"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

27 febbraio 2015

Padre Yako: "Il cuore ferito dei cristiani iracheni"

By Famiglia Cristiana
Fulvio Scaglione

Qaraqosh, Bartallah... Nomi poco familiari, sui quali però un giorno studieremo una delle grandi tragedie di questo secolo: il tentativo, da parte degli islamisti dell’Isis, di cancellare la presenza cristiana in Iraq.  Sono i nomi dei villaggi  della piana di Niniveh, i centri occupati dalle milizie dopo la presa di Mosul, diventata la “capitale” del califfato. Ma sono anche i luoghi in cui si esercitava la missione di padre Jalal Yako, religioso rogazionista nato proprio in quella zona dell’Iraq, formatosi in Italia (è stato anche vice-parroco a Padova) e nel 2012 tornato con altri confratelli in patria per seguire l’appello a non abbandonare i cristiani d’Oriente lanciato da Benedetto XVI dal Libano.     
La missione viene aperta a Qaraqosh, poi nella vicina Bartallah, nei centri dove i cristiani sono presenti da molti secoli. «Infine abbiamo cominciato a lavorare nel quartiere di Shekak», ricorda padre Jalal, «dove si erano insediati moltissimi profughi cristiani,  arrivati fin qui da Baghdad e dintorni a causa delle violenze che nel 2006/2007 avevano insanguinato la capitale. Gente povera ma soprattutto bisognosa di assistenza spirituale, di qualcuno che accompagnasse la sua fatica».
Un lavoro difficile in una situazione precaria. Nessuno, però, poteva prevedere che il tracollo sarebbe arrivato con tanta furia e velocità. E’ l’agosto del 2014. Prima cade Mosul. Poi...
«Il giorno 6 una bomba è stata lanciata dall’Isis contro il centro di Qaraqosh, e due bambini e una ragazza sono stati dilaniati dall’esplosione.  La gente ha cominciato a fuggire dalla città. Noi abbiamo cercato di dare una mano a tutti coloro che volevano andarsene ed erano costretti a lasciare quasi ogni cosa dietro di sé. Volevamo rimanere, anche perché le autorità e i comandanti dell’esercito curdo continuavano a dire che la situazione era comunque sotto controllo. Poi, all’improvviso e senza avvisare nessuno, i peshmerga si sono ritirati. Nella notte abbiamo ricevuto una telefonata dal segretario dell’arcivescovo di Mosul che ci ha detto: scappate subito, l’Isis sta entrando in città. E così abbiamo fatto. Siamo stati tra gli ultimi ad andarcene, mentre i miliziani occupavano la periferia. Siamo scappati a piedi, con  uno zaino sulle spalle. finché, a un certo punto, siamo riusciti a salire su un camion che andava verso Erbil».
A Erbil padre Jalal ha cercato di continuare la propria missione e, con il sostegno di Focsiv, ha organizzato un gruppo di ragazzi con i quali fare animazione e un po’ di formazione ai bambini costretti a vivere nei campi profughi. Poi è stato incaricato da monsignor Bashar Matti Warda, arcivescovo di Erbil e coordinatore delle attività di tutte le Chiese cristiane, di sovrintendere ai campi profughi chiamati Ashdi 128 e Ashdi 189.
«Ci vivono 1.800 persone», spiega padre Jalal, «tutte cristiane e tutte a carico della Chiesa locale, che riceve aiuti anche dall’estero mentre lo Stato iracheno è quasi assente».
Com’è la situazione?
«Drammatica, anzi disastrosa. In concreto, la prima emergenza è quella dell’acqua, la seconda quella dell’energia elettrica, che in tutto il Kurdistan è razionata. Ma soprattutto, la gente non ce la fa più. Tutti sono scappati nella convinzione di tornare a casa dopo poco tempo, mentre ora si comincia a fare il conto in anni. Sono disperati. La Chiesa cerca di togliere i profughi dai campi, sistemandoli in casa, alberghi, edifici di vario genere. E’ un sollievo materiale importante, che però fa poco per le sofferenze del cuore».

Patriarca Younan: genocidio di cristiani in Siria, traditi da Paesi democratici


Sono più di 350 i cristiani rapiti nel Nord Est della Siria dai miliziani del cosiddetto Stato Islamico e alcuni di loro sono stati già uccisi. Almeno 3mila i cristiani in fuga dai villaggi attaccati. Molti di loro sono siro-cattolici. Ascoltiamo il patriarca della Chiesa siro-cattolica Ignace Youssif III Younan, al microfono di Sergio Centofanti:

E’ una situazione drammatica! Fra i cristiani, i civili, le centinaia di persone che sono state rapite, una ventina sono stati sicuramente già uccisi.C’è già chi parla di un genocidio di cristiani in Siria…
Sicuramente è un genocidio! Chiediamo ai nostri fratelli e sorelle dell’Europa, specialmente ai cattolici, ai veri cattolici, di pensare ai loro fratelli e sorelle del Medio Oriente che stanno sopportando queste persecuzioni.
Che appello lancia alla Comunità internazionale?
Lanciamo un appello alla giustizia. La Comunità internazionale - le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, l’Unione Europea – purtroppo ci ha veramente tradito! Stanno solamente cercando i loro interessi economici nel petrolio. Sono alleati con sistemi di governo che sono fra i più integralisti del mondo, dove non ci sono libertà né religiose né civili e dove la donna non ha quasi nessun diritto. Ebbene, stanno dimenticando i loro principi di vera democrazia.
Come fermare i jihadisti?
Prima di tutto cessando di armare le cosiddette opposizioni moderate: non ci sono opposizioni moderate nel Medio Oriente! Finché noi non abbiamo una chiara separazione tra religione e politica, non avremo mai una vera, democratica e moderata opposizione. Tutto questo è solo una illusione!
Il Papa sta continuando a pregare per i cristiani perseguitati in Siria e in Iraq…
Esatto! Noi siamo molto, molto grati per a Sua Santità. Sin dall’inizio del suo Pontificato si è confrontato con questi drammi del Medio Oriente, dove ci sono persecuzioni, dove ci sono uccisioni e deportazioni. Abbiamo fiducia che il Santo Padre continuerà a difendere la causa dei deboli, di coloro che sono ignorati da quei Paesi che vedono solo il petrolio come ciò che salverà la loro economia. Questi popoli dell’Unione Europea, così come quelli dell’America Settentrionale, devono pensare che ci sono principi e valori su cui i loro stessi Paesi sono stati fondati e non devono tradire questi principi e questi valori. Noi sappiamo che il Santo Padre proclama ovunque che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di ogni parola pronunciata dalla bocca del Signore e questo vuol dire parola di pace e di verità.

Siria, mons. Audo: falsa la notizia dell’uccisione di 15 cristiani rapiti, incerta la loro sorte


"La notizia dell'uccisione di almeno 15 cristiani assiri siriani da parte delle milizie dello Stato islamico non è vera". È quanto afferma ad AsiaNews mons. Antoine Audo, arcivescovo caldeo di Aleppo, il quale smentisce le voci circolate nel tardo pomeriggio di ieri e rilanciate da diversi media internazionali, secondo cui i jihadisti avrebbero iniziato a giustiziare gli ostaggi nelle loro mani. "Ho contattato il vicario dei caldei ad Hassaké, p. Nidala - spiega il prelato - il quale mi ha riferito che non è vera la notizia dell'uccisione dei cristiani".
Restano i timori per la loro sorte, la paura è che possano essere vittime del boia islamista come avvenuto nelle scorse settimane per 21 copti egiziani giustiziati in Libia, ma finora non vi sono elementi per parlare di esecuzioni. 
Mons. Audo, come già nei giorni scorsi la nunziatura apostolica a Damasco, rinnova l'invito alla prudenza, in attesa di capire se vi saranno sviluppi sul sequestro di centinaia di cristiani assiri; almeno 250 fedeli - altre fonti parlano di 350, ma non vi sono certezze sui numeri - sono finiti ostaggio delle milizie islamiste, nel corso di una offensiva lanciata a inizio settimana nel governatorato nord-orientale di Al-Hasakah. Un invito rilanciato dal nunzio apostolico mons. Mario Zenari che, contattato da AsiaNews, invita a "essere molto prudenti e attenti, perché è difficile avere notizie precise e si creano pericolosi allarmismi. Anche sui numeri si è fatta confusione, da 90 a 350 sequestrati, da due a 12 villaggi, bisogna fare attenzione". 
Anche papa Francesco, impegnato negli esercizi spirituali della Curia che si concludono oggi, prega per i cristiani siriani e segue con attenzione l'evolversi della situazione nel Paese arabo. Una solidarietà, ha commentato il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, che "è fonte di grande consolazione, di aiuto e di coraggio per noi cristiani siriani, in questo periodo di crisi e difficoltà".
In tema di solidarietà, anche la Chiesa caldea si muove in aiuto dei fratelli assiri. "Il patriarca caldeo Mar Luis Raphael I Sako - conclude mons. Audo - ha inviato un aiuto in denaro al vescovo assiro, quale segno concreto di solidarietà. Questa è una cosa molto bella e degna dei fratelli cristiani". 
Dall'inizio della rivolta contro il presidente siriano Bashar al Assad, nel 2011, oltre 3,2 milioni di persone hanno abbandonato la Siria e altri 7,6 milioni sono sfollati interni. Almeno 200mila le vittime del conflitto, molte delle quali civili. Proprio nel contesto del conflitto siriano è emerso per la prima volta, nella primavera del 2013, in tutta la sua violenza e brutalità lo Stato islamico; da quel momento ha iniziato una rapida avanzata nei territori della regione, strappando ampie porzioni di territorio a Damasco e Baghdad e imponendo un vero e proprio regno del terrore.

26 febbraio 2015

Isis, jihadisti distruggono reperti e statue antiche in un museo di Ninive – Video


VIDEO: Clicca qui

Ancora una volta la furia devastatrice dei fondamentalisti islamici si abbatte contro le opere d’arte e i reperti archeologici. Statue e bassorilievi antichi, alcuni dei quali risalenti a oltre 3.000 anni fa, abbattuti a colpi di piccone da uomini barbuti che poi li distruggono usando il martello pneumatico. E’ questo l’ultimo video diffuso dallo Stato Islamico a Mosul, a prosecuzione di una campagna contro le vestigia del passato che ha già visto i miliziani dello Stato islamico far saltare in aria luoghi di culto, dare alle fiamme libri sottratti dalle biblioteche e distruggere una parte della cinta muraria di Ninive, l’antica capitale assira alla periferia dell’odierna Mosul.
Le immagini, diffuse attraverso un account Twitter usato dal Califfato, mostrano uno scempio perpetrato metodicamente nelle sale di quello che sembra un museo a Ninive. Durante il video, che dura cinque minuti, ci si sofferma sui cartelli in arabo e in inglese che illustrano i manufatti esposti. Tra le statue distrutte ne figura in particolare una di un toro alato che rappresenta l’antica divinità mesopotamica di Nergal. L’Isis segue una dottrina fondamentalista sunnita secondo la quale è vietata qualsiasi riproduzione di esseri umani o animali, tanto più se raffigurazioni di dei.
“Queste rovine dietro di me, sono quelle di idoli e statue che le popolazioni del passato usavano per un culto diverso da Allah”, dichiara un jihadista con alle spalle un grande bassorilievo di un cavallo. “Il Profeta Maometto ha tirato giù con le sue mani gli idoli quando è andato alla Mecca. Il nostro Profeta ci ha ordinato di distruggere gli idoli e i compagni del Profeta lo hanno fatto quando hanno conquistato dei Paesi – afferma il miliziano – Quando Dio ci ordina di rimuoverli e distruggerli, per noi diventa semplice e non ci interessa che il loro valore sia di milioni di dollari”. A Mosul sono stati registrati 1.791 siti archeologici, tra cui quattro capitali dell’impero assiro.
All’inizio del video viene anche diffusa un’immagine che mostra un immenso rogo di libri. Solo qualche giorno fa il direttore della biblioteca pubblica di Mosul, Ghanim al-Tàan, aveva denunciato che miliziani dell’Is avevano bruciato più di ottomila tra libri antichi rari e manufatti.

Former Iraqi Minister: ISIS Seeks to 'Annihilate Christian Presence' in Iraq

By Breirbart
Thomas D. Williams


"A real genocide is occurring in Iraq that nobody wants to talk about and no international body is dealing with," said former Iraqi Minister Pascale Warda Tuesday.

According to Warda, the Islamic State (ISIS) is determined to "annihilate" the Christian presence and all social and religious minorities that oppose its principles, despite the fact that the Christian community in Iraq dates back to the first century, long before the arrival of Islam.
"In Mosul for the first time in two thousand years the Eucharist is no longer celebrated," she said. "It is a very dark historical period" for the Chaldeans.
Warda, the former minister of Immigration and Refugees in the Iraqi Interim Government from 2004-2005, was speaking at a press conference organized in Madrid by the foundation "Aid to the Church in Need."
A Chaldean Catholic and president of the Hammurabi Human Rights Organization, Warda warned Tuesday that as an international movement of terrorism, the Islamic State requires international solutions. She called for "international aid" against the "attempt to annihilate" Christians. "We need international help to fight the Islamic State. It is diabolical. It is an international movement of terrorism and requires real international solutions," she said.
"The Islamic State wants to destroy Christianity and all minorities," she said.
Warda is a leading voice against violations of religious liberty in Iraq and, since the emergence of the Islamic State, has documented human rights abuses committed in her country.
"Christians are being slaughtered and have to figure out how to reestablish their existence in a country that belonged to them long before anyone else. It is very difficult, there are few and they are debilitated," she said.
In this regard, she warned Western countries that if the Islamic State "is now located in Iraq, tomorrow it may be in their own countries," and therefore, she appealed for cooperation from the international community to address the problem.
Warda said that the Islamic State is "attacking the values ??of the Middle East." She also said that air strikes are not enough and that "troops are needed" to stop ISIS' advance.
"We can't do it alone," she said.
The Pew Research Center has just released a study documenting a shift in the opinion of Americans regarding both the military campaign and the idea of sending U.S. ground troops to the Middle East. A growing number of U.S. citizens favors both military action against ISIS and the deployment of ground troops.
Warda also urged her own country of Iraq to "help defend their cities" because, she claimed, "it has completely failed in its duty." Warda had harsh words for the Iraqi government, saying that in the case of Mosul, the Iraqi Army "has turned their back on the Christians who have been executed or exiled."
She also called on Islamic governments to pronounce "a serious condemnation" of the Islamic State, even a fatwa, if they really wish to clarify that "these people do not represent Islam."
So far, she said, "they have not condemned them as they should."

Iraq, le milizie cristiane: «Contro gli assassini Isis c’è una via: armarsi»

Lorenzo Cremonesi

«Porgere l’altra guancia? Un errore. Siamo cristiani, crediamo nella pace, però non vogliamo morire come martiri imbelli. Dagli assassini dello Stato Islamico dobbiamo difenderci con le armi. Non sarà un modo di fare troppo cristiano, è vero. Ma, se vogliamo che le chiese del Medio Oriente continuino a esistere, non ci resta che una strada: combattere».
Arrivando tra i volontari delle nuove milizie cristiane non è difficile raccogliere la reazione coerente alla disperazione che l’agosto scorso echeggiava tra le basiliche di Erbil.
«Dateci fucili e munizioni. Se nessuno ci difende, lo faremo noi!» protestavano i profughi in fuga da Mosul e dai villaggi limitrofi della piana di Ninive, culla storica del cristianesimo mesopotamico. L’Isis li aveva derubati di tutto, umiliati, espulsi dalle loro case, cacciati dalle basiliche dissacrate; i peshmerga curdi erano fuggiti senza quasi avvisarli; l’esercito di Bagdad si era sciolto come neve al sole. E loro si sentivano vittime dell’estremismo islamico, ma anche alla mercé di alleati inaffidabili.
Che fare? La risposta sta scritta sui gagliardetti appesi ai muri dei loro nuovi centri di addestramento, sui volantini distribuiti nei campi profughi, cucita sulle uniformi stirate di fresco. Leggi in inglese «Npu», che sta per: «Unità di protezione della piana di Niniveh». E ritrovi la volontà di reagire alla forza con la forza, di lottare contro il sopruso eletto a sistema da un avversario crudele. Va però detto che i cristiani pronti a combattere inquadrati in milizie indipendenti sono ancora pochi, forse un migliaio. Tra loro sono arrivati assiri dalle comunità della diaspora, specie svedese. Si aggiungono qualche volontario americano e un paio di canadesi. «Cresciamo. Le violenze degli ultimi giorni contro le comunità assire nel Nordest della Siria sono destinate a generare altri volontari» racconta Athra Mansour Kado, 25enne ufficiale che opera nel loro campo di addestramento principale presso il villaggio di Al Qosh. Il riferimento è alle centinaia di civili assiri (forse oltre 400) rapiti dall’Isis a partire da lunedì. Pare siano stati trasportati nella roccaforte di Shaddadeh e a Raqqa, considerate la capitale degli jihadisti sunniti in Siria.

Ad Al Qosh nessuno nasconde l’estrema impreparazione delle nuove unità. «Ci mancano armi pesanti. Ognuno di noi contribuisce con i propri risparmi per l’acquisto del kalashnikov personale e delle munizioni. Possiamo fare molto poco contro gli autoblindo, i mortai e persino i carri armati che Isis ha catturato all’esercito iracheno. Ma non importa, il nostro è un inizio, un segnale di risveglio. Speriamo che l’Europa e gli Stati Uniti ci mandino aiuti» osserva il 47enne Fuad Massud, ex ufficiale delle forze speciali nel vecchio esercito di Saddam Hussein. La loro speranza è poter cooperare con le forze militari curde. Ma due filosofie opposte caratterizzano il loro rapporto. Se i curdi si concepiscono come il braccio militare del loro futuro Stato indipendente, i cristiani al contrario sperano tutt’ora in un Iraq unitario con un forte governo centrale. Tanti cristiani ricordano Saddam Hussein come un protettore, una garanzia di difesa. Per i curdi resta invece il nemico storico, per fortuna scomparso per sempre. Inoltre le gerarchie ecclesiastiche locali non hanno una posizione unitaria riguardo alle milizie confessionali. In alcuni ambienti, per esempio il vescovado di Mosul rifugiato ad Erbil, sono viste con simpatia. In altri legati al Vaticano non mancano invece inquietudini. «All’Iraq non fa per nulla bene l’ennesima milizia legata a interessi particolari» dice tra i tanti padre Ghazuzian Baho della basilica di San Giorgio ad Al Qosh.

Ma per il momento prevale l’emergenza. Molti cristiani combattono volontari con i curdi siriani dello Ypg, con gli stessi peshmerga e nei ranghi degli eserciti regolari sia iracheno che siriano. Per gli uomini delle «Unità di protezione della piana di Niniveh» l’obbiettivo prioritario resta la riconquista delle loro case a Mosul, dei borghi e villaggi tutto attorno.
«È giunto finalmente il tempo che i cristiani lottino per i loro interessi» dicono ad Al Qosh.
Cinque o sei ore al giorno sono dedicate all’addestramento, alla ginnastica e alle esercitazioni in poligono. Ma queste ultime con parsimonia, visto che le munizioni costano caro. Per ora hanno costituito unità di guardia attorno all’area urbana. Pattuglie avanzate arrivano ai villaggi abbandonati di Baqufa e Teleskof. Qui sono sempre in collegamento radio con i comandi curdi. «Le avanguardie di Isis sono a meno di 17 chilometri da noi, vicino a Mosul» spiega guardingo Kado, indicando nella notte le zone illuminate dei villaggi jihadisti.

25 febbraio 2015

Roma: Una "colomba per la Pace" per le famiglie irachene

By SIR

Una “Colomba per la pace” per le famiglie irachene. È l’iniziativa che promuove la diocesi di Roma.
In una lettera ai parroci il cardinale vicario Agostino Vallini scrive: “Il Santo Padre ha incoraggiato l’iniziativa, che abbiamo promosso, di inviare a queste famiglie, in occasione della prossima Pasqua, un segno di vicinanza e di fraternità. Si è pensato di far giungere a loro alcuni aiuti, accompagnandoli con il dono simbolico di una colomba pasquale, che abbiamo chiamato ‘colomba della pace’. Il valore dell’iniziativa è nel fatto che saranno famiglie di Roma, la diocesi del Papa, ad inviare alle famiglie irachene un segno tangibile di solidarietà, accompagnato dalla nostra preghiera per loro”.
A questo scopo, d’intesa con la Caritas diocesana, “è stato deciso che anche le offerte della colletta della Quaresima di quest’anno, che avverrà domenica 22 marzo, saranno destinate alle famiglie irachene”.
“Sarà bene cominciare subito a sensibilizzare le famiglie e i bambini della parrocchia -
osserva il cardinale -, con segni adatti ai più piccoli, e stabilire nel corso del mese di marzo i momenti opportuni alla raccolta della colletta fino a domenica 22 marzo”. Le offerte possono essere inviate o direttamente o alla Fondazione Caritas-Roma, con la causale “Colomba della pace per le famiglie irachene”.

Chiesa siro ortodossa in Siria: "Emigrati, aprite le vostre case agli sfollati vittime dell'Isis"

By Baghdadhope*

La chiesa siro ortodossa ha diffuso un appello ai fedeli emigrati all'estero e che ancora possiedono case a Qamishli, nella provincia siriana di Hasaka, a metterle a disposizione dei cristiani che hanno dovuto abbandonare i propri villaggi nella zona di Khabur attaccati dall'ISIS due giorni fa. 
Migliaia di fedeli siro ortodossi - si legge nel comunicato - hanno lasciato la Siria già dal 2011, all'inizio del conflitto tra forze governative e forze anti-regime, abbandonando le proprie case senza venderle, sia per il calo dei prezzi sia per la speranza di potervi un giorno fare ritorno.
A quei fedeli fa appello la Chiesa ricordando come le migliaia di sfollati che si sono riversati nelle città di Hasaka e Qamishli abbiano bisogno di un tetto e di un posto sicuro.

Cristiani rapiti da Is: mons. Audo, vogliono dividere Siria

By Radiovaticana

Sono decine e decine le famiglie cristiane, assire e non solo, rapite negli ultimi giorni in Siria dai gruppi jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) nella regione nord orientale di Hassake, lungo il fiume Khabur. Una chiesa è stata distrutta, alcuni villaggi sono al momento occupati. Nella zona, inoltre, da domenica è in corso un'offensiva dei peshmerga curdi, sostenuti dai raid aerei della coalizione internazionale. Secondo la Rete assira dei diritti dell’uomo, con sede in Svezia, circa mille famiglie cristiane avrebbero già abbandonato le loro abitazioni nel nord est del Paese.
L’emergenza è confermata anche da mons. Antoine Audo, vescovo di tutti i caldei della Siria e presidente di Caritas Siria, intervistato da Giada Aquilino:
E’ una zona accanto a Hassake, nel nord-est della Siria. Si tratta di circa 35 villaggi, in prevalenza assiri, ma ci sono anche tre villaggi abitati da caldei, che quindi dipendono da me. Ho parlato con il mio vicario ad Aleppo, che è in contatto con Hassake e mi ha detto che si parla dell’arrivo di 3 mila persone: famiglie di questi villaggi che stanno scappando verso Hassake. Hanno organizzato un programma d’aiuto per ospitarle presso famiglie cristiane di Hassake. Si parla di 50 cristiani rapiti, altri dicono 90, altri ancora dicono 150. Si dice che hanno preso questi cristiani per fare scambi con i curdi, che hanno preso ostaggi dal gruppo islamico ‘Daesh’.
Quindi sarebbe per uno scambio di prigionieri?
Sì, così sembra.
Ci sono richieste in questo senso?
Ho sentito dire che quello è lo scopo della presa dei prigionieri assiri e caldei.
Perché i miliziani dello Stato islamico in questo momento stanno colpendo proprio al confine con la Turchia?
Penso che abbiano il sostegno della Turchia. Possiamo dirlo chiaramente, anche se la Turchia non lo riconosce. Vogliono fare la guerra contro i curdi nella regione: è chiaro. E poi seminare terrore e disordine. Penso che lo scopo di questa politica sia distruggere la Siria, dividerla come hanno fatto in Iraq.
Come vivono i cristiani della Siria oggi? Lei più volte ha parlato di un drammatico impoverimento… 
Sì, tutti siamo diventati poveri. E’ veramente una cosa terribile. Non si può negare. Prima della guerra tutti i siriani, particolarmente i cristiani, potevano vivere e lavorare. Adesso non c’è sicurezza, non c’è lavoro. I ricchi sono partiti, la classe media è diventata povera e i poveri sono diventati miserabili!
In questo quadro di emergenza che dura da quattro anni - perché poi non c’è solo l’emergenza del sedicente Stato Islamico, ma c’è anche il conflitto interno - che aiuti arrivano ai cristiani siriani? Lei è presidente di Caritas Siria…
Caritas, come organizzazione cattolica internazionale, fa di tutto per organizzare gli aiuti nelle sei regioni della Siria, perché per Caritas la Siria è divisa in sei regioni: Damasco, Horan, Homs, nel litorale Tartus e Latakia, poi Aleppo, quindi la regione di Hassake, dove c’è adesso questo dramma e per il quale abbiamo deciso di dare un aiuto di emergenza alle famiglie. Generalmente Caritas si occupa di cibo, medicine, scuole, anziani, profughi…
Questi aiuti bastano?
Caritas lavora con tutti, non c’è una distinzione confessionale. E’ un servizio umanitario della Chiesa cattolica per tutti, anche per i musulmani, davvero per tutti i gruppi. I cristiani, tramite le diocesi e i loro vescovi, hanno programmi speciali per sostenere e aiutare. Sono molto attivi.
E ai cristiani arrivano aiuti da altre realtà? Da Hassake l’arcivescovo siro-cattolico Hindo ha lanciato un appello: dalla Mezzaluna Rossa non sarebbero arrivati aiuti per i cristiani…
Un aiuto generale. Noi come cristiani lavoriamo anche con la Mezzaluna Rossa ma non è facile, i cristiani non sono abituati ad andare a chiedere, aspettano il sostegno della Chiesa. L’arcivescovo siro-cattolico di Hassake, unico arcivescovo cattolico della regione, deve prendersi cura di tutti questi cristiani nel nome della Chiesa universale e quindi si capisce il suo appello per sostenere tante famiglie cristiane in questa prova.
La popolazione siriana in questo momento sente la vicinanza della comunità internazionale?
No, sentono un complotto internazionale contro la Siria, per distruggere questo Paese. 
Il Papa più volte ha pregato per i cristiani di Siria e non solo: come vengono accolte le preghiere del Pontefice?
 Sono un sostegno straordinario. Quando i cristiani perdono tutto guardano alla Chiesa, guardano al Papa per chiedere sostegno e fiducia. Questo è l’atteggiamento profondo.
Lei in questi giorni è stato a Roma, in Vaticano, per fare il punto sull’impegno della Caritas, insieme a Caritas Internationalis…
Sì, ho avuto incontri con Caritas Internationalis e contatti con differenti Congregazioni. Il mio appello è: cerchiamo la pace con la preghiera, con la riflessione, con una buona formazione. Tutti perdiamo nella distruzione della Siria: si deve fare la pace, nel rispetto di tutti.

Cristiani attaccati in Siria: solidarietà dal Patriarcato Caldeo

By Baghdadhope*

Di seguito il messaggio * di solidarietà del Patriarcato Caldeo nei confronti dei cristiani siri ed assiri attaccati in Siria: 
Il Patriarcato caldeo condanna gli attacchi criminali che hanno colpito i villaggi siri ed assiri, così come il rapimento di persone innocenti ed il loro allontanamento forzato dalle proprie case.
(Il Patriarcato) chiede alle comunità regionale ed internazionale di proteggere i civili e di trovare in tempi brevi una soluzione efficace, seria e radicale al problema del terrorismo.
Noi cristiani siamo ancora provati da ciò che è successo a Mosul e nella piana di Ninive. Ciò che sta succedendo, che si può definire genocidio, non può essere tollerato.   
Esprimiamo la nostra vicinanza e solidarietà ai fratelli siri ed assiri e preghiamo Dio Onnipotente perché metta fine alle loro sofferenze ed a quelle delle persone di Mosul e della Piana di Ninive, perchè illumini le menti dei terroristi e degli estremisti e mostri loro la retta via, e per il ritorno della pace e  della sicurezza nella regione.

Louis Raphael I Sako
Patriarca di Babilonia dei Caldei


* Traduzione di Baghdadhope

​In un libro intervista al patriarca caldeo Louis Raphaël Sako. Grido d'aiuto

Alberto Fabio Ambrosio

Non si può leggere l’intervista al patriarca caldeo Louis Raphaël Sako senza essere commossi (Ne nous oubliez pas! Le Sos du patriarche des chrétiens d’Irak. Entretien avec Laurence Desjoyaux, Paris, Bayard, 2015). Ho dovuto trattenermi più volte per non cedere a un pianto a dirotto, quasi infantile. La testimonianza che il patriarca offre è quanto mai toccante, intensa, pura e, per dirla con un solo aggettivo, evangelica.
Avevo incontrato Louis Sako, una prima volta — quando ancora era vescovo di Kirkuk — alcuni anni fa in occasione di un convegno sulla storia di Antiochia organizzato dalla fondazione Paolo VI a Villa Cagnola presso Varese. Sapendo che vivevo a Istanbul, la conversazione è stata intensa, sempre attento a intessere vere relazioni umane e ascoltare l’altrui esperienza. Poi l’ho rivisto a Istanbul nel mese di giugno 2014, quando la tempesta della ferocia umana iniziava a imperversare nel suo paese d’origine, l’Iraq.
Ogni volta che l’ho sentito parlare ho avuto conferma di quanto già percepito vivendo con la piccola comunità caldea della parrocchia di Nostra Signora del Santo Rosario a Istanbul. I caldei sembrano avere ereditato una dolcezza e una tenerezza tutte particolari, che provengono probabilmente dal fatto che parlano la lingua più vicina a Gesù che sia ancora oggi utilizzata, il suret parente strettissimo dell’aramaico. Viene dal fatto che questo popolo, cristianizzato nel corso della storia millenaria, ha sofferto in silenzio e pazientemente tutte le persecuzioni a cui è stato sottoposto. Raphaël Louis Sako testimonia della sensibilità di questi fedeli dal particolare rito cattolico orientale.
L’intervista è percorsa da un capo all’altro da un sentimento di sofferenza subita durante il corso dei secoli. L’attuale patriarca ha da sempre dovuto convivere con il conflitto e superare una guerra dopo l’altra: quella tra Iran e Iraq, poi quella tra Iraq e Kuwait, poi l’embargo, i bombardamenti degli alleati, la caduta di Saddam Hussein, infine la lotta fratricida e oggi la barbarie del sedicente Stato islamico (Is). Il racconto delle conquiste dell’Is a partire dal 10 giugno scorso è quello di un’escalation di violenza. Difficile capacitarsene, benché le sue analisi siano pertinenti e permettano di capire tra le linee i fattori, le cause e gli obiettivi di un tale caos.
Il suo è un Sos accorato che scaturisce dalla sua sensibilità pastorale e da un’acuta intelligenza messa a profitto dell’azione. Si ha voglia di piangere leggendo queste righe perché, dietro alle parole di Sako, si legge il Vangelo, l’umanità rinnovata dall’amore e dalla bontà di Cristo. Da quando è stato ordinato vescovo, il suo stile non è stato quello di rifugiarsi nel recinto delle proprie pecore, ma quello di annunciarsi come pastore per tutti, musulmani compresi. Il sacerdozio è per tutti, non per una fascia sola, queste parole dovrebbero essere meditate a lungo, come antidoto alla tentazione di trincerarsi in ristrette comunità di vita. Il patriarca caldeo ha vissuto e continua a vivere una forma di amicizia allargata, formando le nuove generazioni a degli atteggiamenti altrettanto profondi.
Quando è stato direttore in seminario, a Mosul, non ha atteso molto tempo per riformarlo da cima a fondo, puntando sulla formazione vera del cuore e della persona. Per il patriarca, l’amicizia è il fondamento del dialogo. Ma non si tratta di un’amicizia solo teorizzata, bensì di relazioni umane con i suoi fedeli e con tutti i musulmani, sunniti e sciiti. Infatti, si può anche arrivare a parlare ed essere specialista di dialogo, senza mai incontrare le persone in carne e ossa. L’amicizia, invece, fa sì che nel momento di emergenza, il fratello musulmano possa proteggere e aiutare il fratello cristiano, proprio come è capitato in talune occasioni da quando lo Stato islamico ha fatto la sua apparizione.
Le parole di Sako infondono la gioia di essere cristiani, di testimoniare fino in fondo e non a metà soltanto come talvolta capita tra i cristiani dell’occidente. Il patriarca caldeo lo dice a chiare lettere: i cristiani d’oriente possono aiutare da un lato una certa debolezza di testimonianza dei cristiani in occidente e dall’altro l’islam diviso in numerose tendenze. I caldei come il patriarca e i fedeli della sua comunità ormai sparsa in tutta la terra, rendono l’Incarnazione di Cristo sempre operante e ben visibile e rendono viva la tenerezza di Dio per i suoi figli.
Al Sos del patriarca, se non possiamo fare altro, si può almeno rispondere con la preghiera semplice e costante.
Non si può leggere l’intervista al patriarca caldeo Louis Raphaël Sako senza essere commossi (Ne nous oubliez pas! Le Sos du patriarche des chrétiens d’Irak. Entretien avec Laurence Desjoyaux, Paris, Bayard, 2015). Ho dovuto trattenermi più volte per non cedere a un pianto a dirotto, quasi infantile. La testimonianza che il patriarca offre è quanto mai toccante, intensa, pura e, per dirla con un solo aggettivo, evangelica.
Avevo incontrato Louis Sako, una prima volta — quando ancora era vescovo di Kirkuk — alcuni anni fa in occasione di un convegno sulla storia di Antiochia organizzato dalla fondazione Paolo VI a Villa Cagnola presso Varese. Sapendo che vivevo a Istanbul, la conversazione è stata intensa, sempre attento a intessere vere relazioni umane e ascoltare l’altrui esperienza. Poi l’ho rivisto a Istanbul nel mese di giugno 2014, quando la tempesta della ferocia umana iniziava a imperversare nel suo paese d’origine, l’Iraq.

Ogni volta che l’ho sentito parlare ho avuto conferma di quanto già percepito vivendo con la piccola comunità caldea della parrocchia di Nostra Signora del Santo Rosario a Istanbul. I caldei sembrano avere ereditato una dolcezza e una tenerezza tutte particolari, che provengono probabilmente dal fatto che parlano la lingua più vicina a Gesù che sia ancora oggi utilizzata, il suret parente strettissimo dell’aramaico. Viene dal fatto che questo popolo, cristianizzato nel corso della storia millenaria, ha sofferto in silenzio e pazientemente tutte le persecuzioni a cui è stato sottoposto. Raphaël Louis Sako testimonia della sensibilità di questi fedeli dal particolare rito cattolico orientale.
L’intervista è percorsa da un capo all’altro da un sentimento di sofferenza subita durante il corso dei secoli. L’attuale patriarca ha da sempre dovuto convivere con il conflitto e superare una guerra dopo l’altra: quella tra Iran e Iraq, poi quella tra Iraq e Kuwait, poi l’embargo, i bombardamenti degli alleati, la caduta di Saddam Hussein, infine la lotta fratricida e oggi la barbarie del sedicente Stato islamico (Is). Il racconto delle conquiste dell’Is a partire dal 10 giugno scorso è quello di un’escalation di violenza. Difficile capacitarsene, benché le sue analisi siano pertinenti e permettano di capire tra le linee i fattori, le cause e gli obiettivi di un tale caos.
Il suo è un Sos accorato che scaturisce dalla sua sensibilità pastorale e da un’acuta intelligenza messa a profitto dell’azione. Si ha voglia di piangere leggendo queste righe perché, dietro alle parole di Sako, si legge il Vangelo, l’umanità rinnovata dall’amore e dalla bontà di Cristo. Da quando è stato ordinato vescovo, il suo stile non è stato quello di rifugiarsi nel recinto delle proprie pecore, ma quello di annunciarsi come pastore per tutti, musulmani compresi. Il sacerdozio è per tutti, non per una fascia sola, queste parole dovrebbero essere meditate a lungo, come antidoto alla tentazione di trincerarsi in ristrette comunità di vita. Il patriarca caldeo ha vissuto e continua a vivere una forma di amicizia allargata, formando le nuove generazioni a degli atteggiamenti altrettanto profondi.
Quando è stato direttore in seminario, a Mosul, non ha atteso molto tempo per riformarlo da cima a fondo, puntando sulla formazione vera del cuore e della persona. Per il patriarca, l’amicizia è il fondamento del dialogo. Ma non si tratta di un’amicizia solo teorizzata, bensì di relazioni umane con i suoi fedeli e con tutti i musulmani, sunniti e sciiti. Infatti, si può anche arrivare a parlare ed essere specialista di dialogo, senza mai incontrare le persone in carne e ossa. L’amicizia, invece, fa sì che nel momento di emergenza, il fratello musulmano possa proteggere e aiutare il fratello cristiano, proprio come è capitato in talune occasioni da quando lo Stato islamico ha fatto la sua apparizione.
Le parole di Sako infondono la gioia di essere cristiani, di testimoniare fino in fondo e non a metà soltanto come talvolta capita tra i cristiani dell’occidente. Il patriarca caldeo lo dice a chiare lettere: i cristiani d’oriente possono aiutare da un lato una certa debolezza di testimonianza dei cristiani in occidente e dall’altro l’islam diviso in numerose tendenze. I caldei come il patriarca e i fedeli della sua comunità ormai sparsa in tutta la terra, rendono l’Incarnazione di Cristo sempre operante e ben visibile e rendono viva la tenerezza di Dio per i suoi figli.
Al Sos del patriarca, se non possiamo fare altro, si può almeno rispondere con la preghiera semplice e costante.
di Alberto Fabio Ambrosio
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Congregazione per le Chiese Orientali: sostegno agli iracheni cristiani ed al Patriarcato

By Baghdadhope*


Si è svolto lunedì a Roma l'assemblea plenaria della Congregazione delle Chiese Orientali presieduta dal Prefetto, Cardinale Leonardo Sandri. Tra gli altri, erano presenti il Cardinale Pietro Parolin,  Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Agostino Vallini, Cardinale vicario del papa per la Diocesi di Roma, il Cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli e Nunzio Apostolico in Iraq dal 2001 al 2006, il Cardinale Jean Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso e camerlengo di Santa Romana Chiesa, il Cardinale  Christof Schönborn, Ordinario in Austria per i fedeli di rito orientale, il neo Cardinale Berhaneyesus Souraphiel, C.M., Arcivescovo di Addis Abeba (Etiopia), il Cardinale di Parigi, André Vingt-Trois, il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il Cardinale Béchara Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, Gregorio III Laham, Patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti, Abramo Sidrak, Patriarca di Alessandria dei Copti, Ignace Joseph III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siro Cattolici, Nerses Bedros XIX Tarmouni, Patriarca Armeno-Cattolico e Mar Louis Raphael I Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei.
Di seguito in corsivo il resoconto dell'incontro pervenuto a Baghdadhope e pubblicato sul sito del Patriarcato Caldeo:


"Si è discussa la situazione delle chiese orientali e l'importanza della presenza cristiana, come pure il problema dell'emigrazione che influisce negativamente sulla loro presenza e testimonianza.

Per quanto riguarda l'Iraq e specialmente la chiesa caldea, i padri hanno incoraggiato e sostenuto la presenza cristiana nella loro patria dando una testimonianza cristiana nonostante la sofferente situazione. Hanno manifestato il loro appoggio all'autorità del Patriarca e del sinodo caldeo e l'importanza che i monaci e i sacerdoti rimangono al servizio dei fedeli nella loro terra madre, così danno un'autentica testimonianza sacerdotale, come pure hanno insistito sull'importanza di seguire i fedeli pastoralmente nelle diaspore secondo le norme canoniche vigenti."

L'ultima parte del comunicato testimonia come l'Assemblea abbia avuto modo, se non di decidere, di discutere la questione della frattura venutasi a creare negli ultimi mesi tra il Patriarcato Caldeo e la Diocesi di San Pietro Apostolo negli Stati Uniti occidentali, guidata da Mons. Sarhad Y. Jammo.
Lo scontro, già iniziato da due anni, ha avuto negli ultimi mesi picchi molto alti, con accuse circostanziate da parte del Patriarcato nei confronti di Mons. Jammo, accusato di avere favorito e coperto la permanenza nella sua diocesi di sacerdoti e monaci che in passato avevano abbandonato l'Iraq senza il consenso dei propri vescovi o del proprio superiore. Rifiutandosi di obbedire al decreto patriarcale che imponeva loro di tornare in patria quei chierici (alcuni dei quali addirittura sospesi dal Patriarcato) hanno creato un solco profondissimo che neanche il sinodo straordinario tenutosi a Baghdad lo scorso 7 febbraio (al quale Mons. Jammo non ha partecipato) è riuscito a colmare. 

Leggi anche:
30 gennaio 2015
Sinodo caldeo straordinario: alla prova l'unità della Chiesa
Intervista al Patriarca di Babilonia dei Caldei: Mar Louis Sako

 

24 febbraio 2015

Villaggi cristiani Siria: Warduni (Baghdad) "Dov'è la comunità internazionale?

By SIR

“Purtroppo quanto sta accadendo in Siria, nei villaggi cristiani assiri nella regione del Khabour non mi sorprende. Tutto il mondo sa chi è l’Is, lo Stato islamico, che compie cose orribili, impensabili, contro la giustizia e l’umanità. Allora chiedo: dov’è la comunità internazionale?”.Con queste parole monsignor Shlemon Warduni, vescovo caldeo ausiliare di Baghdad e vicario patriarcale, commenta al Sir le notizie che provengono dalla Siria dove l’Is ha conquistato alcuni villaggi cristiani facendo molti ostaggi. “Quanto accade è perché Usa e Europa continuano ad armare questi barbari. Basta vendere armi a questi terroristi. È il modo migliore per disinnescare la violenza e sconfiggerli. Basta con il commercio di armi. Occupiamoci dell’emergenza umanitaria e dei milioni di persone che hanno perso tutto”.“Lo dico da mesi - aggiunge il vicario - se le cose continueranno ad andare così l’Occidente si ritroverà l’Is sulla soglia di casa. E sta accadendo. Oggi l’Occidente comincia ad avere paura di questa gentaglia, persone senza Dio, senza coscienza e senza cuore. Non vedete quanti giovani occidentali scelgono di combattere al fianco dello Stato islamico? Non li vedete?”. “Voglio sperare di cuore che gli ostaggi che sono nelle mani di queste persone non vengano uccisi - conclude Warduni -, il Signore li ha messi in quella terra perché diventassero il sale e la luce per il mondo e non per essere uccisi brutalmente. Preghiamo perché il Signore dia loro fede e coraggio in questo momento difficile ma che apra anche la mente di questi barbari”.

Annunciato l'inizio dei corsi all'Università cattolica di Erbil


Il 2015 è l'anno in cui prenderanno il largo i corsi dell'Università cattolica di Erbil, l'Ateneo fortemente voluto dalla Chiesa caldea anche come forma concreta di aiuto ai giovani cristiani in Medio Oriente.
Nei giorni scorsi l'Arcivescovo caldeo Bashar Matti Warda, ordinario dell'arcidiocesi di Erbil e grande sponsor dell'opera, ha annunciato con una lettera l'imminente inizio delle attività per quattro facoltà universitarie, compreso il college di studi economici (Business Administration). Nella lettera, diffusa sui media ufficiali del Patriarcato e pervenuta anche all'Agenzia Fides, l'Arcivescovo fa appello a tutti i potenziali sponsor e collaboratori dell'iniziativa a contattare l'arcidiocesi per mettere a disposizione dell'ateneo le proprie eventuali donazioni e le proprie competenze nel campo dell'insegnamento universitario.
La prima pietra della nuova Università era stata posta ad Ankawa, il sobborgo di Erbil abitato in maggioranza da cristiani, il 20 ottobre 2012. Era stata la Chiesa caldea a mettere a disposizione i 30mila mq su cui far sorgere l'Ateneo. L'obiettivo fin dall'inizio era quello di creare un polo d'insegnamento universitario privato aperto a tutti, conforme alle esigenze del mercato e strettamente associato alla ricerca scientifica. A distanza di quasi tre anni, dopo le convulsioni che hanno travolto le regioni settentrionali dell'Iraq e hanno portato proprio ad Ankawa migliaia di profughi cristiani costretti alla fuga dai jihadisti dello Stato Islamico, l'Università vuole essere un segno concreto di aiuto ai giovani cristiani iracheni, inevitabilmente tentati dall'idea di fuggire all'estero e lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra e le incertezze e le minacce che pesano sul futuro.