Daniele Rocchi
“I cristiani arabi si impegnano a lavorare per la nascita di uno Stato
nazionale civile che garantisca a tutti i cittadini stessi diritti e
doveri, l’esercizio del loro credo religioso, e nel quale vivere in pace
con i loro concittadini musulmani sunniti, sciiti, con ortodossi,
curdi, assiro-babilonesi, copti, yazidi e altri. Uno Stato nazionale che
permetterebbe loro di passare da membri da una comunità a cittadini di
una nazione”.
È la pressante richiesta di un rinnovamento morale e culturale della
politica quella che emerge dal documento finale dell’incontro del
laicato arabo cristiano che si è svolto a Parigi, il 23 novembre,
organizzato dall’associazione libanese “Nostra Signora della Montagna”,
guidata dall’ex deputato libanese Fares Souaid, noto per aver
accompagnato il patriarca maronita, card. Bechara Rai, nella sua storica
visita in Arabia Saudita, la prima di un leader religioso cristiano nel
paese custode dei luoghi più sacri per l’Islam.
Circa 100 delegati di diversi riti (caldeo, copto, melchita, latino,
siro, maronita, ortodosso) dall’Egitto, dalla Siria, dall’Iraq, dalla
Giordania e dalla Palestina, con la presenza di un rappresentante del
Ministero degli Esteri francese e di mons. Andrea Ferrante, incaricato
d’affari presso la Nunziatura Apostolica in Francia, hanno discusso su
“come portare avanti l’idea di fratellanza e cittadinanza, quale base su
cui individuare la soluzione ai problemi della regione e dei rispettivi
Paesi”.
Chiaro il rimando al documento sulla Fraternità umana per la pace
mondiale e la convivenza comune firmato il 4 febbraio scorso, ad Abu
Dhabi, da papa Francesco e dal Grande Imam di Al Azhar Ahmad Al-Tayyeb.
Nella Dichiarazione viene ribadito con chiarezza che: “Il concetto di
cittadinanza si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la
cui ombra tutti godono della giustizia. Per questo è necessario
impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena
cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze,
che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso
prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste
e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli”.
“La situazione in Medio Oriente
– spiega al Sir Saad Kiwan, giornalista e intellettuale libanese, tra i
promotori dell’incontro di Parigi – è preoccupante. I fenomeni che
attraversano questa regione calda non sono solo di natura politica ma
toccano temi come il terrorismo, il settarismo, il concetto di
minoranza”.
“È bene ricordare che i cristiani non sono
stranieri in Medio Oriente ma sono gli abitanti originari e non hanno
bisogno di nessuna protezione” aggiunge l’intellettuale che punta
l’indice contro quegli attori regionali e internazionali che stanno
“cercando di lanciare un’alleanza delle minoranze offrendo protezione
davanti al bubbone del terrorismo sunnita dello Stato Islamico”.
Ogni
forma di ingerenza esterna, secondo Kiwan, impedisce la convivenza: “I
cristiani vogliono vivere insieme a tutte le componenti presenti nelle
rispettive società. Non serve allearsi con nessuna comunità per andare
contro le altre perché questo sistema perpetua inimicizie, divisioni e
contrasti”.
“I cristiani non hanno bisogno di garanti”.
La meta per tutti è quella indicata dal documento di Abu Dhabi: la cittadinanza.
Questa,
afferma con convinzione Kiwan, “può essere garantita solo dallo Stato,
uno Stato democratico e laico, in cui la religione sia distinta dalla
politica. L’unico che possa garantire il passaggio dalla convivenza di
comunità divise e frammentate da settarismo e confessionalismo al vivere
insieme come cittadini aventi tutti uguali diritti, nel quadro di un
progetto volto a ricercare il bene comune del Paese”.
Da Beirut a Baghdad.
Un’aspirazione che si ritrova ben espressa nelle cosiddette “rivoluzioni di velluto”
in corso in Libano e in Iraq. Tanti i punti in comune tra le piazze
libanesi e irachene. “I manifestanti sono scesi in piazza senza badare
alle differenze confessionali, settarie, politiche. Tantissimi sono
giovani che sanno bene cosa vogliono e hanno una volontà incredibile.
Sono pacifici, questo è importante, nonostante le provocazioni dei
miliziani di Hezbollah e Amal contro i manifestanti a Beirut”. Lo stesso
clima in Iraq: “A Baghdad non si parla di scontri tra sciiti e sunniti
ma di una rivolta di cittadini, di un popolo contro il Governo, la
corruzione, la carenza di servizi e contro l’egemonia iraniana. Chiedono
un Paese libero governato da iracheni e da cittadini liberi.
Rivendicano le stesse cose che rivendichiamo in Libano.
In Libano siamo riusciti a far cadere il Governo, in Iraq chiedono
nuove elezioni, vogliono cambiare. Da Beirut a Baghdad i manifestanti
chiedono di essere trattati da cittadini e non da sciiti, sunniti,
cristiani, alauiti e via dicendo. Siamo davanti a un fatto epocale –
dice Kiwan – che potrebbe portare a quella giusta laicità da tutti
invocata auspicata. Sarebbe una svolta per l’intera regione. I pericoli
sono tanti, soprattutto le soluzioni militari atte a reprimere nel
sangue le proteste”. Per questo nella dichiarazione finale di Parigi
come cristiani arabi “facciamo appello a tutti i giovani in Libano,
Iraq, Algeria, Sudan e Libia perché si impegnino a mantenere pacifica la
protesta-rivoluzione come unica risposta alla repressione sanguinaria
dei regimi come successo in Siria e in Iraq. Auspichiamo la pace a
livello internazionale basata sui diritti dei popoli e garantita dagli
accordi e dalle convenzioni internazionali.
Condanniamo ogni
forma di terrorismo, male che affligge l’umanità e che inquina i
rapporti umani tra i popoli e che fa il gioco dei governi e dei regimi
autoritari”.
A Baghdad hanno alzato la bandiera libanese e a Beirut quella irachena.