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20 giugno 2014

Iraq: "È la conseguenza di una lunga serie di errori..."

By La Fedeltà

Con l'aiuto di mons. Giorgio Lingua, fossanese, Nunzio apostolico in Giordania e Iraq, cerchiamo di capire meglio cosa sta accadendo a Mossul e dintorni, dopo che i miliziani jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil) hanno conquistato al città.
Abbiamo raggiunto via internet mons. Giorgio Lingua, fossanese, Nunzio apostolico in Giordania e Iraq, per cercare di capire meglio cosa sta accadendo a Mossul e dintorni. Mossul si trova nel nord del Paese e, con i suoi quasi 3 milioni di abitanti, è la seconda città dell’Iraq (dopo la capitale Baghdad). Mons. Lingua in questi giorni è ad Amman, ma mercoledì 18 giugno dovrebbe rientrare a Baghdad.
Mons. Lingua, com’è la situazione nella capitale irachena?
Da quanto ho potuto cogliere dal Segretario della Nunziatura apostolica, a Baghdad sembra si viva come in una quiete prima della tempesta. La gente corre ai supermercati a far provviste, temendo il peggio. Come sapete, alcune città, tra cui Mossul, seconda del Paese per numero di abitanti, sono cadute nelle mani dei ribelli senza incontrare la resistenza dell’esercito regolare, poiché molti militari hanno disertato.
Che cosa potrebbe accadere nei prossimi giorni?
C’è preoccupazione per una prevista reazione dell’esercito nazionale a sostegno del quale si stanno reclutando milizie sciite e volontari. Tutti coloro che sono in grado di usare un’arma sono stati convocati dal Primo ministro Nuri al-Maliki, sia per difendere Baghdad sia per contrattaccare l’avanzata dei ribelli. A quanto pare gli Stati Uniti avrebbero già promesso il loro sostegno militare al Governo iracheno. Questo non solo è preoccupante, ma evidenzia una certa confusione di idee e mancanza di visione e strategia nel Medio Oriente: da una parte si vuole deporre Assad in Siria e dall’altra si sostiene un suo alleato in Iraq, mentre entrambi combattono lo stesso nemico: i miliziani jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil).
Come si vive nelle comunità cristiane vicine a Mossul?
I problemi principali in questo momento sono legati all’accoglienza dei rifugiati arrivati numerosi nei villaggi cristiani situati nella piana di Ninive. Finora questi villaggi sono stati risparmiati dai gruppi armati che hanno conquistato Mossul, ma c’è il rischio che possano essere attaccati in seguito e diventare centri di conflitto nel caso i Peshmerga (forze militari del Kurdistan) dovessero allearsi con l’esercito nazionale per la riconquista dei territori occupati  dall’Isil.
Tutto fa presagire che siamo di fronte ad episodi che potrebbero rappresentare l’inizio dell’escalation verso una nuova guerra. Lei che idea si è fatto?
A mio parere, quello che sta succedendo è la conseguenza di una lunga serie di errori di strategia politica e di visione sul Medio Oriente che mi auguro siano dovuti soltanto a sbagli di valutazione e non a cattiva fede. Ho l’impressione che i calcoli politici orchestrati nelle cancellerie occidentali stiano sfuggendo al controllo e frantumando un Medio Oriente troppo ricco per rimanere in pace e, un tempo almeno, troppo militarmente potente per non essere pericoloso. Se a questi fattori si aggiunge un crescente fondamentalismo religioso e odio settario (che si radicalizzano sempre di più con la frustrazione causata dal vedere il fallimento di un Paese dopo l’altro e il perdurante scontro israelo-palestinese), allora c’è veramente da rimanere preoccupati: ci vorrà molto tempo per sanare tutte le ferite che continuamente si stanno aprendo.
Una speranza?
A mio modo di vedere occorrono leader religiosi illuminati che sappiano ispirare la gente e motivare i politici che abbiano - e ci sono - il senso del bene comune che comprenda il proprio gruppo etnico o religioso, il proprio Paese, l’intera regione e, quindi, anche il mondo. Solo così si vedrà veramente che la religione non è causa dei conflitti ma parte della soluzione.