La messa
di inizio del ministero petrino del vescovo di Roma conserva la sua
solennità, pur nella sobrietà voluta dal Pontefice. Nell'omelia
incentrata sulla figura di Giuseppe l'invito alla responsabilità fondata
sulla fiducia in Dio e sull'apertura al suo progetto
Inizia con un “fuori programma” - Papa Francesco che scende dalla
“papamobile” per accarezzare un ammalato - la Messa di inizio del
ministero petrino del vescovo di Roma, che inaugura il suo pontificato.
Due ore in tutto. L’omelia su san Giuseppe e la “tenerezza”. Il saluto
alle delegazioni provenienti da ogni parte del mondo. Prima della Messa -
alle 8 ora italiana, circa le 4 in Argentina - Papa Francesco si era
collegato telefonicamente con Plaza de Mayo, rivolgendosi alle migliaia
di fedeli che affollavano la Plaza de Mayo, di fronte alla cattedrale,
dove c’è la residenza di Papa Bergoglio da cardinale .“Vi chiedo un
favore”, ha detto loro Papa Francesco: “Camminiamo tutti insieme,
prendiamoci cura gli uni degli altri. Non facciamoci danno. Proteggiamo
la vita, la famiglia, la natura, i bambini, gli anziani. Che non ci sia
odio, liti. Lasciate l’invidia, dialogate tra di voi. Che questo
desiderio di prendersi cura cresca nel cuore. Avvicinatevi a Dio”. Ecco
la cronaca, minuto per minuto, della Messa.
Ore 8.50. È
iniziata con un lungo giro intorno a piazza S. Pietro, gremita di
fedeli, la Messa di inizio del ministero petrino del vescovo di Roma.
Il Papa ha lasciato Casa Santa Marta poco prima di salire sulla
“Papa-mobile”, scoperta per l’occasione, visto l’azzurro del cielo di
Roma. Poi andrà in sagrestia per prepararsi alla celebrazione. La
cerimonia incomincerà alla tomba di San Pietro, nel centro della
Basilica, sotto l’altare centrale, e si svolgerà sulla piazza che,
secondo la tradizione, è anche il luogo del martirio di San Pietro. Sono
180 i concelebranti con Papa Francesco, a partire da tutti i cardinali
che sono presenti a Roma. Oltre ai cardinali, concelebrano con il Papa i
patriarchi e gli arcivescovi maggiori delle Chiese orientali: Isaac
Sidrak, patriarca di Alessandria dei Copti; Gregorio III Laham,
patriarca greco-melkita di Antiiochia; Ignace Youssif III Younan,
patriarca di Antiochia dei Siri; Nerses Bedros Xix Tarmouni, patriarca
di Cilicia degli Armeni; Luois Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei
Caldei; Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa
greco-cattolica ucraina; Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme.
Gli altri concelebranti sono mons. Lorenzo Baldisseri, segretario della
Congregazione per i vescovi; padre José Rodriguez Carbalho, presidente
dell’Unione Superiori Generali; padre Alfonso Nicols, generale della
Compagnia di Gesù.
Ore 9.05. Non è neanche finito il giro con
la “Papamobile”, che il Papa regala alla folla festante dei fedeli un
“fuori programma”. Dopo aver stretto mani, quasi slanciandosi sulla
folla che si accalca lungo le transenne, il Papa è sceso dalla jeep
scoperta per andare ad accarezzare un ammalato in carrozzella. Una
carezza tenera e prolungata, sul viso. Gli uomini della sicurezza
vaticana hanno già dovuto essere “operativi”. E ancora la “Papa mobile”
indugia nella piazza, circondata da bandiere e striscioni multicolori.
La piazza è gremita fino all’inverosimile, tanto che già stamattina alle
sette era problematico muoversi nei dintorni del colonnato del Bernini.
Tra le 150 e le 200mila persone, il numero che poi verrà diffuso dalla
sala stampa vaticana.
Dalla sagrestia al sagrato, accompagnato dei patriarchi e arcivescovi maggiori delle Chiese orientali cattoliche. Dopo
l’omaggio e la preghiera alla tomba di Pietro, presso la quale sono
conservati l’anello e il pallio, i due segni del ministero petrino che
poi verranno consegnati al Pontefice, il Papa e i patriarchi, in
processione con tutti i cardinali e tutti i concelebranti, si sono mossi
dal centro della basilica verso la porta e sono usciti dal sagrato,
luogo dove secondo la tradizione è stato martirizzato Pietro. Durante la
processione, il Coro della Cappella Sistina e il Coro del Pontificio
Istituto di musica sacra hanno intonato il “Laudes Regiae”, un canto
sulle Lodi del Re. Un canto fatto di litanie e invocazioni in onore di
Cristo, durante il quale si invocano molti santi, e alla fine , dopo gli
apostoli, anche esplicitamente i “Santi Papi”: il più recente è San Pio
X.
Lo stesso pallio di Benedetto XVI, l’anello del pescatore in argento dorato.
I primi riti, ancor prima che incominci la messa, sono la consegna del
pallio e dell’anello al Papa, che rappresentano i due segni del
ministero petrino. Il pallio è stato consegnato e imposto al Papa dal
cardinale protodiacono, Jean-Louis Tauran, lo stesso che ha annunciato
l‘“Habemus Papam” dalla Loggia. Si tratta dello stesso pallio che aveva
Benedetto XVI. Dopo la consegna del pallio c’è stata una preghiera fatta
dal cardinale protopresbitero, cioè il primo dell’Ordine dei
presbiteri, Godfried Daneels. A consegnare l’anello è stato il cardinale
decano, Angelo Sodano, che è il protoepiscopo, cioè il primo
dell’Ordine dei vescovi. Quindi, i cardinali Re, Bertone, Meisner,
Tomko, Martino e Marchisano (due per ogni Ordine), hanno prestato
obbedienza a nome di tutto il Collegio. Il Papa metterà al dito un
anello del pescatore opera di un famoso artigiano italiano, Enrico
Manfrini. Si tratta di un modello presentato al Papa dal maestro delle
cerimonie liturgiche pontificie monsignor Guido Marini, che lo ha
ricevuto da uno dei segretario di Paolo VI, monsignor Macchi.
Sull’anello, in argento dorato, è rappresentato San Pietro con le
chiavi. L’anello non era mai stato fuso in metallo, e Paolo VI non lo
aveva mai utilizzato.
Alle ore 9. 50, dopo i riti specifici dell’inizio del pontificato, Papa Francesco ha dato avvio alla celebrazione eucaristica.
Prima il “Confiteor” in latino, poi il canto del Kyrie e del Gloria. Le
letture in inglese, italiano e spagnolo, il Vangelo cantato in greco,
per sottolineare l’unità tra le Chiese d’Oriente e le Chiese
d’Occidente, visto che ampie parti della messa sono in latino. Le
letture della messa sono quelle della solennità della festa di san
Giuseppe, che si celebra oggi. La prima lettura è tratta dal secondo
libro di Samuele, il salmo, anch’esso cantato da un salmista della
Cappella Sistina, è il Salmo 88, la seconda lettura è tratta dalla
lettera di San Paolo ai Romani. Il Vangelo è il brano di Matteo che
racconta di Giuseppe, “uomo giusto”, e del sogno in cui l’angelo del
Signore lo chiama a prendere con sé Maria come sua sposa.
“Cari
fratelli e sorelle! Ringrazio il Signore di poter celebrare questa
Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San
Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale”.
Queste prime parole di Papa Francesco nell’omelia - una ventina di
minuti in tutto - che inaugura ufficialmente il suo pontificato, e come è
tradizione ne delinea i tratti portanti. “È una coincidenza molto ricca
di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato predecessore:
gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza”,
il primo pensiero del Papa, che ha ricevuto immediatamente il primo
applauso della folla. Poi ha salutato i presenti “con affetto”: “i
fratelli cardinali e vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le
religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i
rappresentanti delle altre chiese e comunità ecclesiali, come pure i
rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose.
Rivolgo il mio cordiale saluto ai capi di Stato e di governo, alle
delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al corpo diplomatico”.
Giuseppe è “custos”, il “custode di Maria e di Gesù”, ma la sua è “una vocazione che si estende poi alla Chiesa”.
Ha citato Giovanni Paolo II, Papa Francesco, per spiegare ai fedeli la
figura di san Giuseppe, delineato quale esempio del credente. “Come
esercita Giuseppe questa custodia?”, si è chiesto il Papa: “Con
discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e
una fedeltà totale, anche quando non comprende”. “Dal matrimonio con
Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme - ha
ricordato il Papa a proposito di San Giuseppe - accompagna con premura
ogni momento. È accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli
difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle
ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in
Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al tempio, e poi nella
quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il
mestiere a Gesù”.
“Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa?”, si è chiesto ancora il Papa:
“Nella costante attenzione a Dio - la sua risposta - aperto ai suoi
segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio: ed è quello
che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio
non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla
sua Parola, al suo disegno: ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma
di pietre vive segnate dal suo Spirito”. Giuseppe è “Custode”, ha
spiegato il Papa, “perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua
volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che
gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a
ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge”. In lui,
secondo Papa Francesco, “vediamo come si risponde alla vocazione di Dio,
con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro
della vocazione cristiana; Cristo!”. “Custodiamo Cristo nella nostra
vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!”, l’invito del
Santo Padre ai fedeli.
“Siate i custodi dei doni di Dio”, ha
esortato il Papa nell’omelia, dopo aver spiegato che “la vocazione dl
custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che
precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire
l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro
della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi; è l’avere
rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il
custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore,
specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e
che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno
dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi
come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli
diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie,
che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel
bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una
responsabilità che ci riguarda tutti”. “E quando l’uomo viene meno a
questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura del creato e dei
fratelli - ha ammonito il Papa - allora trova spazio la distruzione e il
cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli
Erode che tramano disegni di morte, e distruggono e deturpano il volto
dell’uomo e della donna”.
“Vorrei chiedere, per favore, a
tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico,
politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà:
siamo custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura,
custodi dell’altro, dell’ambiente. Non lasciamo che segni di
distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!”.
È il forte appello al centro dell’omelia del Papa, che ha suscitato
l’applauso immediato della piazza. “Ma per custodire dobbiamo anche
avere cura di noi stessi!”, ha proseguito il Papa: “Ricordiamo che
l’odio, l’invidia la superbia sporcano la vita!”. Custodire vuol dire,
allora, “vigilare sui stri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì
che escono intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle
che distruggono”.
“Non dimentichiamo mai che il vero potere è
il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare
sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce;
deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san
Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il popolo di
Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più
poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel
giudizio finale sulla carità; chi ha fame, sete, è straniero, nudo
malato, in carcere”. È il passo più applaudito, a più riprese,
dell’omelia del Papa, e quello più significativo del modo in cui il 266°
successore di Pietro intende esercitare il suo ministero, che inizia
ufficialmente oggi. “Solo chi serve con amore sa custodire!”, ha
esclamato il Santo Padre. “Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo
grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi
stessi speranza. Custodire il creato, ogni uomo e donna, con uno sguardo
di tenerezza e amore è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno
squarcio di luce in mezzo a tante nuvole, è portare il calore della
speranza!”.
Pregate per me. E per il credente, ha
ricordato il Papa, “per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe,
la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in
Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio”. Poi la definizione del
ministero petrino: “Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera
creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi
stessi: ecco un servizio che il vescovo di Roma è chiamato a compiere,
ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della
speranza”. “Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato”, l’invito
finale del Papa, che ha chiesto “l’intercessione della Vergine Maria, di
san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo
Spirito Santo accompagni il mio ministero”. “E a voi tutti dico; pregate
per me, Amen”, la conclusione dell’omelia, scandita dagli applausi.
Durante l’offertorio, nella
Messa di inizio del ministero petrino del vescovo di Roma non c’è stata
la processione per le offerte, il pane e il vino sono stati
semplicemente portati all’altare. 500 i sacerdoti che hanno distribuito
la comunione in tutta la piazza, mentre il Papa si è limitato a
distribuirla ai diaconi. Un atmosfera di grande raccoglimento e
preghiera ha caratterizzato il momento immediatamente successivo,
immagine del popolo di Dio stretto intorno al suo pastore.
Sono 132 le delegazioni provenienti da ogni parte del mondo, che il Papa ha salutato oggi all’altare
centrale, dopo essere rientrato in basilica e aver deposto le vesti
liturgiche, al termine della Messa. L’ordine delle delegazioni dei
diversi Paesi e organizzazioni internazionali viene stabilito dal
protocollo: prima i sovrani, poi i capi di Stato, quindi quelli di
governo e così via. “In prima fila” la delegazione dell’Argentina, con
la presidente Kirchner e altre 19 “alte cariche” al seguito, e
dell’Italia, rappresentata dal presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, con la consorte e altre 16 persone tra cui il presidente del
Consiglio, Mario Monti, e signora, insieme ai nuovi presidenti del
Senato e della Camera. Presenti in piazza, oggi, anche 33 delegazioni di
Chiese e confessioni cristiane e rappresentanti di altre religioni, che
saranno ricevuti dal Papa domani alle 11, nella Sala Clementina. Tra le
“personalità” presenti, il patriarca Bartolomeo del Patriarcato
ecumenico, il catholicos armeno di Echmiadzin, Karekin II, il
metropolita Hilarion per il Patriarcato di Mosca. La delegazione ebraica
è composta da rappresentanti sia della Comunità ebraica di Roma, sia
dei diversi comitati ebraici internazionali, a cominciare dal Gran
Rabbinato di Israele. Presenti, inoltre, anche delegazioni di musulmani e
buddisti.