"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

24 novembre 2011

Irak: être chrétien et survivre, malgré tout

By La Vie, 22/11/2011
by Natalia Trouiller

Vivant dans la peur à Bagdad, les chrétiens sont nombreux à se réfugier au Kurdistan irakien où leur avenir peut parfois s'envisager plus sereinement.

LES CHRETIENS D'IRAK, ENTRE PEUR ET ESPOIR
"Notre espoir est comme une petite bougie qui s'obstine à brûler dans le noir".
Ces mots sont du père Amir Jaje
, supérieur de l'ordre dominicain à Bagdad. Devant l'incapacité des différentes forces du pays à se mettre d'accord sur un mode de gouvernement stable, la situation, selon le prêtre, "a empiré en raison des tensions entre partis politiques". Les chrétiens redoutent donc que le chaos succède ausi fragile équilibre actuel, avec son lot de malheurs pour les minorités religieuses.
Dans ce marasme, le Kurdistan irakien apparaît pour nombre de chrétiens comme un havre de paix; mais après avoir émigré, beaucoup, selon le père Jaje, reviennent à Bagdad, en raison des difficultés d'adaptation linguistique et parce qu'ils ne trouvent pas de travail là-bas. La communauté dominicaine a donc mis en place un réseau d'aide financière pour les familles les plus pauvres, ainsi qu'une structure d'accompagnement à l'emploi.
Certains pourtant trouvent au Kurdistan de nouvelles perspectives. L'archevêché chaldéen d'Erbil a décidé, depuis le début de l'année 2011, de se lancer dans la construction d'un complexe médico-éducatif,composé d'un hôpital, d'une université et de deux écoles, primaire et secondaire. Ces dernières viennent de voir le jour, grâce à l'apport de fonds autochtones et américains. Accueillant 174 enfants pour l'instant, l'école Mar Qardakh - du nom du saint patron de l'archidiocèse - est gérée par deux couples de chrétiens américains; l'enseignement est dispensé en anglais, la seconde langue obligatoire est le français et les élèves peuvent choisir une troisième langue, kurde ou arabe. Elle ambitionne l'excellence, voulant renouer avec la tradition d'enseignement de haut niveau qui était traditionnellement l'apanage des écoles chrétiennes irakiennes avant la guerre.

The situation of Christians in Iraq

By Where God Weeps


I cristiani d'Iraq

"La difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole

per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani"

(Papa Giovanni Paolo II)

Tradizioni rispettate nel chiuso delle case e delle Chiese. Alberi addobbati e presepi nascosti da tende spesse alle finestre. La Santa Messa, di giorno, per motivi di sicurezza. La costante paura nel cuore e la fede incrollabile.
Aiuto alla Chiesa che Soffre vi racconta il Natale sotto assedio dei cristiani iracheni attraverso le testimonianze di vescovi, parroci e semplici fedeli. E un’intervista al nunzio apostolico, monsignor Giorgio Lingua, che ad ACS-Italia descrive i cristiani d’Iraq: «testimoni coerenti del Vangelo» che si «fanno strada tra i check-point» per entrare in Chiesa.

Prega con noi per i cristiani d'Iraq

Guarda la fotogallery


Leggi le testimonianze raccolte da ACS:

Monsignor Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Iraq e Giordania

Monsignor Yousif Mansoor Abba, Arcivescovo di Baghdad dei siri cattolici

Monsignor Jean Benjamin Sleiman, Arcivescovo di Baghdad dei Latini

Don Aysar Saeed, sacerdote della diocesi di Baghdad dei siri cattolici

Padre Amir Jaje, superiore dei Domenicani di Baghdad

Padre Rufail Qutaimi, vicario emerito della cattedrale di “Nostra Signora della Salvezza” a Baghdad

Don Robert Jarjis e Seif, parrocchia "Santa Maria Assunta in Cielo" a Baghdad

Monsignor Louis Sako, arcivescovo caldeo della città di Kirkuk

Monsignor Georges Casmoussa,
arcivescovo emerito di Mosul dei Siri cattolici

Monsignor Amel Nona, Arcivescovo caldeo di Mosul

Joseph Kassab, direttore della Federazione dei Caldei d’America

Aiuto alla Chiesa che soffre: nel 1987 i cristiani in Iraq erano 1.400.000, oggi sono 300.000

By Tempi

Nel numero di Tempi in edicola trovate un depliant curato dall'Aiuto alla Chiesa che soffre il cui titolo dice già tutto: "Per i cristiani iracheni sarà un Natale sotto assedio. Aiutiamoli". Acs lancia un appello e dà la possibilità concreta di aiutare i cristiani del martoriato paese.
Con carta di credito si può effettuare la donazione chiamando al numero 06.69893929 oppure online collegandosi al sito acs-italia.org.
Con bonifico bancario: Intesa SanPaolo S.p.A - IBAN IT 11 H 03069 05066 011682210222. Occorre poi inviare una email con i propri dati postali all'indirizzo donazioni@acs-italia.org.
Con conto corrente postale N: 932004 intestato ad "Aiuto alla Chiesa che soffre" - Piazza San Calisto 16 - 00153 Roma).
La situazione è drammatica: nel 1987 i cristiani in Iraq erano 1.400.000, oggi sono 300.000.

L’opera iniziata nell’Europa ferita del secondo Dopoguerra da un sacerdote olandese trentaquattrenne oggi è una realtà internazionale con una sede principale a Königstein in Germania e 17 segretariati nazionali. Aiuto alla Chiesa che soffre (eretta Associazione pubblica universale di diritto Pontificio nel 1984) è infatti l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. L’impeto è quello del suo ardimentoso fondatore padre Werenfried van Straaten. Fu lui l’anima di opere di evangelizzazione fantasiose e originali, come, nel 1950, l’azione “Cappelle-volanti”. In pratica la trasformazione di alcuni pullman in cappelle su ruote per raggiungere le comunità di fedeli, celebrare degnamente la liturgia e amministrare i sacramenti. Sullo stato della persecuzione dei cristiani nel mondo e su quella sottile, ma non meno dannosa opera di censura che è il relativismo culturale, Tempi ha fatto il punto della situazione con Massimo Ilardo, direttore della sede italiana di Acs.

Direttore, quali sono i paesi in cui i cristiani soffrono di più a causa della fede?

Non è semplice restringere il campo, perché i paesi in cui credere in Dio si paga a caro prezzo sono ancora molti. Penso all’Iraq, che i fedeli hanno abbandonato e continuano ad abbandonare numerosi: persino uscire di casa mette paura. O al Pakistan dove Asia Bibi ci ha insegnato che nessuno è al riparo dall’iniquità della legge. E poi all’India, all’Egitto, alla Nigeria, all’Indonesia e alla Cina. Il governo di quest’ultima (nuovo gigante dell’economia mondiale), viola sistematicamente la libertà religiosa. Tuttavia la Chiesa cattolica cinese continua coraggiosamente a seguire il Papa a dispetto dei beni confiscati, delle deportazioni nei campi di rieducazione e delle inspiegabili sparizioni di vescovi e sacerdoti. Ci sono però anche paesi nei quali la limitazione della libertà religiosa è più sottile, a tratti quasi invisibile, ma c’è: si pensi ad esempio alla nostra Unione Europea nella quale persistono realtà che ostracizzano già la sola presenza del crocifisso in classe.
Aumentano i timori circa gli sviluppi della primavera araba, con l’anelito di libertà dei paesi nordafricani che rischia di aprire un varco al fondamentalismo con pesanti conseguenze per la libertà religiosa dei cristiani. Che timori nutre?
La caduta di regimi totalitari, come quello di Ben Alì o di Mubarak, ha inevitabilmente creato dei vuoti di potere che i gruppi più radicali cercano di conquistare. Temo una deriva estremista che avrebbe tragiche conseguenze per i cristiani e snaturerebbe gli stessi movimenti di emancipazione. A volte la prudenza della Chiesa nei confronti della primavera araba è stata male interpretata, come nel caso della Siria. Le preoccupazioni dell’episcopato cattolico siriano non nascondono un atteggiamento filo-Assad, sono solo espressione della paura fondata di una situazione analoga al dopo Saddam in Iraq.
Si può dire che quella dell’Egitto è la situazione più delicata?
Non sottovaluterei la Siria, ma di certo i cristiani egiziani vivono uno dei momenti più difficili. Gruppi un tempo ostracizzati dal regime come i salafiti, sono oggi liberi di agire, commettendo sempre più spesso violenze. Le speranze della primavera araba stanno svanendo e i cristiani abbandonano numerosi il paese. Speriamo nelle prossime elezioni, ma credo ci vorranno anni prima che in Egitto si diffonda una cultura democratica. Ma ripeto: a livello mondiale ci sono situazioni altrettanto delicate anche se “mediaticamente” meno visibili.
Le forme di persecuzione comprendono anche l’emarginazione culturale del cristianesimo?
Indubbiamente. I modi in cui è violata la libertà religiosa possono essere atroci e cruenti, oppure subdoli e meschini. La nostra fede è spesso sminuita, a volte perfino ridicolizzata. Siamo vittime di quello che Benedetto XVI ha ben descritto come il «predominio culturale dell’agnosticismo e del relativismo». Anche questa è una negazione della libertà religiosa a cui non dobbiamo piegarci, vivendo la nostra religiosità in privato.
Nel corso degli anni è aumentata la sensibilità dei cristiani d’Occidente verso i loro fratelli perseguitati nel mondo?

La libertà religiosa riscuote un interesse sempre maggiore e noi di Aiuto alla Chiesa che soffre, che per primi abbiamo difeso questo diritto fondamentale sin dal 1947, non possiamo che esserne lieti. Tuttavia l’idea occidentale della persecuzione è generalmente approssimativa e vi è la tendenza a inglobare il tema nel più ampio fenomeno migratorio. Per questo Acs-Italia è fortemente impegnata nella formazione alla libertà religiosa.
Come valuta l’impegno delle istituzioni internazionali per la libertà religiosa?
La libertà religiosa è la cartina tornasole del rispetto dei diritti umani in un paese. E non è semplice intervenire dove essa è negata perché il più delle volte ci si scontra con governi non democratici. Ma la comunità internazionale è molto attiva. Lo dimostrano le ultime dichiarazioni di Cameron, l’attività dell’Ufficio internazionale per la libertà religiosa del dipartimento di Stato americano e il costante impegno dell’attuale presidenza Osce.
Da poco in Italia è stato presentato il volume Perché mi perseguiti? Libertà religiosa negata, luoghi e oppressori, testimoni e vittime (Lindau). Che tipo di accoglienza trovano questo tipo di pubblicazioni?
Nei suoi 12 anni di vita, il nostro Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo ha saputo guadagnarsi ovunque un posto di rilievo sulle scrivanie di politici, studiosi e giornalisti. Con Perché mi perseguiti? ci rivolgiamo ad un pubblico diverso: non solo addetti ai lavori, ma anche educatori, catechisti o semplicemente persone interessate al tema. L’apprezzamento dei lettori ha premiato la nostra scelta.
Com’è cambiato il modo di agire di Acs nel corso degli anni?
Il mondo è ovviamente molto diverso dal secondo Dopoguerra quando la nostra azione era concentrata prevalentemente oltre la Cortina di ferro, ma ora come allora la nostra missione è identica: soccorrere la Chiesa ovunque la mancanza di mezzi economici o la violazione della libertà religiosa rendano difficile o impossibile l’evangelizzazione. E desidero chiudere con le illuminanti parole di padre Werenfried van Straaten: «La nostra Opera vi offre la possibilità di condividere il dolore di Gesù. Al di là di tutte le frontiere, noi portiamo qualche cosa di vostro – una parte dei vostri beni, un pezzo del vostro cuore, una manciata di consolazione, un panno per asciugare le Sue lacrime».

21 novembre 2011

Nuova scuola cristiana in Iraq. Mons. Bashar M. Warda e Mons. Giorgio Lingua.

By Baghdadhope*

Inaugurata la scuola cristiana di Mar Qardakh ad Erbil, nel nord Iraq.
Baghdadhope ne ha parlato con l’Arcivescovo caldeo di Erbil, Mons. Bashar M. Warda e con il Nunzio Apostolico in Giordania ed Iraq, Mons. Giorgio Lingua.

All’inizio del 2011 l’arcivescovo caldeo di Erbil, Mons. Bashar M. Warda, presentò il progetto relativo alla creazione di un ospedale e di un’università nella città del nord Iraq divenuta da anni una delle mete obbligate per i cristiani in fuga dalle violenze negli altri centri del paese.
Un ospedale ed un università che, seppur di proprietà dell’arcidiocesi che ne curerà la gestione, saranno aperti a tutti, indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa, e daranno a molti cristiani l’opportunità di lavorare e quindi di ricostruirsi una vita.
Un progetto ambizioso al quale l’arcidiocesi sta lavorando con impegno – l’inizio dei lavori di costruzione dell’ospedale è infatti previsto per il prossimo mese di dicembre – e che da pochi giorni ha iniziato a concretizzarsi con l’inaugurazione di un’iniziativa “satellite”: la scuola primaria e secondaria dedicata a Mar Qardakh, santo patrono dell’arcidiocesi e figura molto importante nella storia della chiesa orientale a causa del martirio da lui subito per essersi convertito, - lui, di nobile famiglia persiana di fede zoroastriana – alla fede cristiana in seguito all’incontro con l’eremita Abdisho’, e per essersi consegnato ai soldati persiani che lo assediavano tra i monti dopo aver sognato Santo Stefano che lo invitava a rinunciare alla lotta e piuttosto a sacrificare la sua vita in nome della fede.
Una scuola, quella di Mar Qardakh, che affonda quindi le sue radici storiche nel passato ma che di antico non ha nulla e che, anzi, si propone come un’istituzione dedicata alla formazione di un’élite culturale che niente avrà da invidiare a quelle formate in paesi considerati più all’avanguardia nel campo educativo.

Baghdadhope ne ha parlato con Monsignor Warda.
“Il progetto per la scuola primaria e secondaria è nato circa dieci mesi fa” ha spiegato l’alto prelato, “l’edificio è sorto su un terreno di proprietà dell’arcidiocesi e con un investimento di 3.400.000 $, dei quali 1.600.000 $ donati dal governo americano attraverso l’ufficio per la tutela delle minoranze dell’ambasciata USA in Iraq ed 1.800.000 $ messi a disposizione dall’arcidiocesi”
“E’ una scuola privata su modello americano che quindi è strutturata su 12 gradi a partire dai sette anni di età e che grossomodo se teniamo conto del sistema scolastico italiano va dalla prima elementare alla fine della scuola secondaria.”
Quanti studenti sono già iscritti?
“174 iscritti nei primi 4 gradi”
Che tipo di insegnamento verrà impartito?
“La gestione della scuola è affidata a due coppie cristiane americane specializzate in campo educativo che si occuperanno anche di preparare all’insegnamento ragazzi e ragazze già laureati nelle università irachene, 27 dei quali già fanno parte del corpo docente, e gli studenti per il conseguimento del baccellierato internazionale. Il curriculum degli studi è basato su modelli internazionali ed è stato approvato dal ministero dell’istruzione della regione autonoma del Kurdistan in cui si trova Erbil. L’insegnamento verrà impartito in inglese, la seconda lingua obbligatoria è il francese e gli studenti seguiranno anche corsi a scelta tra arabo e curdo. E’ una scuola a tempo pieno in cui le lezioni iniziano alle 8.00 e finiscono alle 16.00 e che prevede anche attività extracurricolari ed un sistema di tutoring per gli studenti che hanno bisogno di mettersi in pari negli studi di alcune materie. Ogni studente, poi, ha a disposizione un personal computer.”
Una scuola davvero all’avanguardia. Perché la scelta dell’inglese come lingua di insegnamento?
“La scelta è stata quella di una lingua “scientifica”, se così si può dire, e non di una lingua “nazionalista”. Erbil si trova in territorio curdo ma sono molti gli arabofoni, ad esempio molti dei cristiani che sono arrivati qui dalle aree del paese dove non si parla il curdo. Scegliere una delle due lingue avrebbe quindi creato problemi e difficoltà per gli studenti. Fermo restando che, ovviamente, sia l’arabo sia il curdo sono materie di studio, ci è sembrato giusto scegliere l’inglese per evitare tali problemi e soprattutto perché è la lingua che i nostri studenti potranno “spendere” ovunque, in Iraq e nel mondo.”
Un computer per studente è un sogno in molti paesi del mondo..
“Gli iracheni, privati per tanti anni degli aggiornamenti tecnologici che altrove erano normali sono ormai diventati dei veri appassionati e dei veri esperti. I ragazzi devono poter acquisire tutti i mezzi che permetteranno loro di affrontare il mondo moderno. Oltre a ciò ci saranno contatti via web tra la nostra scuola e scuole in Canada, Australia e Stati Uniti e, a partire dall’anno prossimo, speriamo anche con la Francia. Un modo per migliorare l’apprendimento delle lingue e soprattutto per confrontarsi con coetanei di tutto il mondo. La scuola, inoltre, così come l’ospedale e l’università, darà lavoro a tanti cristiani che in molti casi hanno dovuto lasciare le proprie case senza portarsi dietro nulla ma che hanno delle professionalità che sarebbe un peccato sprecare. Il fenomeno della migrazione degli iracheni cristiani verso l’estero ha purtroppo decimato la comunità, un problema spesso denunciato come segno di una possibile completa sparizione della comunità dal paese. Denunciare però non basta. Chi è rimasto ha bisogno sì di incoraggiamento ma anche di lavorare, costruirsi un futuro dignitoso senza dover dipendere dagli altri, chiesa o governo che sia. Oltre a ciò la scuola impiegherà a vari livelli molte donne che nella società mediorientale in cui prevalgono ancora valori antichi sarebbero destinate a restare fuori dal mondo lavorativo.”
Una visione molto aperta la sua, monsignore..
“Realistica più che aperta, direi. E comunque rispettosa delle consuetudini culturali. Una donna che lavora nella nostra scuola, nella nostra università o nel nostro ospedale, sarà certa di farlo in un ambiente sicuro, e porterà anche le famiglie più tradizionaliste ad accettare piano piano il suo nuovo ruolo di parte attiva della società che tutti vogliamo costruire.
Torniamo alla scuola di Mar Qardakh di proprietà dell’arcidiocesi di Erbil. Gli studenti sono solo cristiani?
“Per ora sì. I principi della religione cristiana sono la linea guida della scuola tanto che chiederemo che possa diventare anche ufficialmente nella sua denominazione una scuola “cattolica”. Questo però non vuol dire che gli studenti non di fede cristiana non saranno accettati. I principi cristiani non escludono ma, anzi, accettano tutti con amore. Per questa ragione noi speriamo che studenti non cristiani vogliano iscriversi. Dobbiamo aspettare….”
La comunità irachena cristiana ha sempre avuto un ruolo importante nella diffusione della cultura nel paese, basti pensare al collegio dei gesuiti di Baghdad, nazionalizzato nel 1968 dal partito Baath, che fu dalla sua nascita nel 1932 una delle più importanti istituzioni culturali del paese tanto da avere a volte più studenti musulmani che cristiani. O alle altre scuole gestite dalla chiesa nel passato ma anche ai giorni nostri.
Lei pensa che nel nuovo Iraq i cristiani recupereranno il ruolo di dispensatori di cultura?
“Non è facile essere cristiani in Iraq. Ci vuole molta fede e molto coraggio. La cultura è certamente un mezzo valido per affermare il nostro ruolo di cittadini a pieno titolo nel paese che amiamo e che è nostro come di tutti gli altri iracheni.”

Una scuola moderna basata sui principi della religione cristiana in un paese a maggioranza musulmana come l’Iraq. Un’istituzione che il Nunzio apostolico in Giordania ed Iraq, Monsignor Giorgio Lingua, presente il giorno dell’inaugurazione lo scorso 11 novembre, ha dichiarato a Baghdadhope essere: “Un progetto scolastico di prima classe” realizzato con “rapidità impressionante”. L’auspicio espresso dal Nunzio è che una tale istituzione possa formare una nuova classe dirigente saldamente ancorata ai valori cristiani che la porteranno a mettere a servizio di tutta la comunità l’educazione ricevuta perché, come ha detto nel suo discorso in occasione della cerimonia di inaugurazione della scuola, l’istruzione del singolo non ha valore se non serve per il bene di tutti.
Ciò che è necessario, secondo Mons. Lingua, è che coloro che hanno il compito di educare ed istruire le nuove generazioni ricordino l’importanza di insegnare loro soprattutto la mentalità dell’amore che è la mentalità di Gesù. Gesù che visse in Palestina in un periodo di forti tensioni e violenze ma che non cercò di risolvere i problemi, che non lottò contro gli oppressori, iniziando piuttosto a creare nei suoi discepoli una nuova mentalità che andava controcorrente quando diceva ad esempio 'Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli'.
La mentalità dell’amore, appunto, che servirà alle nuove generazioni di studenti non tanto per il proprio successo personale ed economico quanto per creare un mondo migliore.
La presenza di Mons. Lingua ad Erbil per l’inaugurazione della scuola di Mar Qardakh ha indubbiamente rimarcato l’attenzione che la Santa Sede attraverso la Nunziatura ha verso la comunità irachena di fede cristiana e che si esprime, come ha spiegato lo stesso Nunzio, in diversi modi.
L’incoraggiamento alla cooperazione internazionale attraverso le ambasciate presenti a Baghdad a favore delle fasce più deboli della società irachena, ad esempio con progetti di sviluppo che riguardino le aree in cui molti cristiani si sono rifugiati per ragioni di sicurezza, ma anche il sostegno alla Caritas internazionale e, per rimanere nel campo dell’istruzione, la promozione di borse di studio a favore degli studenti cristiani sia in Iraq, attraverso la Caritas, sia all’estero con la collaborazione dell’ambasciata di Polonia e dell’Unione Europea.
Certo, come ha detto Mons. Warda, essere cristiani in Iraq non è facile ed iniziative come la scuola di Mar Qardakh o quelle promosse dalla Nunziatura Apostolica non serviranno a risolvere tutti i problemi. Sono però dei segnali forti della volontà degli iracheni cristiani di rimanere nel proprio paese e di contribuire alla sua rinascita. Sarebbe ora che tutte le parti in Iraq, a dispetto di etnia e fede, facessero lo stesso.
Nel nome del paese che tutti amano.

All’inaugurazione della scuola di Mar qardakg, sabato 12 novembre, erano presenti l'Arcivescovo titolare della diocesi, Mons. Bashar Warda, il Nunzio Apostolico in Gordania ed Iraq, Arcivescovo Mons. Giorgio Lingua, il Governatore di Erbil, Mr. Nauzad Hadi, il coordinatore per gli affari delle minoranze presso l'ambasciata americana in Iraq, Mr. Peter Bodde ed il Console Generale americano in Kurdistan, Mr. Alexander Laskaris.

New Christian school in Iraq. Mgr. Bashar M. Warda and Mgr. Giorgio Lingua

By Baghdadhope*

Opening of Mar Qardakh Christian school in Erbil, northern Iraq.
Baghdadhope spoke with the Chaldean Archbishop of Erbil, Mgr. Bashar M. Warda and to the Apostolic Nuncio to Jordan and Iraq, Mgr. Giorgio Lingua.

In early 2011, the Chaldean archbishop of Erbil, Mgr. Bashar M. Warda, submitted the project to create a hospital and a university in the northern Iraqi city that since many years ago has become a forced destination for Christians fleeing violence in other cities of the country.
A hospital and a university that, although owned and managed by the archdiocese, will be open to all, regardless of ethnicity and religion, and will give many Christians the chance to work and then to rebuild their lives.
An ambitious project the archdiocese is working hard on - the start of the construction of the hospital is in fact scheduled for next December - and that a few days ago began to take shape with the opening of a linked project: the primary and secondary school dedicated to Mar Qardakh, patron saint of the archdiocese and a very important figure in the history of the Eastern churches because of the martyrdom he suffered from for having converted, - him, a noble Persian of Zoroastrian faith - to the Christian faith after meeting the hermit Abdisho', and because he surrendered to the Persian soldiers who were besieging him in the mountains after St. Stephen had appeared to him in a dream suggesting him to give up the fight and rather sacrifice his life in the name of faith.
A school, that of Mar Qardakh, that is rooted in the historical past but that has nothing of ancient in it being, as it is, an institution dedicated to the formation of a cultural élite whose education will not be worse than that offered by countries usually considered most advanced in the field of education.

Baghdadhope spoke about it with Mgr. Warda.
"The project for the primary and secondary school began about ten months ago," said the bishop, "the building is on a plot of land owned by the archdiocese and was built thanks to an investment of $ 3,400,000, 1,600.000 $ donated by the U.S. government through the Office for the Protection of Minorities of the U.S. Embassy in Iraq and 1,800,000 $ provided by the archdiocese " "It 'a private school based on the American model and structured on 12 levels starting from seven years of age and that, if we consider the Italian school system, goes roughly from the elementary school to at the end of the secondary school."
How many students has the school?
"174 children in the first 4 degrees"
What will be taught in the school?
"The school is managed by two American Christian couples specialized in education who will also prepare to the teaching qualification boys and girls already graduated in Iraqi universities, 27 of whom are already in the school teaching staff, and the students to achieve the International Baccalaureate. The curriculum is based on international standards and was approved by the Ministry of Education of the autonomous region of Kurdistan where Erbil is located. The subjects will be taught in English, the compulsory second language is French and the students will choose between Arabic and Kurdish as the third language. It 'a full-time school where classes start at 8.00 a.m. and finish at 4.00 p.m. and it also provides a system of extra-curricular activities and tutoring for students who need to catch up in certain subjects. Moreover each student has at his disposal a notebook. "
A cutting-edge school. Why English as the teaching language?
"We choce a "scientific " language, if one might say so, and not a 'national' one. Erbil is in the Kurdish territory, but there are many Arabic speakers, for example many of the Christians who came here from areas of the country where Kurdish is not spoken. To choose one of these two languages as the only teaching language would then create problems and difficulties for the students. As both Arabic and Kurdish are subjects of study English was the best choice to avoid these problems and especially because it is the language that our students can "spend" everywhere, in Iraq and in the world. "
One notebook per student is a dream in many countries of the world ..
" Iraqis, deprived for many years of technology upgrades that were normal elsewhere have become real enthusiasts and experts. Students must acquire all the means that will enable them to face the modern world. In addition there will be web contacts between our school and schools in Canada, Australia and the United States and, hopefully starting from the next year, with France. The students will improve their language learning and will have direct contacts with peers from around the world. Besides that the school, as the hospital and the university, will employ many Christians who in many cases had to leave their homes leaving all they owned but who have skills that would be a shame to waste. The migration of Iraqi Christians abroad has unfortunately decimated the community, a problem often denounced as a sign of a possible complete disappearance of the community from the country. But to denounce is not enough. Who is still here needs encouragement but also needs to work, to build a decent future without depending on others, whether church or government. In addition to this the school will employ women who in a Middle Eastern society where old values still prevail would be destined to remain outside the job market."
A very open-minded attitude....
"Realistic more than open-minded, I would say. In any case respectful of cultural traditions. A woman working in our school, our university or in our hospital, will work in a safe environment and will slowly take even the more traditional families to accept her new role as part of the society we all want to build."
Let’s go back to the school of Mar Qardakh owned by the Archdiocese of Erbil. Are the students only Christian?
"Yes, by now. The principles of the Christian religion are the guiding light of the school and we will apply for it to be officially named as a "Catholic" school. This does not mean that non-Christian students will not be accepted. The Christian principles do not exclude, but rather, accept everyone with love. For this reason we hope that non-Christian students will enroll in the school. We have to wait .... "
Iraqi Christian community has always played an important role in the spread of culture in the country. We can remember, for example, the Jesuit college in Baghdad that was nationalized in 1968 by the Baath Party and that from its birth in 1932 was one of the most important cultural institutions of the country to the extent that sometimes it had more Muslim than Christian students, or the schools run by the Church in the past but also today. Do you think that Christians in the new Iraq will regain their role of culture spreaders?
"Being a Christian is not easy in Iraq. You need faith and courage. Culture is certainly a valid way to assert our role as full citizens in the country we love and that is ours as of all the other Iraqis."


A modern school based on the principles of the Christian religion in a predominantly Muslim country like Iraq.
An institution that the Apostolic Nuncio to Jordan and Iraq, Mgr. Giorgio Lingua, described to Baghdadhope as: "A first class school project" realized at "amazing speed". The wish expressed by the Nuncio is that such an institution can form a new ruling class firmly inspired by the Christian values that will take it to put at the service of the entire community the education received because, as he said in his speech at the inauguration of the school, the education of the individual has no value unless it is for the good of all.
According to Mgr. Lingua those who have the responsibility to educate and train the new generations have to remember the importance of teaching them the mentality of love that is the mentality of Jesus Christ who lived in Palestine in a period of religious, political and economical tensions and violence but did not try to solve the problems, did not fight against the oppressors, but began to create a new mentality in his disciples, a mentality that was against the rules when he said 'Blessed are the poor in spirit for theirs is the kingdom of heaven. '
The mentality of love that the new generations of students will need not so much for their personal and economic success, but to create a better world.
The presence of Mgr. Lingua in Erbil for the opening of the school of Mar Qardakh has undoubtedly stressed the importance the Holy See through the Nunciature has toward the Iraqi community of Christian faith and that is expressed, as explained by the Nuncio, in different ways.
The encouragement to the international cooperation through the embassies in Baghdad in aid of the weaker sections of the Iraqi society, for example through development projects that target the areas in which many Christians have fled for safety reasons, but also the support of Caritas International, and again in the field of education the promotion of scholarships in favour of Christian students in both Iraq, through Caritas, and abroad in collaboration with the Embassy of Poland and the European Union.
As the Archbishop Warda said being Christian in Iraq is not easy and initiatives such as the school of Mar Qardakh or those promoted by the Apostolic Nunciature will not solve all the problems. But they are strong signals of the will of the Iraqi Christians to remain in their own country and contribute to its revival. It's time for all the parties in Iraq, despite the ethnicity and faith, to do the same.
In the name of the country that everyone loves.

At the opening ceremony of the school of Mar Qardakh, on Saturday, Nov. 12, there were the titular archbishop of the diocese, Archbishop Bashar M. Warda, the Apostolic Nuncio to Jordan and Iraq, Archbishop Giorgio Lingua, the Governor of Erbil, Mr. Hadi Nauzad, the coordinator for minority affairs at the U.S. embassy in Iraq, Mr. Peter Bodde and the American General Consul in Kurdistan, Mr. Alexander Laskaris.

Les chrétiens en Orient : chantiers de recherche et débats contemporains.

By Baghdadhope*

École française de Rome
Piazza Navona, 62

00186 Roma


Institut français - Centre Saint-Louis

Largo Toniolo, 20/22

00186 Roma


Ambassade de France près le Saint-Siège

Villa Bonaparte - Via Piave, 23

00187 Roma



Alors que les pays de l’Orient méditerranéen connaissent des bouleversements politiques majeurs, le sort des chrétiens d’Orient provoque de nouvelles inquiétudes et interrogations. Les chrétiens participent-ils au processus de transformation du monde arabe?
Le «printemps arabe» modifie-t-il le sort de ces communautés ? Comment l’appartenance confessionnelle s’articule-t-elle avec la construction d’une citoyenneté?
En outre, l’émigration des chrétiens hors des régions d’où l’Eglise est originaire et les situations dramatiques dont ils sont victimes émeuvent régulièrement la conscience occidentale qui se demande s’il faut apporter une aide particulière aux chrétiens d’Orient, et comment le faire sans les fragiliser.
Enfin, à l’heure où le « dialogue » islamochrétien semble chercher un second souffle, il convient de réexaminer la place et le rôle des chrétiens orientaux dans cette rencontre.
Ces questions majeures seront débattues à la lumière de la recherche la plus récente en histoire et en sciences sociales. Les chrétiens ont longtemps été absents des discours scientifiques des historiens, sociologues, anthropologues ou politologues
spécialistes de l’aire culturelle arabe. Aujourd’hui, de nombreux travaux renouvellent largement notre connaissance de ces communautés, de leur insertion dans les sociétés et les cultures locales. Ils mettent en perspective les enjeux contemporains en donnant une profondeur historique à l’actualité brûlante. Les recherches éclairent des situations dramatiques, mais montrent aussi le refus de disparaître des chrétiens et des signes de vitalité souvent méconnus. Elles révèlent en outre les courants religieux nouveaux qui traversent les Églises traditionnelles, le poids politique des chrétiens orientaux dans leurs pays, leur rôle culturel, ou encore les nouvelles formes de convivialité islamochrétienne.

Contact :

École française de Rome

Histoire moderne et contemporaine

Direction des études : Jean-François Chauvard

Organisation : Aurélien Girard

Secrétariat : Claire Challéat

tél. 0039 0668 601 244

courriel : secrmod@efrome.it

Institut français - Centre Saint-Louis

Directeur : Nicolas Bauquet

Secrétariat : Clémence Figeac

tél. 0039 066802606

courriel : assistente@institutfrancais-csl.com

Risarcimento agli iracheni cristiani vittime del terrorismo. La promessa del governo.

By Baghdadhope*, 21 novembre 2011

Nel corso di una cerimonia tenutasi ieri nella chiesa di San Giuseppe in commemorazione della strage del 31 ottobre 2010 nella chiesa di Nostra Signora della Salvezza, Salah Abdel Razzaq, il governatore di Baghdad ha dichiarato, secondo quanto riportato dal sito "Voce dell'Iraq" e da altre agenzie che le famiglie degli iracheni cristiani che sono rimasti vittime di attacchi terroristici saranno ricompensate, al pari di tutte le altre famiglie irachene, con la somma di 3.750.000 dinari iracheni (circa 2400 Euro) e che oltre a ciò sarà riconosciuta una pensione a coloro che hanno riportato invalidità a causa degli attacchi terroristici ed alle famiglie di coloro che per essi hanno invece perso la vita.
Denaro che, ha dichiarato il governatore della capitale irachena, dovrà essere stanziato dal Ministero delle Finanze.

Iraqi Christians ‘living in fear’

By Christian Today, November 19, 2011

It’s been more than a year since an attack on a church in Baghdad left 58 Christians dead, but Christians in the Iraqi capital still fear for their lives, says one church leader.
Fr Amir Jaje, Superior of the Dominican Order in Baghdad, told Aid to the Church in Need: “Living in Iraq means living in fear. There’s no feeling safe and during the last two or three weeks the situation has got worse, because of tensions among political parties.”
Despite police protection outside churches, congregations still feel anxious and fear infiltration by extremists, he says.
Extremists were behind the horrific attack on Our Lady of Salvation church in Baghdad in October last year. The 58 victims included Fr Jaje’s cousin, Fr Wasim Sabieh.
A Mass was held to mark the one year anniversary of the attack and although members of the congregation came to pay their respects, they were fearful that something might happen.
"They were scared because every time there’s political tension, the extremists exploit it to cause violence and spread their message," he said.
Iraq faces an uncertain time as US troops prepare to withdraw completely from the country by December 31, turning over peacekeeping responsibilities to Iraqi security forces.
Despite the need for stability, political parties have long been at odds over who should head the government.
A new national security body was supposed to help heal the bitter rivalry between supporters of Nouri al-Maliki and rival Ayad Allawi’s Iraqiya bloc but it failed to get off the ground.
Now there are concerns that the political stalemate will tip Iraq towards civil war.
Fr Jaje warned that in times of political uncertainty, minorities “suffer the worst consequences”.
Despite the fear and uncertainty, Fr Jaje said Christians in Iraq had not fallen into despair.
“Our hope is like a small candle still burning in a dark tunnel,” he said.
“And I believe we will not lose this hope.”
Such is the degree of uncertainty that many people are choosing to leave Iraq rather than staying to see what happens.
“The next five or six years are going to be crucial to determine if Christians will stay in the country,” he said.
Many of those who already left headed to Europe, the USA, or neighbouring countries like Syria and Lebanon.
Some moved to northern Iraq, which has been relatively safer for Iraqi Christians. However many of them have returned, says Fr Jaje, because they cannot find work or adjust to the Kurdish language.
Estimates vary, but it is believed that the number of Christians living in Iraq has fallen from around 1.5 million prior to the 2003 US-led invasion to less than 500,000 today.
Fr Jaje’s order has set up a fund to support families in financial difficulty and there are plans to launch projects to help people find work and a place to live.
“If people can barely survive, how can we ask them to stay in Iraq?” he said

2012, vacanze in Iraq sulle tracce di Abramo

By La Stampa 21 novembre 2011
by Francesco Rigatelli

C’ è tutta l’umanità della nostra gente in questa storia di antichità, ricchezza, religione e cultura.
Ci sono i diplomatici che nel 2003 pensano a come intensificare i rapporti culturali con l’Iraq, per cui nel frattempo partono i soldati. Ci sono gli interessi economici per un territorio ricco di petrolio. Ci sono gli studiosi che stringono i contatti coi corrispondenti locali. E poi ci sono le opportunità che anche un territorio di guerra può offrire. Prima e dopo.
Perché, per esempio, nel 2012 l’irachena Najaf diventa capitale culturale del mondo islamico. Il che significa l’aumento di quel flusso turistico che già ora incredibilmente arriva soprattutto dal mondo sciita. Tanto che gli archeologi italiani ci hanno visto un’opportunità. Dopo il successo del museo virtuale dell’Iraq, forti di rapporti come solo loro hanno saputo costruire, ora intensificano le attività nell’area di Ur, la città di Abramo. Fortuna vuole che il primo patriarca del Cristianesimo come dell’ Ebraismo sia considerato un profeta pure dai musulmani. Insomma, nel 2012 potrebbe diventare una meta turistica per tutti. Inoltre ad Ur voleva venire a pregare Giovanni Paolo II e Benedetto XVI pare interessato a realizzare quel desiderio papale. Così l’antica Mesopotamia ha tutte le potenzialità di diventare luogo di pellegrinaggio interreligioso e multiculturale. Archeologi, sacerdoti d’ogni culto, diplomatici e imprenditori si preparano.
A Najaf, solo per raccontare del caso più eclatante, il ruolo di capitale culturale ha già fruttato la costruzione dell’aeroporto, di alberghi e ristoranti. Non si tratta solo del turismo, infatti, ma delle ricadute sull’occupazione, sull’idea di futuro e sulla stessa identità del paese. Nuovi restauratori, guide turistiche, addetti museali stanno per essere formati dal progetto «Le colline di Abramo» promosso dal coordinatore della Task Force Iraq Massimo Bellelli, dal responsabile scientifico del Museo virtuale di Baghdad Massimo Cultraro, dall’ambasciatore iracheno Saywan Barzani e di cui racconta l’archeologa Stefania Berlioz. L’intenzione degli italiani è di salvaguardare le strutture archeologiche, rendere attrattivo il territorio, ampliare gli itinerari turistici, valorizzare il museo di Nassiriya e promuovere il patrimonio dell’area del Dhi Qar.
«Ci è possibile grazie alla fiducia e ai rapporti costruiti negli anni», spiega Berlioz. L’Italia e l’Iraq - è il vanto di chi lavora tra il Tigri e l’Eufrate - detengono gran parte dei beni archeologici mondiali. «Naturale una cooperazione», sottolinea Berlioz accompagnata dall’antropologa Anna Maria Cossiga, autrice di un libro sull’argomento: «Vogliamo far ripartire la macchina del turismo. Sono interventi richiesti dagli iracheni stessi. Cooperazione significa infatti lavorare insieme. C’è un dare e avere, certo, interessi economici compresi, ma non è negativo. Significa che si fanno dei patti e che ci sono dei buoni motivi per portarli avanti nella reciproca soddisfazione».

18 novembre 2011

Catholic patriarchs urge Christians to hang on to lands

By The Daily Star (Lebanon), November 18, 2011

A gathering of Catholic patriarchs in the Middle East urged Christians Thursday to hold onto their lands and holy places despite the ongoing popular uprisings in the Arab world, which have raised fears about the presence of Christians in the region. They also called for a unified Easter holiday to boost Christian unity.
Maronite Patriarch Beshara Rai, who chaired the four-day conference of Catholic Patriarchs in the Orient at the Maronite patriarchate’s seat in Bkirki, called for cooperation between Catholic and Orthodox churches and for “a dialogue of truth and life with Muslim brothers, Jews and other sons of Asian and African religions who are living with us in our countries.”
The patriarchs gave special attention to the current wave of popular upheavals in the Arab world and discussed a field study on the current situation and its impact on people, particularly Christians.
Thousands of Christians fled Iraq following the U.S.-led invasion of 2003 fueling worries over the fate of Christians in the region, while recent attacks on Christian Coptic churches in Egypt have only enhanced these fears.
The patriarchs also said that Christians should “hold onto their land and the sacred places in their historical homelands and to have confidence in the future” despite the current turmoil amid the “Arab Spring.”
The patriarchs stressed the need for national dialogue, respect of human rights and national reconciliation. They also underlined the need for “social and political reforms as a means of achieving civil peace and justice and renouncing violence as a means to bring about change.”
In an indirect reference to uprisings in the Arab world, the patriarchs called for “cooperation and supporting communications with moderate forces in our societies to broaden the basis of national participation,” and encouraged secularists’ involvement in public life.
The patriarchs also recommended “a serious attempt to unify the Easter holiday among all churches and find ways of guaranteeing practical formulas to implement this urgent request by all Christians.”
The date of Easter changes annually based on the movement of the moon, and is determined using different calendars by the Eastern Orthodox and Western Christian churches.

The Plight of Iraqi Refugees in Syria

By The World, November 16, 2011

Hazim Jajo and his wife, Hanaa Ishaq, sit on an ornate couch in their spacious new home east of San Diego. Jajo and Ishaq, who both worked for the United Nations in Iraq, have been here for five years. But today, Ishaq looks worried, her brow furrowed.
Ishaq dictates a phone number to her husband from an address book. The two speak Chaldean, the language of Iraq’s largest Christian group.
They are trying to reach Ishaq’s mother, Shami, in Damascus. She’s 84-years-old and ailing.
Ishaq’s brother answers the call. He agrees to bring his cell phone to his mother’s apartment so she can get the call from San Diego; she doesn’t have her own phone.
“Okay, bye bye,” Jajo says, hanging up. He turns to his wife and says, “Her health situation now is very bad. Now she cannot see. She is suffering vision problems.”
Ishaq gasps, looking even more distressed than she did before they made the call. Her mother has been waiting in Syria for more than two years for the US to green light her refugee application. She lives by herself, surviving mostly on a small monthly stipend and food rations from the UN.
“I signed a sponsorship for her,” Jajo says. “Now it’s more than one year, and we are still waiting.”
Since 2007, the US has resettled more than 60,000 Iraqi refugees in this country. Many of them had already left Iraq; they fled to neighboring countries like Jordan and Syria with the hope of eventually moving to the US. But in the past year, the rate of resettlement has slowed dramatically.
Larry Bartlett, who heads the Office of Refugee Admissions at the US State Dept., says it typically takes six to nine months to process refugees, but the process has ground to a halt for Iraqi refugees in Syria since violence and unrest erupted there last spring. Bartlett says Homeland Security officers haven’t been able to enter the country to interview refugees, a requirement of the resettlement process.
“That program has been stalled for months,” Bartlett said, “and I think until that situation stabilizes we won’t be able to go back in and conduct interviews.”
Adding even more to the delays, the US government imposed additional security screenings last year. Now, US intelligence and other agencies run two background checks on most refugees; one when they first apply for refugee status, and one shortly before they board a plane.
Bartlett says it makes sense. “I have to say we have seen results. We’ve been able to deny people based on new information that’s cropped up just before travel.”
Bartlett wouldn’t give examples, but there have been reports in US media of suspected terrorists who entered the US as refugees before the new security measures.
Still, Hanna Ishaq wonders how her 84-year-old mother in Damascus could be considered a threat.
“Why she’s waiting long time? She’s an old woman and she doesn’t have to wait a long time for security clearance. What they want to check exactly I don’t know.”
People who work with refugees in the US say that the added security checks may mean that the Department of Homeland Security winds up denying asylum to some legitimate candidates. The number of Iraqis resettled out of Syria dropped by more than one-third in the past fiscal year — from 4,578 in FY2010 to 2,959 in FY2011.
Bob Montgomery, executive director of the International Rescue Committee in San Diego, notes that people who are fleeing their homes often don’t have time to collect documents like birth certificates and marriage licenses.
“The Department of Homeland Security has to take their story based on what they say. And I fear that if they’re unsure, they’re probably denying,” Montgomery said.
For Hanna Ishaq, and her mother Shami, their only option is patience.
Ishaq finally manages to reach her mother by phone. Shami tells her worried daughter that her faith keeps her going. Her daughter tells her to keep that faith until they are reunited.

U.S. Refugee Clampdown Leaves Iraqi Christians in Limbo

By Assist News, November 17, 2011
by Julian Lukins

Hundreds of Christians fleeing persecution in Iraq have had their bid to resettle in the United States dashed by new security measures.
According to Baltimore-based refugee resettlement agency World Relief, 14,000 refugees have been placed “on hold” overseas since June, creating a “massive” backlog.
Most of them are Iraqis fleeing troubles in Iraq – and about 40 percent of them are persecuted Christians, said World Relief’s Jenny Yang.
Hundreds of refugees – unable to return home because of fears for their safety – have been denied entry to the U.S. as authorities seek to weed out potential terrorists, Yang said.
The clampdown began after two Iraqis were arrested in Kentucky in May and charged with aiding al-Qaeda in Iraq.
Beefed-up background checks have clogged the refugee pipeline, preventing Iraqi Christians and others from receiving clearance to come to the U.S., said Yang, the agency’s advocacy director.
Refugee admissions into the U.S. have nosedived in recent months since the enhanced U.S. Department of Homeland Security checks were introduced, according to David Mills, World Relief’s refugee program manager, who said the agency’s caseload was slashed by a third.
U.S. refugee admissions fell drastically following the 9/11 attacks, but picked up in recent years, approaching pre-9/11 levels.
Nearly half of all Iraqi refugees – 47 percent – were being denied entry to the U.S. because of the new security measures which block anyone with “irregularities” in their case review, Mills said. Irregularities – such as gaps in documentation – are common because many refugees flee their homes at a moment’s notice, often with no official papers. Many Middle Easterners, Iraqis in particular, have similar names and a refugee can be mistakenly confused with a name on a terror watchlist.
“We’ve heard of an 80-year-old grandmother being denied (entry),” Mills said.
The precise reason why individuals are refused refugee status in the U.S. is unclear, Yang said. “When we’ve raised these cases, we’ve not gotten any clear reasons yet,” she said. “It’s causing a lot of confusion.”
Victims of persecution include those who are harassed or discriminated against and those threatened with physical violence or imprisonment because of their religious beliefs.
The clampdown is especially hurting Iraqi Chaldean Christians, according to Rafat Ita, a social worker in the Detroit area where 160,000 Chaldeans live – the largest settlement outside Iraq.
“These (Christian refugees) cannot go back to Iraq because they could be killed,” he said. “Now they are stuck in neighboring countries where they cannot work, cannot go to school and cannot worship freely. The only hope they have is to come to America and now that hope is in ruins.”
Ita, an Iraqi Chaldean immigrant who works with Lutheran Social Services, said refugee admissions had slowed to a trickle and he does not see the situation changing any time soon.
Iraqi Christians living in the Detroit area are desperate to be reunited with close family members stranded overseas.
“We’re not a violent group,” Ita said. “We’re Christians who believe in peace.”
Meanwhile, Christians and others fleeing religious persecution in Iran have hit a stumbling block to beginning a new life in America, traditionally a place of refuge for Iranian evangelicals fearful for their lives.
Hundreds of persecuted Iranian Christians are in limbo in Austria after the sudden halt of a U.S. program aimed at protecting religious minorities. Since 1989, the U.S. program has given asylum to 440,000 persecuted Christians and others from Iran, as well as Christians and Jews from the former Soviet Union.
More than a hundred members of the U.S. Congress are pushing for the program to be re-started, calling it “a critical safety valve.”


Julian Lukins, a former daily newspaper reporter in the UK, is a writer and journalist based in Washington State. He has reported extensively on Christian persecution and other issues affecting Christians worldwide. He can be contacted by e-mail at: jlukins@msn.com

16 novembre 2011

Les Patriarches catholiques en huis clos à Bkerké

By Patriarcat Latin de Jérusalem, 16/11/2011
by Christophe Lafontaine avec abouna.org

Le 20ème congrès du Conseil des Patriarches Catholiques d’Orient (CPCO) se tient actuellement en huis clos à Bkerké (siège du Patriarcat maronite au Liban). Le thème de cette session concerne la situation des chrétiens dans les pays du Moyen-Orient, suivant les orientations définies par les propositions du Synode pour le Moyen-Orient d'octobre 2010.
Hier, 15 novembre, le Patriarche maronite Mgr Bécharara Raï a reçu le Patriarche orthodoxe russe Kirill. (voir discours). Dans une allocution qu’il a prononcée pour l’occasion, Mgr Raï a souligné « le besoin d’une coopération entre les Églises catholique, orthodoxe et protestante (...) en vue d’une préservation de la présence chrétienne en Orient (...) face aux conflits politiques dans la région, aux agressions contre les fidèles et aux craintes de voir le printemps arabe déboucher sur l’accession au pouvoir de groupes qui risquent d’ébranler la stabilité et la coexistence dans la région ». Selon le Patriarche maronite, cette colaboration est « également rendue nécessaire par les difficultés auxquelles les chrétiens font face au niveau de la liberté de culte et de conscience (...), ainsi que par le conflit israélo-palestinien et ses répercussions sur les pays de la région ».
Lors de ce discours, il avait à ses côtés les six autres Patriarches catholiques d'Orient : Mgr Fouad Twal (le Patriarche latin de Jérusalem), Mgr Emmanuel III Karim Delly (Patriarche de Babylone des Chaldéens), Mgr Antonios Naguib, (Patriarche d'Alexandrie des Coptes catholiques), Mgr Gregorios III Laham (Patriarche d’Antioche des melkites), Mgr Ignace Youssif III Younan (Patriarche des syriens), et Mgr Nesres Bedros XIX Tarmonui, (Patrirarche des Arméniens).
Sont également présents à ce Congrès les évêques et les prêtres secrétaires des patriarches. La séance inaugurale a été ouverte en présence de Mgr Robert Sarah, Président du Conseil Pontifical Cor Unum (dicastère vaticane chargé des œuvres caritatives du Pape), et de Monseigneur Gabriele Caccia, Nonce Apostolique au Liban. On compte aussi de nombreux évêques des différents rites catholiques.
Après une cérémonie d'ouverture au cours de laquelle l'Eucharistie a été célébrée dans la cour du siège patriarcal, Mgr Rai a annoncé l'ouverture du 20ème Congrès du Conseil Patriarches catholiques du Moyen-Orient sous la grâce de l'Esprit Saint et l'égide de Notre-Dame pour discuter des méthodes à appliquer d'après les recommandations du Synode. Il a d'ailleurs adressé un mot de bienvenue aux Cardinaux, Patriarches, à leurs collaborateurs et à tous ceux présents au Patriarcat. Il a exprimé sa gratitude au Saint-Père pour avoir convoqué le Synode des Évêques pour le Moyen-Orient l'année dernière. Puis, en traçant l'ordre du jour de ce congrès, le Patriarche maronite a insité sur la nécessaire ouverture vers les autres confessions « avec qui nous vivons dans nos pays » et ainsi de l'importance du dialogue interreligieux.
Le Cardinal Robert Sarah a exprimé son bonheur à propos de sa visite au Liban et a confié que sa participation à ce congrès lui a fourni l'occasion de mieux connaître la richesse des différents rites. Il a également rappelé que, dès les premiers jours de son Pontificat, le Pape Benoît XVI avait conduit l'Église sur le chemin de la Charité et d'Amour. Et abordant le sujet du dialogue interreligieux entre l'islam et le christianisme, il a indiqué que cela devait renforcer la communion entre les citoyens d'un même pays.
Les Patriarches ont adressé un télégramme à Sa Sainteté le Pape Benoît XVI, lui annonçant le début du huis clos qui se terminera demain jeudi 17 novembre à 11h30. Un communiqué final sera publié sur toutes les questions discutées.

Consiglio dei Patriarchi cattolici d'Oriente

By Patriarcato Latino di Gerusalemme, 14 novembre 2011
by Christophe Lafontaine

Tutti i patriarchi cattolici orientali in esercizio sono membri del Consiglio. Il Patriarca latino di Gerusalemme, Mons. Fouad Twal, ieri è recato in Libano per la ventesima sessione del CPCO, originariamente prevista a Baghdad, Iraq.

Il futuro dei cristiani in Medio Oriente: un passo verso la libertà religiosa


Il Patriarca concluderà la sua settimana libanese a Kaslik con un altro incontro. I deputati europei, con la collaborazione dei deputati dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, e i deputati del Libano e del Medio Oriente, con il sostegno della Commissione Episcopale della Comunità Europea (COMECE), ha organizzato un convegno dal titolo Il futuro dei cristiani in Medio Oriente: un passo verso la libertà religiosa. Il Patriarca Fouad Twal, sotto la cui giurisdizione è la diocesi di Cipro, parteciperà, naturalmente, all’incontro.

L'inaugurazione di questo evento si terrà venerdì 18 novembre 2011, alle ore 10.00, nell'anfiteatro Giovanni Paolo II, che si trova nel campus principale della USEK (Università dello Spirito Santo di Kaslik). Una prima serie di tavole rotonde affronterà la seguente questione: I cristiani e le minoranze: il prezzo della dignità umana. Sabato si avranno due sessioni importanti, seguite da una conferenza stampa.

La prima sessione è intitolata I diritti umani e la dignità umana. In essa si studierà l'integrazione dei cristiani nella sfera pubblica, attraverso la riconciliazione (con l'esempio dell'Europa) e le esperienze di buone pratiche, attraverso il tema dell’educazione, l'accesso ai servizi per l'impiego, agli alloggi sociali e ai servizi sanitari ... Sabato pomeriggio, si discuterà sul tema La piena cittadinanza per tutti in cui si discuterà sui percorsi da seguire in Medio Oriente e in Europa.

Domenica, S.B. Béchara Boutros Raï, patriarca maronita, presiederà la santa messa.

The Bishops on Iraq


By National Catholic Register, November 15, 2011
by Joan Frawley Desmond

When President Bush first signaled his intention to approve the U.S. invasion of Iraq in 2003, Pope John Paul II strongly opposed the action. The U.S. bishops followed the Holy Father’s lead and lobbied against it.
Eight years later, President Obama has announced the withdrawal of all troops from Iraq by the end of the year, and the bishops are scrambling to address an increasingly urgent problem: the plight of Iraq’s already diminished Christian minority, which has been cut in half since the U.S. invasion, primarily due to flight from military conflict.
During a press conference at the bishops’ meeting in Baltimore, two bishops focused on the unpredictable and destabilizing effects of the U.S. pullout, which comes at the same time that the Arab Spring has forced Christians in other nations in the region, from Egypt to Syria, to assume the status of refugees.
Bishop George Murray of Youngstown, Ohio, and Bishop Gerald Kicanas of Tucson, Ariz., recently returned from a trip to Iraq; they briefed members and the media at the Baltimore meeting.
Bishop Kicanus noted that the USCCB fact-finding mission consulted with the apostolic nuncio as well as representatives of all the Christian churches in Iraq, and he confirmed that the Vatican and its nuncios throughout the region are carefully coordinating efforts to draw public attention and respond to the needs of Christians.
“We visited the Church of Our Lady of Salvation, where the militants entered and killed the faithful, including two priests. One still sees bloodstained walls,” said Bishop Murray, who was deeply moved by the experience. The great concern now is the lack of stability in the country and fears about what could erupt when U.S. troops depart.
The two bishops said that Iraqi Christians face a thorny dilemma about their future. Christians want to maintain their presence in this ancient land, but they fear reprisals and general instability following the troop withdrawal.
Asked what the U.S. should do to assist Christians, they strongly encouraged the Obama administration to reinstate the Commission on Religious Liberty. Second, the U.S. should employ its considerable leverage with the Iraqi government to secure an orderly transition: “There is fear that when our troops leave there will be instability and violence. We need to assist the government to try do its work; the young need jobs, and we should help to provide opportunity for work.”
Bishop Murray said there was “a need for a modern-day version of the Marshall Plan, which helped to rebuilt Europe after the Second World War. Iraq is suffering from the results of the war.”
Noting that the troop drawdown will result in a massive decline in military spending, the bishops called on Washington to address the needs of Iraqi refugees, as well as providing foreign aid to Iraq for economic redevelopment.
How to sell this to the American public during a time of budget cuts?
Bishop Murray said it was important not to put Iraq out of our minds. “We talked about the liberation of Iraq from oppression. But we still need to give hope and opportunity to the Iraqis to live their lives with freedom and hope.”
One bishop recalled an Iraqi Christian’s remark: “We used to live in the Garden of Eden, and now we live in hell.”
Bishop Murray noted that the Vatican is approaching the evolving situation from a regional perspective. The nuncios and the Holy See are in conversation with all the governments to defend Christians.
Before the war, there were 100,000 Christians in Baghdad. Now there are 4,000 Christians.
The bishops stressed that some Church agencies are already in place to aid the needy: CRS can direct funds, and the Catholic Near East Welfare Association and the Dominican sisters are already working in Iraq.
I checked in with Nina Shea, director of the Center for Religious Freedom at the Hudson Institute in Washington, D.C., to get her view of what was needed right now.
“The U.S. withdrawal will likely lead to a weaker overall security environment and more Sunni extremist attacks on the Christian minority,” she told me. “Islamist extremists aim to religiously cleanse Iraq of its non-Muslim minorities and create violent chaos that will alienate the population and the international funders from the Shiite government, both of which could be accomplished by targeting the Christians.
The U.S. will remain an important ally for Iraq in technological, economic and defense areas. The U.S. government should make the protection and recognition of equal rights of citizenship for the Christians and other religious and ethnic minorities a redline for our alliance. We owe this to the defenseless and besieged minorities, and it is in furtherance of our own interest in seeing a tolerant and pluralistic Iraq.”

15 novembre 2011

Colloquio a Vienna: in Medio Oriente non basta la libertà di culto

By Radio Vaticana

Un soddisfacente sviluppo sociale e culturale in Medio Oriente è possibile solo se i diritti umani, come sanciti dalle Costituzioni, verranno applicati e messi in pratica. Non basta godere della libertà di culto in Medio Oriente.
Ci deve essere completa libertà di religione e di coscienza, in modo tale che sia possibile per i cristiani proclamare liberamente la propria fede.
Sono alcuni dei punti ribaditi dai partecipanti al III Colloquium Syriacum che si è svolto a Vienna, dal 9 all’11 novembre scorsi, su iniziativa del centro di studi per la Cristianità orientale, “Pro Oriente”.
Tra i partecipanti, molti vescovi della tradizione siriaca (caldei, siri ed assiri) dal Medio Oriente e dall’India, diversi esperti ed osservatori. Durante l’incontro è stato ribadito che è necessario investire sul ‘dialogo di vita’ per favorire la reciproca conoscenza ed abbattere così stereotipi e malintesi.
“Un buon inizio” di questo dialogo – è stato ricordato - è “il diffuso desiderio di libertà” come mostrato dalla ‘primavera araba’, che deve condurre alla piena libertà di coscienza. Non sono mancati riferimenti anche alla situazione in Iraq e Siria, Paese quest’ultimo in cui vivono molti siro-cristiani. Ed è proprio a causa della situazione grave in cui versano queste comunità che è stato deciso di tenere, sempre a Vienna il prossimo dicembre (13-16), una riunione sul tema “Il futuro dei cristiani in Siria”. Il Colloquium – riferisce l'agenzia Sir
- è stato anche l’occasione per ribadire la necessità di una maggiore cooperazione tra le Chiese cristiane che può trovare, nella comune tradizione liturgica, un ulteriore momento di avvicinamento come dimostrato dalle celebrazioni animate dalle Chiese della tradizione siriaca, la Chiesa assira dell’Est, caldea, siro-ortodossa, siro-cattolica e maronita.

Cristiani d'Oriente: Conferenza di Mons. Sako

By Patriarcato Latino di Gerusalemme

In coincidenza con la richiesta del Papa di pregare nel mese di novembre “Per le Chiese orientali cattoliche, affinché la loro venerabile tradizione sia conosciuta e stimata quale ricchezza spirituale per tutta la Chiesa" e l'iniziativa dell'Assemblea dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk (Iraq), ha dato nella Casa di Nostra Signora del Monte Carmelo Santuario di Fatima in Portogallo, questo 7 novembre alle ore 16:00, una conferenza dal titolo "I cristiani perseguitati in Iraq". L'Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme del Portogallo è stato rappresentato dal suo luogotenente, il signor Figueiredo de Barros e dal suo Cancelliere Dr. Nuno van Uden.
La drammatica situazione che i cristiani vivono in Iraq, vittime di persecuzioni e di attacchi, è stata descritta con serenità e coraggio da Mons. Sako, testimone quotidiano di questa realtà. I segni del radicalismo religioso che le più recenti rivoluzioni nel mondo arabo stanno cominciando a rivelare sono stati ricordati con preoccupazione.
L'arcivescovo dell’ Iraq ha chiesto il sostegno di tutti i cristiani d'Occidente affinché si mostrino in pubblico, con delle azioni concrete a sostegno dei loro fratelli che soffrono in questi paesi. Egli ha anche chiesto di pregare perché Dio infondi loro il coraggio e la pazienza di continuare a testimoniare i loro valori cristiani. Mons. Sako ha osservato che, per loro, è molto importante non sentirsi isolati: ogni gesto di sostegno, ogni segno di amicizia che gli possiamo trasmettere diventa un incoraggiamento che li aiuta a non rinunciare.


Al termine della conferenza è stata distribuita a tutti questa preghiera:

Signore,
La situazione in Iraq è difficile e la sofferenza dei cristiani è pesante e terrificante.
Ti chiediamo, Signore, veglia su tutti noi,
dacci la pazienza e il coraggio di continuare a testimoniare i nostri valori cristiani con fiducia e speranza.
Signore, la pace è il fondamento della vita umana!
Donaci la pace e la stabilità di vivere l’uno con l'altro senza paura o ansia, ma con dignità e gioia!


Mons. Louis Sako, nato a Moussul, è considerato un sostenitore del difficile processo di democratizzazione del paese. Secondo l’ACS Mons. Louis Sako "è uno dei promotori più impegnati nel dialogo e la riconciliazione in Iraq", si è impegnato soprattutto negli ultimi mesi nella segnalazione dell' aggressività da parte dei fondamentalisti islamici contro la minoranza cristiana. La sua lotta contro l'intolleranza religiosa gli ha già valso l’attribuzione di diversi premi internazionali come quello del Defensor Fidei nel 2008, l’International Pax Christi Award nel 2010 e il Premio della Fondation Stephanus, in Germania, quest'anno.

14 novembre 2011

Video: Iraqi Christian persecution

By Baghdadhope*






Video by Fr. Niaz Toma and kindly suggested by Fr. Basel Yaldo



9 novembre 2011

What role can the EU play in Iraq ?

By Europinfos
the interview was led by Fr Joe Vella Gauci

Mrs Hybášková, as the new Head of the EU Delegation to Iraq, and within the context of this ‘nightmare scenario’ to what extent will you be able to promote the EU’s policy for the attainment of security, stability (the supremacy of law) and democracy?
I am very proud to be in Iraq, representing the European External Action Service. This gives me the opportunity to serve the interests of both 500 million Europeans and 32 million Iraqis. Our key interest is the stability of this extremely resource-rich country, the last one in the world which can substantially change the nature of energy markets.
Besides that, Iraq is the first country in the Middle East with a democratically elected government. It is currently trying to manage an enormous amount of oil revenue. Competition between different political groupings is therefore natural. The EU can support Iraq by consolidating the democratic process, encouraging the passage of the forthcoming Hydrocarbon Law, balancing regional and federal interests, and promoting representative democracy.
In the same way, the EU can assist in overcoming sectarianism. Iraq's social fabric has been deeply damaged during the Saddam era, which brought about the Iraq-Iran war, UN sanctions, massacres of Kurds and Shiites, the latter during the upraising in Southern Iraq. During those 35 years, the country lost almost 4.6 million people. The EU is a good example of human society, which was able to rise from the ashes.
The U.S. military forces are leaving, and the EU's ‘soft force’ is coming. We support Iraq with our Rule of Law mission, called EUJUST LEX. Up until now, the mission has trained more than 3,000 Iraqi policemen, judges and penitentiary personnel. Soft power has its humanitarian side as well. We are now open to direct cooperation with NGOs in the sphere of humanitarian projects. We are assisting one million widows and 800,000 orphans without livelihoods.
Naturally, Europe has its interests as well. We need to strengthen the EU-Iraq strategic partnership in energy, mainly with a view to future supplies of gas through the so-called southern corridor. This will not be possible without a fully unified and functioning Iraqi State and economy. Therefore the stability of Iraq is a natural interest for the EU.

How do you assess the role of religion, or better still “interreligious diplomacy”? Should there be room for religion (by creating for instance a “religion unit”) within the European External Action Service (EEAS)?
The role of religion in the region is a very important one. The whole Middle East is searching for an identity, and is now being torn apart by sectarianism. Totalitarian States are falling, but modern societies with human rights guaranteed equally for each individual do not exist yet.
People in the East are in desperate search of a community, a common identity. With the legacy of oppression and a culture destroyed by many years of war, it is natural to tend towards sectarianism. Of course, religion is often being used to promote the interests of sometimes corrupt leaders. Therefore, some seek to impose their truth on others, in order to rule and to reap material benefits.
This has nothing to do with Islam, the Shiites, the Sunnis, Christianity, or Judaism. We need to assist these societies to recognize, develop and guarantee basic individual rights; we need to renovate civil communities and promote democracy in societies where religion plays a fundamental role. This happened in Europe with Christian democracy.
Our new service, the EEAS, is now benefiting from the contributions of many diplomats from our Member States, who have joined the service. They are now helping to build up its new political face. Rather than an in-depth knowledge of religion, what is now needed is a strong common understanding of and support for a respect for human rights, embodied in the spirit of the EEAS. Only then we can replace the current conflict between sects, by spreading tolerance, mutual understanding, peaceful coexistence and love of humanity.

How could the EU promote security from terrorists’ threats (such as the ‘Islamic State of Iraq’ – the organization that links itself to al-Qaeda) and enhance Iraqi economic prosperity?
The source of the suffering in Iraq is the damaged societal texture, the destroyed cultural and social capital, the breakdown of communities, and deeply rooted poverty. They have to cope with the social reality of a deeply religious country with almost 3 million widows without livelihoods. They have to cope with 700,000 children who are not attending school, and with almost 100,000 pre trial detainees.
This general misery, combined with very high illiteracy, high unemployment and the poor state of the economy, is a perfect breeding ground for terrorism. After a month in Baghdad I got a very stark understanding of insurgency: it is mainly ‘business’. The insurgents are in the business of extortion, kidnapping, robberies; and prisons serve as breeding grounds for these activities.
To heal this deep wound, we need to change the economic situation, to end poverty in Iraq. The first priority is electricity. Its supply is still patchy, and its distribution will continue to be a major challenge. The EU therefore must support local communities in finding their sources of energy, which will benefit basic health, educational and social services, as well as small businesses. Only when the level of unemployment drops, and attendance at elementary schools increases, will we be able to drain the swamp of the insurgency. The other way of helping is to promote good regional relations, and resist Iraq's neighbours' interference in its domestic affairs. Here, we can really have a role.

How is the EU going to have access to accurate information and documentation concerning Iraqi refugees, and guarantee for them proper housing, assuring them that their families are kept together and not split up, assuring their entitlement to health and educational services, for proper income and livelihoods, safeguarding the interests of vulnerable groups, and assisting them in sustaining regular communication with their extended families in Iraq?
The EU, together with our partners, is closely following the situation of Iraqi refugees in the region. We are fully aware of the realities and the trends. We are assisting Iraqi refugees in the areas of water and sanitation, health care, psychosocial services and shelter. We are also helping Iraq to absorb the influx of refugees and integrate them into the schooling system and basic services.
Thanks to the oil revenues, Iraq now has the funds to guarantee a decent living standard for all of its citizens. We are constantly reminding them of the need to address the conditions of vulnerable groups in general and refugees in particular. We are also pressing the Iraqi government to create the conditions for return for families and individuals. The Government is sensitive to these issues, but implementation remains a problem.

From your personal experience and analysis can you dare to discern which direction the ‘Arab street’ will take following the recent upheavals in the body politic of the Middle East and North Africa?
There is a significant difference between the revolutions of the Arab Spring and those in Central and Eastern Europe. The latter all were all politically driven, the masses of people were fighting for their political and civil rights, such as freedom of expression, of religion, of movement.
In the Middle East the situation is different: the revolution is social. People are demanding basic survival, jobs, schools, housing, and basic social security and pensions, for clean water and for bread. Their political demands are less pronounced. It is therefore not correct to talk about Islamism, islamisation, sectarianism, at this stage of development.
But this is very important: the window of opportunity for Europe is very narrow. If in the next couple of months the EU and the West generally do not react, do not support Middle Eastern peoples in their basic demands, they will turn to those with the best charities, with the best social services, with the easiest promises. Unfortunately, nowadays the only existing social security system in the region is an Islamist one. This slot is now being filled with Iranian support. If we do not organize ourselves and react with tailored measures based on social surveys and accurate needs assessments; if we do not bring added value and do not help to deliver basic services in short order, I am afraid we might lose ground. So I support any move by the EU to go ahead.