"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

13 dicembre 2024

Siria. Card. Sako: “Una grande sorpresa per tutto il Medio Oriente. Speriamo che i capi dell’opposizione siano sinceri”

12 dicembre 2024
Daniele Rocchi

“Una grande sorpresa. Non solo per i siriani ma per tutto il Medio Oriente. È stato un evento rapido che ha portato un grande cambiamento. Speriamo bene per la Siria”. Così il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, commenta la repentina caduta del regime di Bashar Al Assad per mano delle milizie di Tahrir al-Sham (Hts).
“Ho parlato con altri patriarchi, anche ortodossi, e con il nostro vescovo caldeo, mons. Antoine Audo, che si trova ad Aleppo: tutti sono concordi nel manifestare speranza per il futuro anche se non nascondono timori”, aggiunge il cardinale. “I capi dell’opposizione armata che hanno preso il potere parlano di un regime civile, di una Siria nuova, rispettosa dei diritti dell’uomo e con un Governo che dovrà vedere la partecipazione di tutte le componenti politiche e sociali. Speriamo che siano sinceri”.
Quanto potrebbe influire una Siria pacificata sull’Iraq e sul Medio Oriente?
Se le cose si svolgeranno in maniera pacifica tutta la regione ne avrà beneficio, non solo l’Iraq ma anche il Libano, Israele, la Turchia, la Giordania, lo stesso Iran. Ne sono certo.
In questo caso, crede che molti siriani, anche cristiani, fuggiti dalla guerra civile torneranno in patria?
Penso di sì. I cristiani siriani erano il 20% della popolazione, ora solo l’1%. Tanti sono in Turchia, in Giordania, in Libano e anche in Iraq. Perché tornino occorre che ci siano condizioni politiche, sociali ed economiche favorevoli. Che riabbiano indietro le loro case, il loro lavoro, le loro proprietà. In sintesi un futuro. E questo vale anche per altri Paesi della regione che, è bene dirlo, devono rivedere le loro posizioni. Non possono pensare di mantenere il loro potere per sempre. In Siria in pochissimi giorni è cambiato tutto.
La parola chiave è sempre più “cittadinanza” che, se applicata, elimina le diseguaglianze tra i cittadini, i settarismi. Siamo tutti uguali, non ci sono differenze tra persone di fedi politiche e credenze religiose diverse. Ognuno deve essere libero di credere o no. Dio rispetta la libertà dell’uomo e noi non dobbiamo forzare la gente a praticare la religione o trasformare la religione in una ideologia da imporre con la forza. La riconciliazione, la pacificazione e il dialogo sono strumenti per risolvere le controversie. A questo riguardo spero tanto che presto si possa arrivare ad un accordo per il cessate il fuoco a Gaza e per la liberazione degli ostaggi.
Com’è la situazione in Iraq adesso?
La situazione è un po’ tesa visto quanto accaduto in Siria. C’è un po’ di paura tra la gente e ci si chiede quali conseguenze questo cambio di regime dopo Assad potrà avere in Iraq. Crediamo che eserciti, milizie e armati debbano essere sotto il diretto comando dei Governi centrali. La pace e la guerra devono essere decisioni che solo i Governi possono prendere e non altri.
A proposito di milizie, fa discutere in Iraq la presenza della Brigata Babilonia, comandata da Ryan “il caldeo”, che ha legami con l’Iran. Composta da cristiani e da musulmani sciiti del sud dell’Iraq, su questa milizia e il suo capo pendono accuse di corruzione e esproprio illegale di proprietà dei cristiani assiri nella piana di Ninive…
Questa brigata attua il proprio potere soprattutto nella Piana di Ninive che governa anche mettendo mano su tutto ciò che è cristiano. Questa situazione è destinata a finire. La volontà dei cristiani deve essere rispettata, come anche le loro proprietà. I membri di questa milizia facciano politica come gli altri e lascino liberi i cristiani. I loro miliziani non possono essere “usati” contro i cristiani, per scopi personali. Le nostre sono comunità pacifiche che cercano solo il bene dell’Iraq.
Non è lecito ottenere, con il denaro, l’appoggio di appartenenti al clero per portare avanti obiettivi che nulla hanno a che vedere con il bene comune. Questo “fenomeno della corruzione” confligge con la morale cristiana e deve spingere alcuni, anche nella Chiesa irachena, a rivedere il proprio atteggiamento: non si possono accettare soldi sottratti al bene comune.
Dobbiamo avere una voce pubblica, profetica, per difendere i diritti dell’uomo, i poveri e coloro che sono oppressi e non cercare i nostri interessi particolari.
Nel 2014 i terroristi dello Stato islamico invadevano la Piana di Ninive, luogo simbolo della cristianità irachena, costringendo 120mila cristiani a fuggire. Dopo 10 anni quanti sono i cristiani che vi hanno fatto ritorno?
Dopo la liberazione dallo Stato Islamico, il 60% dei cristiani sono ritornati, gli altri sono rimasti in Kurdistan dove hanno trovato una nuova casa e un nuovo lavoro. Ma ci sono tanti, in questo 60%, che hanno scelto di emigrare. Una forte spinta a partire è stata determinata dalla presenza di milizie armate che controllano tutto e anche dal tragico incendio, il 26 settembre 2023, in una sala durante un matrimonio a Qaraqosh. 133 morti, centinaia di feriti. Un numero doppio rispetto alla strage alla cattedrale siro cattolica di Nostra Signora del Soccorso, a Baghdad, nel 2010, dove si contarono una cinquantina di morti. Sono famiglie che hanno perso fiducia nella politica, nei Governi, temono per il futuro, non si sentono libere e non vedono stabilità e sicurezza. Tuttavia, spero che l’Iraq possa trarre una lezione benefica da quanto accaduto nel suo passato.
Nonostante le sue grandi risorse e ricchezze naturali, cosa impedisce all’Iraq di prosperare e garantire un futuro stabile ai suoi cittadini?
La corruzione. Incontrollabile. Milioni e milioni di dollari che vanno via. La corruzione è diventata cultura in Iraq.
Per sconfiggerla i Governi devono creare occupazione, servizi, infrastrutture, costruire strade, scuole, ospedali, centrali elettriche. A questo deve servire il denaro pubblico, per il bene comune, e non per gli interessi personali, di partito, di tribù, fazioni e di pochi altri. In Iraq il settarismo è ancora un problema grande anche se con questo Governo le cose sembrano andare un po’ meglio. Tutti i responsabili politici devono lavorare per dare al popolo, a tutto il popolo, una vita dignitosa, rispettosa dei diritti e un futuro di pace.
Non propriamente un compito facile se pensiamo anche all’influenza di Paesi stranieri, come l’Iran, sull’Iraq…
Ribadisco che bisogna rispettare la sovranità di ogni Paese e mantenere buone relazioni tra Governi e leader, anche religiosi. La collaborazione e l’amicizia fra le comunità religiose è importante perché, come disse Papa Francesco nella sua visita in Iraq, nel 2021, “coltivando il rispetto reciproco e il dialogo, si può contribuire al bene dell’Iraq, della regione e dell’intera umanità”.
Ricordando quel viaggio papale non possiamo dimenticare la visita a Najaf del Pontefice al grande ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, leader della comunità sciita nel Paese. Da quell’incontro prese le mosse un cammino di dialogo che lei stesso ha cercato di sostenere in questi anni. Con quali esiti?
Il cammino e i legami interreligiosi sono molto vivi. Anche se non possiamo incontrarci molto, perché l’ambiente non lo facilita, ci sentiamo spesso. Noi cristiani abbiamo rapporti amichevoli con sciiti, sunniti e con altri gruppi religiosi. Il problema non sono i capi religiosi ma i politici. Tutto è legato alla politica del Paese che deve perseguire il buon governo dell’Iraq. Le religioni devono dare il loro contributo eliminando al loro interno divisioni e frammentazioni. Con l’unità si prepara l’avvenire del Paese.
Più volte lei ha auspicato un documento, analogo a quello sulla Fratellanza umana di Abu Dhabi, firmato con l’imam sunnita Al Tayyeb, con il mondo sciita. Sono maturi i tempi per un testo simile?
Penso di sì. Ricordo le parole di Al Sistani rivolte ai cristiani prima dell’arrivo del Papa e che campeggiavano in grandi poster a Najaf e a Baghdad: “Voi siete parte di noi e noi parte di voi”. Parole chiare di fratellanza.
Io credo che ci sia lo spazio per redigere un documento con il mondo sciita nel quale l’Iran ha un suo peso. Un documento che potrebbe educare i fedeli delle due religioni, rassicurarli sull’importanza del dialogo, sul fatto che siamo fratelli nell’umanità e nella fede abramitica. Bisogna accelerare il passo per trovare una strada per arrivarci.
Eminenza, siamo vicini al Natale e mai come quest’anno la festa si inserisce tra le pieghe di conflitti vecchi e nuovi, Gaza, Palestina, Israele, Libano. Che Natale sarà questo che sta per arrivare?
Il Natale non è solo per i cristiani ma è per tutta l’umanità. Gesù, Figlio di Dio, nasce per incarnare valori spirituali e umani di pace, di speranza, di dignità, di diritti, valori che sono espressione divina. Dio ha creato l’uomo perché vivesse felice. Tutti gli uomini sono chiamati a vivere da figli di Dio e quindi da fratelli. I leader politici devono sentire questa coscienza e questa responsabilità. Tutto ciò che Dio ha fatto è per l’uomo. Vivere negando questi valori vuol dire negare l’ordine internazionale nel quale l’uomo costruisce la sua vita e dignità di figlio di Dio.
Natale è una chiamata per tutti, cristiani e musulmani, per coloro che credono e che non credono. Noi come Chiesa non dobbiamo avere paura di parlare di questo, non essere timidi. Gesù ha preparato la strada alla vera felicità dell’umanità. Questo è l’annuncio.

10 dicembre 2024

Pastoral letter for the Holy Year 2025. The Jubilee is a spiritual opportunity for “new beginnings” for the Church and for all humanity

Cardinal Louis Raphael Sako 

 The motto of Hope
“For you have been my hope, Sovereign Lord, my confidence since my youth” Psalm 71:5. This verse from Psalms powerfully expresses the motto chosen by Pope Francis for the Holy Jubilee Year 2025, “Pilgrims of Hope,” which will begin in a few weeks.
Hope is a deep explanation of the Jubilee. Hope does not come from outside, but from the Lord, and it brings us consolation. Hope moves everything forward, so we must keep its flame burning within us, and carry its light into the darkness of a divided and wounded world.
We should not confuse hope, with an emotional feeling of optimism for positive results in the face of life’s difficulties, with hope, which is a great theological virtue and a faith-based attitude for living with confidence and stability.
The basic question posed to us in the Jubilee Year is: How do we firm hope in people? And how do we carry it to a world that seems to have withdrawn from it?

Reconciliation is at the heart of the Jubilee
The Jubilee is a long-standing tradition, with great spiritual value. The Catholic Church has lived it throughout its long history, making it a sacred time for believers. The Jubilee is a time of faith and spirituality, rooted in the Bible, aimed at purifying oneself and restoring one’s relationship with God, with others with whom we live, and with creation. This is what the Pope’s letter (we are all brothers – Fratelli tutti) calls for, and to be responsible for our common home (be praised – Laudato si’). The word “Jubilee” refers to the celebration of the joy of reconciliation and forgiveness that we receive from God and from others.
This change cannot be achieved without strengthening our trust in God and our obedience to Him, through prayer and listening to the Holy Spirit who guides us in times of sin, crises and fatigue, as the Synod of the Synodality of October 2024 confirmed.
We pastors are called first and foremost to examine ourselves and our fidelity to the mission entrusted to us as witnesses who listen to the Holy Spirit to guide our people to what God wants. We are pastors to bring the joy of the Gospel, the love of God, His mercy and forgiveness, and not to manage the affairs of the Church as businessmen!
I also invite the faithful to read carefully the Encyclical Letter “He loved us- Dilexit nos” of Pope Francis, which has a spiritual value for this Jubilee. It helps us to reflect on the theme of the Jubilee and to have the hope that leads us on an “inner spiritual pilgrimage and sharing love (God’s love for us) with others. This love frees us from self-aggrandizement, selfishness, corruption and the spirit of revenge.

Courageous reconciliation is the first step of the Jubilee
The Jubilee is an opportunity to begin a new phase that the Bible calls repentance, to get rid of the painful past and start better to live in peace, joy and happiness. The first step we take to awaken our truth is reconciliation and change through examining our conscience: events, self-truth, and relationships in a confused society.
The great change involves the way of living the faith and living relationships at all levels in society and the Church, with special attention to the dimension of behavioral change.
Reconciliation lies in addressing hostility, resentment, and the spirit of revenge through clear admission of wrongdoing, deep inner regret for what we have done wrong, the courage to ask for forgiveness, and the attempt to change our behavior so that we may live in peace and harmony. Just as God opens the door of mercy, grace, and forgiveness to those who truly repent, we too must forgive those who have wronged us and ask forgiveness for those whom we have wronged. Is it not to this repentance that the official opening of the doors of the major churches at the beginning of the Jubilee indicates?
Admitting mistakes and asking for forgiveness are essential steps to healing wounded memories. This is what Jesus Christ taught in Our father’s Prayer: “Forgive us our trespasses, as we forgive those who trespass against us” (Matthew 6:12). “If you do not forgive others their trespasses, neither will your father forgive your trespasses” (Matthew 6:15).
Thanks to this mercy that we receive from God and accept, we can forgive others for their wrongdoings against us and transform “forgiveness and reconciliation” into joy.
The Jubilee is a unique opportunity to reach out to others, towards mutual review and fraternal disclosure under the inspiration of the Holy Spirit. For the courage of mutual reconciliation, and the joy that flows from it, is incomparable to that of unchristian disputes and alignments.
The Church has an educational and pedagogical mission, which was emphasized by the Synod of Synodality. The sinodal-conciliar Church is a living Church with a mission. Here I think about the importance of Christian Formation according to the orientations proposed by the catechism documents decades ago, which I believe we Easterners have not benefited from! This is because the correct formation becomes a formation-transformation. Here I mention the issue of reviewing the role of language, terminology and style in transferring the faith, communicating with the needs and expecting’s of believers, and the necessity of training preachers and teachers of “catechism” on sustainable developments.

The Jubilee and Human Tragedies are an Opportunity for a More Honest Humanity
How can we nurture hope for peace in the face of the families of those who lost their lives in conflicts, wars and terrorism, or people who lost their homes, properties and jobs and live in camps dominated by fear, poverty and need for everything?
The future of a better world requires abandoning the manufacture of advanced and deadly weapons and focusing on eliminating the causes of destructive conflicts and tragedies of injustice, greed, corruption and carelessness, and creating balances, stable harmony and security between peoples and countries.
As Christian, Muslim and Jewish believers, we must realize that God is for all and wants good for all. The injustice that is happening in our world is completely contrary to the will of God, who created man and loves him and created the universe: “God saw that it was good ” (Genesis 1:12) and sustains it.
The Church (and other religious authorities) has a great commitment to raise its prophetic voice loudly in support of tangible solutions, in changing the way of living fraternal relations, in peace, stability and equality, in freedom, dignity and respect.
This approach to current issues is based on Christ’s announcement of his Jubilee program in the Nazareth Council, based on the text of the Prophet Isaiah (61/1-2): “The Spirit of the Lord is upon me, because he has anointed me to preach good news to the poor. He has sent me to proclaim freedom to the captives and recovery of sight to the blind, to set at liberty the oppressed, to proclaim a year of the Lord’s favor” (Luke 4/18-19).
Yes, the Church needs a new strategy to link these humanitarian and social issues with faith. The Church can draw on all people of good will, and there are many who want to do something for peace and stability. Pope Francis said: “I hope that the Jubilee will be an opportunity for a ceasefire in all the ongoing conflicts” (in his introduction to the book entitled “The Jubilee of Hope, December 4, 2024”). This is hope.

Activities

On the common level:
The Patriarchate and the dioceses inside and outside the country will certainly organize various activities, including:
Organizing a spiritual and liturgical service for the Jubilee: common prayers and special masses, meditation sessions on the Word of God and common penitential services.
Volunteer generously in the service of charity: serving the poor, the sick and the disabled. Pope Francis says that every act of mercy is a sign of hope (Sunday Mass homily 11/17/2024 on the Day of the Poor).
It is preferable for each diocese to organize a group or more for pilgrimage to the holy places, with the number limited to 30-40 to continue throughout the year. This organization ensures the continuity of our church’s presence in these church gatherings of high spiritual value.
Visiting four churches in the diocese, and the global shrines in Rome, Assisi, Cascia and Lourdes in France, and Our Lady of Fatima in Portugal or the Basilica of Saint Theresa in Cairo where the statue of Our Lady of Fatima stands. I also emphasize pilgrimage to our roots in Iraq and the ancient monasteries and churches: the Monastery of Rabban Hormizd, Mar Oraha, the Church of the Immaculate Conception in Mosul, Mar Isaiah and Miskanta, and the Church of Kokhi and Our Lady of Sorrows in Baghdad and the new Church of Abraham al-Khalil in Ur al-Nasiriyah.
In Baghdad, we have formed a committee to organize the pilgrimage inside and outside Iraq.
The faithful lesson of the Jubilee and of Christmas, which is approaching: to learn from the experience of Mary, Joseph, the shepherds and the Magi: to deepen our faith and trust amid many changes and difficult challenges, and to listen to the Word of God through events-signs, and deep contemplation. When we let His voice speak to our hearts, then we will clearly find everything that God wants to say to us, so that we can embody it with joy and pass it on with hope to others.
Let us place this journey under the protection of our Mother Mary, so that she may accompany us in the Jubilee Year and in our entire journey of faith, as she accompanied her Son Jesus.

A Holy Jubilee Year for All

1 dicembre 2024

Proposed amendments to Iraqi law undermines women’s dignity, says human rights expert

Georgena Habbaba
November 29, 2024

Recent attempts to amend Iraq's Personal Status Law — a civil set of laws regarding family life — have sparked significant controversy.
The proposed amendments pertain to issues such as the minimum marriage age for females, registering marriages in courts, divorce rights, and child custody and would have “no positive outcomes,” according to Dr. Muna Yaqo, Chairperson of the Independent Human Rights Commission in the Kurdistan Region.
“The amendment deprives women of their rights, such as pension,” Yaqo told ACI MENA, CNA’s Arabic-language news partner. “For instance, any wife whose husband does not derive physical pleasure from her, whether due to illness or old age, is denied a pension. This is a grave human rights injustice.”
It is not the first time attempts have been made to amend the Personal Status Law. The earliest attempts date back to 2003 when Abdul Aziz Alhakim, who had assumed the rotating presidency of the Transitional Governing Council, issued a decree repealing the law and reverting to Sharia law.
However, this decision was later rescinded.
Yaqo, an expert in international law and minority issues, clarified that the proposed amendment does not directly concern Christians, noting that “the first article specifies its scope of application for Muslims, granting Iraqis the right to choose between Sunni and Shia doctrines when contracting marriage.”
However, she pointed out, “As an Iraqi, it is disheartening to discuss a law that permits child marriages in 2024.”

A call for a unified Christian Personal Status Law

As a Christian, Yaqo sees an opportunity in the proposed amendment.
“If passed, it would strengthen the case for presenting a draft Personal Status Law specific to Christians.”
She urged Iraq’s churches to reach a consensus on issues like marriage, divorce, and inheritance to prepare a unified draft law.
Nevertheless, Yaqo expressed grave concern over the mere attempt to amend the law. “Iraq has been a party to the Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women (CEDAW) and the Convention on the Rights of the Child for decades.
Enacting a law that contravenes these treaties would create a glaring contradiction in Iraq’s official stance.
Should the Parliament insist on passing the amendment, Iraq will face embarrassment as a country failing to honor its international commitments,” Yago said, adding: “By signing the Convention on the Rights of the Child, Iraq committed to prioritizing children’s welfare, focusing on education and health — not marrying off minors.”

A step backwards for women’s rights 
Yaqo called the proposed amendment a regression for women’s rights, undermining the dignity safeguarded by Iraq's Personal Status Law No. 188 of 1959.
“This is a significant setback,” she said.
“Instead of progressing, we are regressing. Legally, marriage is a consensual contract between two competent adults. How can a 9-year-old girl be deemed capable of entering such a contract?”
She further referenced jurisprudential sources.
“The Ja’fari school not only permits marriage for 9-year-old girls, but also allows infant betrothals and certain sexual practices with minors, such as fondling,” she said.
 
Constitutional challenges and contradictions 
Yaqo highlighted the complex political circumstances under which Iraq’s constitution was drafted.
“Unfortunately, compromises resulted in Article 41 of the Iraqi Constitution, which states: ‘Iraqis are free to adhere to their personal status laws according to their religions, sects, beliefs, or choices, to be regulated by law.’”
She also noted that Article 2 of the Constitution requires laws to align with the immutable principles of Islam. However, since there is no consensus between Sunni and Shia sects on issues like marriage and divorce, the Federal Supreme Court’s Decision No. 147 of 2023 — which defines Islamic principles as those unanimously agreed upon across all sects — renders reliance on Article 2 inapplicable. >
Yaqo argued that the recent amendment proposal was cleverly crafted by focusing on only two articles. However, modifying these would effectively dismantle the entire Personal Status Law, replacing it with sect-based jurisprudence.
Iraq’s Personal Status Law is considered one of the region’s most progressive.
Yaqo commended the Federal Supreme Court’s acknowledgment that Article 41 requires amending, stating, “This means it cannot serve as a basis for amending the Personal Status Law, as no law can be issued without a constitutional foundation.”

A unified civil law: Patriarch Sako’s vision
Chaldean Patriarch Louis Raphael Sako has also addressed the proposed amendments.
In a prior interview with an Iraqi TV channel, he reiterated his call for a unified civil law applicable to all citizens, regardless of religion — similar to the practices of advanced nations.
“Today’s reality differs from decades ago,” he said. “Women now hold leadership roles and occupy high positions in society.”
He drew attention to Biblical teachings affirming equality and complementarity between men and women, adding, “In Christianity, inheritance laws are equal for men and women. We do not consider women deficient in reason or faith.”
He also stressed that Iraqi churches do not permit marriage under the age of 18. Regarding divorce, the Patriarch explained that in Christianity, marriage is not a contract but an eternal covenant. Exceptions apply only when a marriage is deemed null due to “improper foundations.”

This article was originally published by ACI MENA, CNA's Arabic news partner, and has been translated and adapted by CNA.

22 novembre 2024

Unity is not a Return to What we were, but Rather to focus on What we should be

Cardinal Louis Raphael Sako
 
On the Conclusion of the Church’s Sanctification Season of the Chaldean Liturgy
I would like honestly and fraternally to share with you some personal proposals about Churches’ Unity, even though, I have already raised the issue previously, several times.
In the profession of its’ faith, the Church of the East is still reciting “I believe in One, Holy, Catholic (Universal) and Apostolic Church”, for fifteen hundred years up-to-date, despite being divided, because it is ONE in the essence.
 Today, the Official name of the Assyrian Church of the East is:

 the Holy, Apostolic and Catholic Assyrian Church of the East
 ܥܕܬܐ ܩܕܝܫܬܐ ܫܠܝܚܝܬܐ ܘܩܬܠܝܩܝ ܕܡܕܢܚܐ ܕܐܬܘܪ̈ܝܐ 

Schism is Against the Will of Christ
Words cannot describe the extent of the consequences of dividing the Church of the East into four Churches: the Chaldean Catholic Church, the Assyrian Church of the East, the ancient Eastern Church, and the Assyrian Protestant Evangelical Church.
Who knows? other Churches may emerge in the future.
Up-to-date, the “so-called separated” first three Churches (Chaldean, Assyrian, and Eastern ancient) share history, tradition, richness of heritage, beauty of art, language and liturgy, in addition to being neighbors, living in the same geographical area.

Unity is not a Return to What we were, but Rather to focus on What we should be!
To heal the wounds of schism and pave the way for “full communion” at least between the “three Churches” we need a new identity e.g. “The Church of the East- ܥܕܬܐ ܕܡܕܢܚܐ – as well as a new vision, including the following ideas to be studied: 
1: There is an urgent need for a comprehensive and practical understanding of the desired unity, in order to direct all energies to achieve the will of Christ of having One Church. Hence, we are reminded of the joint declaration thirty years ago (on November 11, 1994), between the Roman Catholic Church and the Assyrian Church of the East aims primarily to create a “Suitable atmosphere” to enhance the dialogue towards a full communion and a full agreement on the doctrine of faith?
2:  A distinction should be made between firm faith and morals on one hand, and the relatively moving on the other hand, which may result in discipline and administration, in addition to dealing with the contemporary culture and the Church’s commitment to clarify its teaching. 
3: The necessity of knowing a correct and comprehensive historical reasons for this division, with all its painful consequences to learn lessons, and handling it with openness, away from prior judgement.
4: The possibility of putting places of worship at the disposal of sister Churches for the actual participation in the sacraments that the Catholic Church recognize. For, there is no dogmatic issues in contradiction of unity, but the actual obstacle is historical accumulation related to authority and nationalism. 
5: Secular activists should be in charge with nationalism issues, rather than the Church of the East that embraced along the history wide variety of nations such as: Chaldean, Assyrian, Arab, Persian, Indian, Chinese and Afghan (the diocese of Hararat), which indicate that the National feeling and national name is relatively a new phenomenon. 
6: The decline of Christian population in Iraq urges us to work as one team with an evangelical zeal to confront atheists, lack of interest in practicing faith, and the scandal of ecclesiastical divisions.

In conclusion, our shared history was nothing but glory in the unity of true faith (in spite of different expressions), enabling our ancestors: clergy and lay people to carry the message of Christ around the world. 
We proudly were at that time, a Synodal Church in “walking together sharing responsibility of its mission” unlike our present stance! Therefore, we should look at unity, solidarity and joining hands, as the only solution to face current challenges.
Knowing that we are all on the same boat facing various waves.

19 novembre 2024

Iraq: card. Sako (patriarca caldeo) invita i cristiani a partecipare al censimento del 20 e 21 novembre

By Agensir - Patriarcato caldeo
18 novembre 2024 

Si svolgerà il 20 e 21 novembre, dopo 27 anni, il censimento generale della popolazione dell’Iraq.
Un evento importante che ha spinto il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, a invitare i cristiani nel Paese a partecipare attivamente e a collaborare con i team incaricati (120mila rilevatori) di questa indagine sulla popolazione. A riguardo Mar Sako parla di “dovere nazionale” e si rammarica per “la mancata inclusione di migliaia di iracheni che vivono nei paesi vicini, tra cui centomila cristiani”. Inserirli, per il patriarca, “avrebbe aggiunto un elemento in più sull’appartenenza nazionale. La diversità è forza, non differenza. Attendiamo con impazienza – conclude il cardinale – l’accuratezza, l’onestà e l’integrità dell’équipe incaricata del censimento e dei cittadini nel fornire le informazioni corrette”.
L’ultimo censimento in Iraq risale al 1997, Saddam Hussein era al potere e l’Iraq contava una popolazione di 22 milioni di persone. Nel 2009 e nel 2020 furono indetti altri censimenti, non andati a buon fine per la violenza (2009) contro i rilevatori e il Covid. Nei giorni del 20 e 21 novembre in Iraq è stato dichiarato il coprifuoco per garantire la sicurezza degli intervistatori.

17 novembre 2024

Erbil, l'aiuto dell'università cattolica ai sopravvissuti allo Stato islamico

13 novembre 2024
Joseph Tulloch

Nel 2014, il cosiddetto Stato Islamico attraversò l'Iraq settentrionale, conquistando vaste aree di territorio. Una invasione che portò a sfollamenti di massa, in particolare di gruppi minoritari come cristiani, yazidi, turkmeni e shabak. Molti di loro fuggirono nella regione curda del nord-est dell'Iraq, dove – a raccontarlo è padre Karam Shahmasha, sacerdote della locale arcidiocesi caldea - la Chiesa locale nel tempo ha cercato di fornire loro alloggio, cibo e cure mediche.

La fondazione dell'Università
Queste iniziative caritatevoli – prosegue Shahmasha – hanno poi dato vita a un progetto ancora più grande: la fondazione dell'Università cattolica di Erbil (Cue), con lo scopo di divenire un “faro di luce in mezzo al caos” e con l’obiettivo di accogliere studenti di ogni provenienza, in particolare coloro che avevano sofferto di più a causa delle violenze. In un discorso del 2023, tenuto al Boston College, monsignor Bashar Warda, arcivescovo cattolico caldeo di Erbil, nonché cancelliere e presidente del consiglio di amministrazione della Cue, sottolineava che le porte della Cue erano state aperta “a coloro che sono stati maggiormente colpiti dall'ISIS: gli sfollati, i cristiani e gli yazidi... Ci impegniamo a essere una voce forte per chi è stato ferito”.

Celebrare la cultura yazida
Padre Shahmasha sottolinea il sostegno che l’Università offre agli studenti della comunità yazida, che ha subito il brutale genocidio per mano dell'Is, peggiore persino rispetto al trattamento spietato riservato ai cristiani della regione. Grazie a una serie di generosi benefattori, cattolici e non, la Cue è in grado di distribuire ogni anno numerose borse di studio agli studenti yazidi, organizza, inoltre, regolarmente eventi che celebrano la cultura yazida - come la celebrazione annuale del Capodanno yazida - e collabora con le organizzazioni che si battono per i diritti degli yazidi. Con l'aiuto della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, inoltre, la Cue è in grado di assegnare ogni anno un gran numero di borse di studio ‘Papa Francesco’, destinate principalmente a studenti cristiani.

La Cue oggi
A nove anni dalla sua fondazione, l'Università vanta più di 600 studenti, provenienti da diversi contesti. Padre Shahmasha ne sottolinea la più recente iniziativa: un programma di studi orientali ospitato dal College of Arts dell'università. Programma che è primo del suo genere nella regione e che offre corsi sulla “gamma di religioni ed etnie che hanno abitato a lungo l'area mesopotamica”, con argomenti diversi come gli studi curdi, la teologia cattolica e i libri della Torah, con l’obiettivo – conclude – “di promuovere la coesistenza pacifica” tra i vari gruppi etnici e religiosi dell'Iraq, contribuendo alla “costruzione di una comunità vibrante”.

12 novembre 2024

Ecumenismo con i Santi: Papa Francesco abbraccia il Patriarca assiro Mar Awa e annuncia l'inclusione di Sant'Isacco di Ninive nel Martirologio Romano


Un abbraccio sotto gli occhi del Cristo Risorto dipinto da Perugino e l'annuncio dell'iscrizione di uno dei Padri più venerati della tradizione siro-orientale nel Martirologio Romano. A trent'anni dalla firma della Dichiarazione cristologica comune, volta a riaffermare la comune fede in Cristo, e a quaranta dalla prima visita a Roma di un Patriarca assiro, Chiesa cattolica e Chiesa Assira d'Oriente continuano sulla strada del dialogo e della preghiera, verso il ripristino della piena e completa comunione visibile.
La Dichiarazione cristologica comune, firmata l'11 novembre 1994 da San Giovanni Paolo II e dal Catholicos Patriarca Mar Dinkha IV, ha rappresentato il tema centrale dell'incontro, avvenuto nel Palazzo Apostolico, tra Papa Francesco e Mar Awa III, Catholicos Patriarca della Chiesa Assira d’Oriente. Presenti all'incontro anche i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d'Oriente, istituita dalla stessa Dichiarazione e che ha recentemente avviato una nuova fase di dialogo sulla liturgia nella vita della Chiesa.
Il "grazie" del Pontefice è andato proprio ai membri della Commissione mista per il loro impegno. «Infatti, senza il vostro lavoro, questi accordi dottrinali e pastorali non sarebbero stati possibili», ha detto nel suo discorso Papa Francesco, e ha aggiunto: «Mi rallegro della pubblicazione di un libro commemorativo, con i vari documenti che segnano le tappe del nostro cammino verso la piena comunione, con prefazione comune di Vostra Santità e mia. In effetti, il dialogo teologico è indispensabile nel nostro cammino verso l’unità, giacché l’unità a cui aneliamo è unità nella fede, a condizione che il dialogo della verità non venga mai separato dal dialogo della carità e dal dialogo della vita: un dialogo umano, totale».
La piena unità nella fede, ha sottolineato il Vescovo di Roma, «è già raggiunta dai santi delle nostre Chiese. Sono loro le nostre guide migliori sulla via verso la piena comunione. Per questo, con l’accordo di Vostra Santità e del Patriarca della Chiesa Caldea, e incoraggiato anche dal recente Sinodo della Chiesa cattolica, sono lieto di annunciare che il grande Isacco di Ninive, uno dei Padri più venerati della tradizione siro-orientale, riconosciuto come un maestro e un santo da tutte le tradizioni, sarà introdotto nel Martirologio Romano».
Monaco e vescovo nella seconda metà del VII secolo, nato nell'attuale Qatar, dove visse una prima esperienza monastica, Isacco fu ordinato vescovo della antica Chiesa d'Oriente per la città di Ninive, nei pressi dell'attuale Mosul (Iraq), dal catholicos di Seleucia-Ctesifonte, Giorgio I. Dopo alcuni mesi di episcopato, chiese di ritornare alla vita monastica e si ritirò nel monastero di Rabban Shabur a Beth Huzaye (nell'attuale Iran sud-occidentale). Qui compose varie collezioni di discorsi a contenuto ascetico-spirituale che lo hanno reso celebre.
Nonostante appartenesse a una Chiesa che non era più in comunione con nessun'altra, perché non aveva accettato il Concilio di Efeso del 431, gli scritti di Isacco furono tradotti in tutte le lingue parlate dai cristiani: greco, arabo, latino, georgiano, slavo, etiope, rumeno e altre. Isacco divenne così un'importante autorità spirituale, soprattutto nei circoli monastici di tutte le tradizioni, che lo venerarono rapidamente tra i loro santi e padri.
Per la sua intercessione, ha auspicato il Papa, «i cristiani del Medio Oriente possano rendere sempre testimonianza a Cristo Risorto in quelle terre martoriate dalla guerra. E continui a fiorire l’amicizia tra le nostre Chiese, fino al giorno benedetto in cui potremo celebrare insieme sullo stesso altare e ricevere la comunione dello stesso Corpo e Sangue del Salvatore».
L'inclusione di Sant'Isacco nel Martirologio Romano, sottolinea un comunicato diffuso dal Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, «dimostra che la santità non si è fermata con le separazioni ed esiste al di là dei confini confessionali. Come ha dichiarato il Concilio Vaticano II: 'riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo talora sino all’effusione del sangue, è cosa giusta e salutare' (Unitatis Redintegratio 4)».
«Si augura» si legge ancora nel Comunicato del Dicastero «che l’inserimento nel Martirologio Romano di Isacco di Ninive, testimone del prezioso patrimonio spirituale cristiano del Medio Oriente, contribuirà alla riscoperta del suo insegnamento e all’unità di tutti i discepoli di Cristo».

8 novembre 2024

Chiesa Assira d’Oriente: Patriarca Royel III dona a Sant’Egidio una croce di pietra che apparteneva alla chiesa di San Giorgio a Mosul, vandalizzata nel 2014

7 ottobre 2024

Una croce di pietra che apparteneva alla chiesa di San Giorgio a Mosul, vandalizzata nel 2014 dall’Isis è stata donata ieri sera dal patriarca della Chiesa Assira d’Oriente, Mar Awa Royel III alla Comunità di Sant’Egidio.
La croce, che reca i segni della devastazione di cui è stata oggetto, è stata posta sull’altare delle croci nella chiesa di Sant’Egidio nel quartiere di Trastevere.
 Il Patriarca, ieri sera, insieme ad una delegazione di arcivescovi e metropoliti da diverse parti del mondo, venuti a Roma per celebrare il trentesimo anniversario dell’inizio del dialogo teologico con la Chiesa cattolica, ha presieduto la preghiera serale nella basilica di Santa Maria in Trastevere ed è stato salutato dal presidente della Comunità Marco Impagliazzo che ha ricordato la “lunga amicizia” che lega Sant’Egidio alla Chiesa assira, la cui storia soprattutto negli ultimi decenni è stata segnata da eventi dolorosi, a causa del succedersi di guerre, terrorismo e instabilità politica che hanno segnato in particolare la Siria e l’Iraq.
Oggi, in occasione del 30° anniversario della Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d’Oriente, dalle 17.30 alle 19.30 si terrà un Atto accademico presso l’Angelicum. Interverranno, Sua Santità Awa III, il car. Kurt Koch, la prof.ssa Theresia Hainthaler, il vescovo mons. Antoine Audo, il metropolita Mar Meelis Zaia, il vescovo Johan Bonny.

Kirkuk: la battaglia dei cristiani contro l’esproprio di beni archeologici

7 ottobre 2024

Un’antica collina nell’area di Kirkuk, in una zona “in origine terra di cristiani”, contiene tesori e patrimoni archeologici in gran parte ancora nascosti e da portare alla luce, che per questo sono finiti nel mirino di trafficanti di beni. Secondo quanto racconta il sito di informazione Rudaw, la questione riguarda un settore collinare contenente “decine di reperti e scavi ancora in gran parte da completare”, per questo gruppi attivisti locali stanno promuovendo una battaglia contro l’esproprio.
L’area al centro della contesa è vasta 23 dunam (circa 57.500 metri quadrati) e, di questi, solo il 40% è stato oggetto di lavori di scavo che hanno portato al rinvenimento di almeno 45 reperti archeologici. Un uomo d’affari locali sta manovrando per rilevare la proprietà della zona dal Dipartimento delle antichità di Kirkuk per accelerare i lavori di perforazione e scavo.
In risposta alcuni abitanti hanno intentato una battaglia legale per impedire l’esproprio, ma sinora “nessuna azione è stata intrapresa nei suoi confronti” come rivela una fonte locale.
Raed Al-Obaidi, residente nel quartiere di Al-Wasiti, racconta: “Questa è un’area archeologica, e qualcuno è venuto e ha affermato di esserne il proprietario”. In realtà, prosegue, “in origine il terreno era dei cristiani” ma questo non ha impedito di perseguire il tentativo di impossessamento.
Sulla questione interviene anche Omar Ahmed, che avanza perplessità sulle modalità di vendita “delle terre che possiedono al loro interno antichità che, in ogni parte del mondo, farebbero riferimento a una autorità a sé stante”. Un altro componente del gruppo che lotta contro l’acquisto sottolinea che “sono terre sottoposte a vincolo archeologico” e già “oltre 400 anni fa erano state recintate. Di recente - prosegue Abbas Mouloud - qualcuno è arrivato e, dopo aver demolito il muro, ha iniziato a scavare, suddividere le terre e metterle in vendita. Stiamo lottando, ma sinora non siamo riusciti a fare nulla”.
Il Comitato per la rimozione degli abusi ha registrato nei mesi scorsi una denuncia contro questo uomo di affari - la cui identità viene tenuta nascosta - che sta cercando di impossessarsi dei terreni presso l’Autorità garante di Kirkuk, ma non ha ancora ricevuto risposta. Sulla questione è intervenuto anche il governatore Rebwar Taha che conferma il rinvenimento “di manufatti sul sito collinare” e assicura di voler prendere “azioni legali” contro tentativi di esproprio.
L’archeologia costituisce un patrimonio dal grande valore economico, storico e culturale, che rappresenta il vero “oro nero” dell’Iraq come aveva dichiarato in passato il primate caldeo card. Louis Raphael Sako. Sin dai tempi in cui era arcivescovo di Kirkuk, infatti, il porporato era solito denunciare i pericoli corsi da un “bene universale” da salvaguardare da furti, traffico illegale e persino dai cambiamenti climatici, perché da solo vale “più del petrolio”. Un compito di tutti gli iracheni, non solo i cristiani, richiamato dal patriarca anche nel 2016 durante la “Conferenza internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale nelle aree teatro in conflitto” ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti (Eau).

Investing in the children of Iraqi Kurdistan

November 6, 2024

ACN supported the construction of a new floor for a kindergarten in Enishke, allowing it to expand its services, receive more children from families in the surrounding villages, including Kurds and Yazidis, and help sow the seeds of peace and fraternity for future generations.

The Enishke village is located in the Diocese of Dohuk, in a mountainous region of Iraqi Kurdistan in northern Iraq.
Christian, Kurdish, and Yazidi families live in the many settlements around Enishke, struggling to survive in a climate of economic hardship, political instability, and lingering insecurity.
The lack of resources and investment from both the regional and federal governments meant that when the local parish priest, Father Samir Yousif, visited local communities, he often found young children deprived of opportunities and a healthy upbringing. “When I was visiting families in the past, I would find the children locked up in their house,” he explained to the international Catholic charity Aid to the Church in Need (ACN).
In 2013, Father Samir started a small kindergarten in Enishke, which served up to 16 children. What the Chaldean priest did not know at the time was that the whole region was about to change, with the terrorist organization ISIS taking control of much of the nearby territory in August 2014, sending a wave of Christian, Yezidi, and moderate Muslim refugees into Iraqi Kurdistan.
After the expulsion of ISIS, he realized that much more needed to be done. He made plans to build a new floor for the kindergarten, allowing it to expand its services. “Our goal is to create an educated, aware, and open generation, and also to create peaceful coexistence among Christian, Kurdish, and Yazidi children,” said Father Samir. ACN is one of the organizations supporting this project, as part of its overarching strategy to help Christians in Iraq to overcome the tragedies of the ISIS invasion, and to enable them to live in their homelands.
In July, the Chaldean Catholic Bishop of Dohuk traveled to Enishke to inaugurate the completed project, which can now take up to 100 children, directly benefiting around 90 families. During the event, Bishop Azad Shaba expressed hope that the ACN-sponsored project might serve the whole of Iraqi society and not only Christian families. “We commend the opening of this kindergarten, through the efforts of the priest and teachers in this town, and we encourage it to be open to all our Muslim brothers in the region, because it translates the teachings of Christ. Our goal is to help people in need, and by this, we do not mean just raising buildings, but to raise up people, who will have a role in constructing a future Christian society,” he said.
The project has also created jobs for local people, helping their families as well as the families whose children are attending. Father Samir told ACN that since it opened, dozens of children have already graduated from the kindergarten, moving on to other schools, where they have been commended for their academic abilities.
“With the support of our bishop, we always focus on giving value to every stage of a person’s life, but childhood and children are the most important. We have a saying: ‘In order to have a future, it is not enough to have children only,’ and for this, we must raise and educate. The best time for this is childhood. We have another saying, that ‘engraving on childhood is like engraving on stone.’”
The new floor of the kindergarten opened in July 2024 and includes three classrooms, a kitchen, sanitary facilities, and a large and well-equipped area for playing. “It is well-built and secure, to be safe for our children. We are very grateful to ACN and to all donors, and God bless you,” said Father Samir.

Warda: ‘The whole Middle East is burning”

Filipe D'Avillez
November 1, 2024

Ten years ago he was on the frontline over helping over 13,000 families who fled the terrorists of ISIS and found refuge in Erbil — since then he has overseen the reconstruction of towns and villages, but has also watched tens of thousands of his faithful leave the country in search of stability and peace abroad.
In recent months, the archbishop has also been a prominent figure in an internal and unresolved dispute between the patriarch of the Chaldean Catholic Church, and a group of bishops which includes Warda .
Warda sat down with The Pillar at the end of a recent visit to Europe, made at the invitation of Aid to the Church in Need.
The archbishop addressed briefly the burgeoning rift in the Chaldean Catholic Church, while refusing to discuss the details. But he did speak in length about the experience of Christianity in Iraq after ISIS, of the sometimes difficult relationship with Islam, of the role Christians play in the Middle East at the moment and of his hopes for a lasting peace in the Holy Land.

Ten years ago, you were already the bishop of Erbil when ISIS took Mosul and then the Nineveh Plains. What was that like?

It was a terrifying moment, with a lot of confusion, especially seeing so many people arriving with nothing to find shelter in churches, shrines, schools and centers, filled with fear, anger and tears.
It was a shocking experience, not only for us as a Church, but also for them, and for the priests and the sisters who lost all of their pastoral work.
But we quickly responded, and with other bishops, and with the priests, we worked together to face that genocide, to accompany our people, to provide them with a minimally dignified living, food, shelter and education, and we were able to get past that period.
What is the situation now?
There is no persecution now. ISIS has been defeated and Christ is victorious! This is something we are very joyful for.
But the whole of the Middle East is burning with more crises, more disputes: the Gaza war, now the south of Lebanon, more difficulties and challenges, internally displaced persons.
This sense of lack of security, that the war might escalate and reach us, and the feeling of political instability is still hanging over the region. When there is no security there is no investment, the private sector does not develop, and this leads to unemployment, which affects everybody, but being a minority, we feel all of these difficulties as a pressure on us. We have lost two thirds of the Christian presence because of all of these disputes.

In the Middle East in general, or in Iraq?
In general! 
Fifty years ago, we were 20% of the population of the Middle East, today we are talking about less than 4%. And when it comes to Iraq, in 2003 we were over 1 million, today we are 250,000, maybe even less.
Your archdiocese covers the capital of Iraqi Kurdistan. Less than a century ago the Kurds actively took part in massacres of Christians, but more recently Christians found safety in Kurdistan from the ISIS onslaught. What is the situation like at the moment? Is there trust between Christians and the Kurds?
The history of Christians in the Middle East, and also in Iraq, is marked by all of this lack of trust, and there were some dark pages. When it comes specifically to the question you asked, the Kurds did commit some massacres against us. But at the moment I cannot say this is the situation.
In 2004 and 2005, when all of the sectarian strife happened in Baghdad and Mosul, and many Christians moved to the north, that was, for us, a return to our historical villages.
The Christians were welcomed and helped by the Iraqi Kurdish government, which spent hundreds of millions renovating all of these villages. The policy of the Kurdish government is to encourage more coexistence, to try and help the Christians, not just to survive but also to thrive. There is a trust which is being built and is strong, and which we need in that part of the world.
In 2003 there were some 2,000 families in Erbil, especially in the district of Ankawa. Today we are talking about 8,000 Christian families, the largest Christian gathering in the Middle East.
Those numbers show that things are different now.
In Erbil, for example, I have four schools, all of them established after 2010; a hospital – I would say one of the best — and a Catholic university, where we have Christian and Muslim students, from different nationalities. This shows us that life has changed and that these difficult pages in our history are behind us.
There has been tension between Kurdistan and the Iraqi federal government over independence and disputed territory.
How has that issue affected Christians, who live in some of these territories?
I cannot deny that there was a lack of trust and communication between Baghdad and Erbil, which resulted in more political disputes. Whenever there is a political dispute our people will suffer more, because we are a minority.
Regarding the Nineveh Plains, the southern and northern parts are Christian. This is one of the issues, among many, which is not being solved according to Article 140 of the Iraqi Constitution, concerning disputed areas. 
At the moment, even if the dispute is heated, there is a new atmosphere of dealing with these issues through politics, and on the ground there has been peace, and no arms were used, which is quite an achievement, because we are fully aware how many weapons there are, and God forbid they should be used stupidly, because this would affect so many people.
There are Christians who defend that there should be an independent, or at least autonomous homeland for Christians in the Middle East, possibly in the Nineveh Plains. Do you believe that could be a good idea?
Personally – and I stress this is a personal opinion – I think that before ISIS things were different. On the ground, in Nineveh alone there were around 125,000 Christians.
Today that is not the case.
I was one of the people who, at that time, said that yes, maybe we could have a more independent administration, more autonomy within federal Iraq. But today life has changed, facts on the ground have changed, and so it is not really that easy to decide. If we were to go for that project, would it benefit Christians or other parties? This is an open question. Before, things were different. Today we have maybe half of the original number. Circumstances are different and we have to reconsider according to the current situation.
Christianity in the Middle East can sometimes be more of an ethnic identity than a lived experience of faith. Is that the case in Iraq, do you feel it is changing?
One of the effects of the persecution and pressure of the past four or five decades is that the people who were most qualified, pastorally and educationally, have left the country. So many of the people who are better educated are now serving in the diaspora, and we have been left with those who, as in any community, are more concerned with their day-to-day lives.
That is why, as a Church, we are focusing on catechism and youth activities, because I believe that our strength comes from the awareness of every Christian about his Christian vocation, that is the strength of the Christians in Iraq. More catechism, and more evangelization of our community is needed.
I am on this trip to Europe at the invitation of Aid to the Church in Need, and every year they support our catechism and youth programs, and we have Radio Maria, as an instrument of education. I personally give 30 to 40 public conferences every year, focusing mainly on the Bible. And we keep publishing books, and using the media to try and evangelize, so yes, it is really an important issue, that each Christian should be aware of his or her vocation, to be a man and woman of faith, rather than just ethnicity.
Does the Church enjoy religious freedom in Iraqi Kurdistan? For example, could you accept a convert from Islam in your Church?
One of the facts that we have to be fully aware of is that once you live in the land of Islam, there is no freedom of religion, though there is a freedom of worship.
The Iraqi constitution is based on Islamic Shariah, which means that evangelization outside the Christian community is forbidden. We have 1,400 years of dialogue of life with Islam, and we know that we cannot do that. We sometimes hear reports that there is no freedom of religion in this part of the world, but where is the surprise? This is something that we know as Christians. We cannot [convert Muslims], because that would be endangering the lives of the Muslims seeking baptism, or endangering the Christian community.
If someone comes and asks about the Church, about Christianity, it is our duty to respond. But baptism? That would be the person’s choice, but they cannot do that in an Islamic country. It is simply forbidden. The world has to understand that this is the fact.
For Muslims, Judaism and Christianity are just steps on the way to Islam, because Islam is the honorable religion of God. That is why they treat us as a “People of the Book”, with some tolerance, but evangelization means that you are waging war against Islam.
In a recent conference hosted by ACN you said you have yet to hear an apology from Muslim leaders for the persecution carried out by ISIS. Is that really necessary?
An apology is needed. Not for us, but for them, for their young people, for their future generation, to tell their young people that some Muslims committed crimes against humanity in the name of God, in the name of Islam. I am always urging my brothers, the Imams, to think deeply about this, it is not an act of weakness! It is for the future Muslim generation, to prevent their young people from going in that direction, because the temptation is always there.
You mentioned that two-thirds of Christians have left Iraq. When young Christians tell you they are planning to leave, what do you say to them?
This is one of the most difficult questions we are asked. Usually this person will have reasons: no job, for example, or concern about the future of the Middle East, another war, or economic difficulty, the future of one’s family. It is very difficult... I always say that I know that migration is a right, I cannot stop that, because it is a right to try and find a dignified life wherever one wishes. But I tell them to be careful not to be smuggled, not to pay, and not to become victims of people who would use them as a means to commit crimes.
And sometimes we can help with finding a [local] job. Through our schools, our hospitals, the NGO that we have, the radio station, we have over 830 jobs. It is just a contribution, but thanks to all the donors and benefactors, the Church can really be part of the solution.
If they tell me they want to leave because everyone else is leaving, then I will encourage them to stay, but if there are other issues, I’ll say “think twice before you leave, but I cannot decide for you”.
As we know, the Chaldean Church has been embroiled in controversy over the past years. Part of that controversy appears to be a campaign against Patriarch Sako, which led to the president of Iraq revoking a decree which recognizes him as head of the Chaldean community. He has accused Rayan al-Kildani, the Christian leader of the Babylon Brigades militia, of being behind this, and there have been charges that you are close to al-Kildani. Is this true?
I am not a politician, I am a bishop, and as such my door is open to everyone.
Of course, it should be said that Rayan al-Kildani works in Baghdad, not in Erbil, politically he is completely outside of my region.
But people should know that I have welcomed, and will welcome, anyone, because the role of the Church is to be a bridge of peace and reconciliation. Throughout history, and especially recent history, the Catholic Church has played a role in really creating an atmosphere of reconciliation, and as far as I know there was no Vatican decree listing names of people the Church cannot deal with internationally or locally.
Monday, Tuesday and Wednesday the door of the office is open, people can come without appointments. They don't need an appointment to see me. If I am there, I will see them immediately.
If a person or a group is acting in a wrong way, then I have to be able to say so. But if I shut the door, then to whom would I say it? If they did anything wrong, I have the right to say that what is happening is wrong.
The Pillar has reported on a dispute between you and the patriarch. This reached its height, at least publicly, when you refused to attend the most recent synod of Chaldean bishops, and the patriarch threatened ecclesiastical sanctions. Is that a decision that you regret?
This was an internal Church matter; it was not supposed to become public.
Disputes among brothers happen all the time.
The patriarch is the head of the Chaldean Church, he has our full respect, we pray for him and for the Pope every day, in every mass.
I would just say that these things happened in the Church and we don't need to make a big case of it, just leave it to the Church and it will be solved.
But do you think that that dispute has damaged the image of the Chaldean Church?
I don't think so. The Chaldean Church, with Patriarch Sako, is strong. The patriarch’s voice is loud and clear when it comes to speaking about Iraq in general, and we have to give him credit for that.
He sometimes even puts the interests of Iraq above the interests of the Christians, because his aim is to help Iraq and all Iraqis, but when it comes to Christian issues, he has also been a strong voice around the world for the protection of the persecuted and oppressed Iraqi Christians.
What is your hope for the Christian community in Iraq in another ten years?
My hope right now is that the war in Gaza and Lebanon should stop, that the violence should end, and to give time and space for a just political solution that might really last, not just something temporary.
My hope for the Christians in Iraq – and I will be working with all the bishops and Church leaders to this end – is how to make this community thrive, how to make it influential in Iraq, and to be the voice of Christ in Iraq.
Our Muslim brothers and sisters tell us that we are the salt of the earth. When we ask them if they read that in the Gospel, they say no, it is that we are truthful, honest, responsible, committed, decent, peaceful, and that we need these values, because without them no community can be sustained. We thank God that we have this mission, not just that we have these values. And when we say that we have this mission we mean that God wants us there to carry on this mission of kindness, gentleness, peacefulness, truth, honesty, and to spread them there. The goal is to be the voice of Christ.
You visited Europe at the invitation of ACN. How important are NGO such as that in supporting the Church in your diocese? ACN were the hand of mercy, the hand of God.
I should also mention others, like the Knights of Columbus, bishops’ conferences, the Chaldeans in the diaspora, all of those, but especially ACN, because they have been working with us for so many years. Just since 2013 the reports show that they raised around $60 million for the region, not just Erbil, but in general, over the time of displacement and of the rebuilding of these villages. Without them, we would probably be telling a different story today.

15 ottobre 2024

Card. Sako: in Medio oriente ‘armi e disordine’ vincono la timida mediazione internazionale

Dario Salvi

“Siamo responsabili nella ricerca della pace, del dialogo: la comunità internazionale, i Paesi del Medio oriente sono tutti coinvolti. Tuttavia se noi stessi non sappiamo, in prima persona, mettere fine a questa spirale, saranno altri che devono aiutarci a trovare la via per realizzarla”.

È il monito lanciato dal patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, di fronte alla spirale di violenza che ha travolto la regione, insanguinata nell’ultimo anno da conflitti di portata sempre più ampia: da Gaza, con la guerra lanciata da Israele ad Hamas in risposta all’attacco del 7 ottobre 2023, al Libano con il “fronte nord” aperto dallo Stato ebraico nel tentativo di eliminare la “minaccia” di Hezbollah; vi sono poi gli altri attori dell’area, dagli sciiti Houthi nello Yemen fino all’Iran, con la prospettiva di un’escalation di vasta scala.
“La situazione è preoccupante - avverte - non vi è ascolto alla ragione e alla responsabilità, soprattutto verso i civili i quali pagano il prezzo più elevato. E l’assemblea internazionale è timida, vi sono appelli e mediazioni, ma sono stagnanti e non riescono ad avanzare”.

Economia di guerra
Abbiamo incontrato il card. Sako a margine dei lavori dell’assemblea sinodale in corso in questo mese di ottobre in Vaticano, e il quadro tracciato dalla massima autorità ecclesiastica irachena è impietoso e non ammette sconti verso quanti hanno cariche e responsabilità. “Più che debole, che ha una nota peggiorativa, la comunità internazionale è timida nella sua opera di mediazione, perché pur cercando di fare qualcosa, non è mossa - avverte - da quella unità di intenti che oggi risulta necessaria per poter essere efficace”. “La mia convinzione - spiega ad AsiaNews - è che non vi sia più un ordine globale come in passato. Non vi sono più valori, né principi e a regnare è il disordine, un caos nel quale il più forte attacca il più debole. Tuttavia, i problemi e le contrapposizioni devono essere risolti con il dialogo, con la diplomazia morbida, con un’opera di dissuasione non violenta”.
A dettare l’agenda internazionale, in una fase di crisi che investe più settori, è l’economia di guerra in cui prevale “il commercio di armi in un quadro di risorse limitate, una popolazione mondiale in continua crescita e una crisi ambientale sempre più drammatica. Il clima, l’ecologia, l’accesso ai generi alimentari sono tutti fattori che giocano un ruolo nel condizionare questo teatro di guerra”.
Il Medio oriente da troppo tempo è un territorio “senza pace: ci vuole l’attenzione internazionale, una cura per questa parte del mondo sofferente che necessita di stabilità. Anche a fronte di interessi opposti o divergenti fra Occidente e Oriente, bisognerebbe eliminare - avverte il porporato - ogni fonte di violenza, il ricorso alla guerra e alle armi”.

Lo scenario iracheno
Per quanto riguarda lo scenario iracheno vi è un elemento di criticità che finora è rimasto nell’ombra e non è stato coinvolto, se non in modo marginale, nello scenario di guerra: le milizie sciite legate a Teheran, che a differenza degli Hezbollah libanesi e gli Houthi yemeniti non sono intervenuti direttamente nel conflitto attaccando Israele. “Penso che sinora - commenta il patriarca caldeo - abbia prevalso un atteggiamento di saggezza da parte di questi gruppi, che non vogliono entrare in questa guerra per procura” in cui si moltiplicano gli attori. “Abbiamo assistito all’intervento di milizie - prosegue - che a vario titolo e in momenti diversi si sono fatte coinvolgere” pur scongiurando “una guerra fra Stati che avrebbe effetti devastanti. Questo può essere considerato un elemento di saggezza in un panorama in cui sembra prevalere il frastuono delle armi”.
Del resto il movimento di Hamas “è per natura una milizia” che non rappresenta l’intero popolo palestinese e, in passato, si è trovato in disaccordo con la stessa Autorità palestinese. Ed entrambe si trovano a fronteggiare Israele che “è uno Stato con carri armati, un esercito, l’aviazione in un evidente squilibrio in campo”. “Non vi può essere parità di forze - prosegue - fra Israele e Hamas, sono due realtà troppo diverse. Per questo l’unica strada è quella di una mediazione, con la comunità internazionale che esercita una giusta pressione per la nascita di uno Stato” che sia capace di vivere superando la logica del conflitto permanente.
Di recente il patriarca caldeo ha incontrato il premier Mohammed Shia al-Sudani, dal quale ha ricevuto ampie rassicurazioni sul fatto che “non vuole essere trascinato in una guerra regionale, pur restando l’incognita delle milizie e il tema in agenda è come controllare”. L’esecutivo iracheno è in una situazione di “imbarazzo” perché rifiuta la guerra e “sta tentando ogni via di mediazione possibile”. Del resto parte di queste milizie “vorrebbe aiutare Hezbollah, e Hamas, ma prevale l’atteggiamento di moderazione in attesa degli sviluppi. A livello di leader religiosi anche la massima autorità sciita irachena, il grande ayatollah Ali al-Sistani ha lanciato un appello inusuale nei toni e contenuti per la “fine dell’aggressione” e l’invio di aiuti umanitari alla popolazione, segno di una grande preoccupazione per la crisi. Cristiani, musulmani sciiti e sunniti, ebrei “devono lanciare tutti assieme - auspica il porporato - un appello profetico e forte per la pace, la fratellanza, cercando di disinnescare le tensioni. Papa Francesco lo ha fatto più volte, ma è una delle poche voci di pace” al cospetto di quanti “cercano di usare la religione per raggiungere i propri interessi”.

Lo “scandalo” della Chiesa caldea
Per il card Sako la presenza delle milizie non è solo fonte di preoccupazione per le ripercussioni a livello regionale, perché nella storia recente della Chiesa caldea hanno rappresentato un elemento di tensione interna che rischia di sfociare in una spaccatura devastante. Lo “scandalo della Chiesa caldea” come lo chiama il primate, che denuncia “le influenze, anche sul piano materiale con aiuti concreti” cui sono soggette alcune comunità ecclesiastiche.
Il riferimento è ad una milizia in particolare: le Brigate Babilonia del sedicente leader Rayan al-Kildani, che hanno fomentato divisioni, manovrato per il ritiro del decreto presidenziale che ha determinato l’auto-esilio (poi rientrato dopo mesi) dello stesso card. Sako e spinto cinque vescovi a boicottare l’ultimo Sinodo caldeo. Alcune realtà, denuncia, “ricevono soldi e aiuti da parte di una certa milizia, non sono autonome e questa è una grande ferita: la Chiesa non ha bisogno di denaro, ma della fede, e il clero deve servire in maniera totale, con passione, e indipendente da certa politica o da certi interessi”.
La decisione dei cinque vescovi di snobbare l’incontro nella capitale, occasione per celebrare anche il ritorno a Baghdad del patriarca, è stata causa di “profondo shock”. Una parte di questi vescovi “ribelli, soprattutto i più giovani, è stata manipolata” accusa il porporato, che ha già inviato un fascicolo alla Santa Sede per valutazioni ed eventuali provvedimenti. Sullo sfondo il timore, ancora attuale, di un vero e proprio scisma nella Chiesa caldea, dietro il quale vi è la mano delle stesse milizie sciite - attive nel nord dell’Iraq e in territorio curdo - che agiscono per denaro e potere. “Volevano che il Sinodo caldeo fallisse per avere un successo personale, invece è andato molto bene, 17 vescovi (sui 22 totali) si sono mostrati molto uniti” sottolinea il card. Sako, che chiude confidando la sua “preoccupazione primaria per il futuro: quello che per me è importante è preparare il terreno per lasciare al successore la guida della Chiesa caldea. Per un patriarca - conclude senza far nomi, ma delineando le priorità - che può unire e continuare nella tradizione”.

Chiese orientali: Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto il patriarca siro-cattolico di Antiochia, Mar Ignatius Joseph III Younan


Il Patriarcato siro-cattolico di Antiochia ha annunciato in un comunicato che Papa Francesco ha ricevuto, venerdì 11 ottobre, in Vaticano, il patriarca siro-cattolico di Antiochia, Mar Ignatius Joseph III Younan
Durante l’incontro, il patriarca ha discusso con il Papa dell’attuale preoccupante situazione in Medio Oriente, dell’importanza della locale presenza cristiana, delle prospettive future della Terra Santa, della Siria e dell’Iraq, in particolare del Libano con la guerra in corso. Nel colloquio è stata ribadita l’importanza di un cessate il fuoco immediato e la necessità di eleggere un nuovo Presidente della Repubblica in Libano il prima possibile, per porre fine alla soffocante crisi economica e sociale che attanaglia il Paese dei Cedri. Il patriarca ha elogiato “l’assoluto sostegno mostrato da Sua Santità ai cristiani d’Oriente, alle loro cause legittime e al loro diritto alla pace e alla sicurezza”, esprimendo “sinceri ringraziamenti e gratitudine al Pontefice per il suo amore paterno e la sua cura per la Chiesa in tutto il mondo, per la sua speciale attenzione per i fedeli delle Chiese orientali in mezzo a queste difficili circostanze che stanno vivendo, e per il suo commovente messaggio ai cristiani del Medio Oriente lo scorso lunedì 7 ottobre”.
L’incontro è avvenuto nell’ambito del Sinodo sulla sinodalità del quale Joseph III Younan è membro del Consiglio consultivo preparatorio del Sinodo per le Chiese orientali.

Libano, la solidarietà dei caldei del Kurdistan con chi fugge dalla guerra

1 ottobre 2024  

La solidarietà può fare la differenza, offrendo pace, sicurezza e protezione a chi soffre. Per questo l’arcidiocesi caldea di Erbil, che ancora non ha visto rimarginate le ferite inflitte dalla violenza del sedicente Stato islamico (Is), si muove verso gli sfollati libanesi chiedendo alla comunità internazionale di sostenerli “in ogni modo possibile e di pregare per la fine della violenza”.
L’arcidiocesi, guidata dall’arcivescovo Bashar Warda, come informa un comunicato, si impegna al fianco dei libanesi avviando una campagna a sostegno della Chiesa del Libano le cui risorse sono destinate a chi fugge dalla violenza. Monsignor Warda invita la sua comunità “a offrire sostegno spirituale e umanitario alla Chiesa libanese”. 
Domenica 29 settembre, durante una Messa speciale, si è pregato per pace in tutta la regione e si è organizzata una colletta per raccogliere fondi che saranno inviati alle chiese del Libano che attualmente sono impegnate a fornire aiuto di ogni tipo, compreso medico, agli sfollati. Con l’approssimarsi dell’inverno, inoltre, “il bisogno di ulteriore sostegno è urgente e crescente”. 

La preoccupazione per i cristiani
L’arcivescovo, nel ricordare le difficoltà analoghe vissute dalla comunità del Kurdistan iracheno, ribadisce l’importanza di “essere solidali con le vittime della violenza”, allo stesso tempo esprime preoccupazione per la situazione dei cristiani in tutta la regione, minoranza che nel corso degli anni ha “subito attacchi mirati e violenze” e che ora si ritrova “sotto il fuoco incrociato dei conflitti in corso”.
Una comunità che in Medio Oriente ha visto un drammatico declino, arrivando a rappresentare solo il 4% della popolazione, che si è indebolita con la fuga di persone “di talento e istruite”, e che vive in preda alla paura, all’ansia e alla disperazione. Monsignor Warda, nonostante tutto, esprime la sua speranza, invitando la comunità internazionale ad ascoltare il messaggio di Papa Francesco, ed esortandola a far “tacere i tamburi di guerra ed ad alzare la voce della pace”.
Solo la pace permetterà al Libano e a tutta la regione, stremata da anni di combattimenti e ormai senza risorse, di potersi riprendere “dal peso della guerra e del conflitto politico”. 
È urgente agire per aiutare il Libano, è l’appello, agendo con compassione, carità e generosità, affinché “attraverso la preghiera, le donazioni e la promozione della pace” si possa “contribuire ad aiutare queste famiglie nel momento del massimo bisogno”.

Iraqi archbishop says rift with Chaldean patriarch is a ‘misunderstanding’

Junno Arocho Esteves
1 ottobre 2024

Iraqi Archbishop Bashar Warda of Erbil said tensions between himself and Cardinal Louis Sako, the Baghdad-based Chaldean Catholic patriarch, were the result of a misunderstanding and denied accusations he was working against the patriarch.
 In a message sent to OSV News Sept. 24, the Iraqi archbishop said he rejected “all accusations in full,” referring to allegations made by the Chaldean patriarchate on Aug. 28 that Archbishop Warda was “deceived by promises” made by political figures who were behind an attempt to have the government deny recognition of Cardinal Sako’s authority as head of the Chaldean Catholic Church in 2023. Assuring that “we are proud of His Beatitude as the head of the Chaldean Church,” Archbishop Warda told OSV News in a written message: “I categorically reject accusations of corruption … and I will continue to deal with this issue through the relevant church channels,” he added.
In July 2023, Cardinal Sako left Baghdad after Iraqi President Abdul Latif Rashid revoked a decree that formally recognized the cardinal as Chaldean patriarch in the country and his authority to administer the Chaldean religious endowment.
In a statement made to OSV News at the time, Archbishop Warda downplayed the significance of the decree’s revocation, saying that “withdrawing the republican decree does not prejudice the religious or legal status of Cardinal Louis Sako, as he is appointed by the Apostolic See.”
However, the move was viewed by both Cardinal Sako and local Iraqi media as an attempt to usurp the patriarch’s position as head of the Chaldean Church that was allegedly instigated by Rayan al-Kildani, head of the Babylon Brigades, a Chaldean Catholic militia that shares close ties with Iran. 
Many believed that al-Kildani, who was sanctioned for alleged human rights abuses by the U.S. Treasury Department in 2019, pushed for the revocation in an attempt to gain control of the Chaldean Church’s assets. 
While in exile in Erbil for almost a year, Cardinal Sako received support from Grand Ayatollah Ali al-Sistani, Iraq’s leading Shia religious figure, and the Association of Muslim Scholars of Iraq, the highest Sunni authority in the country. Both disapproved of the cardinal’s treatment. 
Countries, including the United States, France and Germany, also expressed their disapproval of the president’s move.
However, in June, Iraqi Prime Minister Mohammed Shia’ Al-Sudani confirmed Cardinal Sako’s standing as patriarch of the Chaldeans in Iraq and the world. 
The cardinal promptly returned to Baghdad and the following month, he presided over the July 15-19 Synod of the Chaldean Church. 
The absence of five bishops — Archbishop Warda, Bishop Paul Thabet of Alquoch, Bishop Azad Sabri Shaba of Dohuk, Chaldean Archbishop Amel Shamon Nona of Sydney, and Bishop Saad Sirop Hanna, the apostolic visitor for Chaldean Catholics in Europe, who is based in in the northern Swedish city of Södertälje — was noted by the patriarchate. 
Bishop Hanna did not respond to a request for comment by OSV News.
In a statement on the Chaldean Patriarchate website titled, “The Truth About What is Happening in the Chaldean Church,” published Aug. 24, Cardinal Sako said he knew “for sure that some people had a hand in withdrawing the presidential decree” to “push me to resign in order to seek succession.” 
“Their attempts did not stop there, as they withdrew their students from the seminary,” he said of the bishops, adding that “I assure them that they are delusional and their bet is losing, because the church belongs to Christ and he sends out workers to the harvest.”
 However, just four days later, the patriarchate issued another statement warning that the “boycott of the Chaldean Synod by five bishops sets a dangerous precedent” that goes against their episcopal vows “to join hands with His Beatitude Patriarch Louis Raphael Sako in order for the church to continue its noble mission.”
The 2023 revocation of the decree, the patriarchate said, “suggested to some that it was the end and made their mouths water,” directly accusing Archbishop Warda of gathering support from the clergy for the cardinal’s removal.
“It is unfortunate that the Archbishop of Erbil was deceived by the promises of that party, and accepted to become its godfather,” the patriarchate wrote. “He did not only denounce the withdrawal of the decree, but he supported it and proposed an alternative: ‘the argument of succession.'”
The patriarchate also accused Archbishop Warda of supporting the “political party,” meaning the Babylon Brigades, “despite his knowledge of its encroachment on the church, the rights of Christians, and the acquisition of their property.”
The statement also said that when Cardinal Sako asked Archbishop Warda to publicly denounce the decree’s revocation, “he refused.”
“While many Muslim clerics denounced this action, how much more so our church’s bishops”
were expected to denounce, the patriarchate said. 
The Chaldean Patriarchate said the actions of Archbishop Warda and the four bishops who did not attend the synod forced “His Beatitude to settle the issue in one of two ways: by means of a public apology or by canon law,” giving them until Sept. 5 to apologize. If not, the statement said, “a report will be submitted to His Holiness Pope Francis for appropriate action to be taken for each of the five bishops.”
 The statement went on to cite what violations the bishops would be accused of, including canon 1447 of the Code of Canons of the Eastern Churches, which states that “one who incites sedition and hatred toward any hierarch whatsoever or provokes his subjects to disobedience, is to be punished with an appropriate penalty, not excluding a major excommunication, especially if the offense was committed against a patriarch or indeed against the Roman Pontiff.”
In a Sept. 7 reflection titled, “Come back to yourself,” Cardinal Sako wrote that it was “very painful when some people turn lies into a weapon for moral assassination! Let us stay away from harming people because God will hold us accountable, especially when we are believers and pray.”
 He concluded his reflection with a note. “This spiritual and educational thought has nothing to do with the boycotting bishops, as the case has made its way to the highest ecclesiastical court,” the cardinal wrote.