By Asia News
Dario Salvi
“Siamo responsabili nella ricerca della pace, del dialogo: la comunità internazionale, i Paesi del Medio oriente sono tutti coinvolti. Tuttavia se noi stessi non sappiamo, in prima persona, mettere fine a questa spirale, saranno altri che devono aiutarci a trovare la via per realizzarla”.
È il monito lanciato dal patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, di fronte alla spirale di violenza che ha travolto la regione, insanguinata nell’ultimo anno da conflitti di portata sempre più ampia: da Gaza, con la guerra lanciata da Israele ad Hamas in risposta all’attacco del 7 ottobre 2023, al Libano con il “fronte nord” aperto dallo Stato ebraico nel tentativo di eliminare la “minaccia” di Hezbollah; vi sono poi gli altri attori dell’area, dagli sciiti Houthi nello Yemen fino all’Iran, con la prospettiva di un’escalation di vasta scala.
“La situazione è preoccupante - avverte - non vi è ascolto alla ragione e alla responsabilità, soprattutto verso i civili i quali pagano il prezzo più elevato. E l’assemblea internazionale è timida, vi sono appelli e mediazioni, ma sono stagnanti e non riescono ad avanzare”.
Economia di guerra
Abbiamo incontrato il card. Sako a margine dei lavori dell’assemblea sinodale in corso in questo mese di ottobre in Vaticano, e il quadro tracciato dalla massima autorità ecclesiastica irachena è impietoso e non ammette sconti verso quanti hanno cariche e responsabilità. “Più che debole, che ha una nota peggiorativa, la comunità internazionale è timida nella sua opera di mediazione, perché pur cercando di fare qualcosa, non è mossa - avverte - da quella unità di intenti che oggi risulta necessaria per poter essere efficace”. “La mia convinzione - spiega ad AsiaNews - è che non vi sia più un ordine globale come in passato. Non vi sono più valori, né principi e a regnare è il disordine, un caos nel quale il più forte attacca il più debole. Tuttavia, i problemi e le contrapposizioni devono essere risolti con il dialogo, con la diplomazia morbida, con un’opera di dissuasione non violenta”.
A dettare l’agenda internazionale, in una fase di crisi che investe più settori, è l’economia di guerra in cui prevale “il commercio di armi in un quadro di risorse limitate, una popolazione mondiale in continua crescita e una crisi ambientale sempre più drammatica. Il clima, l’ecologia, l’accesso ai generi alimentari sono tutti fattori che giocano un ruolo nel condizionare questo teatro di guerra”.
Il Medio oriente da troppo tempo è un territorio “senza pace: ci vuole l’attenzione internazionale, una cura per questa parte del mondo sofferente che necessita di stabilità. Anche a fronte di interessi opposti o divergenti fra Occidente e Oriente, bisognerebbe eliminare - avverte il porporato - ogni fonte di violenza, il ricorso alla guerra e alle armi”.
Il Medio oriente da troppo tempo è un territorio “senza pace: ci vuole l’attenzione internazionale, una cura per questa parte del mondo sofferente che necessita di stabilità. Anche a fronte di interessi opposti o divergenti fra Occidente e Oriente, bisognerebbe eliminare - avverte il porporato - ogni fonte di violenza, il ricorso alla guerra e alle armi”.
Lo scenario iracheno
Per quanto riguarda lo scenario iracheno vi è un elemento di criticità che finora è rimasto nell’ombra e non è stato coinvolto, se non in modo marginale, nello scenario di guerra: le milizie sciite legate a Teheran, che a differenza degli Hezbollah libanesi e gli Houthi yemeniti non sono intervenuti direttamente nel conflitto attaccando Israele. “Penso che sinora - commenta il patriarca caldeo - abbia prevalso un atteggiamento di saggezza da parte di questi gruppi, che non vogliono entrare in questa guerra per procura” in cui si moltiplicano gli attori. “Abbiamo assistito all’intervento di milizie - prosegue - che a vario titolo e in momenti diversi si sono fatte coinvolgere” pur scongiurando “una guerra fra Stati che avrebbe effetti devastanti. Questo può essere considerato un elemento di saggezza in un panorama in cui sembra prevalere il frastuono delle armi”.
Del resto il movimento di Hamas “è per natura una milizia” che non rappresenta l’intero popolo palestinese e, in passato, si è trovato in disaccordo con la stessa Autorità palestinese. Ed entrambe si trovano a fronteggiare Israele che “è uno Stato con carri armati, un esercito, l’aviazione in un evidente squilibrio in campo”. “Non vi può essere parità di forze - prosegue - fra Israele e Hamas, sono due realtà troppo diverse. Per questo l’unica strada è quella di una mediazione, con la comunità internazionale che esercita una giusta pressione per la nascita di uno Stato” che sia capace di vivere superando la logica del conflitto permanente.
Del resto il movimento di Hamas “è per natura una milizia” che non rappresenta l’intero popolo palestinese e, in passato, si è trovato in disaccordo con la stessa Autorità palestinese. Ed entrambe si trovano a fronteggiare Israele che “è uno Stato con carri armati, un esercito, l’aviazione in un evidente squilibrio in campo”. “Non vi può essere parità di forze - prosegue - fra Israele e Hamas, sono due realtà troppo diverse. Per questo l’unica strada è quella di una mediazione, con la comunità internazionale che esercita una giusta pressione per la nascita di uno Stato” che sia capace di vivere superando la logica del conflitto permanente.
Di recente il patriarca caldeo ha incontrato il premier Mohammed Shia al-Sudani, dal quale ha ricevuto ampie rassicurazioni sul fatto che “non vuole essere trascinato in una guerra regionale, pur restando l’incognita delle milizie e il tema in agenda è come controllare”. L’esecutivo iracheno è in una situazione di “imbarazzo” perché rifiuta la guerra e “sta tentando ogni via di mediazione possibile”. Del resto parte di queste milizie “vorrebbe aiutare Hezbollah, e Hamas, ma prevale l’atteggiamento di moderazione in attesa degli sviluppi. A livello di leader religiosi anche la massima autorità sciita irachena, il grande ayatollah Ali al-Sistani ha lanciato un appello inusuale nei toni e contenuti per la “fine dell’aggressione” e l’invio di aiuti umanitari alla popolazione, segno di una grande preoccupazione per la crisi. Cristiani, musulmani sciiti e sunniti, ebrei “devono lanciare tutti assieme - auspica il porporato - un appello profetico e forte per la pace, la fratellanza, cercando di disinnescare le tensioni. Papa Francesco lo ha fatto più volte, ma è una delle poche voci di pace” al cospetto di quanti “cercano di usare la religione per raggiungere i propri interessi”.
Lo “scandalo” della Chiesa caldea
Per il card Sako la presenza delle milizie non è solo fonte di preoccupazione per le ripercussioni a livello regionale, perché nella storia recente della Chiesa caldea hanno rappresentato un elemento di tensione interna che rischia di sfociare in una spaccatura devastante. Lo “scandalo della Chiesa caldea” come lo chiama il primate, che denuncia “le influenze, anche sul piano materiale con aiuti concreti” cui sono soggette alcune comunità ecclesiastiche.
Il riferimento è ad una milizia in particolare: le Brigate Babilonia del sedicente leader Rayan al-Kildani, che hanno fomentato divisioni, manovrato per il ritiro del decreto presidenziale che ha determinato l’auto-esilio (poi rientrato dopo mesi) dello stesso card. Sako e spinto cinque vescovi a boicottare l’ultimo Sinodo caldeo. Alcune realtà, denuncia, “ricevono soldi e aiuti da parte di una certa milizia, non sono autonome e questa è una grande ferita: la Chiesa non ha bisogno di denaro, ma della fede, e il clero deve servire in maniera totale, con passione, e indipendente da certa politica o da certi interessi”.
Il riferimento è ad una milizia in particolare: le Brigate Babilonia del sedicente leader Rayan al-Kildani, che hanno fomentato divisioni, manovrato per il ritiro del decreto presidenziale che ha determinato l’auto-esilio (poi rientrato dopo mesi) dello stesso card. Sako e spinto cinque vescovi a boicottare l’ultimo Sinodo caldeo. Alcune realtà, denuncia, “ricevono soldi e aiuti da parte di una certa milizia, non sono autonome e questa è una grande ferita: la Chiesa non ha bisogno di denaro, ma della fede, e il clero deve servire in maniera totale, con passione, e indipendente da certa politica o da certi interessi”.
La decisione dei cinque vescovi di snobbare l’incontro nella capitale, occasione per celebrare anche il ritorno a Baghdad del patriarca, è stata causa di “profondo shock”. Una parte di questi vescovi “ribelli, soprattutto i più giovani, è stata manipolata” accusa il porporato, che ha già inviato un fascicolo alla Santa Sede per valutazioni ed eventuali provvedimenti. Sullo sfondo il timore, ancora attuale, di un vero e proprio scisma nella Chiesa caldea, dietro il quale vi è la mano delle stesse milizie sciite - attive nel nord dell’Iraq e in territorio curdo - che agiscono per denaro e potere. “Volevano che il Sinodo caldeo fallisse per avere un successo personale, invece è andato molto bene, 17 vescovi (sui 22 totali) si sono mostrati molto uniti” sottolinea il card. Sako, che chiude confidando la sua “preoccupazione primaria per il futuro: quello che per me è importante è preparare il terreno per lasciare al successore la guida della Chiesa caldea. Per un patriarca - conclude senza far nomi, ma delineando le priorità - che può unire e continuare nella tradizione”.