Michele Zanzucchi
Intervista con mons. Bashar M. Warda, arcivescovo
 caldeo di Erbil, un uomo deciso. Di fronte alle emergenze sa sostenere 
la sua comunità, sa dare linee di azione, sa incoraggiare. Insegna e 
ascolta, pensa e decide. Mi riceve nella sala di ricevimento 
dell’episcopio di Erbil, nel sobborgo cristiano di Ankawa.
Come ha passato la sua giornata?
 Ho cominciato con la Bibbia, poi due ore di insegnamento nel collegio 
di filosofia e teologia, poi come faccio tre volte alla settimana ho 
ricevuto la gente, che cerca lavoro, che ha problemi familiari, che ha 
discussioni di soldi, qualcuno vuole anche confessarsi. Ho pranzato con i
 preti. Poi due ore di lettura, sto preparando una lettera pastorale sul
 Natale a partire dal Vangelo di Matteo. Poi ancora ho ricevuto gente. E
 cenerò con le suore. È la vita intensa di un vescovo in una terra non 
proprio semplice.
Le sta a cuore la dignità dei rifugiati cristiani qui ad Erbil. Cosa fate?
Le sta a cuore la dignità dei rifugiati cristiani qui ad Erbil. Cosa fate?
 L’impegno per la dignità di tutti i nostri fedeli è prioritario. 
C’erano 25 campi profughi dopo la grande fuga da Qaraqosh e Mosul 
dell’agosto 2014. Oggi ne è rimasto solo uno, quello di Ashti. Abbiamo 
realizzato una grande operazione di ricerca di appartamenti e case in 
affitto, spesso obbligandoci a mettere due o tre famiglie negli stessi 
locali. Ma ora sembra che questa situazione stia migliorando. Una casa è
 meglio di un container. Aiutiamo i nostri fedeli in due modi: o pagando
 loro l’affitto, o dando un generico contributo per la loro vita. I 
soldi li raccogliamo da tante Ong cattoliche o cristiane, ma soprattutto
 con la comunione dei nostri fedeli.
Da poche settimane la città di Qaraqosh, una delle più cristiane dell’Iraq, è stata liberata dal Daesh. Quali prospettive?
Da poche settimane la città di Qaraqosh, una delle più cristiane dell’Iraq, è stata liberata dal Daesh. Quali prospettive?
 Certamente la comunità cristiana ha accolto con sollievo la notizia 
della liberazione di Qaraqosh. Ma è stata scoccata nel costatare subito i
 danni arrecati alle loro case. Non so quante famiglie di Qaraqosh 
(almeno tremila) siano ora disponibili a tornare sul posto. Le 
condizioni psicologiche, economiche e di sicurezza non permettono ancora
 un ripopolamento della città. Ancora per un po’ tutti preferiamo vivere
 qui ad Ankawa. Il governo certamente cercherà di favorire il ritorno 
degli abitanti nelle loro case, anche per poter rimettere in moto la 
macchina dell’economia, ma la gente è veramente impaurita per tornare. 
Serviranno garanzie certe per l’incolumità della gente, servirà un 
cambiamento politico atto a rassicurare, forse anche internazionale.
Cambiamenti politici?
Cambiamenti politici?
 Sì. C’è certamente l’incognita Trump, che certamente peserà sul 
panorama mediorientale. Il Daesh verrà sconfitto prima o poi, ma il 
grave è l’ideologia di esclusione e violenza che si è diffusa tra un 
certo numero di musulmani iracheni. La democrazia non funziona appieno, 
perché qui in Iraq funziona ancora il sistema tribale. Bisognerà agire 
sull’educazione e sulla cultura per cambiare le mentalità e permettere 
una vera convivenza pacifica e quindi la sicurezza per i cristiani e per
 le altre minoranze. Il progetto già avviato di una università cattolica
 può portare frutti che si vedranno magari tra un secolo, ma vale la 
pena di dare la propria vita per questo tipo di progetti che porta a una
 migliore educazione, perché l'educazione è senza dubbio la via per la 
pace.
Ecumenismo attivo, qui in Kurdistan?
Ecumenismo attivo, qui in Kurdistan?
 La collaborazione è buona con le altre Chiese cristiane, nonostante 
talvolta vi siano vedute tradizionali un po’ diverse. Con i musulmani 
abbiamo rapporti diretti costanti, ci si fa visita ad esempio per le 
condoglianze, si arriva anche a discutere di educazione, perché sappiamo
 tutti che per cambiare le mentalità serve la cultura. Di tutto ciò 
parliamo molto amichevolmente.
È di attualità la questione dell’indipendenza curda?
È di attualità la questione dell’indipendenza curda?
 Secondo la dottrina sociale della Chiesa ogni popolo deve essere 
padrone della propria terra e del proprio governo. Ma dipende anche 
dalle condizioni politiche e sociali. I curdi sono circa 25 milioni, ma 
vivono in quattro Paesi in condizioni molto diverse. Qui in Iraq sono 
forse i più favoriti, ma la vita da queste parti dipende dall’amicizia 
con Baghdad, mai dimenticarlo: l’eventuale indipendenza o maggiore 
autonomia verrà vista assieme agli iracheni di Baghdad.
Come viene vissuto il Vangelo nella Chiesa caldea, oggi, in Kurdistan?
Come viene vissuto il Vangelo nella Chiesa caldea, oggi, in Kurdistan?
 Le persone fedeli al Vangelo oggi si prendono cura degli altri, prega, 
usa i propri talenti per trovare soluzione ai tanti problemi della 
guerra, si occupa degli yazidi… E magari ricorda a certi musulmani che 
contro di essi è stato commesso un tentativo di genocidio. Oggi si 
evangelizza soprattutto con l’esempio più che con le parole. È difficile
 cambiare il pensiero altrui con tanti discorsi, non si può convincere 
un musulmano dell’esistenza di un Dio Trinità, ma si può vivere, per 
così dire, “trinitariamente”. Ho invitato un musulmano a insegnare nella
 nostra università cattolica, anche questa è una testimonianza. 
L’amicizia coi musulmani apre tante strade, e soprattutto diffonde uno 
spirito di amicizia.
Speranze per un reale cambiamento di clima politico e sociale non sembra che ve ne siano molte…
Speranze per un reale cambiamento di clima politico e sociale non sembra che ve ne siano molte…
 C’è una speranza di pace, e c’è soprattutto la speranza di educare alla
 pace. Anche i musulmani più illuminati oggi si rendono conto che senza 
pace non si può vivere. Si tratta quindi di mettere in atto una 
operazione di tutte le forze politiche, sociali e religiose dell’Iraq 
per cercare la vera pace, quella possibile, non quella ideale.
È tempo di riconciliazione, oppure bisognerà aspettare?
È tempo di riconciliazione, oppure bisognerà aspettare?
 È sempre il tempo buono della riconciliazione, del perdono e della 
pace. La soluzione dell’attuale conflittualità è più religiosa che 
politica. Per far ciò noi cristiani dobbiamo portare il Cristo, dobbiamo
 proclamarlo con la nostra vita, e gli altri potranno così vederlo. 
Siamo sempre meno, noi cristiani, ma possiamo sempre e comunque 
testimoniare Gesù.
È tempo anche di emigrazione per tanti cristiani…
È tempo anche di emigrazione per tanti cristiani…
 Quando viene da me una famiglia che vuole emigrare all’estero, gli 
chiedo sempre se ha fatto bene i suoi calcoli, se ha i mezzi e le 
risorse psichiche di stare un paio d’anni in Giordania o in Libano per 
attendere il visto per espatriare in Canada o in Australia, o in 
Francia. E se poi hanno fatto bene i calcoli per poter vivere laggiù 
economicamente e cristianamente. Non è una buona decisione quella di 
emigrare, ma la libertà non può mancare nel prendere queste decisioni, 
troppa gente è traumatizzata da quanto ha vissuto. Cerco comunque di 
incoraggiare tutti a rimanere, anche perché poi è difficilissimo tornare
 indietro. Per chi parte non ho soldi da offrire, ma per chi rimane li 
trovo sempre. Nella catechesi per il Natale dirò proprio queste cose, 
cioè perché è bene restare in queste terre.
Rimanere anche se cresce la mentalità integralista?
Rimanere anche se cresce la mentalità integralista?
 Sì, rimanere e testimoniare Gesù. Cresce la mentalità fondamentalista, 
cresce la corruzione, cresce il disagio sociale, non c’è lavoro… Tutto 
vero. Ma dobbiamo lavorare riportando l’attenzione di politici, uomini 
di religione, della gente comune sulla persona umana. Ad esempio 
mettendosi dalla parte delle vittime e dei poveri, sempre.