don Remigio Bellizio, one of the vice-rectors of the College, assisted, as in the tradition of the Chaldean Rite, by a deacon, Robert Said, and by subdeacons who stressed the different moments of the ceremony singing the typical liturgical prayers of the same rite.
The presence among the choristers of subdeacons of different oriental churches present in some Arab countries, (Chaldeans, but also Siro and Coptic Catholic) and among the faithful of seminarists of different nationalities and traditions, not only reflected the centuries long history of the Pontifical Urbanian College that prepared to the evangelizer mission thousands of seminarists, (among whom the present Patriarch of Babylon of the Chaldeans, Cardinal Mar Emmanuel III Delly, the former Patriarch, Mar Raphael Bedaweed, Mgr. Shleimun Warduni, Bishop of Baghdad and Mgr. Sarhad Y. Jammo, Bishop of the Chaldean Eparchy of California) but underlined the importance of unity for Christians in an ever more divided and secularized world. The celebration, characterized by the use of Italian and Aramaic, the liturgical and ancestral language of many Middle Eastern Christians, had moments of deeply felt participation, especially when, after the reading of the Holy Gospel, Mgr. Najim, as the voice of the sufferings of Iraqi Christians, began to recall the history of the Chaldean Church, the church the most Iraqi Christians belong to.
“Church of the Martyrs”. This was the definition used by Mgr. Najim to describe it. Martyrs still now honoured by that tradition and among whom the particular occasion of the “Christian Unity Week” imposed to remember Yohanna Sulaka, the abbot of Rabban Hormizd monastery, in the north of Iraq, who, after the union with Rome in 1553 and his going back home, was killed and for this is still known as “The first Martyr for Unity”, and the last priest who offered his life for his faith, Father Ragheed Ghanni who was killed on June 3 2007 together with three subdeacons, Basman Yousef Daoud, Ghasan Bidawid e Wahid Hanna, in front of the Holy Spirit Chaldean Church in Mosul.
A Church that, despite difficulties, is alive in present times through its priests, monks, nuns and believers at home and abroad, not only in the countries bordering Iraq but in other continents too. In the United States, where there are two Chaldean Dioceses, in Australia, where the diocese was created in 2006, and in Europe where there are 20 missions and churches and where, by the beginning of next march, the first church entirely dedicated to the Chaldean rite in Germany will be consecrated. A living presence, although suffering, as the Pope Benedict XVI stressed on past November when the Patriarch of Babylon of the Chaldeans, Mar Emmanuel III Delly, was ordained as the first Cardinal of Chaldean Church and from Iraq.
A Church to which Mgr. Najim wished a future of peace and cohabitation with the other Christian denominations and the different religions in Iraq and abroad.

Baghdadhope asked to Mgr. Philip Najim a comment on the event.
“It was a moment of joy and communion. By simple and hearty words Don Remigio Bellizio stressed how my presence there as Procurator of the Patriarchate of Babylon of the Chaldeans to the Holy See was a sign of the deep unity and communion between the Chaldean Church and the Catholic universal one. This is the beauty of the Church: its ability to welcome and unify its different traditions, all of each full of those values of the faith the Christian cannot prescind from. To this end I want to recall Pope John Paul II’s words who said: “We cannot breath as Christians, and I’d say more, as Catholics, by only one lung; we need two lunges, the Oriental and the Western one.” Christian Unity is our duty but also the recognition of our common roots. If we consider the churches in Iraq they are the churches of an only people, with its history, liturgy, sufferings and improvements. For this reason dialogue, finalized to unity, is really important. So, for example, it is for the dialogue between the Chaldean Church and the Assyrian Church of the East that must proceed not only on the liturgical path but also on the constructive one for the good of our people at home and abroad and because our strength is in our unity.”

Some photos of the Holy Mass in Rome according to the Chaldean rite for the “Christian Unity Week”




























19 gennaio 2008

Anche una moschea danneggiata nell'attacco alla chiesa di Mosul

Source: Ankawa.com

By Baghdadhope

L’esplosione di un’autobomba due giorni fa non ha danneggiato solo la Chiesa Caldea dell’Immacolata che era oggetto dell’attacco, ma anche il minareto della vicina moschea dell’Imam Muhsin.
Guarda le foto della visita che il vescovo caldeo di Mosul, Monsignor Faraj P. Rahho ha fatto oggi ai due edifici cliccando qui.

Also a mosque damaged by the attack to the church in Mosul

Source: Ankawa.com


By Baghdadhope

The explosion of a booby-trapped car two days ago damaged not only the Chaldean Church of the Immaculate that was the object of the attack, but also the minaret of the near Mosque of Imam Muhsin.
See the photos of the visit the Chaldean Bishop of Mosul, Mgr. Faraj P. Rahho, paid to both places today clicking here.

18 gennaio 2008

Mons. Warduni (Baghdad): a Mosul attacco brutale. Stime FMI "Una favola"

Fonte: SIR

“Hanno voluto colpire
una chiesa simbolo non solo per i cristiani ma anche per i musulmani. Un atto barbaro perpetrato da terroristi, da gente senza fede”.
Non usa mezzi termini il vescovo ausiliare di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, per condannare l’attacco bomba condotto ieri contro la chiesa caldea dell’Immacolata a Mosul.
“Si tratta di un luogo di culto dedicato all’Immacolata voluto dai cristiani e dai musulmani – dichiara al Sir il presule – perché si dice che, nel XVII secolo, abbia salvato Mosul da un’invasione di stranieri. Per questo è amata da tutto il popolo”. Secondo mons. Warduni anche “questo attentato, così come gli altri dei giorni scorsi (dieci luoghi di culto colpiti in dodici giorni, ndr), ha lo scopo di mostrare che nel Paese non c’è sicurezza e stabilità e di minare la riconciliazione nel Paese. Allo stesso tempo questi fanatici autori di tali gesti vogliono incutere timore ai cristiani da sempre impegnati a favore della tolleranza, del dialogo e della riconciliazione nel Paese. Abbiamo pregato per questo durante il digiuno di Ninive chiuso il 16 gennaio. Purtroppo le chiese erano semivuote proprio per paura di attentati. Ma andiamo avanti lo stesso per il bene di tutto l’Iraq”.
In merito alle stime del Fondo monetario internazionale (Fmi) che vedono per il 2008-2009 una crescita del Pil iracheno oltre il 7%, mons. Warduni non esita a definirle “una favola o peggio una barzelletta. Si parla di economia in crescita e di aumento di ricchezza. Ma quale? Qui la popolazione non ha gasolio, l’energia elettrica è erogata solo poche ore al giorno, fa molto freddo e non si possono accendere i generatori per mancanza di carburante o di gas. Per non dire che sono mesi che non piove e i nostri contadini sono in ginocchio. Il cibo è acquistato a prezzi agevolati grazie ad una tessera. E’ inutile avere abbondanza di generi alimentari quando a comprarli sono poche persone con disponibilità economiche e buona parte della popolazione non ce la fa ad andare avanti. In Iraq mancano le infrastrutture. Senza di queste non ci può essere ripresa e ricchezza diffusa. La situazione è difficile”.

Tenth Christian worship place attacked in Iraq in 12 days

By Baghdadhope

Yesterday afternoon in Mosul another booby-trapped car exploded in front of a Church.
It is the Chaldean Church of the Immaculate in Al-Shifa area in the eastern part of the city. Police, called for the presence of a suspicious car evacuated and encircled the area but security personnel was not able to prevent the explosion that damaged the external wall and some doors and windows. Only two persons lightly injured are reported by now.
The Chaldean Church of the Immaculate had already been attacked on December 7 2004 when, according to Father Ragheed Ghanni (killed with three subdiacons on June 3 2007) gunmen rushed into the contiguous episcopal palace, forced people out and placed the bombs that partially destroyed it.

Decimo luogo di culto cristiano attaccato in Iraq in dodici giorni



By Baghdadhope

Ieri pomeriggio a Mosul un’altra autobomba è scoppiata davanti ad una chiesa. Si è trattato questa volta della Chiesa Caldea dell’Immacolata nel quartiere di Al-Shifa, nella parte orientale della città. La polizia, avvertita della presenza di un’auto sospetta, aveva fortunatamente fatto evacuare e circondato la zona, ma gli artificieri non hanno fatto in tempo a disinnescare l’ordigno che ha causato danni al muro esterno ed a porte e finestre dell’edificio. Fortunatamente non ci sono state vittime ma solo due feriti lievi.
La chiesa caldea dell’Immacolata di Mosul era già stata attaccata il 7 dicembre del 2004 quando, come allora riportato da Padre Ragheed Ghanni (ucciso a Mosul insieme a tre suddiaconi il 3 giugno 2007) uomini armati avevano fatto irruzione nell’attigua casa vescovile evacuando l’edificio ma piazzandovi delle cariche esplosive che lo avevano parzialmente distrutto.
Quella volta, fortunatamente le esplosioni avevano risparmiato la chiesa dell’Immacolata la cui parte più antica, che giace a tre metri sotto terra, risale al VII secolo, e la cui parte più recente e fuori terra data al 1744. Una chiesa sovrastata da una statua della Vergine, ornata da un preziosissimo Sancta Sanctorum di marmo finemente scolpito, e che è sempre stata cara anche ai musulmani che riconoscono a Maria l’importanza a Lei riservata anche dal Corano

L’attacco di ieri segue di soli undici giorni quelli che il 6 gennaio hanno colpito a Mosul le
chiese caldee di Saint Paul e dello Spirito Santo, il monastero delle Suore Domenicane e l’orfanotrofrio gestito dalle Suore Caldee, ed a Baghdad la chiesa greco ortodossa di Saint George e quelle caldee di Mar Ghorghis e di Saint Paul; e quelli che il 9 gennaio hanno colpito a Kirkuk la chiesa caldea del Sacro Cuore e quella siro ortodossa di Mar Ephrem.

16 gennaio 2008

Today is the last day of the “Nineveh fast time”

By Baghdadhope

Despite the declarations about an Iraq near to normalization, little must have changed if, has he had already done in December 2006, the Patriarch of Babylon of the Chaldeans, Cardinal Emmanuel III Delly, asked, by a declaration to
Ishtar TV, to all Iraqis, and not only to Christian ones, to pray for “peace, security and stability”
The request has been made in occasion of the three days that the Chaldean Church, and in general the churches of oriental rites, dedicate to repentance: the “Nineveh fast time” or Ba-oota d' Ninevayee, in remembrance of the convertion to God of the inhabitants of Nineveh following the preaching of the Prophet Jonak.
The celebrations, that began on Monday and will end tonight, have been characterized by the request to God for peace for all Iraq and its Christian minority, still shocked by the recent attacks that in three days hit 9 places of worship in Baghdad, Mosul and Kirkuk.
As referred to Baghdadhope, peace has been invoked in Kirkuk in the Sacred Heart Chaldean Church, the same attacked last week, where the people has been invited not to loose the hope of a living “in our country, Iraq, and in our loved city, Kirkuk.”
In Ankawa, where, according to the parish priest of Mar Qardagh Chaldean Church, Father Rayan P. Atto, people found the signs of hope non only in prayers but also in the baptims, during the first day of the celebrations, of 4 babies,
“real signs of our future.”
“Nineveh fast time” has been celebrated not only in Iraq, but also by the different Chaldean communities in the world. So it has been, for example, as referred to Baghdadhope by a Chaldean priest in Germany, Father Sami Al Rais, in the cities of Bonn, Cologne, Essen and Münchengladbach where even if it was impossible to celebrate the rite according to the ancient liturgy because of the absence of subdiacons, prayers and hymns underlined
“the importance of repentance and the hope in the Divine work”

To listen to some of the prayers of the second day of “Nineveh fast time” celebration in St. Peter Chaldean Church in California click
here

To understand the meaning and the history of this liturgical tradition read the article written by Fr. Andrew Younan for Sawra magazine as published by Kaldu.org website click here.

Finisce oggi il "Digiuno di Ninive"

By Baghdadhope

Malgrado i proclami che vogliono un Iraq in corso di normalizzazione, poco deve essere in realtà cambiato se, come già aveva fatto a dicembre 2006, il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Mar Emmanuel III Delly, ha chiesto, in una dichiarazione resa ad
Ishtar TV, a tutti gli iracheni, e non solo ai cristiani, di pregare per la “pace, la sicurezza e la stabilità.”
La richiesta è stata fatta in occasione dei tre giorni che la chiesa caldea, ed in generale le chiese di rito orientale, dedicano al pentimento con il “Digiuno di Ninive” o Ba-oota d' Ninevayee, in ricordo della conversione a Dio degli abitanti di Ninive a seguito della predicazione del profeta Giona.
Le celebrazioni, iniziate lunedì e che termineranno questa sera, sono state ovunque caratterizzate dalla richiesta a Dio della pace per tutto l’Iraq e per la sua componente cristiana, ancora provata dai recenti attentati che in tre giorni hanno colpito ben 9 luoghi di culto a Baghdad, Mosul e Kirkuk.
Così, come riferito a Baghdadhope, la pace è stata invocata dai fedeli a Kirkuk proprio nella chiesa caldea del Sacro Cuore, colpita la scorsa settimana, dove i fedeli sono stati invitati a non perdere la speranza di una vita “nella cara terra d’Iraq e nella nostra amata Kirkuk.”
Ad Ankawa, dove, secondo le parole del sacerdote della chiesa caldea di Mar Qardagh, Padre Rayan P. Atto, i fedeli hanno trovato i segni della speranza non solo nel conforto della preghiera ma anche, durante la prima giornata delle celebrazioni, nel battesimo di quattro bambini “veri segni del nostro futuro.” Il Digiuno di Ninive però non è stato celebrato solo in Iraq ma anche dalle varie comunità caldee nel mondo. Così ad esempio è stato, sempre come riferito a Baghdadhope dal sacerdote in Germania, Padre Sami Al Rais, nelle città di Bonn, Colonia, Essen e Münchengladbach dove se l’assenza di suddiaconi non ha permesso lo svolgimento dell’intero rito secondo l’antichissima liturgia non sono mancate le preghiere e gli inni a rimarcare “l’importanza del pentimento e la speranza nell’opera divina.”

Per chi volesse ascoltare alcune delle preghiere che caratterizzano le celebrazioni del “Digiuno di Ninive” come salmodiate nella giornata di ieri nella cattedrale caldea di San Pietro in California cliccare
qui

Per meglio capire il significato e la storia di questa tradizione liturgica leggi il post: “I caldei celebrano il “Digiuno di Ninive” o leggi l’articolo scritto per la rivista Sawra e riportata dal sito Kaldu.org da Padre Andrew Younan e tradotta ed adattata da Baghdahope cliccando su “Leggi tutto”
Implorare la misericordia:Ba’utha of the Ninevites
by: Padre Andrew Younan

I tre giorni di penitenza del periodo di Ba’utha d-Ninwaye, o “Supplica degli abitanti di Ninive” commemorano la visita del profeta Giona alla città di Ninive ed il pentimento della stessa città davanti a Dio, così come descritto nel libro di Giona. La relazione tra la nostra chiesa e la storia narrata è reale dato che l’antica città di Ninive era vicina a quella che è oggi la città di Mosul, attorno alla quale si trovano molti villaggi caldei.

Cecità
Ancora più forte è però la relazione spirituale tra noi e la gente descritta nella storia, una relazione universale perchè non erano solo gli abitanti di Ninive a doversi pentire dei propri peccati, ma tutti noi, tutta l’umanità.
Le somiglianze però non finiscono qui, la gente di Ninive descritta nella storia era così immersa nei propri peccati da non vederli più, da non capire che ciò che facevano era sbagliato. Questo è uno dei più amari frutti del peccato: la cecità spirituale. Quasi sempre i santi furono i primi ad ammettere il loro essere peccatori, e quasi sempre coloro che si definiscono “brave persone" sono i peggiori peccatori. Coloro che riconoscono i propri peccati ed umilmente li confessano sono più vicini a Dio di coloro che li ignorano, che chiudono gli occhi di fronte alle proprie colpe e pretendono di essere perfetti. E’ sempre stato un santo a dire semplicemente “sono un peccatore che ha bisogno della pietà di Dio” ed è sempre stato un peccatore a dire “Sono una brava persona e quindi ...”

Perdono
Questo è il tempo del vero pentimento, non quello vuoto delle parole, ma quello della vera consapevolezza della nostra debolezza e della nostra totale dipendenza da Dio. Noi non meritiamo nulla da Lui, ed Egli non ci deve nulla perchè già tutto ci ha dato. Ma grazie alla Sua misericordia, e non ai nostri meriti, Egli ci ama e sceglie sempre di perdonare i nostri peccati attraverso il prezioso sangue di Suo Figlio.
Tra le domande più ridicole che si possono fare c’è: “Perchè dobbiamo confessarci?”
Il Sacramento della Confessione è, per prima cosa, dato da Cristo per il bene della Chiesa (Giovanni 20:23) ed è strano pensare che Cristo ci abbia dato qualcosa di cui non abbiamo bisogno. Oltre a ciò la Confessione è uno dei più grandi favori che Dio ci ha fatto! Com’è sublime e bello poter esprimere il nostro pentimento in modo umano ma anche sacramentale! Che opportunità per noi di crescere più vicini a Dio! La questione che ogni persona saggia dovrebbe porre non è quindi “perchè devo confessarmi” ma “come posso non farlo?” Come posso non godere di questa grazia enorme? Come posso allontanare la mano di Dio che ci viene porta per aiutarci in modo così misericordioso?

Implorare la misericordia

Lunedi, martedi e mercoledi di questa settimana (Gennaio 14-16) ci viene chiesto di digiunare fino a mezzogiorno e di non mangiare carne nel resto della giornata. Questo è un atto di pentimento, di umiltà, di obbedienza e di solidarietà con la Chiesa Caldea nel mondo, ma non è un atto fine a se stesso.
La ragione del digiuno come atto esteriore è il pentimento interiore nella Grazia di Dio che attraverso esso ci viene data. Apriamo il nostro cuore ed usciamo dall’isolamento. Insieme, come la gente di Ninive, guardiamo alla profondità delle nostre debolezze e, con lacrime ed umiltà, volgiamoci a Dio con tutto il nostro cuore.



15 gennaio 2008

Il Gran Muftì al Parlamento: siamo un'unica civiltà, no alle guerre di religione

Fonte: Europarlamento

Grand Mufti of Syria: a single culture unites us all

Gran Mufti de Siria: "todos constituimos una única civilización, pero nuestras culturas son diferentes"

Grande Mufti da Síria no Parlamento Europeu: "Não há guerras santas"

Grand Mufti de Syrie : "Une civilisation humaine et des cultures"



Aprendo la seduta solenne, il Presidente Hans-Gert PÖTTERING si è detto onorato e felice di poter accogliere in Aula il Gran Muftì di Siria nell'ambito delle iniziative indette per l'Anno europeo del dialogo interculturale. Anno, ha sottolineato il Presidente, a cui il Parlamento europeo attribuisce «grande importanza». Si è infatti detto convinto che la convivenza pacifica di culture e religioni, nell'UE e nel resto del mondo, «è possibile e necessaria».
A suo parere occorre creare un ponte con l'altra sponda del Mediterraneo attraverso un dialogo costante e aperto che aiuti la comprensione reciproca. Il nucleo di questo dialogo, ha spiegato il Presidente, «è la tolleranza». Questa consiste nel poter esprimere le proprie opinioni, rispettando quelle degli altri. Nel sottolineare poi l'importanza dei valori comuni, come la dignità della persona e i diritti umani, il Presidente ha affermato che il Gran Muftì «è un sostenitore illustre dei diritti umani» e proviene da un paese, la Siria, in cui «diverse religioni vivono in pace». Prova ne è, ha concluso, che è venuto accompagnato dal Vescovo cattolico della Chiesa caldea Antoine Odo.

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Prima di prendere la parola, il Gran Muftì Ahmad Badr Al-Din HASSOUN ha stretto la mano al Vescovo e, alzando insieme le braccia hanno salutato l'Aula. Il Gran Muftì ha esordito salutando i deputati «nel nome del nostro Creatore che col suo spirito ci consente di vivere», aggiungendo che «siamo tutti creature di Dio, fratelli su questa terra». Ha poi sottolineato di essere originario della Siria per «volontà del cielo» e che Siria, Palestina, Libano, Israele e Giordania sono una «terra benedetta» da dove provengono Abramo, Gesù - «sia con lui la pace di Dio» - e Maometto. Il Gran Muftì si è detto particolarmente lieto di essere stato invitato a parlare di culture e non delle civiltà. Infatti, la civiltà umana è unica, costruita dall'uomo, ed è arricchita dalla molteplicità delle culture, per questo non si può parlare di «scontro di civiltà». La civiltà, ha proseguito, non si costruisce isolatamente «è una creazione collettiva»: coloro che hanno costruito le piramidi sono parte della nostra stessa civiltà, che poi si esprime in diverse culture e religioni. Queste, al contrario della civiltà, sono create da Dio. «Siamo tutti fratelli», ha proseguito, a prescindere dalla religione o dalla lingua. Bisogna quindi evitare che i giovani pensino «che "l'altro" sia un animale». Abramo, Mosé e Maometto provengono da un'unica religione e se la sharia, la legge, evolve col tempo ed è possibile che siamo diversi, «abbiamo un unico Dio cui siamo sottomessi, un'unica religione». «Non ci sarà una guerra Santa, perché non ci sono guerre sante; è la pace a essere Santa». Occorre quindi insegnare ai nostri figli, nelle scuole, nei templi, nelle chiese e nelle moschee, «che ciò che è veramente Santo è l'essere umano» e «i figli valgono tutti i luoghi santi del mondo». «Sia quindi maledetto colui che distrugge l'uomo, poiché mentre chiese e templi possono essere ricostruiti, non è possibile rendere la vita a chi è stato ucciso». Il Gran Muftì ha quindi rivolto un appello affinché la civiltà «non poggi su basi religiose, ma umane». La Terra, ha proseguito, «ha bisogno di pace» e non è possibile obbligare chiunque a adottare la propria religione. Facendo riferimento alla situazione in Palestina e agli appelli per la pace nella regione rivolti dal Papa, ha poi affermato che «se musulmani ed ebrei andassero nelle stesse scuole, vivrebbero in pace». Nel sottolineare poi le parole pacifiste del Presidente siriano Assad, ha affermato che «il vero vincitore è colui che porta l'altro ad essere suo fratello». Ha quindi sostenuto che «tutti - ebrei, cristiani, musulmani e laici - viviamo come un'unica famiglia, in un'unica casa». Nell'esortare gli eurodeputati - «rappresentanti il mondo intero» - a difendere la causa della pace e del diritto, ha aggiunto che «il mondo musulmano non può che aspirare alla pace». Nonostante «le ingiustizie che hanno creato tensione e estremismo ... la religione non permette di uccidere, poiché deve portare pace e felicità». Per il Gran Muftì, inoltre, «sono gli uomini ad opprimere e non le religioni». Ha poi sottolineato che Strasburgo «è simbolo della pace» e «il miracolo del XX secolo è l'Europa», che dopo aver conosciuto due guerre mondiali ed aver abbattuto il muro di Berlino senza versare una goccia di sangue, «si è riunificata». Il Gran Muftì ha quindi concluso invitando i parlamentari a tenere una seduta a Damasco, che quest'anno è Capitale della cultura araba. Si è quindi congedato invocando «la pace di Dio» sui deputati. L'Aula gli ha tributato un caloroso applauso.14/01/2008Seduta solenne - Allocuzione di Ahmad Badr El Din El Hassoun, Gran Muftì della Siria15.1.2008