Photo by Ryan McGuire
“Baghdad ha perduto la sua bellezza e non ne è rimasto che il nome.
Rispetto a ciò che essa era un tempo, prima che gli eventi la colpissero e gli occhi delle calamità si rivolgessero a lei, essa non è più che una traccia annullata, o una sembianza di emergente fantasma.”
Ibn Battuta
"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."
Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014
Baghdad, 19 luglio 2014
28 luglio 2022
Iraq: card. Sako (patriarca caldeo), “sull’esempio del Papa in Canada anche autorità musulmane chiedano perdono ai cristiani per le sofferenze inflitte loro”
27 luglio 2022
Papa Francesco in Canada si è scusato a nome della Chiesa cattolica per gli abusi commessi da membri della Chiesa tra Ottocento e Novecento nei confronti dei popoli indigeni portati avanti nelle Indian Residential Schools, i collegi per indigeni istituiti dal Governo e gestiti in gran parte dalla Chiesa cattolica. In questi istituti i bambini, che vivevano in condizioni di estremo disagio, subivano violenze fisiche e psicologiche.
“Io spero che questo esempio possa servire anche alle autorità musulmane a capire e a chiedere perdono per tutta la sofferenza inflitta ai cristiani. Pensiamo a Isis o Daesh che al loro arrivo hanno ucciso tanti cristiani e obbligato alla conversione all’Islam. Perdono: un gesto utile per sensibilizzare i loro fedeli in questa direzione”: è quanto dichiara al Sir il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, commentando la richiesta di perdono del Papa agli indigeni del Canada. “Non solo la Chiesa è chiamata a chiedere perdono”, aggiunge il patriarca, per il quale “è indispensabile allevare i nostri figli nella cultura delle scuse, del chiedere perdono, affinare il loro carattere e educarli a correggere l’errore quando esiste”.
Purtroppo, ammette il cardinale, richiamandosi ad una nota intitolata “Riflessioni sulla cultura del chiedere perdono”, diffusa da poco dal Patriarcato caldeo, “nelle altre istituzioni politiche non si trova una cultura delle scuse. Nella nostra società orientale, che si basa sull’autorità incarnata dalla leadership e dallo sceicco, la cultura del perdono è quasi assente. Le scuse – spiega Mar Sako – contraddicono la mia dignità, il mio destino e il mio orgoglio. Ammettere un errore e chiedere scusa, invece, non è una debolezza, ma una forza, una virtù e aumenta il rispetto della persona. Chiedere perdono rimuove la tensione, esprime conoscenza di sé e coraggio, apre la strada all’amicizia e alla fiducia. Chiedere scusa è l’arte di vivere insieme in pace, felicità ed equilibrio, ed è una delle componenti di una vita condivisa. Chiedere perdono esprime il desiderio di correggere i nostri errori”. Da qui l’auspicio che anche le autorità religiose musulmane possano “scusarsi per la violenza praticata contro i cristiani indigeni della terra e così facendo rassicurarli”.
“Io spero che questo esempio possa servire anche alle autorità musulmane a capire e a chiedere perdono per tutta la sofferenza inflitta ai cristiani. Pensiamo a Isis o Daesh che al loro arrivo hanno ucciso tanti cristiani e obbligato alla conversione all’Islam. Perdono: un gesto utile per sensibilizzare i loro fedeli in questa direzione”: è quanto dichiara al Sir il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, commentando la richiesta di perdono del Papa agli indigeni del Canada. “Non solo la Chiesa è chiamata a chiedere perdono”, aggiunge il patriarca, per il quale “è indispensabile allevare i nostri figli nella cultura delle scuse, del chiedere perdono, affinare il loro carattere e educarli a correggere l’errore quando esiste”.
Purtroppo, ammette il cardinale, richiamandosi ad una nota intitolata “Riflessioni sulla cultura del chiedere perdono”, diffusa da poco dal Patriarcato caldeo, “nelle altre istituzioni politiche non si trova una cultura delle scuse. Nella nostra società orientale, che si basa sull’autorità incarnata dalla leadership e dallo sceicco, la cultura del perdono è quasi assente. Le scuse – spiega Mar Sako – contraddicono la mia dignità, il mio destino e il mio orgoglio. Ammettere un errore e chiedere scusa, invece, non è una debolezza, ma una forza, una virtù e aumenta il rispetto della persona. Chiedere perdono rimuove la tensione, esprime conoscenza di sé e coraggio, apre la strada all’amicizia e alla fiducia. Chiedere scusa è l’arte di vivere insieme in pace, felicità ed equilibrio, ed è una delle componenti di una vita condivisa. Chiedere perdono esprime il desiderio di correggere i nostri errori”. Da qui l’auspicio che anche le autorità religiose musulmane possano “scusarsi per la violenza praticata contro i cristiani indigeni della terra e così facendo rassicurarli”.
26 luglio 2022
Iraqi Christian Mother Separated from Family
By Missions Box
July 25, 2022
When Islamic State captured the Christian-majority city of Qaraqosh, Iraq, Sana and her family were trapped in their home for almost three weeks. When they were discovered, Sana and her daughter were separated from Sana’s husband and two sons. Sana never saw them again. But Sana has not given up on God.
“We were sleeping and we heard a sound in the morning – the sound of people saying that Qaraqosh was theirs.”
It was August 2014 when Islamic state captured the Christian-majority city of Qaraqosh in Northern Iraq. Trapped in their home Sana and her family stayed in hiding for almost three weeks.
“We were all in one room. We wouldn’t leave one another. We would sit together. We prayer there, ate there, did everything there. We would even sit in the dark and use only a lighter, fearful that they would find us. It was scary. At night we heard them breaking down doors and we heard talking. And we expected them to enter our house at any time. We heard shelling and machine guns. And they knocked on our door at 11pm.”
When the family was found, they were told to leave the city because they were Christians. They were to go to a meeting point one morning and wait for a bus.
“We went there and all of them were wearing black. We were scared of them because they were all carrying weapons. We were sitting together and we were chatting like we always do. Later on they said: ‘No, the men and women should be separated.’ I got on the bus. I asked: ‘Please where are you taking my husband?’
“One of them put a gun to my head and said: ‘Shut up or I’ll shoot you in the head.’ So I sat down. They said that the men would follow in another bus. But that’s the last time I saw them.”
Even after the liberation of Qaraqosh, Sana heard no more about the whereabouts of her husband and two sons. She and her daughter Tania now live alone. But despite everything, Sana has kept hold of her faith in God.
“Our life is not easy. We are not good, not comfortable. We don’t have a man in the house: just me and my daughter. When people see us they ask why we are by ourselves. They are not used to women living alone. Praise God, my faith in God is so big. And I believe that they will come back. They will come back God willing. Praise be to God.”
Mons. Moussa: la difficile rinascita di Mosul, dopo l’incubo jihadista
By Asia News
Dario Salvi
Un percorso difficile, una situazione complessa che a volte non è esagerato definire “un incubo”, una ricostruzione che fatica a decollare e la lotta all’ideologia estremista che pervade ancora alcuni ambiti della società.
Così il domenicano mons. Michaeel Najeeb Moussa, dal gennaio 2019 arcivescovo di Mosul, descrive ad AsiaNews la metropoli del nord dell’Iraq in questi giorni in cui, otto anni fa, iniziava la grande fuga dei cristiani per l’avanzata delle milizie dello Stato islamico (SI, ex Isis). Una escalation di morte e distruzione, durata oltre tre anni e conclusa con la liberazione in seguito all’offensiva sferrata dall’esercito iracheno, sostenuto dalle truppe statunitensi. Il percorso di ripresa è iniziato, ma è un cammino lungo e faticoso, ricco di sfide anche e soprattutto per la comunità cristiana, una componente originaria della regione ma ridotta oggi a una sparuta minoranza come racconta il presule.
Un percorso difficile, una situazione complessa che a volte non è esagerato definire “un incubo”, una ricostruzione che fatica a decollare e la lotta all’ideologia estremista che pervade ancora alcuni ambiti della società.
Così il domenicano mons. Michaeel Najeeb Moussa, dal gennaio 2019 arcivescovo di Mosul, descrive ad AsiaNews la metropoli del nord dell’Iraq in questi giorni in cui, otto anni fa, iniziava la grande fuga dei cristiani per l’avanzata delle milizie dello Stato islamico (SI, ex Isis). Una escalation di morte e distruzione, durata oltre tre anni e conclusa con la liberazione in seguito all’offensiva sferrata dall’esercito iracheno, sostenuto dalle truppe statunitensi. Il percorso di ripresa è iniziato, ma è un cammino lungo e faticoso, ricco di sfide anche e soprattutto per la comunità cristiana, una componente originaria della regione ma ridotta oggi a una sparuta minoranza come racconta il presule.
Un vero incubo
“A otto anni dall’invasione delle truppe dello Stato islamico a Mosul, Sinjar e nella piana di Ninive - sottolinea mons. Moussa - l’Iraq per noi oggi resta un vero incubo. I jihadisti che marciavano al grido ‘Allah Akhbar’ sono stati sterminati, le loro bandiere bruciate, ma il fantasma della loro ideologia razzista resta ancorato nella mente di una parte della società, soprattutto fra le persone meno acculturate”. L’ascesa di Daesh [acronimo arabo per l’Isis] è coincisa con uno dei tanti segni dell’infamia, le case dei cristiani marchiate con la lettere “N” (Noun in arabo) ad indicare “nazareno”. “Una espressione - prosegue il prelato - oggi umiliante, utilizzata nel Corano per indicare gli ‘eretici’ cristiani nella Penisola araba”. Certo l’approccio estremista e radicale non contraddistingue tutta la società “e i musulmani più illuminati respingono questi gesti barbari di Daesh commessi contro i cristiani, gli yazidi e persino i musulmani di ispirazione diversa”. Ciononostante, aggiunge il vescovo, “questa lettera fonte di umiliazione” si è trasformata negli anni “in un segno di orgoglio e di gloria per noi, posizionando una croce nel mezzo della lettera”.
Parole che ricordano le profonde sofferenze e le ferite che hanno caratterizzato la storia recente dell’Iraq, e che assumono ancora più valore nell’anniversario dell’ascesa del califfato. Un dominio durato fino all’estate del 2017 e perpetrato con la violenza, le esecuzioni nella pubblica piazza, i sequestri e il terrore, oltre alla devastazione di luoghi simbolo come la moschea di al-Nouri e la chiesa di Al-Saa (Nostra Signora dell’Ora). Due luoghi di culto, musulmano e cristiano, che oggi si sono trasformati in simbolo di rinascita grazie a un progetto di ricostruzione finanziato dall’Unesco e dagli Emirati Arabi Uniti, all’interno del programma denominato “Ravvivare lo spirito di Mosul ricostruendo i suoi monumenti storici”.
Lenta rinascita
“Il ritorno dei cristiani a Mosul - racconta l’arcivescovo, che da qualche tempo risiede in modo permanente in città - resta minimo e timido. Perché la corruzione è ben consolidata nel governo, che finisce per non sostenere i suoi cittadini. Mancano le occasioni di lavoro, le infrastrutture sono degradate, il 60% delle case restano tuttora danneggiate, sono 28 le chiese distrutte, di cui solo due operative grazie allo sforzo delle ong che si occupano anche della ristrutturazione delle case oggi agibili, in grado di ospitare le 56 famiglie cristiane che hanno deciso di tornare dando prova di grande coraggio, sotto la guida di un sacerdote e di un solo vescovo. Conventi e monasteri, tre dei quali risalgono al quinto e al sesto secolo, risultano ancora fatiscenti e in macerie”.
Mons. Moussa conosce bene la realtà di Mosul, essendovi nato nel 1955 mentre l’ordinazione sacerdotale è del 1987. Ha conseguito un master in Teologia cattolica e, a partire dal 1990, ha ricoperto la carica di direttore del Centro digitale dei manoscritti orientali della città, curando la conservazione e la digitalizzazione di oltre 800 manoscritti antichi in aramaico, arabo e altre lingue, di migliaia di libri e di lettere secolari. Di fronte all’avanzata delle milizie del Califfato, il presule si è visto costretto a fuggire prima nella piana di Ninive, poi verso il Kurdistan iracheno come decine di migliaia di cristiani. Ed è stata proprio la sua tenacia nel salvare questo patrimonio culturale dalla follia jihadista, che gli è valsa la nomina al premio Sakharov 2020. Archiviata l’inaugurazione dell’arcivescovado, l’obiettivo è quello di ricostruire il tessuto sociale, anche se il percorso resta lungo e complicato.
Segni di speranza
La visita di papa Francesco nel marzo 2021 ha segnato una tappa fondamentale per la città, perché ha saputo mostrare germogli di rinascita, impensabili fino a qualche anno fa. L’anziano pontefice che si inchina e chiede perdono a Dio per le violenze scatenate nella piazza delle quattro chiese a Mosul; la partecipazione corale di musulmani, cristiani, yazidi e sabei, vestiti a festa, loro, sopravvissuti allo sradicamento; le mura sbrecciate delle chiese in ricostruzione, di cui si benedice il monumento ai martiri e ai morti per la furia omicida sono stati segni e gesti simbolici carichi di significato. Semi di speranza, conferma il vescovo, che si riflettono in alcune iniziative che uniscono tutte le anime della città.
“Si sta instaurando una aspettativa diversa, e positiva - prosegue mons. Moussa - fra le diverse comunità, perché la ferocia di Daesh ha innescato una reazione dei cittadini contro le violenze e il settarismo. Tutti lavorano fianco a fianco per ricostruire o ripristinare gradualmente le abitazioni, come esempio fra i tanti di solidarietà, grazie anche ad associazioni e organizzazioni non governative” presenti sul territorio.
“Si sta instaurando una aspettativa diversa, e positiva - prosegue mons. Moussa - fra le diverse comunità, perché la ferocia di Daesh ha innescato una reazione dei cittadini contro le violenze e il settarismo. Tutti lavorano fianco a fianco per ricostruire o ripristinare gradualmente le abitazioni, come esempio fra i tanti di solidarietà, grazie anche ad associazioni e organizzazioni non governative” presenti sul territorio.
L’arcivescovo di Mosul conclude con una riflessione sulla propria missione “di sopravvissuto a Daesh” come suole definirsi, e le prospettive future.
“Sono nato a Mosul, quindi non posso essere al servizio solo dei cristiani. Il vescovo è un uomo di pace e di riconciliazione, un costruttore di ponti fra le persone e le diverse comunità. Fra i nostri amici, i fedeli musulmani sono più numerosi degli stessi cristiani, ci aiutano nei vari progetti ristrutturando le chiese, partecipando alle attività e alle celebrazioni, con cuore aperto e desiderio di condivisione. Nonostante le difficoltà, i cristiani restano una realtà forte e unita, vogliono rimanere in questo Paese martirizzato, testimoni di Cristo sulla terra. Attraverso l’educazione - conclude mons. Moussa - possiamo combattere l’ignoranza e attraverso la buona volontà e la tenacia possiamo fermare l’odio e l’acrimonia dei fanatici”.
“Sono nato a Mosul, quindi non posso essere al servizio solo dei cristiani. Il vescovo è un uomo di pace e di riconciliazione, un costruttore di ponti fra le persone e le diverse comunità. Fra i nostri amici, i fedeli musulmani sono più numerosi degli stessi cristiani, ci aiutano nei vari progetti ristrutturando le chiese, partecipando alle attività e alle celebrazioni, con cuore aperto e desiderio di condivisione. Nonostante le difficoltà, i cristiani restano una realtà forte e unita, vogliono rimanere in questo Paese martirizzato, testimoni di Cristo sulla terra. Attraverso l’educazione - conclude mons. Moussa - possiamo combattere l’ignoranza e attraverso la buona volontà e la tenacia possiamo fermare l’odio e l’acrimonia dei fanatici”.
24 luglio 2022
Prime Minister Mustafa Al-Kadhimi Receives Cardinal Louis Sako Patriarch of the Chaldean Catholic Church in Iraq and the world
Photo Chaldean Patriarchate |
During the meeting, the Prime Minister reiterated that peaceful coexistence among the Iraqi people is the mainstay of civil peace and the basis of ideal citizenship that supports the security, well-being of Iraqis, and the stability of their livelihood.
His Excellency the Prime Minister added that the Iraqi Christian denomination represents the cultural heritage and the historical extension of the inhabitants of Mesopotamia and that the firm brotherhood among the sons of Iraq is the goal, the end, and the foundation for all Iraqis, and that diversity is a social wealth that increases the strength of our people in various fields.
The Prime Minister directed to facilitate and follow up on several issues and needs that were raised and discussed during the meeting.
Kurdistan, p. Samir: ‘Noi ostaggi della guerra di Erdogan al Pkk’
By Asia News
Giorgio Bernardelli
“Erdogan cerca di far fare pace a Ucraina e Russia e poi bombarda la nostra gente qui in Iraq…”. Dal Kurdistan iracheno è un racconto amaro quello di p. Samir Youssef, parroco di Enishke nella diocesi di Amadiya. Un amico di AsiaNews che da anni sosteniamo per quanto la sua parrocchia continua a fare per i profughi cristiani scappati ormai otto anni fa da Mosul sotto la minaccia dell’Isis e che in gran numero vivono ancora su queste montagne. Ma la sua parrocchia si trova anche molto vicina al confine tra la Turchia e l'Iraq, dove da mesi imperversa la nuova offensiva della guerra di Erdogan alle milizie curde del Pkk, e ad appena un’ora d’auto da Zakho, teatro mercoledì della strage sui turisti al parco di un resort che ha provocato 9 morti tra cui tre bambine, una delle quali di soli 11 mesi.
“Sono zone molto belle, ci sono fiumi e cascate su queste montagne - racconta p. Samir -. Durante la pandemia il turismo era rimasto bloccato, ma da alcuni mesi la situazione era cambiata. Soprattutto in questi ultimi giorni con la festa dell’Eid erano arrivate migliaia di persone. Iracheni giunti dal sud, da Baghdad e Bassora, per sfuggire al caldo che anche qui è particolarmente intenso in queste settimane. E poi anche dall’estero: arabi del Golfo. Adesso in 9 sono tornati a casa cadaveri e non c’è più nessuno”.
La zona della strage non era mai stata colpita in precedenza. “Nei video diffusi - continua p. Samir - si sentono dei turisti che, vedendo il fumo arrivare dalle montagne, chiedono se è sicuro stare lì e le guide rispondono che il pericolo è solo più in alto, come sempre. Subito dopo, però, arrivano i colpi di artiglieria proprio in quel punto”. Le autorità irachene parlano di proiettili da 155 mm sparati dall’esercito turco, Ankara nega, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha chiesto una “indagine accurata”. Ma intanto sulle montagne sopra a Zakho negli ultimi due giorni si è comunque continuato a sparare, nonostante le vittime civili.
“I turchi bombardano ovunque sulle nostre montagne - commenta il sacerdote caldeo -. Ogni settimana abbiamo due, tre, dieci persone che muoiono: è successo anche nel nostro distretto di Amadiya. Le milizie del Pkk si muovono su queste montagne con le loro auto senza targa, scendono nei villaggi per rifornirsi di cibo. E per colpirli i turchi non si preoccupano della presenza dei civili. Una volta stavo tornando dopo aver celebrato la Messa in un villaggio e alcuni miliziani del Pkk hanno fermato armati la mia auto. Mi hanno obbligato a farli salire per portarli ad acquistare cibo. Durante quei dieci minuti di tragitto ho pregato 40 o 50 Ave Marie: mi tremavano le gambe perché in cielo ci sono sempre gli aerei e i droni turchi che volano per cercarli. Se ci avessero individuati ci avrebbero sicuramente bombardati. Un’altra volta li hanno colpiti a una stazione di benzina dove ero da poco transitato: quando sono tornato non c’era più nemmeno la strada”.
La debolezza delle istituzioni irachene - aggravata oggi dalla lotta di potere interna agli sciiti tra il movimento di Moqtada al Sadr e i filo-iraniani dell’ex premier Nouri al Maliki - non aiuta certo ad affrontare il problema.
“Oggi tutti in Iraq stanno condannando la Turchia per l’attacco - racconta p. Samir -. Ma che cosa è stato fatto finora? Ai tempi di Saddam Ankara non poteva fare nulla qui. Poi nel 1991 è arrivata la seconda Guerra del Golfo, con gli Stati Uniti che, in cambio della possibilità di utilizzare la base aerea di Incirlik, hanno permesso all’esercito turco di entrare in Kurdistan con proprie basi. Il risultato è la situazione di oggi. Con i più i problemi sulla gestione dell’acqua: la Turchia ha costruito quattro dighe enormi che stanno prosciugando il Tigri e l’Eufrate. Non dico certo che rimpiangiamo Saddam - precisa il sacerdote iracheno - ma Ankara va fermata”.
Pur tra mille difficoltà l’attività della parrocchia di Enishke va comunque avanti: “Abbiamo ancora tanti problemi con l’elettricità che va e viene - spiega p. Samir -. E poi anche qui si sentono le conseguenze della guerra in Ucraina: i prezzi sono saliti alle stelle. Distribuiamo gli aiuti che abbiamo potuto comprare grazie alla sottoscrizione di AsiaNews. In queste settimane, poi, stiamo tenendo un campo estivo con i ragazzi e i catechisti nel nostro centro pastorale. Un segno di speranza per il futuro”.
21 luglio 2022
Bombardamenti sui turisti in Kurdistan, 9 morti tra cui un bambino di 1 anno
By Asia News
È di 9 morti tra cui anche un bambino di un anno il bilancio della strage avvenuta ieri nel parco di un resort di Zakho, nel Kurdistan iracheno, a pochi chilometri dal confine con la Turchia. Almeno cinque colpi d’artiglieria sono piovuti poco dopo mezzogiorno sulla località turistica quando erano arrivati da poco una ventina di pullman carichi di turisti. Oltre alle vittime - in gran parte famiglie salite sui monti del Kurdistan per una giornata di refrigerio dal caldo torrido - si registrano altri 26 feriti, tra cui molte donne e bambini in un eccidio che, proprio all’indomani del vertice di Teheran sulla Siria tra Putin, Raissi ed Erdogan, riporta in primo piano la guerra combattuta da mesi dall’esercito turco in territorio iracheno contro le basi delle milizie curde del Pkk.
Contro la Turchia le autorità irachene hanno immediatamente puntato il dito per la responsabilità di questa strage: da Baghdad il premier Mustafa al-Kadhimi ha avvertito che si riserva il "diritto di ritorsione", definendo il fuoco di artiglieria una "flagrante violazione" della sovranità.
Stessi toni dall’amministrazione locale curda, con il primo ministro Masrour Barzani che in una nota chiede un’inchiesta internazionale e ammonisce che “tutto questo deve finire”. Vi sono state anche proteste davanti ai consolati turchi in diverse città dell'Iraq. Baghdad ha richiamato il suo incaricato d'affari ad Ankara e convocato l'ambasciatore turco, chiedendo le scuse ufficiali della Turchia insieme al "ritiro delle sue forze armate da tutto il territorio iracheno". Ha anche annunciato che porterà la questione al Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Stessi toni dall’amministrazione locale curda, con il primo ministro Masrour Barzani che in una nota chiede un’inchiesta internazionale e ammonisce che “tutto questo deve finire”. Vi sono state anche proteste davanti ai consolati turchi in diverse città dell'Iraq. Baghdad ha richiamato il suo incaricato d'affari ad Ankara e convocato l'ambasciatore turco, chiedendo le scuse ufficiali della Turchia insieme al "ritiro delle sue forze armate da tutto il territorio iracheno". Ha anche annunciato che porterà la questione al Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Da parte sua Ankara ha replicato sostenendo che “questo tipo di attacchi” sono opera di “organizzazioni terroristiche” e che la Turchia nella sua campagna contro il Pkk tiene in considerazione “la salvaguardia dei civili e delle infrastrutture”.
Parole che si scontrano con l’evidenza di quanto accaduto in questi ultimi mesi ai confini tra la Turchia, la Siria e l’Iraq. Risale ad appena qualche settimana fa – per esempio – la notizia del raid dell’esercito turco contro il villaggio cristiano assiro di Tel Tamr, nel governatorato siriano di Hassaké, in un’area a maggioranza curda, con la distruzione di una chiesa che era già stata colpita nel 2015 dall’Isis.
Fonti locali in quell’occasione parlavano di pesanti danni alle abitazioni, investite dal “bombardamento indiscriminato”. Già nel novembre scorso, poi, AsiaNews raccontava dei bombardamenti sui villaggi curdi e cristiani delle montagne del Kurdistan iracheno che avevano portato la popolazione a riversarsi proprio verso le città di Zakho e Dohuk. Il fatto poi che a essere colpita a Zakho sia stata un’attrazione turistica indica chiaramente la volontà di minare la ripresa economica della regione, messa in ginocchio dalla pandemia e dal conflitto.
Fonti locali in quell’occasione parlavano di pesanti danni alle abitazioni, investite dal “bombardamento indiscriminato”. Già nel novembre scorso, poi, AsiaNews raccontava dei bombardamenti sui villaggi curdi e cristiani delle montagne del Kurdistan iracheno che avevano portato la popolazione a riversarsi proprio verso le città di Zakho e Dohuk. Il fatto poi che a essere colpita a Zakho sia stata un’attrazione turistica indica chiaramente la volontà di minare la ripresa economica della regione, messa in ginocchio dalla pandemia e dal conflitto.
20 luglio 2022
Warda: Ukraine war, inflation nags at Chaldeans’ recovery in northern Iraq
By Crux
If you were wondering, the war in Ukraine is having an adverse effect on the Chaldean Catholic community in northern Iraq, which itself went through spasms of violence eight years ago when an Islamic State terror campaign threatened to empty the region of its Christians.
If you were wondering, the war in Ukraine is having an adverse effect on the Chaldean Catholic community in northern Iraq, which itself went through spasms of violence eight years ago when an Islamic State terror campaign threatened to empty the region of its Christians.
Inflation is taking its toll, too.
“The prices of everything,” including food and gasoline, are “getting high,” said Archbishop Bashar Warda of Irbil, Iraq. “Everything is higher by 25%.”
Warda, in a July 18 phone interview with Catholic News Service from Brooklyn, New York, voiced his compassion for the Ukraine war’s victims, as Iraq’s Chaldean population had similarly suffered in 2014.
“Whenever there is a war, we are really hurt by all of the people who have been hurt because of the war, directly or indirectly,” he said.
“It’s really a tragedy. You see all of these images coming about the destruction, about the violence. Even here, people don’t go to the site of (a bombing) hit,” the archbishop said. “It brings back to us, the Christians in Iraq, all of the memories of the past wars as well.”
Warda added, “Every war has its consequences, either directly or indirectly. One is the inflation which affects all of the people.”
Nor has northern Iraq been spared the effects of COVID-19.
The archbishop told CNS it “had been quiet” for the first few months of the pandemic, but when the coronavirus hit the region in August 2020, it came “really hard,” he said.
Nor has northern Iraq been spared the effects of COVID-19.
The archbishop told CNS it “had been quiet” for the first few months of the pandemic, but when the coronavirus hit the region in August 2020, it came “really hard,” he said.
Warda himself was among those infected.
However, “when the vaccines started coming, people started getting (them),” he added. “We got special funds to help people who are in need of oxygen. … We have a team of doctors who volunteer to help in that project.”
Also, neighboring Afghanistan fell to the Taliban in August 2021.
Warda, 53, can remember when the Soviet army got into a quagmire there 40 years ago. He also recalls the renewed focus on Afghanistan in the wake of the 9/11 terror attacks on U.S. soil 21 years ago, which prompted a U.S. campaign to root out Osama bin Laden, believed to be hiding there.
Also, neighboring Afghanistan fell to the Taliban in August 2021.
Warda, 53, can remember when the Soviet army got into a quagmire there 40 years ago. He also recalls the renewed focus on Afghanistan in the wake of the 9/11 terror attacks on U.S. soil 21 years ago, which prompted a U.S. campaign to root out Osama bin Laden, believed to be hiding there.
“It’s a reminder that you are getting old,” Warda said.
He estimates the number of Chaldeans in Iraq at just shy of 300,000, not all of whom live in the northern part of the country.
“It’s really a very difficult question to answer. We say less than 300,000 Christians in Iraq, but we don’t have an accurate number. But that would be figuring the number that we start talking about,” Warda said.
“We have a few (returning) families — they came back because they were many years in Lebanon to be redeployed and didn’t get it, so they came back. Right now, because of the political instability in the region, it’s really making it not fully safe to come back.”
One key indicator of instability: There is no effective federal government in Iraq. “There is no government yet. This is not good. This is really not good because of the political dispute among the parties,” Warda said.
“What we’ve managed as a church is to stop this bleeding of people leaving. We were able to stop it for right now,” he said.
Another positive sign is the ongoing reconstruction effort in northern Iraq, he said.
The archbishop was in New York for talks with Aid to the Church in Need/USA about the future of Christianity in Iraq, determining what projects need funding most urgently.
ACN/USA has been a major funder of the rebuilding of Christian communities in northern Iraq in the wake of the Islamic State occupation of the region from 2014 to 2017.
“A good number of the houses have been renovated, thanks to the people. ACN is one of them and so many other people,” Warda said, including the Knights of Columbus in that group.
“USAID (U.S. Agency for International Development) is also coming back strongly, with schools and some facilities,” he added.
The goal, according to the archbishop, was to renovate houses for the people first, and then tend to churches wrecked by violence.
Churches in the Irbil area were not damaged by Islamic State attacks, Warda said. “Since 2014” — the year the ISIS campaign began — “I’ve consecrated two new parishes built in the area of Irbil,” he added.
Warda planned to be in the United States through Aug. 4 to visit friends as well as patrons and donors and to connect with Chaldeans in the country — including a four-day stopover in Detroit, home to a sizable Chaldean community.
19 luglio 2022
Sako, Romanowski discuss three files
July 18, 2022
Photo Chaldean Patriarchate |
The patriarchal media office said in a statement received by the Iraqi News Agency (INA), that "His Grace Cardinal Louis Raphael Sako received today, the US ambassador to Iraq, Alina Romanowski and the accompanying delegation," noting that "the meeting was attended by the patriarchal assistant, Archbishop Basilios Yaldo, and the secretary of the Patriarchate, Ikhlas Abed Gerges Makdissi."
It added, "Sako welcomed the visiting guest and wished her success in her diplomatic work for the good of Iraq in its sovereignty, security and stability," noting that "the importance of politicians shouldering their national and moral responsibilities in creating a comfortable atmosphere that accelerates the formation of a government, able to meet people's demands, and achieve their hopes, in addition to addressing religious freedom and the situation of Christians."
For her part, Ambassador Romanowski "thanked the Patriarch for receiving her."
15 luglio 2022
Ur: nasce un centro per dialogo interreligioso, aperto a tutte le fedi
By Asia News - Al-Araby Al-Jadeed
Il governo del governatorato di Dhi Qar, nel sud dell’Iraq, ha avviato l’opera di costruzione di un centro per il dialogo interreligioso, che comprende luoghi di culto per le fedi islamica, cristiana, ebraica e per i sabei. A questo si aggiungono una sala e un centro per il dialogo interreligioso, che sorgerà nei pressi dell’antica città di Ur, fra le più importanti aree archeologiche del Paese e legata alla figura di Abramo, il padre delle tre grandi religioni monoteiste.
Il governo del governatorato di Dhi Qar, nel sud dell’Iraq, ha avviato l’opera di costruzione di un centro per il dialogo interreligioso, che comprende luoghi di culto per le fedi islamica, cristiana, ebraica e per i sabei. A questo si aggiungono una sala e un centro per il dialogo interreligioso, che sorgerà nei pressi dell’antica città di Ur, fra le più importanti aree archeologiche del Paese e legata alla figura di Abramo, il padre delle tre grandi religioni monoteiste.
Ur e Najaf hanno rappresentato una tappa fondamentale del viaggio apostolico di papa Francesco in Iraq nel marzo 2021. Nell’incontro con l’ayatollah Ali al-Sistani e nella preghiera interreligiosa di Ur sono state poste le basi, secondo diversi osservatori e leader islamo-cristiani, per un Iraq fondato sulla convivenza, sul pluralismo, sulla pace e una visione multiculturale, capace di superare il fondamentalismo jihadista.
A raccontare la nascita del centro a Ur è il quotidiano pan-arabo Al-Araby Al-Jadeed (The New Arab), con base a Londra, secondo cui esso comprenderà luoghi di culto delle quattro religioni, e si estenderà su una superficie di oltre 10mila metri quadrati. Il progetto è parte di un programma per rilanciare e far rivivere l’antica città di Ur, nell’ambito di un piano più ampio promosso dal governo dopo la visita del pontefice nel Paese arabo.
Nel luglio dello scorso anno, il segretariato generale del Consiglio dei ministri iracheno ha annunciato l’approvazione di un centro per il dialogo interreligioso. In questi giorni il vice governatore di Dhi Qar Ghassan Al-Khafaji,, responsabile della pianificazione, ha confermato l’intenzione dell’amministrazione locale di concedere una licenza per la costruzione della prima chiesa, cui si affiancano opere di urbanistica e infrastrutture come acque, fognature e strade.
“Sono ancora in corso i lavori - sottolinea Al-Khafaji - per sviluppare un’area turistica nuova a Ur, accanto alla città antica, seguendo i parametri Unesco. E ne ha scelti quattro, il primo dei quali includerà un complesso per dialogo interreligioso, tra cui un sito di una chiesa, una moschea e una sala che collega le due aree, per essere il centro della città turistica”. Fonti cristiane auspicano che queste iniziative possano rafforzare la coesione fra fedeli di religioni diverse, uniti sotto la comune bandiera irachena.
Studiosi ed esperti definiscono questo progetto un modo per ricostruire dopo le devastazioni al patrimonio causate dalla guerra e dalle violenze confessionali, partendo proprio dai luoghi di culto. Per il ricercatore Ahmed Abdel-Hussein il progetto che sta per nascere a Ur può essere “un luogo da cui inizia l’unità”, contro le divisioni e le violenze del passato, archiviando “estremismo e fanatismo”. Chiese e moschee, ha aggiunto Abdul-Hussein, sono state prese di mira e demolite da gruppi estremisti “che abbracciavano ideologie radicali”. Ecco perché, conclude, “costruire un complesso che sia inclusivo delle religioni sarà una risposta importante” contro ogni tipo di estremismo e di fanatismo, rafforzando il valore dell’unità.
14 luglio 2022
Card. Sako: convivialità, cittadinanza, educazione. Cattolici e sciiti per la pace
Foto Patriarcato Caldeo |
di Louis Raphael Sako *
- Una “convivialità” fondata sul rispetto delle “diversità” come ha ripetuto papa Francesco nella visita in Iraq; la “cittadinanza” come “fondamento” delle relazioni sociali e “appartenenza” alla patria in un’ottica di “uguaglianza”; una “riforma” nel campo educativo per meglio “adattarsi” alle attuali circostanze, alla cultura e alle persone. È quanto sottolinea il patriarca di Baghdad dei caldei, il card Louis Raphael Sako, nel suo intervento alla due giorni di convegno “Cattolici e Sciiti davanti al futuro” in programma ieri e oggi a Roma, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. All’evento partecipano autorevoli esponenti di entrambe le comunità, fra i quali Jawad Al-Khoei, segretario generale dell’Imam Al-Khoei Institute e Mostafa Mohagheegh Damad, teologo e professore di Giurisprudenza Islamica presso l’Università Shahid Beheshti di Tehran, Iran.
Di seguito, i passaggi più significativi dell’intervento del card. Sako:
Di seguito, i passaggi più significativi dell’intervento del card. Sako:
La società di oggi è diversa da quella del passato. Il mondo è cambiato ed è in continuo mutamento, dalla tradizione verso la modernità. Il mondo è diventato un villaggio digitale con i social media, per non parlare delle circostanze politiche, difficili e preoccupanti. Da qui propongo di mandare un appello per la fine della guerra fra Russia e Ucraina e trovare una via diplomatica alla pace.
La nostra missione e le nostre responsabilità come leader religiosi sono universali, includono tutti e non si limitano a una particolare fede.
Dobbiamo contrastare l’ideologia settaria attraverso i nostri discorsi e la formazione, educando le nuove generazioni. Il Dio nel quale crediamo non ci chiede: sei musulmano sciita o sunnita? Sei un cristiano cattolico o ortodosso? La sola domanda che ci pone è: cosa hai fatto per tuo fratello?
Dio ci giudicherà sulla nostra carità.
1 - La convivialità
Dobbiamo impegnarci a promuovere il dialogo e l’amicizia. Rafforzare la vicinanza e la solidarietà fra popoli, religioni e culture diverse, per contribuire alla pace e al benessere dell’umanità, anche con la stretta collaborazione fra tradizione sciita e Chiesa cattolica.
Bisogna riconoscere l’altro e rispettarlo nella sua diversità. Il rispetto delle diversità, come ha ripetuto il papa nella sua visita in Iraq nel marzo 2021, è la base della convivialità.
È una grande ricchezza quando queste differenze sono condivise e messe in comune. Ciò che chiamiamo convivialità significa condividere il pane (العيش )… la base dell’alimentazione, il cibo quotidiano! Non nutrire le persone provoca conflitti. Come ricordava Antoine de Saint-Exupéry il gusto del pane comune “non ha eguale” e la condivisione in amore e purezza dà ancora più gusto.
Nessuno deve essere escluso e rimanere nell’indifferenza.
Questa situazione unica ne fa un luogo di sperimentazione, per superare lo shock delle divisioni e avviare un dialogo interculturale e interreligioso coraggioso e sincero.
La cittadinanza e la convivialità sono un diritto naturale e non elemento secondario da tollerare. Il concetto di tolleranza deriva da سمح “tollere” ciò che vuol dire: ti permetto di essere.
Purtroppo, negli ultimi anni, nella nostra regione e in altre regioni si è diffusa la mentalità estremista che incita all’odio e alla violenza ”in nome della religione”. Questa ideologia va contro la volontà di Dio che “ci ha creati diversi”, rappresenta una minaccia per la vita dei cittadini e la sicurezza dello Stato. Bisogna studiare le cause dell’estremismo e delle violenze commessa in nome della religione, e trovare i modi per sconfiggerle. Vorrei ringraziare il grande ayatollah Ali al-Sistani, la suprema autorità Marjia di Najaf, per la sua posizione.
2. La cittadinanza
La cittadinanza è il fondamento delle relazioni sociali e il suo criterio è l’appartenenza a questa patria. Cittadinanza significa uguaglianza, il rispetto dei diritti, la convivenza e l’armonia tra tutti i cittadini.
Il settarismo e il concetto di ”componenti” non servono all’istituzione di uno Stato nazionale forte e moderno, ma finiscono piuttosto per sostenere una cultura degli interessi speciali, che finisce per incoraggiare l’esclusione. I cristiani sono una popolazione autoctona dell’Iraq e non una comunità che proviene da un altro Paese. Sono gente di questa terra, quindi non è accettabile definirli una “minoranza”. È una “ingiustizia” che, a volte, i cristiani siano “presi di mira” nel loro credo religioso. I diritti dei cristiani dovrebbero essere sacri quanto i diritti degli altri e non possono essere considerati cittadini di seconda classe a causa della loro fede. La diversità e le differenze devono essere una ricchezza, una fonte di energia per la creatività, l’equilibrio e la prosperità.
La strada da percorrere è quella che porta a un modello civile e democratico basato sulla cittadinanza, non un regime settario che distribuisce e modella a proprio piacimento l’identità nazionale e l’unità del Paese. La democrazia è un “tutto indivisibile”.
3. Cambiare il sistema educativo
Il sistema educativo in Iraq non è un sistema che aiuta alla convivialità e alla cultura di oggi. Abbiamo bisogno di una riforma intellettuale efficace nel campo educativo, nelle chiese, nelle moschee e nelle scuole, per adattarsi alla vita, alle circostanze e alla cultura delle persone. In caso contrario, le nostre società finiranno per dirigersi rapidamente verso un terribile destino.
Per concludere, chiederò al governo iracheno di creare un ministero della Convivialità per rafforzare i rapporti e i diritti, anche in una chiave di cittadinanza. E chiedo a Dio Onnipotente di benedirci e di orientare i nostri passi verso un futuro migliore per il nostro Paese e i nostri cittadini.
* patriarca di Baghdad dei Caldei.
Iraq – Archbishop welcomes inclusive curriculum
By The Tablet
An Iraqi archbishop has welcomed plans for new teaching materials aimed at combating sectarianism, less than a decade after extremists almost destroyed the country’s fragile social fabric.
Bashar Warda, the Chaldean Catholic Archbishop of Erbil in northern Iraq, was speaking the Ministerial Conference on Freedom of Religion or Belief, which was hosted by the foreign office in London last week.
He told an audience of government and civil society representatives that the government of the semiautonomous region of Kurdistan is preparing a curriculum to teach schoolchildren about all of the religions represented in Iraq.
“During the Ba’ath regime – I studied for 12 years – nothing was mentioned about Christians, Yezidis, Mandaeans, Jews.”
Education, he said, was key to “reconciliation, to know each other.”
The archbishop told The Tablet later: “All of these groups are missing from the curriculum and the only information [pupils] got to know [was] that there are non-Muslims: infidels. So you could tell why people would say, ‘Okay it’s better to clear the land of them.’ But he added: “If the curriculum officially recognises their presence and their contribution to Iraqi history and Iraqi culture, then things will change.” Although the curriculum is being prepared only for Iraqi Kurdistan, Warda expressed the hope that it would serve as “an example and an encouragement to the rest of Iraq,” adding: “All the religious minorities have been asking for this for a long time as it is such an important step for coexistence.” Warda said Iraqis today were united in serving “the common the good” and were “tired” of sectarianism. The number of Christians in Iraq fell rapidly amid the political disintegration that followed the US-led invasion of 2003 and culminated in the capture of northern territory by Islamic State (IS) in 2014.
Bashar Warda, the Chaldean Catholic Archbishop of Erbil in northern Iraq, was speaking the Ministerial Conference on Freedom of Religion or Belief, which was hosted by the foreign office in London last week.
He told an audience of government and civil society representatives that the government of the semiautonomous region of Kurdistan is preparing a curriculum to teach schoolchildren about all of the religions represented in Iraq.
“During the Ba’ath regime – I studied for 12 years – nothing was mentioned about Christians, Yezidis, Mandaeans, Jews.”
Education, he said, was key to “reconciliation, to know each other.”
The archbishop told The Tablet later: “All of these groups are missing from the curriculum and the only information [pupils] got to know [was] that there are non-Muslims: infidels. So you could tell why people would say, ‘Okay it’s better to clear the land of them.’ But he added: “If the curriculum officially recognises their presence and their contribution to Iraqi history and Iraqi culture, then things will change.” Although the curriculum is being prepared only for Iraqi Kurdistan, Warda expressed the hope that it would serve as “an example and an encouragement to the rest of Iraq,” adding: “All the religious minorities have been asking for this for a long time as it is such an important step for coexistence.” Warda said Iraqis today were united in serving “the common the good” and were “tired” of sectarianism. The number of Christians in Iraq fell rapidly amid the political disintegration that followed the US-led invasion of 2003 and culminated in the capture of northern territory by Islamic State (IS) in 2014.
IS insurgents, who were Sunni extremists, made it their aim to clear the land of non-Muslims, slaughtering or enslaving Yezidis and demanding that Christians pay protection money, leave or be killed. Those who left refused to enter the camps run by the UNHCR, for fear of finding IS-sympathisers, so the archdiocese received more than 13,000 displaced Iraqis, mainly Christians, and set up 26 camps for them.
“Over 60 shrines, monasteries and churches were bombed, over 1,200 people were killed, many kidnapped, [there were] threats … the numbers are high for others [non-Muslims],” Warda recalled. As many Christians sought asylum outside the Middle East, there were fears for the end of Christianity and religious pluralism in Iraq.
Iraq’s Jewish community flourished in Iraq but fled rapidly after the creation of the state of Israel in 1948, the Christian community is believed to have existed since the first century, the Mandaeans revere John the Baptist, and the Yezidis’ syncretic beliefs date from the twelfth century.
13 luglio 2022
Gen. Soleimani played major role in saving Christian lives against Daesh terrorists, says Iran FM
By Press TV
Iran’s foreign minister says the Islamic Republic, thanks to the heroic endeavors made by Lieutenant General Qassem Soleimani, has played a significant role in protecting Iraqi and Syrian Christians against Daesh terrorists.
Hossein Amir-Abdollahian made the comment during a Tuesday meeting in the Vatican with Cardinal Secretary of State Pietro Parolin and Foreign Minister Paul Richard Gallagher.
Soleimani, Iran’s world-renown anti-terror commander, declared the final victory against Daesh in 2017, three years before he was assassinated in Iraq by the US military.
“In line with its global responsibility in fighting terrorism, the Islamic Republic of Iran has played an important role in protecting the Izadi Christians of Iraq and the Christians of Syria against the criminal Daesh terrorists, thanks to the efforts made by martyr General Qassem Soleimani,” Amir-Abdollahian said.
According to a readout of the meeting by the Iranian Foreign Ministry website, the two sides’ officials underlined the necessity of establishing sustainable security and peace in the world, particularly in West Asia.
In a tweet after the two-hour meeting, Amir-Abdollahian said they agreed that political solutions are needed to resolve global crises, especially in Ukraine and Yemen. He quoted the Vatican officials as saying that the Pope holds the Islamic Republic in considerable respect.
At the meeting, the chief Iranian diplomat also said that Tehran opposes the war in Ukraine to the same extent it opposes wars in other parts of the world.He said the Islamic Republic is particularly concerned about and strives to prevent the eruption of a crisis in northern Syria.
Amir-Abdollahian also explained Iran’s long-held position on the need to hold a referendum in the occupied Palestinian territories, where the indigenous people of Palestine – whether Muslim, Christian or Jewish – would vote to decide the fate of their land.
Elsewhere in his remarks, the Iranian foreign minister referred to the multilateral negotiations to revive the 2015 Iran deal, saying Iran is seriously pursuing a “good” and “sustainable” agreement to bring the US back into compliance with the deal.
“We have offered important initiatives and flexibility during the negotiations, but it is also necessary for the American side to realistically prepare the conditions for the finalization of the agreement,” he added.
The US withdrew from the Iran deal, or the JCPOA, back in 2018 despite Iran’s full compliance with the accord.
Later on Tuesday, Amir-Abdollahian wrapped up a two-day visit to Italy with the aim of boosting the country’s relations with Rome and the Catholic Church.
He held talks with his Italian counterpart Luigi Di Maio on Monday in pursuit of political, economic, and commercial cooperation.
The two discussed a number of issues including the situation in Afghanistan, Yemen, and Ukraine and the resumption of talks on the revival of the JCPOA.
At the end of the meeting, Iran’s top diplomat stated that there is a promised bright future for the cooperation between Tehran and Rome in the field of energy.
Relations between Tehran and Rome have experienced ups and downs in recent years. Yet, Italy has ranked at the top in Europe in terms of volume of trade with the Islamic Republic.
12 luglio 2022
Christian Survivors of ISIS trapped in limbo, say advocates
By Aleteia
Christians from Iraq and Syria who fled ISIS are now languishing in limbo in Lebanon, where they are living lives of abject poverty and are being denied their basic human rights, say advocates for Middle Eastern Christians.
Representatives from the Swedish NGO, A Demand for Action (ADFA), are calling on the UN High Commission for Refugees (UNHCR) to resettle Assyrian/Chaldean/Syriac Christians from Iraq and Syria in a country where their human dignity is respected.
Speaking at a breakout event at the US Commission for International Religious Freedom Summit 2022 in Washington, DC, Nuri Kino, founder and president of ADFA, highlighted the plight of over 300 Christian families who had lived through the intense agony of the Isis invasion of their homelands.
“In 2004, the first beheading of a young Christian man, Rimon Shamoun took place, while ISIS operatives photographed this barbaric act,” he said. “Since then, thousands of Christians were kidnapped and killed, churches desecrated and destroyed. Such are the gruesome scenarios that forced survivors to flee in terror with nothing but the clothes on their backs. They had lost everything — families, homes, businesses, churches and communities. Some of them reached Lebanon after hazardous journeys, only to find themselves trapped in a situation that could only be described as limbo,” he said.
“They had expected Lebanon to be a temporary refuge for them, but they have been waiting for years for their asylum applications to be processed by the UNHCR. In the meantime, they are living in abject poverty, in tiny one-room apartments for which they pay exorbitant rents that unscrupulous landlords charge them. They have no access to adequate employment, or healthcare, or education for their children, and no prospects of living normal, decent life,” he added.
A Demand for Action, one of the convening partners of the Summit, hosted a side event called “Trapped in Limbo: Middle Eastern Christians Living in the Shadow of Genocide” to give a voice to these refugees in transit. They also shared the results of a survey they had conducted with over 300 Christian families from Iraq and Syria currently in Lebanon This was shortly before the refugees staged a rally in front of the UNHCR office in Beirut, begging the high commission to expedite their applications for resettlement in a third country.
The survey revealed that they felt abandoned by the world during the long years they had spent in Lebanon, and also that they had lost all hopes of returning to their beloved homelands. “The rally was like the last call from a sinking ship,” Kino said.
“Our lives would be in danger there (in Syria), especially my two daughters’ lives,” Sahar Makhoul, 55, told Aleteia in an interview. “I barely managed to save them from being raped, just because they are Christians, and we escaped to Lebanon. Conditions in Syria are still dangerous for us.”
Lydia Daniel, 35, from Iraq said: “What’s left for us in Iraq? All our houses were destroyed, the whole area has become a wreck and who will guarantee our safety and the future of our children if we go back there?”
“Our organization is committed to helping these refugees resettle in another country because it’s their choice and hearts’ desire,” Nuri Kino said. “However, Iraq and Syria are part of the cradle of Christianity, and have been the homeland of these Assyrian/Chaldean/Syriac Christians for millennia. Ideally, they should have the option of returning to their homelands, but current conditions are not encouraging.”
“ADFA is concurrently working with the US Commission for International Religious Freedom to remove one of the obstacles to their return,” he added. “This is the issue of recovering their lands and properties that were stolen from them while they fled for their lives.”
Cattolici e Sciiti davanti al futuro. Comunità di Sant'Egidio
Cattolici e Sciiti davanti al futuro.
Convegno, 13 e 14 luglio
Sala Conferenze della Comunità di Sant'Egidio, via della Paglia 14b.
Convegno, 13 e 14 luglio
Sala Conferenze della Comunità di Sant'Egidio, via della Paglia 14b.
PROGRAMMA
MERCOLEDÌ 13 LUGLIO POMERIGGIO
ORE 16.30
Indirizzi di saluto:
Pasquale Ferrara Direttore generale affari politici e di sicurezza, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, Italia
Miguel Ángel Ayuso Guixot Cardinale, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso
Mostafa Mohaghegh Damad Teologo e professore di Giurisprudenza Islamica presso l’Università Shahid Beheshti di Tehran, Iran
ORE 17.00
Introduzione ai lavori:
Andrea Riccardi, Storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio
Jawad Al-Khoei Segretario generale, Imam Al-Khoei Institute, Iraq
ORE 18.00 PRIMA SESSIONE
Presiede: Vittorio Ianari Comunità di Sant’Egidio
1) I valori umani condivisi: il messaggio del Papa e dell’Alta autorità sciita
Marco Impagliazzo, Storico, presidente della Comunità di Sant’Egidio
Nazih Mohieddin Professore presso l’alto seminario sciita di Najaf, Iraq
2) Responsabili e responsabilità nella comunità religiosa contemporanea
LOUIS RAPHAËL I SAKO
Cardinale, Patriarca di Baghdad dei Caldei
Ambrogio Spreafico Vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino
Ezaldeen Al-Hakiem Professore presso l’alto seminario sciita di Najaf, Iraq
Talal Al-Kamali Decano della Facoltà di Studi Islamici presso l'Università Warith Alanbiyaa di Kerbala,Iraq
GIOVEDÌ 14 LUGLIO MATTINA
ORE 10.00
SECONDA SESSIONE
3) Libertà e testimonianza: modelli di pensiero cristiano e islamico
Presiede: Abbas Al-Fahham Università di Kufa, Iraq
José Tolentino de Mendonça Cardinale, Archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa
Armand Puig I Tàrrech Rettore dell'Ateneo "Sant Pacià" di Barcellona, Spagna
Armand Puig I Tàrrech Rettore dell'Ateneo "Sant Pacià" di Barcellona, Spagna
Ismail Al-Khaliq Direttore della Fondazione al-Khoei di Parigi, Francia
Abul-Qasim Al-Dibaji Segretario generale della World Organisation of Pan-Islamic Jurisprudence, Kuwait
4) Il futuro: l’incontro tra generazioni
Presiede: Haider Al-Sahlani Università di Kufa, Iraq
Vincenzo Paglia Arcivescovo, presidente della Pontificia accademia per la vita
Daniela Pompei responsabile della Comunità di Sant’Egidio per i servizi agli immigrati
Maytham al-Khunaizi Professore presso il seminario sciita di Qatif, Arabia Saudita
Maytham al-Khunaizi Professore presso il seminario sciita di Qatif, Arabia Saudita
Mahdi Al-Amin Professore e ricercatore, Libano
ORE 12.00
Conclusioni:
Andrea Riccardi, Storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio
Zaid Bahr Al-Uloom Direttore dell'Accademia Al-Balagha, Istituto Imam Al-Khoei, Iraq
The Gishru Experience
July 1, 2022
Fayth Kakos
Fayth Kakos
The land remembers us. On the streets of Ankawa, from the moment your feet touch the ground, you are instantly transported to an alternate reality. In this reality, this little pocket of northern Iraq, there exists a church on every corner, stores and restaurants with signs written in Sureth, and the humdrum of a vibrant daily life that persists in spite of all the hardship and pressure, both internal and external.
For me, Ankawa was a microcosm of what a country with freedom, representation and acknowledgment for our people could look like. That isn’t to say hardships do not exist in Ankawa; in fact, there are many, and most especially at the hands of a government that does not wish for the people to truly thrive there. Much of these optics are a veneer, but what a perfect picture it was in contrast to the Iraq of my imagination, one filled with bombs and war and endless despair. Ankawa is the resilient flower that blooms in an environment, an ecosystem, actively working to destroy it. For that, it was the perfect place to start this journey home, to see a version of Iraq outside of the stories of relatives and to forge a connection with the homeland that only exists within me.
With the help of Gishru, a non-profit organization established in 2012 to connect the worldwide Assyrian diaspora with the homeland, I was able to travel with a group to Iraq this past March. We traveled to Erbil, Dohuk, Ankawa, Sapna Valley, Nahla, Tesqopa, Alqosh, Tel Keppe, and so many other places along the way. On Facetime with my mom back home in Michigan, she exclaimed that I had now seen more of the country of her birth than she had. And I truly saw it all.
I drank coffee in chaikhanas, danced bagiyeh in nadis, spent the night in the beautiful mountains in Nahla, wandered the streets of Alqosh, traversed the mountain to reach the magnificent Rabban Hormizd — no church will ever compare after you see the breathtaking monastery built into the mountain. We visited Assyrian schools with curriculum taught entirely in Sureth. Not only were the children fluent in Sureth, but also English, Arabic, and Kurdish. And though the sites were beautiful, the people are what made the experience. From the woman in Alqosh who eagerly invited me into her house to show off all the traditional clothes and dolls she made by hand, to the pickup volleyball games with the kids in Komaneh (they won), it was very easy to slide into local life. Our group was greeted with a level of hospitality perfected in the region, from the food to the music to the dancing to the conversation. We were welcomed home with open arms.
Our visit coincided with Akitu, the Assyrian Babylonian New Year. We paraded through the streets of Dohuk in traditional clothes representing the different villages that we all hailed from, creating a rich mosaic of our varying subcultures. The parade culminated with a picnic in the mountains, where live music played and people danced, or sat together eating falafel or shawarma sandwiches; if I closed my eyes, I could just as easily be 6,000 miles away, spending a lazy afternoon on Cass Lake with my family.
My trip was incomplete until I stepped foot in Tel Keppe. It’s the village that much of our Michigan diaspora hails from and a point of immense pride and adoration. But after ISIS captured the village in 2014, it was emptied of its Christian population. Even after its liberation in 2017, less than 5% have returned. Most of the houses of the old Tel Keppe families were reduced to rubble, destroyed by airstrikes, desecrated by ISIS. Many of the houses are still stamped with the Arabic character “noon” on the front doors, even my own family’s ancestral home. It wasn’t a pretty picture, but a decidedly realistic one. Yes, it was heartbreaking, to walk the streets that countless generations of my family had before me and see it so altered but there was also a peace in returning home, in setting my feet upon hallowed ground.
Nineveh is our birthright. In this land of our ancestors, I never felt closer to my family, to my roots. It was a new intimacy with the land and its history, with the express knowledge that the things that I was seeing and loving here were not the same as they were before. The Tel Keppe - the Iraq - that I was coming to know was not the one preserved in my relative’s memories. It was irrevocably changed post-2003, post-2014, and that was a reality that could not be divorced from my own personal feelings. But that doesn’t mean the connection is any less valuable. It is from rubble and ash that a future must be rebuilt there, but in order for that future to exist, the diaspora has to be reinvigorated. We have to invest in programs to improve quality of life, to give people reasons to stay. There is no point in rebuilding, funding the creation of monuments, to a community that no longer exists.
Our people have found much success in the diaspora, most especially in America. Our mark on Michigan is indisputable. Though we have planted roots here, we must not forget our people back home. Resiliency has defined us for several millennia, and it will continue to do so, as long as we don’t give up on that potential future. We are a nation of survivors, navigating a difficult and complex political and social landscape. I hope that all Suraye, especially our Chaldean Assyrian population in Michigan, take the time to familiarize themselves with the legacy enshrined by thousands of years of perseverance and endurance.
There is no better way to do that then to look into Gishru for an unforgettable, life-changing two weeks of reconnection. The land remembers us - and now, I too will remember the land.
8 luglio 2022
‘Christian persecution never ended in Middle East
By Aid to the Church in Need (USA)
Fionn Shiner
July 7, 2022
An archbishop and sister from the Middle East issued a stark warning to UK Parliamentarians that Christians in the region are still suffering persecution.
An archbishop and sister from the Middle East issued a stark warning to UK Parliamentarians that Christians in the region are still suffering persecution.
At a July 5th event organized yesterday by Aid to the Church in Need (ACN) for the 2022 International Ministerial Conference on Freedom of Religion and Belief, Archbishop Bashar Warda of Erbil, Iraq, and Sister Annie Demerjian of Aleppo, Syria, described the precarious position of Christians in the region.
Archbishop Warda said: “There are still people being persecuted because of their faith and thankfully ACN didn’t accept the political correctness and said, ‘Yes, Christians are being persecuted.’”
The Chaldean Catholic Archbishop went on to thank ACN for the schools the organization has helped build, saying that investment in education for Iraqi Christians has helped fight the genocide undertaken by ISIS. “If our children lose their schools, that’s the genocide, wiping out the past, the present and the future. So, we hold to the future. Thank you to ACN for being the voice for the persecuted Christians,” he said.
Sister Annie, who has ministered to suffering Christians in Syria since the start of the civil war in 2011, said that the faithful are now struggling more than during the war.
She said: “Now the situation is worse than during the time of war and as our nuncio Cardinal Zenari said, 90 percent of the population is under the poverty line. We are headed for a humanitarian disaster and yet the world is not listening and is not hearing. The media is not hearing about Syria, it is not interested anymore.”
Sister Annie went on to describe a traumatic incident that affected her family: “One day a bomb fell near the house of my brother. After a while, my niece went to see what was happening and was shocked to see her father without his head. From the shock she couldn’t talk anymore. My niece later said to her mum, ‘Mum, will they put an artificial head on like they do for legs and hands?’… For me this is a persecution, when we take the childhood of our children.”
Also speaking was Bishop William Kenney, Auxiliary Bishop Emeritus of Birmingham, who placed the persecution of Christians in a wider context of violence. “Pope Francis thinks World War Three has already happened, but it has been happening in lots of different places. There are over 40 major conflicts in the world,” he said.
7 luglio 2022
Giovani cristiane sostengono la riapertura di biblioteche e librerie a Mosul e nella Piana di Ninive
By Fides - Syriac Press - University of Mosul
Janan Shaker Elias Foto Syriac Press |
A Mosul e nella Piana di Ninive, anche la rete di biblioteche e librerie ha pagato un duro prezzo all’occupazione jihadista e agli interventi militari che l’hanno abbattuta. In quegli anni, dal 2014 al 2017, i negozi di libri erano stati chiusi, biblioteche di valore storico erano andate distrutte, collezioni di libri e manoscritti antichi erano state portate lontano per sottrarle a saccheggi e devastazioni. Adesso, tra i segnali di “ripartenza” della vita sociale e comunitaria in quella regione dell’Iraq, si fa notare anche la riapertura di biblioteche, librerie e presidi culturali. Un fenomeno che coinvolge in maniera singolare alcune giovani appartenenti alle comunità cristiane autoctone.
Nel villaggio di Sirishka nel distretto di Alqosh, a nord-est di Mosul, in Iraq, sta crescendo l’interessa e il coinvolgimento della popolazione locale intorno all’iniziativa di Janan Shaker Elias, la giovane donna che ha aperto al pubblico una biblioteca privata presto divenuta centro di incontri e scambi culturali. Al momento, il locale offre alla libera consultazione quasi 2mila volumi (numero in lento ma costante aumento), suddivisi per generi e discipline, e funziona anche come centro per la prenotazione di libri da acquistare.
L’idea di aprire una libreria – ha raccontato Janan ai media locali – era da tempo venuta in mente alla giovane bibliofila, che anche prima dell’ultimo conflitto si vedeva sempre costretta a ordinare libri online e attendere lunghi tempi di consegna. Il proposito si è rafforzato ancora di più quando anche Janan con la sua famiglia sono stati costretti a allontanarsi dal proprio villaggio minacciato dall’avanzata dei Jihadisti dello Stato Islamico (Daesh). Una volta tornata a Sirishka, e dopo aver terminato i suoi studi universitari, Janan è finalmente riuscita a realizzare il suo sogno, con cui si augura di dare un contributo alla ricomposizione del tessuto sociale, culturale e comunitario lacerato dai conflitti e dalle pulsioni settarie.
Sunbulah Aziz Shehab Ahmed Mustafa Foto University of Mosul |
La sollecitudine dei giovani cristiani per il ruolo svolto da biblioteche e librerie nella ripresa della convivenza civile nella regione irachena rimasta per anni sotto occupazione jihadista è affiorata a fine giugno anche nella Facoltà di Lettere dell’Università di Mosul, dove diverse persone hanno assistito alla discussione della tesi di laurea svolta dalla studentessa Sanbla Aziz Shihab sul tema della distruzione delle biblioteche e del suo impatto negativo sulla pace comunitaria in Iraq. Nella sua ricerca, la laureanda ha concentrato l’attenzione sulla distruzione delle biblioteche cristiane a Mosul e nelle città della Piana di Ninive durante gli anni della recente occupazione jihadista.
Lo scorso febbraio, la riapertura della Biblioteca dell'Università di Mosul, ricostruita dopo le devastazioni subite durante le offensive militari contro gli occupanti di Daesh, è stata presentata dai media internazionali come un segno oggettivo della iniziale “ripartenza” della metropoli nord-irachena, dopo anni di stragi, bombardamenti e fughe di massa.
Chaldean–Syriac–Assyrian youth from Iraq runs her own cultural library in Alqosh District
By Syriac Press
July 6, 2022
Foto Syriac Press |
In the village of Sirishka in Alqosh District, northeast of Mosul, Iraq, the collection of a private cultural library is slowly but steadily growing.
The library, which serves Sirishka as well as surrounding villages, is the work of Janan Shaker Elias, a young Chaldean–Syriac–Assyrian woman.
She spends several hours daily in her library of roughly 1,500 books from various genres and disciplines. Alongside its usual functions, the library also operates a small bookshop and a free cultural forum which hosts daily social groups.
“The idea of opening the library came about due to my continuous need for books,” Elias jokingly told media outlets. “There is no library in our area, and I was obliged to buy books online from Baghdad and Duhok [Nohadra], paying delivery costs and having to wait long periods for delivery.”
Although the Islamic State (ISIS) was not able to control Alqosh District and its villages, it took control of the nearby Telskof District in 2014, forcing the residents of Sirishka village to flee for over a year to Nohadra Governorate, only able to return following the village’s liberation.
While displaced, the idea of opening a library stuck in Janan’s mind, but she was unable to open it due to the displacement and her university study. Once she returned to the village and completed her studies, she began work on the library.
Through the library, Janan hopes to encourage more people to read and to spread cultural awareness among members of society, highlighting the importance of reading in self-development and social progress.
1 luglio 2022
Il patriarca caldeo ad Amman dove verrà eretta la prima chiesa caldea in Giordania
By Baghdadhope* - Patriarcato caldeo
Come annunciato dal sito patriarcale il cardinale Mar Louis Raphael Sako, ieri ad Amman, in Giordania, per la visita pastorale in un paese che nei decenni ha accolto migliaia di profughi iracheni caldei e per posare la pietra angolare della prima chiesa caldea che verrà eretta nel paese.
Accompagnato dal vicario patriarcale emerito Mons. Shleimun Warduni e dal parroco della chiesa di San Giorgio a Baghdad, Padre Basman George Fatohi, il patriarca ha incontrato Padre Zaid Adel Hababa, vicario patriarcale in Giordania, Fayiz al-Khoury, direttore degli affari europei e degli espatriati presso il ministero degli affari esteri giordano, l'ambasciatore iracheno nel regno hashemita, Haider al-Hadari, e monsignor Mauro Lalli, incaricato d'affari della nunziatura apostolica di Giordania.
Papa Francesco ha aperto l’Iraq al turismo internazionale
By Asia News - Al Monitor
Decine di celebrità su YouTube, influencer, produttori di contenuti per la rete, artisti ed esperti dei media hanno visitato di recente l’Iraq, nazione a lungo martoriata dalla guerra e da violenze confessionali, per esaltarne le bellezze e promuovere il turismo. Uno sdoganamento che è legato anche al viaggio apostolico di papa Francesco nel Paese arabo nel marzo dello scorso anno, e che ha avuto a detta degli esperti “un grande impatto” nell’aprirlo al mondo esterno, nel promuovere turismo e viaggi di visitatori regionali e internazionali. Oggi, mai come in passato, è diventato una sorta di status-symbol postare una foto o un filmato davanti alla casa del profeta Abramo, dove il pontefice si è raccolto in preghiera e lanciato appelli alla pace.
Lo scorso anno e nei primi sei mesi del 2022 decine e decine di “Youtuber”, di famosi cantanti arabi, di influencer dall’Europa, dagli Stati Uniti, da Egitto e Libano, dal Kuwait e dall’Australia solo per citarne alcuni hanno visitato l’Iraq e ne hanno decantato, in video e articoli, le bellezze. Queste presenze hanno contribuito - e non poco - a cambiare il giudizio stereotipato sul Paese, perlopiù descritto come instabile e terreno fertile per terroristi.
Il famoso creatore di contenuti su YouTube Dear Alyne, che pubblica sul canale Nas Daily con 8,53 milioni di iscritti, ha lanciato un reportage completo sulla visita in Iraq nel marzo scorso dal titolo: “L’Iraq è pericoloso?”. Il video critica gli stereotipi che caratterizzano il Paese arabo ed esalta, al contrario, le sue bellezze storiche, artistiche, culturali e paesaggistiche.
Gustav Rosted, influencer danese con oltre 252mila iscritti al suo canale, è stato fra i primi ad entrare in Iraq alla fine della guerra contro lo Stato islamico (SI, ex Isis). Ad Al-Monitor ha confessato la “grande felicità” provata nell’incontrare un popolo che lo ha accolto “a braccia aperte”. Durante la permanenza ha compiuto anche un esperimento sociale, chiedendo aiuto a persone a caso e nessuno si è risparmiato dando un po’ di cibo, denaro o un luogo in cui dormire. Una “generosità”, ha detto, incontrata di rado in altri Paesi.
Nel 1973 oltre 500mila turisti stranieri sono arrivati in Iraq, un numero pari al 25% del totale dei turisti. Le guerre e le sanzioni, unite alla deriva estremista, hanno affossato il settore. Di recente il governo ha adottato una serie di misure per facilitare l’ingresso e utilizzato social media e internet per promuovere i viaggi internazionali, unita alla revoca del visto di ingresso per 36 nazioni - in maggioranza occidentali - fra le quali Stati Uniti, Regno Uniti, alcune nazioni Ue e Australia.
Eman Sobhy, un’attivista egiziana celebre su YouTube, ha espresso in un video la propria ammirazione per l’armonia sociale e i rapporti fra le varie sette e religioni in Iraq, nazione spesso famosa per la deriva settaria e le violenze confessionali. Musulmana sunnita, la donna ha visitato la città santa sciita di Najaf e pregato, usando rituali sunniti, nella maggior parte delle moschee e dei santuari senza subire alcuna molestia da parte degli sciiti, maggioritari nel Paese.
Fra i luoghi più visitati da influencer e personalità del mondo social vi sono le aree storiche e archeologiche dell’Iraq, in particolare lo Ziggurat di Ur, la casa del profeta Abramo e le storiche paludi del governatorato di Nassiriya. Tuttavia, a dispetto del numero crescente di turisti stranieri e dagli sforzi compiuti dal governo per rilanciare nome e reputazione del Paese, molto deve ancora essere fatto perché possa diventare meta di un turismo di massa su scala globale.
YouTube influencers discover Iraq
June 30, 2022
Famous YouTubers, including artists, singers and travel enthusiasts, have recently been coming to Iraq from around the world, roaming around in various cities and regions of the country.
During 2021 and the first half of 2022, over a dozen YouTubers and dozens of famous Arab singers visited Iraq and extensively posted on their social media accounts about their stays.
They came from Denmark, the United States, the United Kingdom, Australia, Egypt, Lebanon, Kuwait, and other Western and Arab countries.
Such visits contribute to changing the stereotype about Iraq, which is depicted by foreign media as an unstable country and a land of terrorists following the decades of wars and conflict Iraq has been through.
Well-known YouTuber Dear Alyne — who publishes on Nas Daily's YouTube Channel with 8.53 million subscribers and introduces different cultures by traveling to various countries and promoting tourist attractions — posted a comprehensive video about her visit to Iraq in March titled "Is Iraq Dangerous?!” The video criticized the stereotypes about Iraq and emphasized that, on the contrary, it is a wonderful country for tourism with its historical, cultural and social attractions.
Gustav Rosted, a YouTuber from Denmark with over 252,000 subscribers, was the first to visit Iraq after the end of the war against the Islamic State (IS).
Rosted told Al-Monitor that he was extremely happy with his visit to Iraq and he loved the Iraqi people, who welcomed him with open arms.
He performed a social experiment during his stay in which he asked random people for help; no one hesitated to offer him food, money or a place to stay. He noted that he had been to many countries but had never seen such exceptional generosity elsewhere.
Rosted visited all Iraqi governorates from north to south, including the areas liberated from IS and where security operations are being conducted against IS sleeper cells.
Iraq used to be distinguished for its famous tourist attractions; it was a popular destination for thousands of tourists from countries such as France, Japan, Britain and Germany during the '70s in the 20th century, according to a Daily Mail report. Iraq is the birthland of many religions and ancient cultures and is socially diverse. In 1973, more than 500,000 foreign tourists came to Iraq; this number constituted 25% of the proportion of tourism in Iraq.
Iraq's involvement in several wars followed by a period of tough sanctions in the '90s severely affected the tourism industry in the country. Iraq's tourism sector began to recover after the fall of Saddam Hussein's regime, but most of it was in religious tourism. After the end of the war against IS, Iraq gradually saw an increase in nonreligious tourism from non-Muslim countries.
But there were legal difficulties for foreign tourists trying to visit the country, especially activists on YouTube, in addition to the social unrest that struck Iraq in 2019 and the Iranian-American conflict on Iraqi soil in 2020.
The Iraqi government took several measures to facilitate the entry of social media figures to promote tourism in Iraq, including recently lifting visa requirements for citizens of 36 countries — most of which are Western — including the United States, the United Kingdom, some European Union countries and Australia. This move facilitated tourist entries without the need for any prior procedures.
Director of the Ministry of Interior’s media office Maj. Gen. Saad Maan told Al-Monitor, “Social media figures receive great support from the Iraqi Ministry of Interior, which facilitates their entry into the country and their movement around various Iraqi regions. The ministry is keen to implement the Iraqi government’s strategy of opening up to the world and paying more attention to tourism.”
Maan added, “The ministry constantly communicates with famous artists, media professionals and others through its social media centers and provides support in various areas from the concerned authorities.”
"Most tourists admit surprise by the general image of Iraq and its stability, which contradicts what is often portrayed in the media about the country," Maan told Al-Monitor.
Eman Sobhy, an Egyptian activist on YouTube, expressed in a video her admiration for the social peace between the various sects and religions in Iraq, which is known for its sectarianism and religious violence.
Sobhy, a Sunni, visited the Shiite city of Najaf, which is the top religious center for Shiites in Iraq and from around the world. While there, she performed prayers and other religious rituals in the Sunni way in most mosques and religious shrines known in Najaf and did not face harassment from Shiites in the city.
Iraq's historical and archaeological areas are among the most important places visited by social media figures — especially the Ziggurat of Ur, the Prophet Ibrahim’s house and the historical marshes in Nasiriyah governorate.
Pope Francis’ visit to Iraq had a great impact on promoting tourism, creating a desire for celebrities on YouTube to visit this country and Prophet Ibrahim’s house in particular where the pope prayed and launched his peace initiative.
Iraq’s diplomatic openness over the past two years has played a major role in attracting tourists, not to mention the conferences held there, such as the Baghdad Conference for Cooperation and Partnership with the participation of France and Iraq's neighboring countries, as well as the reopening of the Iraqi National Museum, the return of 17,321 stolen Iraqi artifacts from the United States and the holding of art festivals such as the Babylon Festival after a 19-year hiatus.
Some famous YouTubers devoted their stays to taking their followers on a broad tour of Iraqi historical locations and cultural monuments. US tourist Doug Barnard, who has 423,000 subscribers, made a comprehensive video about Iraqi archaeological sites, focusing on ancient Iraq and its civilization as well as modern Iraq and its tourist attractions, inviting everyone to visit Iraq. Barnard was most interested in the Ziggurat of Aqar Quf, a historical temple located near Baghdad from the 14th century BC, and Malwiya Samarra, an Islamic minaret from the Abbasid era.
Despite the noticeable increase in foreign tourists and the great effort made by the government to restore Iraq's name and reputation, the country still needs to ramp up its positive advertising and marketing campaigns to attract people from all around the world.
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