By La Fedeltà
Con l'aiuto di mons. Giorgio Lingua, fossanese, Nunzio apostolico in Giordania e Iraq, cerchiamo di capire meglio cosa sta accadendo a Mossul e dintorni, dopo che i miliziani jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil) hanno conquistato al città.
Con l'aiuto di mons. Giorgio Lingua, fossanese, Nunzio apostolico in Giordania e Iraq, cerchiamo di capire meglio cosa sta accadendo a Mossul e dintorni, dopo che i miliziani jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil) hanno conquistato al città.
Abbiamo raggiunto via internet mons. Giorgio Lingua, fossanese, 
Nunzio apostolico in Giordania e Iraq, per cercare di capire meglio cosa
 sta accadendo a Mossul e dintorni. Mossul si trova nel nord del Paese 
e, con i suoi quasi 3 milioni di abitanti, è la seconda città dell’Iraq 
(dopo la capitale Baghdad). Mons. Lingua in questi giorni è ad Amman, ma
 mercoledì 18 giugno dovrebbe rientrare a Baghdad.
Mons. Lingua, com’è la situazione nella capitale irachena?
Da
 quanto ho potuto cogliere dal Segretario della Nunziatura apostolica, a
 Baghdad sembra si viva come in una quiete prima della tempesta. La 
gente corre ai supermercati a far provviste, temendo il peggio. Come 
sapete, alcune città, tra cui Mossul, seconda del Paese per numero di 
abitanti, sono cadute nelle mani dei ribelli senza incontrare la 
resistenza dell’esercito regolare, poiché molti militari hanno 
disertato.
Che cosa potrebbe accadere nei prossimi giorni?
C’è
 preoccupazione per una prevista reazione dell’esercito nazionale a 
sostegno del quale si stanno reclutando milizie sciite e volontari. 
Tutti coloro che sono in grado di usare un’arma sono stati convocati dal
 Primo ministro Nuri al-Maliki, sia per difendere Baghdad sia per 
contrattaccare l’avanzata dei ribelli. A quanto pare gli Stati Uniti 
avrebbero già promesso il loro sostegno militare al Governo iracheno. 
Questo non solo è preoccupante, ma evidenzia una certa confusione di 
idee e mancanza di visione e strategia nel Medio Oriente: da una parte 
si vuole deporre Assad in Siria e dall’altra si sostiene un suo alleato 
in Iraq, mentre entrambi combattono lo stesso nemico: i miliziani 
jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil).
Come si vive nelle comunità cristiane vicine a Mossul?
I
 problemi principali in questo momento sono legati all’accoglienza dei 
rifugiati arrivati numerosi nei villaggi cristiani situati nella piana 
di Ninive. Finora questi villaggi sono stati risparmiati dai gruppi 
armati che hanno conquistato Mossul, ma c’è il rischio che possano 
essere attaccati in seguito e diventare centri di conflitto nel caso i 
Peshmerga (forze militari del Kurdistan) dovessero allearsi con 
l’esercito nazionale per la riconquista dei territori occupati  
dall’Isil.
Tutto fa presagire che siamo di fronte ad episodi 
che potrebbero rappresentare l’inizio dell’escalation verso una nuova 
guerra. Lei che idea si è fatto?
A mio parere, quello che sta 
succedendo è la conseguenza di una lunga serie di errori di strategia 
politica e di visione sul Medio Oriente che mi auguro siano dovuti 
soltanto a sbagli di valutazione e non a cattiva fede. Ho l’impressione 
che i calcoli politici orchestrati nelle cancellerie occidentali stiano 
sfuggendo al controllo e frantumando un Medio Oriente troppo ricco per 
rimanere in pace e, un tempo almeno, troppo militarmente potente per non
 essere pericoloso. Se a questi fattori si aggiunge un crescente 
fondamentalismo religioso e odio settario (che si radicalizzano sempre 
di più con la frustrazione causata dal vedere il fallimento di un Paese 
dopo l’altro e il perdurante scontro israelo-palestinese), allora c’è 
veramente da rimanere preoccupati: ci vorrà molto tempo per sanare tutte
 le ferite che continuamente si stanno aprendo.
Una speranza?
A
 mio modo di vedere occorrono leader religiosi illuminati che sappiano 
ispirare la gente e motivare i politici che abbiano - e ci sono - il 
senso del bene comune che comprenda il proprio gruppo etnico o 
religioso, il proprio Paese, l’intera regione e, quindi, anche il mondo.
 Solo così si vedrà veramente che la religione non è causa dei conflitti
 ma parte della soluzione.
 
