Città del Vaticano - In Iraq si sta discutendo un controverso progetto che prevede di concentrare i cristiani locali in un’area della Piana di Ninive, una sorta di enclave o di ghetto. Ma la Chiesa Cattolica si dice contraria. Il piano sarebbe favorito dall’esodo incessante dei cristiani dal Paese sconvolto dalla guerra e dalle violenze religiose da quando, nel marzo 2003, gli Stati Uniti diedero il via alle operazioni militari. Oggi rimangono nel Paese solo poche decine di migliaia di cristiani. Diverse voci negli ultimi giorni stanno denunciando questa idea. Ai microfoni di Radio Vaticana ha parlato contro il progetto il coordinatore di «Pax Christi Italia», Don Fabio Corazzina, anche se di recente aveva già dato l’allarme Mons. Louis Sako, vescovo di Mosul.*
* In realtà Monsignor Luis Sako è vescovo caldeo di Kirkuk e non di Mosul. Nota di Baghdadhope
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Per Don Corazzina, i problemi dei cristiani iracheni sono gli stessi del resto della popolazione dell’Iraq. «Le violenze di ogni giorno - ha affermato il prelato - l’impossibilità di una normalità di vita, i rapimenti a scopo di estorsione, i ricatti, le uccisioni, le imposizioni di tipo religioso fondamentalista rendono la vita per i cristiani assolutamente impossibile».Quanto all’idea di rinchiudere i cristiani in un’ènclave separata, «c'è questa teoria, questa ipotesi del cosiddetto progetto della Piana di Ninive» sottolinea il coordinatore di Pax Christi. «Nella Piana di Ninive - prosegue - c’è la maggior parte dei villaggi cristiani dell’Iraq. Sono circa una ventina. È un centro culturale, commerciale, ecclesiastico, circondato da villaggi arabi e vi abitano circa 120 mila cristiani».Don Corazzina ha spiegato come nasce la controversa proposta di concentrare tutti i cristiani iracheni nell’area dove 2700 anni fa sorgeva l’antica Ninive, capitale degli Assiri: «L'idea è quella di concentrare lì la presenza dei cristiani in Iraq, facendo una sorte di enclave. Un territorio in cui probabilmente, secondo alcuni cristiani, e non solo, ci si sentirebbe più protetti» Ma il progetto è osteggiato dalla Chiesa, per varie ragioni. «Evidentemente - spiega Don Corazzina - questa sarebbe la tragedia più grande, perchè se per essere sicuri ci immaginiamo di dover fare una divisione etnica del territorio, allora questo tipo di tragedia non l’abbiamo vissuta soltanto nei Balcani, ma la stiamo vivendo anche in Medio Oriente, in Palestina e in Israele e a questo punto viene anche riprodotta e riproposta anche nel territorio dell’Iraq». «Gli amici, soprattutto mons. Louis Sako - prosegue l’esponente di Pax Christi - che abbiamo sentito direttamente e che ho sentito anche questa mattina, diceva in termini molto chiari: ’La nostra Chiesa in Iraq non è mai stata nazionalista e chiusa in senso etnico’. Ecco perchè noi non possiamo chiuderci in un ghetto e questo significa chiaramente dover lavorare per la riconciliazione del popolo iracheno, collaborando con tutte le autorità religiose, con i partiti. Dialogo, riconciliazione, spinta verso la cultura della pace: questa è la missione dei cristiani e non certo quella di rinchiudersi per sentirsi più sicuri».