By SIR
L’attentato del 31 dicembre scorso contro la comunità cristiana copta compiuto ad Alessandria d’Egitto è un “vile gesto di morte, come quello di mettere bombe ora anche vicino alle case dei cristiani in Iraq per costringerli ad andarsene”, che “offende Dio e l’umanità intera”.
Queste parole di Benedetto XVI all’Angelus di domenica 2 gennaio, unite all’esortazione ai responsabili delle Nazioni perché s’impegnino “a costruire la pace nel mondo”, hanno provocato la reazione dello sceicco Ahmed Al Tayeb, grande imam di Al Azhar, che ha parlato d’ingerenza e di “intervento inaccettabile negli affari dell’Egitto”.
Le dichiarazioni del responsabile sunnita, che pure ha condannato l’attentato e annunciato l’istituzione di un comitato misto con la Chiesa copta per risolvere le tensioni tra le due comunità, hanno contribuito ad alimentare le proteste cristiane verso il governo e i musulmani al punto che inizia a circolare l’ipotesi che possano essere cancellate le celebrazioni del Natale copto che si festeggerà il 7 gennaio.
Della situazione il SIR ne ha parlato con l’islamologo, tra i più apprezzati da Benedetto XVI, il gesuita Samir Khalil Samir.
Padre Samir, cosa potrebbe aver innescato questa polemica?
“Diciamo subito che Benedetto XVI ha condannato la violenza. Questo è un tema classico, ripetuto in continuazione da tutti i Pontefici, e in particolare dall’attuale. Basti ricordare il famoso discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006. Ed è una condanna ancor più significativa se la violenza viene perpetrata in nome della religione. Questo è il primo punto: la violenza non risolve nessun problema. In secondo luogo il Papa ha ricordato che questa violenza si sta esercitando sempre di più contro i cristiani, ed ha ribadito concetti espressi, il 20 dicembre scorso, in occasione degli auguri natalizi ai cardinali, agli arcivescovi e vescovi e alla prelatura romana. In quel discorso, un Papa, forse per la prima volta, ha usato il termine ‘cristianofobia’. I libri che conosciamo, cito quello di René Guitton, ‘Cristianofobia. La nuova persecuzione’, e le notizie che leggiamo dai giornali, sembrano, infatti, confermare che nel mondo di oggi i cristiani sono le prime vittime della violenza in diversi Paesi, come Nigeria, Corea del Nord, Cina, Viet Nam, Pakistan, Iraq. Si tratta, dunque, di un fenomeno visibile e non contestabile”.
Può una condanna della violenza anticristiana essere definita “un’ingerenza”?
“Nel suo discorso Benedetto XVI ha affermato che gli Stati dovrebbero fare qualcosa per risolvere questa situazione. E davanti a questa esortazione non mi pare si possa parlare d’ingerenza e di ‘intervento inaccettabile negli affari dell’Egitto’. Lo stesso imam, descritto tra l’altro come persona moderata e di grande cultura, ha poi criticato Benedetto XVI che, a suo parere, avrebbe dovuto protestare anche quando i musulmani venivano massacrati in Iraq. Ora se si fa allusione all’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti bisogna anche ricordare che l’allora papa Giovanni Paolo II aveva già in anticipo condannato la guerra non giustificando in nessun caso l’invasione. Una posizione sempre mantenuta dal Papa e dalla Santa Sede. È poi necessario ricordare un fatto...”.
Quale?
“Che ad essere aggrediti non sono stati i musulmani ma un intero Paese. E questo è l’errore che moltissimi musulmani fanno e non è accettabile che venga compiuto da un capo musulmano così influente. Non siamo davanti a musulmani aggrediti da cristiani ma ad un Paese, l’Iraq, invaso da Usa e Gran Bretagna. E l’Iraq comprende musulmani, cristiani e altre minoranze. Circa i musulmani aggrediti in quanto tali, questo accade ma si tratta per lo più di sunniti che aggrediscono gli sciiti o viceversa. Sono i fatti che lo dimostrano. Quando si fa violenza a gruppi che vanno in pellegrinaggio si deve parlare di attacco a sfondo religioso e tanti casi del genere sono successi in Iraq tra sciiti e sunniti. Lo stesso si verifica, per esempio, anche in Libano e Pakistan. E sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI hanno sempre affermato che non esistono giustificazioni di sorta a questi attacchi”
.Le parole dell’imam rischiano di creare fratture e acuire la tensione in Egitto tra cristiani e musulmani...
“La comunità copta è una delle più radicate in Egitto. La stessa parola ‘copti’ che in Egitto si pronuncia ‘ghipti’ mostra una chiara assonanza al termine ‘egiziani’. I copti tengono a questa presenza e sono gente pacifica. A differenza di altre comunità cristiane mediorientali, come la libanese, non hanno mai avuto armi e lo stesso può dirsi di quella irachena. Ed è molto più facile per chi suscita rivolte attaccare le comunità più deboli e indifese. Oggi in Egitto non c’è conflitto. Per questo, tendo a credere che l’atteggiamento dell’imam di Al Azhar sia dovuto anche al fatto che quando si è recato a presentare le sue condoglianze a papa Shenouda III la sua macchina è stata oggetto di una sassaiola da parte dei cristiani presenti”.
Alla luce di questi eventi che hanno visto salire il livello di violenza anticristiana fino a colpire due chiese, in Iraq prima e in Egitto ora, cosa è realisticamente lecito attendersi per il futuro del Cristianesimo in Medio Oriente?
“Questi attacchi arrivano stranamente in concomitanza con il recente Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente dove i padri sinodali hanno insistito nel restare nei rispettivi Paesi anche se ciò può, talvolta, rappresentare un pericolo e sulla necessità di collaborare con la cittadinanza, con i musulmani, con lo Stato per creare una società giusta, pacifica e rispettosa di diritti umani. Il Sinodo non ha stabilito che i cristiani debbano difendersi ‘contro’, quanto piuttosto, collaborare con la maggioranza musulmana in vista di una società migliore. È triste vedere questa reazione: i terroristi non leggono certo i documenti del Sinodo, forse non ne hanno nemmeno sentito parlare. Quale futuro, allora? Si deve arrivare ad un dibattito sui modelli di società: da una parte c’è il modello dei radicali islamici che vogliono che l’Islam penetri tutti gli atti della vita, i comportamenti, dal vestire al mangiare passando per le relazioni tra uomo e donna, per la vita economica e politica. Dall’altra parte abbiamo il cosiddetto modello occidentale che tende, diciamo pure pericolosamente, ad escludere il fenomeno religioso dalla vita politica. Credo che la motivazione dei radicali nel proporre il loro modello di società sia proprio l’opposizione a quello occidentale. Due progetti di società, due ideologie opposte e non si riuscirà a distruggere il fondamentalismo islamico con le armi. Serve un dialogo sui progetti di società, in cui l’Occidente e il movimento islamico si rimettono in discussione, per arrivare a dare alla religione il suo giusto posto nella società tenendola separata e non opposta dalla vita politica. Questa è la posizione della Chiesa cattolica che auspica la mediazione e la collaborazione tra fede e politica in nome di una laicità positiva. Ed è l’unica via che vedo”.
Ecco come aveva commentato la strage del 31 ottobre scorso nella chiesa di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad l'imam di Al Ahzar, Ahmed Al Tayeb, nell'intervista di Baghdadhope a Mons. Philip Najim, amministratore patriarcale caldeo del Cairo: