Fonte: Asianews
Parlare di largo consenso in merito all’approvazione del piano di ritiro delle truppe irachene “non è corretto”. Il presidente aveva chiesto una larga maggioranza, ma chi non era d’accordo sulla proposta di legge “ha preferito disertare la seduta andando in pellegrinaggio alla Mecca”, lasciando ai colleghi deputati “il compito di votare”. È il commento fatto ad AsiaNews da mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk – in merito al piano di ritiro delle truppe Usa dall’Iraq.
Ieri il parlamento iracheno con 148 voti favorevoli su 198 deputati presenti – 35 i voti contrari, 86 gli assenti – ha ratificato lo Status of Forces Agreement (Sofa): esso prevede che l’esercito Usa in Iraq – composto da 150mila soldati – entro il giugno 2009 dovrà ritirarsi nelle città e rimanere a disposizione per eventuali interventi di emergenza. La partenza definitiva è fissata per la fine del 2011. Ora la legge dovrà essere ratificata dal Consiglio di presidenza iracheno, composto dal capo di Stato Jalal Talabani (curdo) e dai vice-presidenti Tareq Al Hashemi (sunnita) e Adel Abdul-Mahdi (sciita). Spetterà poi ai cittadini iracheni la parola finale sulla normativa, mediante referendum popolare – invocato a gran voce dalla minoranza sunnita, come merce di scambio per il voto parlamentare – che dovrebbe svolgersi entro il luglio del 2009.
“Il voto rappresenta un passo in avanti – dice mons. Sako – ma tutto può succedere, perché la situazione è ancora precaria. Non c’è niente di stabile e definitivo, il Paese attraversa una fase di fragile equilibrio che può crollare in ogni momento”.
Ieri il parlamento iracheno con 148 voti favorevoli su 198 deputati presenti – 35 i voti contrari, 86 gli assenti – ha ratificato lo Status of Forces Agreement (Sofa): esso prevede che l’esercito Usa in Iraq – composto da 150mila soldati – entro il giugno 2009 dovrà ritirarsi nelle città e rimanere a disposizione per eventuali interventi di emergenza. La partenza definitiva è fissata per la fine del 2011. Ora la legge dovrà essere ratificata dal Consiglio di presidenza iracheno, composto dal capo di Stato Jalal Talabani (curdo) e dai vice-presidenti Tareq Al Hashemi (sunnita) e Adel Abdul-Mahdi (sciita). Spetterà poi ai cittadini iracheni la parola finale sulla normativa, mediante referendum popolare – invocato a gran voce dalla minoranza sunnita, come merce di scambio per il voto parlamentare – che dovrebbe svolgersi entro il luglio del 2009.
“Il voto rappresenta un passo in avanti – dice mons. Sako – ma tutto può succedere, perché la situazione è ancora precaria. Non c’è niente di stabile e definitivo, il Paese attraversa una fase di fragile equilibrio che può crollare in ogni momento”.
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Del resto la seduta parlamentare che ha portato all’approvazione dell’accordo è stata tutt’altro che tranquilla, con la frangia radicale sciita che ha più volte intonato slogan di protesta contro “l’occupazione americana”. Contrario all’accordo il leader Muqtada al-Sadr, che ha intimato ai suoi seguaci di innalzare bandiere nere in segno di lutto e di chiudere le sedi del movimento in tutto il Paese per i prossimi tre giorni. Soddisfazione parziale, invece, dal fronte sunnita, che si è visto riconoscere alcune richieste significative in materia di “riforme politiche”; tra queste vi è anche la revisione della legge che impedisce agli ex quadri del partito Baath del rais Saddam Hussein di ricoprire incarichi ufficiali nel Paese.
“L’Iraq è ancora profondamente diviso al suo interno", sottolinea l’arcivescovo di Kirkuk. "Non si può parlare di unità nazionale e anche il governo ne è cosciente. Ciascuno cerca di conquistare maggiore influenza nel proprio territorio e anche la capitale, Baghdad, che dovrebbe rappresentare il simbolo dell’unità, è in realtà suddivisa in settori in cui predomina una fazione ben precisa”.
Pianificare il ritiro delle truppe americane può essere positivo per il cammino verso l’autonomia del Paese, ma resta il rischio concreto di “una guerra civile se la nazione resta abbandonata a se stessa”. Mons. Sako sottolinea altri due punti essenziali: la linea che intenderà adottare Barack Obama in tema di politica estera e la minaccia nucleare iraniana. “Non è possibile prevedere quali iniziative prenderà il nuovo presidente americano, ma le sue decisioni avranno un peso fondamentale negli sviluppi futuri di tutta la regione. La minaccia nucleare iraniana – conclude il prelato – è un pericolo concreto per l’Iraq e per tutti i Paesi del Golfo. Il Medio Oriente è in bilico e il cammino di pace ancora molto lungo”.
“L’Iraq è ancora profondamente diviso al suo interno", sottolinea l’arcivescovo di Kirkuk. "Non si può parlare di unità nazionale e anche il governo ne è cosciente. Ciascuno cerca di conquistare maggiore influenza nel proprio territorio e anche la capitale, Baghdad, che dovrebbe rappresentare il simbolo dell’unità, è in realtà suddivisa in settori in cui predomina una fazione ben precisa”.
Pianificare il ritiro delle truppe americane può essere positivo per il cammino verso l’autonomia del Paese, ma resta il rischio concreto di “una guerra civile se la nazione resta abbandonata a se stessa”. Mons. Sako sottolinea altri due punti essenziali: la linea che intenderà adottare Barack Obama in tema di politica estera e la minaccia nucleare iraniana. “Non è possibile prevedere quali iniziative prenderà il nuovo presidente americano, ma le sue decisioni avranno un peso fondamentale negli sviluppi futuri di tutta la regione. La minaccia nucleare iraniana – conclude il prelato – è un pericolo concreto per l’Iraq e per tutti i Paesi del Golfo. Il Medio Oriente è in bilico e il cammino di pace ancora molto lungo”.