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30 novembre 2021

La collaborazione tra Patriarcato caldeo e Fondazione Giovanni Paolo II inizia a dare i suoi frutti a Baghdad

By Baghdadhope - Patriarcato caldeo

Foto Patriarcato caldeo
Malgrado lo stop dovuto alla pandemia di Coronavirus, la Fondazione Giovanni Paolo II in collaborazione con il Patriarcato caldeo ha portato a compimento il progetto in favore dei diritti delle minoranze cristiane in Iraq e mirante a "garantire un'inclusione dei giovani" attraverso "percorsi di formazione professionale ai quali seguirà accompagnamento e orientamento per l'inserimento lavorativo, oltre all'opportunità per alcuni di ricevere un fondo start-up per creare la propria impresa"  (Parrucchieri e falegnami) così come annunciato nel 2020. Ne ha dato notizia il patriarcato caldeo che ha pubblicato le foto dei primi 8 giovani (4 ragazze e 4 ragazzi) che hanno potuto partecipare al progetto coordinato dalla Caritas irachena. 

Al-Amarah, attacco a un commerciante cristiano. Card. Sako: tristezza e dolore


“Tristezza e dolore”. Sono i sentimenti espressi dal primate caldeo, il card. Louis Raphael Sako, commentando la notizia dell’attacco contro un venditore di alcolici cristiano ad al-Amarah, città dell’Iraq centro-orientale sul fiume Tigri, capoluogo del governatorato di Maysan, avvenuto il 28 novembre scorso. In una nota pubblicata sul sito del patriarcato, il porporato condanna “l’attentato alla casa” di un fedele “appartenente alla nostra Chiesa” sferrato “con due ordigni esplosivi”. Fortunatamente non si registrano vittime o feriti, ma il gesto “ha creato terrore in famiglia e nella comunità cristiana” perché ricorda momenti legati a un passato di violenze.
Fonti della polizia affermano che l’attacco è stato sferrato mediante l’uso di un ordigno artigianale lanciato da una moto in corsa all’interno della casa, provocando danni materiali alla struttura. Nell’area sono rimaste solo otto famiglie cristiane, mentre le altre sono emigrate all’estero o fuggite in altre città del Paese alla ricerca di maggiore sicurezza.
“Il proprietario della casa - ricorda il patriarca caldeo - possiede un negozio di liquori ed è stato oggetto di molte minacce. È chiaro che è una vicenda legata alla vendita di alcolici, nonostante l’uomo sia dotato di una regolare e ufficiale licenza”. Come leadership caldea, ha proseguito il primate, “non siamo favorevoli ‘alla vendita di liquori’ ma questo è un elemento personale e fonte di sostentamento delle persone”. Peggio sarebbe, aggiunge, la vendita illegale come avviene per la droga o per la prostituzione “che distruggono la vita dei giovani”.
Il problema, avverte, è che “i cristiani sono pacifici e vengono percepiti [a torto] come anello debole” mentre il Paese rischia di trasformarsi sempre più in una giungla. Fra gli altri esempi il porporato ricorda “l’appropriazione indebita di beni e proprietà cristiane” contro la quale si è espresso anche il leader radicale sciita Moqtada al-Sadr, o la loro progressiva esclusione dal mondo del lavoro o dai vertici economici e istituzionali. E ancora, quando un cristiano presenta una candidatura per un lavoro “gli viene chiesta una ‘mazzetta’ di 10mila dollari o più per essere assunto”, per non parlare della scarsa rappresentatività nei centri nevralgici del potere.
Nell’ottobre del 2016 il Parlamento iracheno aveva approvato una legge che imponeva un giro di vite sui prodotti alcolici. Inserita all’ultimo momento dall’ala conservatrice in un pacchetto di norme riguardanti i comuni, la norma intendeva bloccare vendita, importazione e produzione di vini, birra e liquori. Una decisione che ha generato forte malcontento negli ambienti non musulmani della politica e della società civile. In prima fila i deputati cristiani che all’epoca avevano annunciato battaglia in Parlamento.
Nei giorni immediatamente successivi all’approvazione, la legge ha subito sortito i suoi frutti nefasti: a fine ottobre 2016 a Bassora un gruppo di uomini armati, in moto e a volto coperto, hanno aperto il fuoco contro Nazar Elias, uccidendolo a sangue freddo. Egli era fuggito due anni prima da Qaraqosh in seguito all’avanzata dello Stato islamico (Si, ex Isis) e nel sud aveva aperto un negozio di alimentari che vendeva anche alcolici. Sempre in quei giorni a Karrada, quartiere della capitale Baghdad, anonimi assalitori avevano fatto esplodere un negozio in cui si vendeva alcolici.
“Noi cristiani - conclude la nota del card. Sako - siamo portatori di un messaggio umanitario, di amore e fratellanza, vorremmo lavorare assieme ai nostri concittadini” per la crescita “umana, spirituale, sociale e nazionale”.
Per un futuro migliore per il Paese “che amiamo”.

Il Patriarca caldeo Sako ai comunisti iracheni: il male del Paese si chiama settarismo

By Fides - Ankawa.com

In Iraq il principale ostacolo all’avvio di un reale processo democratico è rappresentato dalla mentalità settaria che si riflette anche nel cosiddetto “sistema delle quote”, il metodo elettorale e amministrativo che spartisce su base etnico-religiosa i seggi in parlamento e gli incarichi nelle istituzioni pubbliche. Lo ha ribadito il Cardinale Louis Raphael Sako, Patriarca della Chiesa caldea, nel cordiale messaggio da lui inviato ai partecipanti all’XI Congresso nazionale del Partito comunista iracheno, in corso in questi giorni a Baghdad. 
Nel suo messaggio, il Patriarca caldeo ringrazia i comunisti iracheni per l’invito ricevuto dal Congresso e si rammarica di non poter essere presente di persona, a causa di impegni concomitanti. Il Cardinale iracheno auspica che il Congresso diventi occasione per far emergere “una visione chiara” della condizione in cui versa la nazione, e contribuisca a delineare un piano concreto per aiutare il Paese a “uscire dalla crisi che lo sta soffocando per ricostruire uno Stato di diritto”, fondato sul “principio di cittadinanza”, uno “Stato sovrano” nelle sue istituzioni politiche, giudiziarie, culturali e economiche, emancipato dal settarismo che alimenta “corruzione, povertà, disoccupazione e analfabetismo”. 
Anche il Congresso dei comunisti iracheni – è l’augurio del Patriarca – potrà contribuire all’auspicato “cambiamento della mentalità” attraverso “l’educazione ai valori nazionali, umani e morali, in modo che ciascuno si assuma le sue responsabilità davanti alla Patria e ai propri concittadini”.
Il Partito Comunista iracheno è tra le forze politiche che hanno deciso di boicottare le elezioni parlamentari svoltesi domenica 10 ottobre. Secondo i leader e i militanti comunisti, quell’appuntamento elettorale era totalmente condizionato da fenomeni di corruzione e dalle pressioni esercitate dalle milizie armate settarie che ancora controllano di fatto ampie zone del Paese, soprattutto a settentrione. 
Alle precedenti elezioni, svoltesi nel maggio 2018, il Partito comunista era confluito nella coalizione Sayrun insieme a movimento del leader sciita (non filo-iraniano) Muqtada al Sadr. La lista di coalizione era stata la più votata, e aveva conquistato 54 dei 329 seggi in Parlamento. Nel gennaio 2017, i comunisti iracheni resero pubblico omaggio al Patriarca caldeo Louis Raphael Sako, e lo ringraziarono per il suo contributo alla riconciliazione nazionale e per il suo continuo sforzo di favorire il coinvolgimento di tutte le componenti politiche, etniche, sociali e religiose nella gestione delle istituzioni nazionali. Il 9 gennaio di quell’anno, una delegazione di responsabili del Partito comunista iracheno visitò la sede del Patriarcato caldeo anche per esprimere le proprie felicitazioni al Patriarca per la festa di Natale appena celebrata e per l'inizio del nuovo anno.
Fondato nel 1934, il Partito comunista iracheno ha avuto un ruolo rilevante nello scenario politico iracheno fino agli anni Settanta del secolo scorso, prendendo parte a quasi tutte le insurrezioni nazionali e alle grandi manifestazioni politiche succedutesi nel Paese negli anni Quaranta e Cinquanta. Poi, a partire dalla fin degli anni Settanta, soffrì una dura repressione da parte del regime di Saddam Hussein. Si oppose all'invasione USA dell'Iraq nel 2003.

29 novembre 2021

Running from ISIS: The story of Monsignor Thair Sheikh


On Wednesday 24 November, Red Wednesday was observed across Australia, an initiative of Aid to the Church in Need. It was an opportunity to raise awareness for persecuted Christians across the world. 
A prayer vigil was held in Melbourne, with Monsignor Thair Sheikh of Our Lady Guardian of Plants Chaldean Catholic Parish delivering the homily. 
Fr Thair arrived in Melbourne in February 2019, prior to which he was a parish priest in Baghdad, Iraq, where he was ordained in 2002. 
Fr Thair graciously gave his time to Melbourne Catholic to tell us a little bit of his story.
Fr Thair was born in Baghdad in 1977. Iraqi Christians have one of the oldest and most well-established Christian cultures in history, having been present since the first century. Christians in Iraq are predominantly ethnic Chaldeans, and by the early 1980s made up nearly nine percent of the population. Much of this would change with the 2003 American invasion, which resulted in the toppling of Saddam Hussein’s regime, whose relationship with Christians was tenuous.
‘After that we thought everything would be alright,’ Fr Thair said, ‘but we didn’t know that the worst stage we were facing was coming.’ After the invasion, Iraq effectively fell into civil war, with the various Islamic sects and their foreign allies working against each other. One of these was the Islamic State (IS). According to Fr Thair, in Iraq there were at least ten highly organised militia groups that controlled their own territories, making movement between them quite difficult.
'They put Iraq in a situation that was very bad, because a lot of countries they work to make a conflict between our groups, our ethnic groups, and between our religions as well. They started with the Christian people because we were at that time a good number.’ 

Kidnappings
The Christians in Iraq refused to participate in the sectarian struggles, which meant they were often accused of being ‘pro-American’, or ‘pro-Western’. Despite the fact that some Christian leaders in America viewed this invasion as a kind of religious crusade, for Iraqi Christians life became intolerable. Their churches were systematically destroyed and many were forced to flee to other countries, making the Christian population now less than ten percent of what it once was. They were often the victims of kidnappers who wanted money either for their own interests or for weaponry to use against the American army. Fr Thair knew 22 priests who were kidnapped, and on at least two occasions groups tried to kidnap him, succeeding once in May 2005.
'It was really hard time. They put cover on my face, and they took my car. During that time, I was very quiet, and I was praying, because I thought it was my time, I thought it was last minute for me.’
Fr Thair showed them his priestly collar – a sign that he wasn’t a member of any other militia – but they accused him of being a fake, saying he was working for someone else. ‘One of them, they give me a slap, and another one spit on me. But I was very quiet.’ During that time, Fr Thair thought his time had come to an end and that death was approaching. But for whatever reason they released him. To this day he doesn’t know why.
The second kidnapping attempt came in 2006 when, while driving, he was chased by another vehicle. ‘There were four people in the car, they were armed, and they told me I have to stop. I didn’t stop.’ They tried to push him off the road but he drove faster than they did, so they opened fire and practically destroyed his car. Miraculously, not a single bullet touched him. When he returned to his church, he kept himself hidden for eight months, never once going out because it was so dangerous. One of the groups searching for Fr Thair even kidnapped a young man who worked for the church, interrogating him about the priest’s whereabouts, burning him all over with cigarettes. When he was finally returned, the young man moved out of Iraq for good.
Fr Thair himself decided to leave Iraq, too. After 2006, he went to Germany, hoping to stay on a protection visa. This wasn’t an easy decision, and it didn’t last long – only two months:
'It wasn’t easy for me to stay in Germany, because I was always thinking of my community, of my friends, and of my people, in Iraq. For that I decided to go back and stay with my parishioners. And I said, ‘That’s it. I will go. I will stay there. If anything happens, it’s my life. I can’t leave my people.’ This whole period of time was difficult for Fr Thair to relive because it was such a prolonged duration of distress. ‘It’s not just one hour or one day or one month,’ he said, ‘it’s many years, between 2003 and 2009. It was a really terrible time for priests in Iraq.’ Although they had something of a support network, trying to encourage each other against the intense pressure of it all, it never became easier.
Every few weeks, someone was being kidnapped. At one point, Fr Thair was the mediator trying to negotiate the release of a friend of his. Their initial demand was half a million dollars and he spent eleven days trying to shave them down, eventually paying only fifty thousand for his release.
'It’s really hard, when you have to negotiate for a person.’
Fr Thair has looked after three parishes throughout his time in Iraq, with a lot of people under his care. In his very first parish he tended for 150 families; in his second, he cared for 600 families; and in his last, from 2005 onwards, he cared for upward of 2000 families.

Freedom in Australia
Since coming to Australia in February 2019 (at the request of the Church), Fr Thair has been learning a lot more English. There is a real freedom here to truly live what he believes, and for this he is deeply grateful. In Iraq, ‘you have to be very careful, especially when talking with other people, otherwise they will eat you,’ he said. Australia has challenges of its own, he thinks, and in some respects he considers them to be more dangerous. Even though the threats to religious freedom are not against the lives of people, the threats are ‘covered’ in such a way that make it difficult to see their true harm.
'When it’s covered, it’s more dangerous. We have to go inside the things. We can’t accept anything easily. We have to dig deeper to see what it came from.’
He is referring here to different ideologies or ideas that, while appearing good on the outside, are actually counterintuitive to the faith. Catholics in Australia, he said, need to have clarity about their faith. We need to ‘try to make it clear for ourselves, and to know, “This is something against my faith, and this is against what I believe.”’
I think they have to be aware for their faith. Because the faith is, like Jesus said, it’s like a jewel, no? You have to keep it. To keep it, that means you have to take care of it, tend it, otherwise you will lose it. There are a lot of people who want to take it from you.’
There are many more Iraqi Christians who are waiting to come to Australia. Fr Thair spends his time ministering to his parishioners and raising awareness about international religious persecution.
According to Aid to the Church in Need’s recent 2021 report, there are less than 250,000 Christians left in Iraq, although numbers are difficult to confirm considering how dangerous it is to be a Christian there. The Chaldean Archbishop Bashar Warda of Erbil has said that Christianity in Iraq ‘is perilously close to extinction,’ and that ‘those of us who remain must be ready to face martyrdom.’

25 novembre 2021

Blocchi politici “gareggiano” nelle iniziative contro gli espropri illegali di case e terreni a danno di cristiani


In Iraq blocchi politici antagonisti entrano in competizione anche sulla questione spinosa dei beni immobiliari sottratti illegalmente negli ultimi lustri a proprietari cristiani e delle iniziative messe in campo per restituire le proprietà illecitamente sottratte ai legittimi possessori.
Negli ultimi giorni, i media iracheni hanno dato nuovo risalto alla campagna promossa dal movimento sadrista a favore di cittadini cristiani e mandei che negli ultimi anni avevano subito usurpazioni arbitrarie e illegittime di case e terreni da parte di soggetti singoli o gruppi organizzati. 
A informare sugli sviluppi dell’iniziativa è stato ancora Hakim al Zamili, rappresentante del Partito che fa capo al leader sciita Muqtada al Sadr, uscito vincitore alle elezioni politiche dello scorso 10 ottobre. In particolare, gli aggiornamenti sulla campagna lanciata dal movimento sadrista hanno riguardato la restituzione a proprietari cristiani di circa 30 proprietà in precedenza usurpate illegalmente nell’area di Baghdad. I resoconti giornalistici hanno anche dato conto di prossime, analoghe operazioni in programma nelle province irachene di Bassora, Ninive e Kirkuk.
Movimenti recenti registrati sulla scena politica irachena hanno mostrato con chiarezza che la difesa dei diritti lesi di proprietari cristiani non è una esclusiva del partito sadrista. Lunedì 22 novembre, il giudice Faiq Zidan, Presidente del Supremo Consiglio Giudiziario – il più alto organismo di amministrazione della magistratura ordinaria - ha ricevuto una delegazione del “Movimento Babilonia”, formazione politica che alle elezioni del 10 ottobre ha conquistato quattro dei cinque seggi riservati a parlamentari di fede cristiana.
Della delegazione (vedi foto tratta dalla pagina Facebook di Rayan Al-Kildani) facevano parte Ryan al-Kildani, Segretario generale del Movimento, e Evan Faeq Yakoub Jabro, già ministra per i rifugiati e le migrazioni nel governo uscente guidato da Mustafa al Kadhimi. Durante l’incontro – riferiscono le fonti del Supremo Consiglio Giudiziario – il colloquio si è concentrato in esclusiva sui problemi relativi ai beni immobiliari posseduti da proprietari cristiani e sulle misura da porre in atto per tutelare i loro diritti di proprietà. In tale occasione, gli esponenti del Movimento Babilonia hanno anche espresso la loro piena fiducia nell’operato del giudice Zaidan.
All’inizio del 2021, come riferito dall’Agenzia Fides, il leader sciita iracheno Muqtada al Sadr aveva disposto la creazione di un Comitato ad hoc, incaricato di raccogliere e verificare notizie e reclami riguardanti i casi di esproprio abusivo di beni immobiliari subiti negli ultimi anni da proprietari cristiani e mandei (questi ultimi appartenenti a una minoranza religiosa che segue dottrine di matrice gnostica) in diverse regioni del Paese. L’intento dell’operazione sponsorizzata dal leader sciita – si leggeva nel comunicato - era quello di ristabilire la giustizia, ponendo fine alle violazioni lesive dei diritti di proprietà dei “fratelli cristiani”, anche quando a commetterle fossero stati membri dello stesso movimento sadrista. La richiesta di segnalare casi di espropriazioni illegali subite era estesa anche alle famiglie di cristiani che hanno lasciato il Paese negli ultimi anni, con la richiesta di far pervenire al comitato entro la fine del prossimo Ramadan le segnalazioni di usurpazioni fraudolente subite.
Il fenomeno della sottrazione illegale delle case dei cristiani ha potuto prendere piede anche grazie a connivenze e coperture di funzionari corrotti e disonesti, che si mettono a servizio di singoli impostori e gruppi organizzati di truffatori. Il furto “legalizzato” delle proprietà delle famiglie cristiane è strettamente collegato all'esodo di massa dei cristiani iracheni, accentuatosi a partire dal 2003, dopo gli interventi militari a guida Usa messi in atto per abbattere il regime di Saddam Hussein. Tanti truffatori si sono appropriati di case e terreni rimasti incustoditi, contando sulla facile previsione che nessuno dei proprietari sarebbe tornato a reclamarne il legittimo possesso.
Adesso, le mosse del “Movimento Babilonia” lasciano immaginare che anche la tutela delle proprietà dei cristiani iracheni potrà presto diventare terreno di competizione tra sigle e blocchi politici contrapposti. Una “concorrenza” che non sembra comunque affrancarsi dalla tentazione e dalle illusioni – coltivate in ambienti e modi diversi - di far dipendere in toto il presente e il futuro dei cristiani in Iraq e in Medio Oriente dalla disponibilità garantita di accesso a denaro e beni immobiliari e dalle rivendicazioni della propria rilevanza socio-politica. Dimenticando – come ha suggerito di recente, con parole profetiche, l’Arcivescovo palestinese Michel Sabbah, Patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini – che le domande e anche le incertezze sul futuro dei cristiani in Medio Oriente “non sono innanzitutto una questione di numeri, anche se i numeri sono importanti, ma sono una questione di fede”.

Nuovo rapporto ACS: "Ascolta le sue grida" sulle violenze contro donne e bambine cristiane

24 novembre 2021

Dedicato alle donne, Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) ha appena pubblicato un nuovo Rapporto, intitolato “Ascolta le sue grida. Rapimenti, conversioni forzate e violenze sessuali ai danni di donne e bambine cristiane”.
Nella Prefazione, a firma della giovanissima cristiana pachistana Maira Shahbaz, si legge fra l’altro: «Sono stata torturata e violentata. I miei aguzzini hanno filmato le sevizie infertemi e mi hanno ricattata minacciando di diffondere il video. Sono quindi stata costretta a firmare un documento in cui dichiaravo di essermi convertita e di aver sposato il mio rapitore. Se avessi rifiutato di farlo, avrebbero ucciso i miei familiari».
Questo passo descrive efficacemente l’oggetto del Rapporto di ACS. Lo studio si basa su fonti selezionate ed è scaturito dalle numerose segnalazioni giunte alla Fondazione dai rappresentanti delle Chiese locali e da altri riferimenti di fiducia: centinaia di denunce riguardanti bambine, ragazze e giovani donne appartenenti a famiglie cristiane costrette alla schiavitù sessuale e alla conversione religiosa, spesso dietro minaccia di morte.
Il Rapporto esamina sei nazioni: Egitto, Iraq, Mozambico, Nigeria, Pakistan e Siria. È arricchito da casi di studio descrittivi di altrettante storie di vittime: tre di essi riguardano le donne in Egitto, due in Iraq, uno in Mozambico, tre in Nigeria e tre in Pakistan.
Dallo studio emergono diversi risultati, fra i quali i seguenti:
tra tutte le appartenenti alle minoranze religiose, le ragazze e le giovani donne cristiane sono tra le più esposte agli attacchi;
pressione sociale, paura di gettare un’onta sulla propria famiglia, minaccia di ritorsioni da parte di rapitori e complici, resistenza da parte di tribunali e forze di polizia a seguire i casi sono fattori che spiegano la difficoltà di indagare il fenomeno;
la pandemia di coronavirus ha fornito un terreno fertile per atti di violenza sessuale; è emersa la maggiore incidenza di persecuzioni sessuali e religiose ai danni delle donne nelle situazioni di conflitto; ciò si è reso evidente durante la presa di potere da parte dell’ISIS (Daesh) in alcune aree della Siria e dell'Iraq; se ne ha notizia anche altrove, come ad esempio in Mozambico;
il movente dei perpetratori in molti casi è limitare la crescita, e a volte la sopravvivenza stessa, del gruppo religioso delle vittime;
casi sistematici di rapimenti, violenze sessuali, matrimoni e conversioni forzati di donne cristiane in Paesi come la Nigeria, possono essere classificati come casi di genocidio.
“Ascolta le sue grida. Rapimenti, conversioni forzate e violenze sessuali ai danni di donne e bambine cristiane” si propone come uno strumento operativo per sollecitare interventi urgenti. Per questo motivo, oltre a essere destinato ai benefattori della Fondazione, si rivolge a politici, funzionari pubblici, gerarchia ecclesiastica, giornalisti e ricercatori.

23 novembre 2021

ll Patriarca Sako: piattaforme digitali e social media usati per far male alla Chiesa

By Fides - Patriarcato Caldeo

Nell’era di internet, la diffusione delle reti sociali e il dilagare di blog e piattaforme digitali ha moltiplicato a dismisura la diffusione di interventi polemici e articoli che criticano in maniera spietata la Chiesa, scritti spesso da persone prive di ogni minima familiarità con la dottrina cristiana, e di ogni autentica connotazione ecclesiale, che puntano a “sostituire i fatti con le loro idee nuove e controverse”.
A rinnovare l’allarme sugli effetti laceranti prodotti da questo fenomeno sulla vita ecclesiale è il Cardinale iracheno Louis Raphael Sako, Patriarca della Chiesa caldea, che in una nota diffusa dagli organi di comunicazione del Patriarcato invita tutti i battezzati a non lasciarsi travolgere dall’alluvione di manipolazioni e imposture circolanti nella rete riguardo alla natura e alla vita della Chiesa, suggerendo a tutti di separare “il grano dalla pula” e di gettare senza indugi tutte le esternazioni digitali inutili e dannose nel “contenitore dei rifiuti”.
Nel suo intervento, il Cardinale iracheno sottolinea che gran parte delle polemiche e degli attacchi circolanti in rete riguardanti le vicende della comunità caldea, provengono da persone che vivono fuori dall’Iraq, e che approfittano delle libertà di accesso alle reti per scrivere tutto ciò che passa loro per la mente, senza alcuna accuratezza, ricorrendo a toni aggressivi e sopra le righe pur di seminare confusione tra le persone che camminano con semplicità nel solco della fede degli Apostoli.
Le milizie di questo esercito di “commentatori” digitali arruolati a tempo nelle polemiche intra-ecclesiali – nota il Patriarca – “non hanno pietà di nessuno, nemmeno del Papa”, e spesso perseguono proprie agende di potere, attingendo nelle loro critiche corrosive a categorie di matrice politica e mondana che occultano l’autentica natura della Chiesa. “Ricordo, ad esempio – racconta il Patriarca Sako - che una di queste persone scrisse: ‘È tempo che una rivoluzione riformi la Chiesa caldea e rovesci la dittatura della vecchia guardia’”. Un linguaggio che trattava la Chiesa alla stregua di “un Partito politico, o una dittatura militare come quella cilena di Augusto Pinochet”.
Da tempo alcune Chiese d’Oriente – come la Chiesa copta ortodossa – esprimono interessanti valutazioni critiche rispetto a chi esalta con eccitati entusiasmi l’impatto delle reti digitali e dei nuovi strumenti di comunicazione sulle dinamiche ecclesiali. Poco più di un anno fa, in un discorso rivolto agli esponenti del Rotary Club egiziano di Alessandria-Pharos, il Patriarca copto ortodosso Tawadros II volle ribadire che non sono certo i social media a poter aprire agli uomini e alle donne di oggi le porte del Paradiso, aggiungendo che le reti digitali di comunicazione sono “un'arma a doppio taglio”, come un "coltello" che può essere utilizzato correttamente o in maniera errata, con un potenziale distruttivo in grado di nuocere alle singole persone e lacerare il tessuto ecclesiale, come quello sociale.

Ricostruire il Paese, crescere nella fede: il messaggio dei giovani cristiani iracheni

Dario Salvi

Essere parte della ricostruzione di una nazione martoriata da guerre, violenze e dalla pandemia di Covid-19, rafforzare l’appartenenza alla Chiesa caldea e vivere la propria missione al servizio dell’altro con “spirito di carità”.
Questo il messaggio che alcuni giovani, presenti all’incontro promosso dalla Chiesa caldea dal 18 al 20 novembre a Baghdad, hanno voluto affidare ad AsiaNews. Una tre giorni di discussione, di preghiera, che ha permesso a 450 fra ragazzi e ragazze di “avvicinarsi” in maniera ancora più salda alla fede e di riflettere sul futuro della comunità cristiana e della stessa nazione irachena. Come ha sottolineato il patriarca, card. Louis Raphael Sako, nel discorso introduttivo essi sono “il nostro orgoglio” e hanno un ruolo essenziale grazie al loro “slancio creativo” per edificare una Chiesa sempre più “viva e forte”.
Di seguito, le testimonianze raccolte da AsiaNews con la collaborazione del sacerdote caldeo p. Albert Hisham:
Merna Nimat Ayad
23 anni, originaria di Baghdad Laureata in Finanza, lavora in Banca.
La fede mi ha aiutato molto nella vita pratica e nello studio, ma soprattutto nella realtà quotidiana e nelle difficoltà: essa mi ha dato la forza per superare il dolore ed è stata, in alcuni momenti, unica fonte di gioia e speranza. Per il mio Paese chiedo maggiore stabilità e più spazi di libertà. E che i cristiani possano esserne partecipi in modo più efficace della vita della nazione. In questi anni, nelle guerre e nella pandemia, abbiamo perso tanti parenti: un mio zio è stato ucciso dai terroristi. Con la migrazione abbiamo perduto anche tanti conoscenti, ma il primo ad aver sofferto è l’Iraq stesso perché sono venuti meno molti dei suoi cristiani. Di queste giornate di incontri ciò che resta è l’attenzione e l’interesse della Chiesa verso i giovani.
Daniella Rafeeq 
24enne di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Laureata in medicina, lavora come dottoressa.
 La fede mi ha cambiato il modo in cui guardare la vita, perché so che Dio è con me e mi dà la forza per affrontare crisi, paure e difficoltà, di non cedere alla disperazione. Sul piano personale cerco di svolgere sempre la mia missione che è quella di testimoniare Cristo, perché con i nostri gesti possiamo essere esempio vito di carità verso tutti gli iracheni. Vivendo a Erbil, una zona relativamente sicura, non ho affrontato persecuzioni o violenze, ma ho imparato a mettermi al servizio di migranti e rifugiati venuti nella mia città. Con il Covid ho poi capito quanto sia importante essere più responsabili verso la vita degli altri, parenti e non. Infine, grazie a questo incontro ho potuto visitare Baghdad, che è molto bella nonostante le guerre; poi riunirsi con giovani dal nord al sud mi ha ricordato la comune appartenenza alla Chiesa caldea, in una società a maggioranza musulmana.
Waleed Khalid Wiliam 23enne di Bassora, nel sud dell’Iraq. Studi di medicina, oggi svolge la professione di chirurgo dentale.
La fede si è rivelata di grande aiuto in molti momenti di prova affrontati in passato e mi ha saputo infondere grande forza. Sul piano personale vorrei contribuire alla riforma e allo sviluppo del mio Paese, collaborando per migliorarlo attraverso l’onestà e la sincerità [contro ogni tipo di corruzione], partecipando in maniera attiva ai diversi settori della nostra multiforme società. Il Covid-19 e le violenze sono circostanze difficili che hanno fatto emergere l’essenza dei cristiani, lo spirito di carità, l’assistenza materiale e morale soprattutto a favore delle vittime delle guerre e di quanti sono colpiti dalla disoccupazione. Perché la comunità cristiana possa crescere è importante che incontri fra giovani possano ripetersi anche in futuro, avvicinando sempre più persone alla fede.
Ansam Yousif Zaya Allos Originaria di Kirkuk, 35 anni Diplomata in informatica, lavora come dipendente comunale.
 In questi anni travagliati, la fede è stata fonte di grande pace interiore, di fiducia in un Dio misericordioso e che mi ama sempre, anche quando io stessa non sono capace di farlo. Per l’Iraq vorrei un futuro brillante e questa speranza dipende anche dai cristiani, che sono il sale e la luce di questa società. Prima le guerre, l’Isis, poi la pandemia hanno rappresentato dei “giorni dolorosi” per noi cristiani, che ancora oggi siamo chiamati “minoranza”. Ma attraverso il nostro essere comunità e incontri come questo la speranza è di diventare una candela accesa che fa luce in mezzo a questo buio. In questi giorni mi sono sentita parte di un’unica famiglia che è la Chiesa, imparando attraverso i suoi occhi a leggere la parola di Dio.

19 novembre 2021

Il Patriarca Sako ai giovani caldei: nella Chiesa, resa viva da Cristo, voi non avete una “funzione decorativa”


Vorrei manifestare a ciascuno di voi la mia vicinanza e comprensione per le difficoltà e le emergenze che vi trovate ad affrontare, ma anche dirvi che non c'è motivo di disperare. Il Signore ci chiama ad essere una Chiesa viva e forte, una Chiesa che porta la sua parola, il suo amore e la sua salvezza”.
Con queste parole di conforto, il Cardinale e Patriarca iracheno Louis Raphael Sako ha iniziato il “discorso di benvenuto” rivolto ai più di 450 ragazzi e ragazze giunti a Baghdad da tutto l’Iraq per partecipare al primo Incontro della gioventù caldea, che ha preso il via giovedì 18 novembre presso la Cattedrale caldea di San Giuseppe. Un raduno giovanile – ha rimarcato il Patriarca – convocato come occasione per rinnovare il proprio incontro personale con Cristo, e che si aveva intenzione di organizzare da tempo, ma che era stato reso finora irrealizzabile per le tormentate vicende attraversate del Paese, per la mancanza di sicurezza negli spostamenti e poi per la pandemia da Covid-19.
Nel suo intervento, il Patriarca ha ricordato ai giovani cristiani che nella loro vita di fede hanno vissuto l’esperienza del martirio, definendoli “il nostro orgoglio”, e ha sottolineato in particolare che le giovani generazioni nella Chiesa non hanno una “funzione decorativa”, ribadendo che la vita ecclesiale ha bisogno dei loro talenti, dei loro pensieri e del loro slancio creativo. In merito al raduno di tre giorni convocato a Baghdad, il Cardinale iracheno ha espresso l’auspicio che esso diventi occasione per aiutare ogni partecipante a riscoprire le sorgenti della propria identità cristiana, così che la comunità ecclesiale possa anche offrire con più efficacia il proprio contributo alla rinascita della nazione e al bene comune del popolo iracheno.
L’incontro della Gioventù caldea si protrae fino a domenica 21 novembre, e ha come motto la frase “Voi siete una Chiesa viva”, parole pronunciate da Papa Francesco a Baghdad, nell’omelia della concelebrazione liturgica da lui presieduta nella Cattedrale caldea di San Giuseppe durante la sua visita pastorale in terra irachena. Durante la tre giorni, nei diversi momenti comunitari in agenda, l’attenzione si concentrerà intorno ad alcune questioni connesse all’incontro con Cristo e alla vita ecclesiale delle giovani generazioni caldee. I ragazzi e le ragazze riuniti a Baghdad saranno anche sollecitati a far conoscere le proprie aspettative in merito al cammino sinodale avviato nella Chiesa cattolica in vista della prossima Assemblea del Sinodo dei Vescovi.
L’esodo impressionante dei cristiani dall’Iraq registrato negli ultimi lustri ha interessato soprattutto le giovani generazioni di battezzati. L’incontro dei giovani convocato dal Patriarcato caldeo rappresenta un tentativo di farsi carico anche di questo fenomeno, e di interrogarsi sui tesori che conviene custodire e le grazie che occorre mendicare per veder fiorire e rifiorire il miracolo della fede in Cristo nelle vite di ragazzi e ragazze irachene.

18 novembre 2021

New Chaldean Bishop Has Firsthand Experience of ISIS’ Campaign of Genocide


An Iraqi priest whose family home was destroyed by ISIS has been consecrated bishop in a church he has spent the past four years restoring.
Chaldean Bishop Thabet Habib Yousif Al Mekko, a popular priest who for many years has dedicated himself to serving the faithful in his native Nineveh Plain town of Karemlash, was consecrated Bishop of Alqosh on Oct. 22 by Cardinal Louis Raphael Sako, the Chaldean Patriarch of Babylon.
In this Nov. 14 email interview with the Register, Bishop Mekko shares his reaction to his appointment, describes the current challenges facing Christians in northern Iraq four years after liberation from ISIS, and shares his hopes for the beatification of Father Ragheed Ganni and companions, who were martyred in 2007.
Father Ganni, who studied at the Pontifical University of St. Thomas Aquinas in Rome, was buried in Karemlash in the church of St. Adday that Bishop Mekko has spent the last few years helping to restore, after it was ransacked by the Islamic State militant group in the mid-2010s.
Bishop Mekko told the Register much still needs to be done to help restore the ancient Christian communities in the region, a major task, he said, that requires the charitable aid of the international community as well as commitment and dedication of the local faithful.
Your Excellency, What is your reaction to the news of your appointment?
Being chosen as bishop was truly surprising, and I was embarrassed because I was very attached to the parish I had been serving. I had many projects there relating to the restoration of the village of Karemlash, as well as many goals, both pastoral and social, to achieve as a priest. However, the call of the Lord triumphed and guided me to give my consent to accept this grace that I do not deserve.
How do you hope to exercise your ministry as a bishop to help local Christians?
Zeal for the Church has been energy-giving for me, so I hope to continue with more strength and zeal proclaiming the word of God and helping my Christian brothers have more confidence in their Christian calling in Iraq. The service I began as a priest aimed to create a means through which faith is integrated with social commitment and fidelity to our Christianity in Iraq.
What is the situation like at the moment in Alqosh?
The Diocese of Alqosh has its own particular challenges. One moves between areas of the diocese through checkpoints that belong to KRG [Kurdish Regional Government] and others manned by the federal government of Baghdad, the PMF [Popular Mobilization Forces of the Iraqi government]. Also, there are destroyed areas that must be reconstructed, and very many continue to be displaced as a result of the former ISIS [occupation]. The political and administrative situation is unclear because of the problems between the KRG and the federal government. Unemployment and young people are without work, so many families have gone away, leaving behind a void and problems that arise from this complicated situation. The government is providing services in accordance with its capabilities, but there are many things they could do better.
 How safe are Christians in the region? What are the current challenges they are facing, and how many have returned since the ISIS occupation of 2014-2017? And what is the status of rebuilding churches after their destruction and damage caused by ISIS?
Now the zone is secure, but always there are concerns that an ISIS-type scenario will return. When the federal government of Baghdad has forces in these areas, the security is strengthened, and Christians have more confidence. The problem is when there are Kurdish forces on one side of a Christian village and PMF forces on the other. Concern rises when there is disagreement and confrontation between these two sides. In the various regions of the diocese that ISIS occupied, 1,500 families have returned -- almost 50% of the original number. In the region of Tellskof, the churches have been restored, but still there is work to do. In Batnaya, where over 80% of the structures had been destroyed, the churches and religious sites have still not been restored; the houses even more so. In the village of Bakofa, the church has still not been rebuilt.
How concerned are you about the rise of the Taliban and other Islamic extremist groups in Afghanistan and the effect it could have on Iraq and the region?
We would hope that the Iraqi government would be alert to the challenges of exporting Islamic militants from Afghanistan to Iraq. If there are concerns about this, they will lessen if the government is strong, and the international community helps it in its war against terrorism.
What is the situation like in your native Karemlash? What is the latest news on the cause of Father Ragheed Ganni, who is buried there? Will a shrine be built in his memory?
Karemlash still has many burned houses and needs restoration work. Families still have to return, and there are concerns about demographic changes there. We are waiting for the beautiful news about the beatification of Father Ragheed and his companions. In the Church of St. Adday, where tomb of Father Ragheed lies and where the remains and relics of Father Ragheed and his companions are placed in anticipation of them being proclaimed "Blessed," I have had a chapel constructed. We hope to build a shrine to them. In nearby Qaraqosh is a Chaldean community that Father Ragheed served. He founded a pastoral house there, and today we are building a small church in the town for those faithful. I think this church in Qaraqosh will be a beautiful memorial to him.
What can the faithful do to help you and your work there?
A bishop without priests and the faithful gives his existence no meaning, so the local faithful of the diocese can do a great deal, first of all by receiving the Word of God and enabling the gifts of the Holy Spirit within them in order to serve in the Mystical Body of Christ. Concerning our faithful brothers in the world, we hope that they help to meet the charitable needs of the diocese in its pastoral work and reconstruction, knowing that their brothers in the Diocese of Alqosh are incapable of ameliorating the harsh situation alone.

Kurdistan iracheno, passi avanti nella lotta alle espropriazioni illegali subite da proprietari cristiani

By Fides

Nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno prosegue senza interruzioni la raccolta di documenti e denunce sugli espropri illegali di beni immobili – case e terreni – subiti negli ultimi lustri da proprietari cristiani. Comitati locali hanno avviato le procedure per realizzare una mappatura dettagliata delle proprietà espropriate illegalmente e acquisire informazioni relative ai titoli di possesso dei legittimi proprietari e alle circostanze concrete in cui sono avvenuti gli espropri illegali. 
Mercoledì 17 novembre Reber Ahmed, Ministro dell’interno nel governo della Regione autonoma, ha dato conto in una conferenza stampa dei riscontri avuti durante la visita da lui compiuta nel governatorato di Dohuk, per verificare sul campo le procedure di raccolta dati avviate dalla Commissione istituita ad hoc lo scorso aprile, su input del governo regionale, con l’intento di contrastare il fenomeno degli accaparramenti abusivi di beni immobiliari appartenenti per lo più a membri di comunità etniche e di fede minoritarie, a partire dai cristiani.
Il Ministro ha confermato ai media di aver avuto ragguagli incoraggianti sull’acquisizione di denunce e materiali acquisiti in questa fase istruttoria dai comitati costituiti in loco, e negli incontri avuti con i rappresentanti delle amministrazioni locali - compresi quelli del governatorato di Dohuk e della città di Zakho – ha confermato la risoluta intenzione del governo regionale di procedere a un integrale ripristino per via legale dei diritti di proprietà violati negli ultimi lustri a danno di cittadini cristiani e appartenenti ad altri gruppi minoritari. Il materiale raccolto dai comitati locali sarà sottoposto all’attenzione della Commissione governativa competente, che dovrà poi definire le procedure concrete per restituire ai legittimi proprietari terreni e case espropriati illegalmente, sia prima che dopo la caduta del regime di Saddam Hussein.
L’istituzione di una Commissione governativa ad hoc incaricata di verificare e frenare i sistematici espropri illegali subiti negli ultimi anni da proprietari cristiani nel Kurdistan iracheno (e soprattutto nel governatorato di Dohuk), ha concretizzato un input espresso dal Governo della Regione autonoma nell’agosto 2020. Il compito affidato alla Commissione è quello di raccogliere documentazione, ascoltando anche le istanze e le giustificazioni delle parti coinvolte, in modo da tracciare una vera e propria mappatura delle proprietà dei cristiani fatte oggetto di esproprio abusivo negli anni in cui tutta l’area nord-irachena viveva la drammatica esperienza connessa alle conquiste delle milizie jihadiste di Daesh e alla creazione dell’auto-proclamato Stato Islamico.
Gli espropri su vasta scala di terreni e beni immobiliari appartenenti a famiglie cristiane sire, assire e caldee della regione del Kurdistan iracheno, come riferito dall'Agenzia Fides, furono denunciati con particolare veemenza nel 2016. Secondo le denunce presentate, gli espropri illegali venivano messi in atto da concittadini curdi, che operavano singolarmente o in maniera coordinata con altri membri del proprio clan tribale. Già a quel tempo il dottor Michael Benjamin, direttore del Centro Studi Ninive, riferiva che nel solo Governatorato di Dohuk esisteva una lista di 56 villaggi in cui l'area di terreno sottratto illegalmente a famiglie cristiane era pari a 47.000 acri. Il 13 aprile 2016, alcune centinaia di cristiani siri, caldei e assiri, provenienti dalla regione di Nahla (Governatorato di Dohuk) avevano organizzato una manifestazione davanti al Parlamento della Regione autonoma del Kurdistan iracheno per protestare contro le espropriazioni illegali dei propri beni immobiliari subite negli anni precedenti ad opera di influenti notabili curdi, già più volte denunciate senza esito presso i tribunali competenti. Negli ultimi anni, gli espropri illegali hanno preso di mira in maggior parte terre e case appartenenti a cristiani che hanno lasciato l'area soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, per sfuggire ai conflitti regionali e alle violenze settarie e tribali esplose con maggior virulenza dopo gli interventi militari delle coalizioni internazionali.

17 novembre 2021

Iraqi Christian leaders hope to continue building on pope’s March visit

Dale Gavlak

Nahla and Valentina like to stop and pray at Mar Elia Chaldean Catholic Church in the center of this small majority Christian community.
The grounds of the church once sheltered several hundred Christians who were forced to flee their homes in 2014 when Islamic State militants attacked Mosul and surrounding villages some 50 miles away.
 The tents and caravans that dominated the property are gone, but the women say many Christian families remain unable to return home.
 “Although we are from Ankawa, there are still many displaced in our midst from Mosul, Qaraqosh, and other towns, but they are now in apartments, having to pay rent and wondering if they will ever be able to go back,” Nahla told the Catholic News Service after lighting a candle near the saint’s statue. “The pope gave us a lot of hope with his visit in March. It was wonderful to see our churches united in welcoming him and enjoying the many Masses, but in practical ways, we don’t feel much has changed in the circumstances,” she said.
“Being separated is so difficult.” Chaldean Catholic Archbishop Bashar Warda of Irbil and other church officials acknowledge the pain that many still feel, but Archbishop Warda said the papal visit helped to inspire and recharge Iraq, which has struggled to regain a firm footing after years of conflict and sectarian violence. He and others point to demonstrable, positive developments experienced by Iraqi Christians since Pope Francis’ successful visit, but recognize the challenges that the Christian community still encounters and wants to overcome.
“Pope Francis brought a message of hope, courage and bravery, coming in the middle of the coronavirus to a not very stable country. We cannot expect him to solve all the problems and heal minds, but he reached out in goodwill to those suffering, whether Christians, Yazidis or Muslims,” Archbishop Warda told CNS at St. Joseph’s Cathedral in Ankawa.
“Yes, there are still camps for internally displaced people, but there is life in the areas liberated from the Islamic State. This reality can’t be separated from the story of Iraq. Pope Francis came as a pilgrim and stood with us in solidarity,” Archbishop Warda said.
“There is a lack of trust among the people. We need to understand the deep wounds. But I am a man of hope. We should keep pressing ahead, because it’s the work of Christians and Iraqis to help bring about the needed reconciliation,” he said. Ankawa, once a Christian enclave of Irbil, the capital of Iraqi Kurdistan, was recognized in October by the governing authority as its own official district. This means that the town’s Christians will now directly elect their own mayor and have responsibility for security and other matters. Archbishop Warda said he believes the papal visit helped to raise Ankawa’s profile in the eyes of the governing authorities. Prime Minister Masrour Barzani of the Kurdistan Regional Government recently referred to Ankawa as a home for “religious and social coexistence, and a place for peace.”
 “Pope Francis’ visit highlighted the historical presence of Christians in Iraq, and Ankawa was at its center, with the papal Mass celebrated at the largest Christian outdoor gathering. Here, we are working to build the future. The culture of coexistence found here should be a model,”
Archbishop Warda said.
He pointed to four schools, a university and a hospital built in Ankawa under his stewardship; all have provided local people with badly needed employment.
“This demonstrates to people that the church is committed to stay in Iraq, and we hope this is a sign that they, too, can make a commitment themselves to remain,” said Stephen Rasche, who serves as the vice chancellor at the Catholic University in Erbil and counsel to the Chaldean Archdiocese of Irbil.
 “There is an effort on behalf of the community to show that there is a future and a hope. It also shows non-Christians that there is a proper place for Christians and the contribution that they make to the community,” he told CNS. “Catholics have historically engaged in education and health care for all people, regardless of their religious background.”
 In October, the Catholic University in Erbil celebrated its first graduating class. The university first opened its doors in 2015 in the midst of the Islamic State genocide perpetrated against Iraq’s religious and ethnic minorities. Christians have existed in Iraq since the time of Christ, but their numbers have dwindled from some 1.5 million before the 2003 U.S.-led invasion.
Estimates put the current Christian population between 250,000-500,000. “Unfortunately, we might be unable to restore Christian demography, but we need to and can restore the Christian role and presence through these educational centers, hospitals and other services. We have started to touch lives, but we need to do more,” said Father Emanuel Youkhana, who runs the Christian Aid Program Northern Iraq, a Christian program for displaced Iraqis around the northern city of Dahuk. “The papal visit showed that Iraqi Christians are deeply rooted,” said Father Youkhana, a priest, or archimandrite, of the Assyrian Church of the East. “Through his moral influence, the Holy Father gave a clear message to Iraqi politicians and the government: All Iraqis must count.” “For the past 2,000 years, Christians are an added value for these communities and are giving a lot to Iraq. We are much more needed now because we can be the bridges. This is what we need in Iraq, to bridge the people,” Father Youkhana told CNS.
He said that Pope Francis “did his homework; however, now Iraqi Christians must do theirs” by providing practical programs to uplift Iraqis. One way, he said, is to “start to have an interchurch platform that is tackling both economics and spiritual life of the people and also to invest in the new generation of open-minded bishops.” “Ankawa is a great model of young bishops. We are starting to touch lives. … We don’t expect His Holiness to come every year here. He paved the way, and we have to follow,” Father Youkhana said.

Ausiliare di Baghdad: un incontro rivolto ai giovani, parte di una ‘Chiesa viva’


Foto Mons. Basel Yaldo
Dare “speranza” ai giovani iracheni che sono “parte di una Chiesa viva”, come ha sottolineato papa Francesco nel marzo scorso, durante lo storico viaggio nel Paese arabo; un evento speciale, perché in una fase “difficile” a livello politico, sociale ed economico è compito delle istituzioni ecclesiastiche indicare “una strada per il futuro”.
È quanto afferma ad AsiaNews mons. Basilio Yaldo, ausiliare di Baghdad e stretto collaboratore del patriarca caldeo Louis Raphael Sako, presentando l’incontro dei giovani caldei in Iraq in programma nella capitale dal 18 al 20 novembre. Un appuntamento che precede la Giornata mondiale della gioventù, che quest’anno si celebra a livello diocesano domenica 21 novembre.
“In questo periodo complicato - sottolinea il prelato - vogliamo che i giovani possano trovare un punto di riferimento, un luogo di confronto e una via da seguire”. Per la prima volta nella storia della Chiesa caldea oltre 450 giovani, maschi e femmine, fra i 18 e i 35 anni, si riuniranno a Baghdad provenienti da sette diocesi: da Bassora nel sud a Zakho, nel Kurdistan iracheno, da Kirkuk ad Alqosh, Mosul e la piana di Ninive. Un evento “voluto con forza dal patriarca, il card. Sako” che lo ha proposto nell’ultimo incontro del Sinodo caldeo.
Da tre mesi, prosegue mons. Yaldo, “stiamo lavorando per questo evento” lanciato un anno fa, già prospettato più volte in passato “e poi rimandato per questioni legate alla sicurezza. Sono in programma seminari, momenti di preghiera, lezioni di catechismo, testimonianze di fede e approfondimenti di alcune tematiche di attualità, anche politica, della vita della nazione. “Sarà presente il patriarca - aggiunge l’ausiliare di Baghdad - con una lezione di catechismo e poi delle domande che lui stesso vuole rivolgere ai giovani sul futuro dell’Iraq, il loro ruolo e le loro responsabilità, come possono aiutare e contribuire allo sviluppo della nazione”.
Vi sono poi testimonianze sulla vita nelle diverse diocesi, indicazioni sulle modalità di annuncio del Vangelo, cui si alterneranno momenti di svago, giochi e gare di gruppo. “Un momento bello per stare assieme - auspica il prelato - che si concluderà con una messa solenne celebrata dal cardinale sabato 20 novembre”. Sono stati i giovani in prima persona “ad affermare l’urgenza di un incontro” spiega mons. Yaldo, perché hanno bisogno di “tornare alla vita”, di sentirsi di nuovo comunità “dopo il buio della pandemia di Covid-19, che ha fermato per quasi due anni le attività”. “Ragazzi e ragazze - prosegue - vogliono qualcosa che sia per loro un segnale di ripresa, al quale hanno risposto in modo molto positivo, con un‘adesione altissima. E altri ce ne saranno in futuro, visto che è in cantiere un incontro per i giovani caldei di tutto il mondo, dall’America all’Australia”.
Partendo dal motto “Voi siete una Chiesa viva”, l’obiettivo di questa tre giorni è trasmettere “un segnale di speranza, rafforzando il valore della sinodalità” che abbraccia consacrati e laici. Come patriarcato caldeo “vogliamo essere vicino ai giovani, aiutarli a trovare lavoro per fermare questa migrazione”. “Infine, abbiamo pensato anche a testimonianze di giovani sacerdoti e suore - conclude l’ausiliare di Baghdad - per far nascere il desiderio della vocazione, partendo dall’ascolto, dal dialogo e dalla preghiera… guardiamo al futuro con rinnovata fiducia!”.

"Voi siete una Chiesa viva", incontro dei giovani caldei a Baghdad

Gabriella Ceraso

Si sono già iscritti in 450, arrivano da Baghdad e da sette diocesi caldee di tutto il Paese e si sono dati appuntamento nella Cattedrale caldea di San Giuseppe. Il filo conduttore saranno le parole del Papa durante la visita storica compiuta in Iraq nel marzo scorso. Così prende il via il grande raduno che animerà la capitale irachena dal 18 al 20 novembre alla vigilia della Giornata mondiale della Gioventù, che quest’anno per la prima volta si celebra nella domenica di Cristo Re, dopo lo spostamento dalla data tradizionale della Domenica delle Palme.
A volerla il patriarca caldeo, il cardinale Louis Raphael Sako, che ha invitato a partecipare come relatore anche il premier Mustafa al-Kadhimi, ma dopo l’attentato subito dal politico nei giorni scorsi, la presenza resta da confermare.
"Se venisse sentirebbe le speranze e la forza dei nostri giovani che sono specchio della gioventù irachena", spiega padre Albert Hisham, responsabile della comunicazione dell'incontro. Ci spiega l'organizzazione e lo spirito di adesione dei giovani.
"Con coraggio si sono iscritti, in questo Paese non è facile. Eppure ci saranno e questo perché nutrono speranze e aspettative, desiderano sviluppare la riflessione proprio sulla figura di Cristo che sarà centrale".
Non mancheranno momenti dedicati al cammino sinodale, da poco avviato anche nelle diocesi irachene. Dopo una presentazione e il messaggio di benvenuto del cardinale Sako, il primo giorno, si alterneranno nelle giornate successive riflessioni, momenti di festa e e testimonianze.
Possono essere i giovani il futuro della Chiesa in Iraq? Quali sono le loro abitudini, il loro impegno?
Padre Albert spiega che i giovani caldei sono impegnati in ogni ambito sociale, sono appassionati e lavorano perché amano il loro Paese. La politica li interessa solo in parte e spesso, data la situazione sempre più difficile, si sentono lontani da questo ambito.
"Vero - afferma padre Albert - che alcuni giovani pensano di andare via, perchè il futuro qui è incerto, ma ce ne sono tanti che, col sostegno della Chiesa locale e universale, restano e lavorano, volendo dare una testimonianza". Il cardinale Sako lo chiede spesso a tutti i cristiani d'Iraq, ricorda padre Albert: stare e testimoniare la presenza di Gesù Cristo anche nella vita pubblica.
La visita del Papa ha lasciato una traccia nella società e nei ragazzi: padre Albert lo ripete più di una volta ritornando con la memoria ai passi del Papa in Iraq, alla possibilità unica che hanno avuto i giovani innanzitutto di vederlo, stare giorni con lui, seguirlo in tv e sui social. Da lì tutto riparte dunque oggi, con nel cuore due desideri che sono anche dei bisogni: "L'unità tra le Chiese e nel Paese, e poi la fiducia, quella fiducia che per primo Francesco - ripete padre Albert - ha lasciato a Baghdad e in ogni sua tappa in Iraq".

Caos post-elezioni, la Chiesa caldea invoca il “dialogo nazionale” per evitare il disastro


Se non si esce in tempi brevi dal caos in cui la nazione irachena è ripiombata dopo le elezioni politiche di ottobre, “il Paese dovrà affrontare ‘il peggio, e sappiamo tutti che l’Iraq non può sopportare di più”. Usa toni trepidanti e ultimativi, da "ultima spiaggia", il messaggio diffuso ieri, martedì 16 novembre, dal Patriarcato caldeo per chiamare tutte le componenti nazionali a mettere da parte comportamenti scellerati e evitare di trascinare verso il baratro una nazione stremata da decenni di guerre e conflitti.
La proposta avanzata nell’appello patriarcale è quella di un “dialogo nazionale sincero e coraggioso”, che coinvolga tutti gli attori nazionali – leader politici, ma anche intellettuali e capi religiosi – che siano interessati a garantire l’attendibilità del processo elettorale e il rispetto dei risultati usciti dalle urne. Solo seguendo questa via – si legge nel messaggio diffuso dai canali ufficiali di comunicazione della Chiesa caldea – si potrà raggiungere “una soluzione accettabile secondo la costituzione e il diritto iracheni, per accelerare la formazione di un governo nazionale capace di correggere il percorso, combattere la corruzione, proteggere la sovranità e l'unità del Paese e tutelare la sicurezza e la dignità degli iracheni”.
Le elezioni parlamentari irachene svoltesi il 10 ottobre hanno fatto registrare la crescita del Partito Sadrista, guidato dal leader sciita Muqtada al Sadr – che avrebbe conquistato 73 dei 329 seggi nella nuova assemblea parlamentare – e una netta sconfitta del blocco Fatah - considerato vicino alle milizie sciite filo-iraniane di Hashd ai Shaabi - che avrebbe ottenuto solo 15 seggi a fronte dei 48 controllati nel precedente Parlamento dalle sigle ora confluite nella coalizione. Ai seggi si è recato solo il 41% degli aventi diritto al voto, soglia che rappresenta il minimo storico delle 6 elezioni parlamentari tenutesi in Iraq dal 2003, dopo la fine del regime di Saddam Hussein. Fin dalle prime indiscrezioni filtrate sui media in merito all’esito del voto, i leader del blocco Fatah hanno rifiutato di riconoscere i risultati elettorali, invitando i propri sostenitori a scendere in piazza. A Baghdad i manifestanti mantengono presidi della “Zona Verde” - area dove sono concentrati gli uffici del governo e le ambasciate -, e accusano la commissione indipendente di falsificazione dei risultati. È in corso il riconteggio delle schede in alcune circoscrizioni elettorali, dove sono stati presentati ricorsi basati su documentazione attendibile. Il 5 novembre sono avvenuti duri scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti sostenitori di Fatah che avevano tentato di entrare nella Zona Verde. Secondo fonti mediche, gli scontri avrebbero provocato due morti e 125 feriti. Poi, il 7 novembre, la residenza del Premier iracheno Mustafa al Kadhimi è stata devastata da un attentato, realizzato con un drone. L’operazione terroristica fortunatamente non ha provocato vittime, ma ha rischiato comunque di far precipitare il Paese nel caos di una guerra civile, riaprendo lo scontro diretto tra sunniti e sciiti. Fin dal primo momento accuse più o meno velate riguardo alla paternità dell’attentato sono state lanciate contro le milizie sciite filo-iraniane presenti nel Paese. Ipotesi contestata in realtà anche da analisti non sospettabili di simpatie filo-iraniane, come il giornalista israeliano Zvi Bar-el, il quale su Haaretz ha fatto notare che “gli scontri violenti ora non servono gli interessi di Teheran, impegnata ora nel tentativo di costruire una coalizione politica filo-Iran per formare un governo. Ciò sembrerebbe vanificare la logica del tentato omicidio [del Premier al Kadhimi da parte delle milizie sciite, ndr], a meno che l’obiettivo non fosse quello di scatenare una guerra civile o quanto meno violenti scontri a livello nazionale, che potessero favorire la formazione di un governo provvisorio di emergenza. Ma anche se questo fosse il motivo, né le milizie né l’Iran avevano alcuna garanzia che avrebbero ottenuto un risultato politico che sarebbe servito ai loro obiettivi”.

16 novembre 2021

An appeal from the Chaldean Church to Solve the Crisis of Elections and Manifestation


The Chaldean Church, expresses its pain and deep concern about the crisis created by the results of the parliamentary elections. We are launching this appeal out of the patriotic feeling that resides in all of us, calling on everyone to show high national and moral responsibility in dealing with these results.
Otherwise, the country will face the “worst” and we all know that Iraq cannot bear more.
From the standpoint of fidelity, the Chaldean Church appeals to all those concerned with the elections, including political parties, academic leaders, religious authorities, etc. to make efforts and contain this crisis wisely, by organizing a sincere and courageous national dialogue aiming to reach an acceptable solution according to Iraqi constitution and law, to expedite the formation of a national government capable of correcting the path, fighting corruption, protecting sovereignty, unity of the country, and providing a security and dignity for Iraqis

15 novembre 2021

P. Samir: il doppio virus del Covid e delle bombe turche svuota il Kurdistan


Nell’ultimo anno alcuni villaggi cristiani e curdi “si sono svuotati” a causa dei bombardamenti dell’aviazione turca contro obiettivi del Pkk, il movimento curdo combattente considerato terrorista da Ankara (e da parte dell’Occidente).
A lungo la zona “era stata risparmiata dalle violenze”, ma oggi la paura “si fa sentire”. È quanto sottolinea ad AsiaNews p. Samir Youssef, parroco di Enishke, diocesi di Amadiya, nel Kurdistan iracheno, che racconta di una popolazione “prima spaventata dal virus ‘corona’ e oggi impaurita a causa del virus delle bombe”. Attacchi che, aggiunge il sacerdote, hanno “fermato il turismo dopo una fase di ripresa e rende difficile coltivare i campi o tenere aperte le fabbriche, per il timore di essere colpiti”. Nella notte fra il 6 e il 7 novembre, prosegue, “i turchi hanno bombardato la nostra montagna, sei missili sono caduti poco distanti il villaggio e hanno provocato un’onda simile a un terremoto”. La pioggia di ordigni ha interessato “anche un altro villaggio cristiano della zona”, in oltre un anno “è la prima volta che colpiscono qui vicino”. Per questo nei giorni scorsi “alcune famiglie si sono spostate verso le città” di Zakho, Dohuk, Erbil, poi hanno fatto ritorno ma i raid aerei “stanno continuando nell’altro versante”.
Anche durante l’intervista p. Samir dice di sentire il rumore dei droni turchi che pattugliano l’area alla ricerca di nascondigli da colpire nella notte o di guerriglieri impegnati in operazioni di trasferimento di mezzi. I raid hanno pesanti conseguenze sulla popolazione, perché chi ha terreni “non vuole coltivarli per non correre il rischio di essere colpito, perché scambiato per un miliziano. Lo stesso vale per quanti hanno fabbriche: sono sempre di più quelle abbandonate. Pure il turismo si è fermato, dopo una stagione estiva positiva. Troppo alta la paura di essere colpiti, con le inevitabili conseguenze per ristoranti, alberghi e altri attività che stavano ripartendo dopo il Covid-19”.
“Anziani e bambini hanno paura - confessa p. Samir - come bombardamenti siamo tornati al 2003, al tempo buio della guerra. I guerriglieri del Pkk sono presenti lungo una fascia che va dalle nostre montagne a Sinjar, al confine con la Siria, e non sarà facile colpirli, perché sono sempre in movimento”. Il virus delle bombe, osserva, “ci fa da sempre compagnia e oggi è tornato a incidere anche il coronavirus: ogni settimana muoiono due o tre persone della nostra zona, la copertura vaccinale nella mia parrocchia è attorno al 60% e in altre zone ancora più bassa. Vi è paura e diffidenza, alimentata anche da fake news su pericolosità o inefficacia che circolano in rete”.
P. Samir è fra i principali beneficiari della campagna di AsiaNews “Adotta un cristiano di Mosul”.
Archiviata la lotta contro lo Stato islamico (SI, ex Isis), dichiarato sconfitto almeno sul piano militare oltre tre anni fa “ma la cui mentalità è ancora diffusa”, ad oggi restano i problemi degli sfollati che spesso non dispongono nemmeno delle risorse di base per sopravvivere o si trovano a fare i conti con le ulteriori difficoltà provocate dalla pandemia. I problemi legati alle elezioni politiche a Baghdad hanno dei riflessi anche nel Kurdistan “dove i prezzi sono aumentati, dalla benzina al kerosene per il riscaldamento, ai generi alimentari, poi ci sono persone che non ricevono lo stipendio da tre mesi e la situazione resta instabile”.
Come Chiesa irachena, sottolinea p. Samir, proseguono le iniziative di carità fra le quali “l’acquisto di cibo, benzina e denaro per sostenere la famiglie più bisognose della zona e quelle di profughi arabi e curdi, cristiani e musulmani, che qui hanno trovato accoglienza. Io ho ancora oggi 35 famiglie siriane che, dal 2013, contano sul nostro sostegno”. Ecco perché il sacerdote rilancia la campagna di AsiaNews e invita chi può a continuare a donare, e aiutare. “In questo tempo difficile - conclude - ogni comunità ha le proprie difficoltà, ma non dobbiamo restare indifferenti ai bisogni. Ogni minima donazione è un bene prezioso per le nostre famiglie e per i profughi in difficoltà… e senza aiuti è difficile continuare quest’opera”.

12 novembre 2021

Iraq: card. Sako (patriarca), “vogliono gettare il Paese nel caos per interessi di parte”. Visita al-Tayyeb a rischio

Daniele Rocchi

“Attaccando il premier Mustafa al-Kadhimi hanno voluto destabilizzare ulteriormente la situazione interna dopo le elezioni, quindi bloccare il nuovo Parlamento, la nomina delle più alte cariche dello Stato, dal Presidente della Repubblica a quella del premier”: così il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, torna sull’attentato, avvenuto nella notte fra il 6 e il 7 novembre, contro la casa del Primo Ministro al-Khadimi, rimasto illeso.
L’esito del voto del 10 ottobre scorso è stato contestato in piazza dai movimenti sciiti filo-iraniani, come l’Alleanza della conquista, braccio politico delle milizie paramilitari Hashed al-Shaabi, che dalle urne sono usciti sconfitti. Manifestazioni anche violente, nei pressi della ‘Zona verde’ della capitale irachena, che hanno fatto registrare una vittima e diversi feriti.
“Fa male – dichiara al Sir Mar Sako – vedere tante proteste violente. Siamo preoccupati per il vuoto politico che si sta creando”.

Papa Francesco.
Il 9 novembre Papa Francesco ha fatto pervenire, tramite il suo Segretario di Stato, card. Pietro Parolin, un telegramma al premier iracheno in cui esprime “vicinanza nella preghiera” e condanna di “questo vile atto di terrorismo”. “Sua Santità – si legge nel testo – ancora una volta esprime la sua fiducia che, con la benedizione di Dio, il popolo dell’Iraq sarà confermato in saggezza e forza nel cercare il percorso della pace attraverso il dialogo e la solidarietà fraterna”.
Parole che, afferma il card. Sako, “infondono coraggio e forza, necessarie per portare avanti le urgenti riforme di cui il Paese ha bisogno. Lavoro intrapreso dal premier al-Kadhimi e che adesso vogliono bloccare con la violenza”.
Ribadisce il patriarca caldeo: “Creare confusione e caos: questo è lo scopo. Chi ha commesso questo attacco non vuole un Iraq stabile e forte, ma un Paese nel caos per continuare a fare i propri interessi settari e di parte”.
Gli interessi di attori regionali in Iraq sono tali e tanti che non impediscono al patriarca di ribadire un concetto espresso più volte in passato: “Un Iraq forte e sicuro potrebbe favorire la stabilità della regione ma evidentemente c’è chi lavora in senso opposto”.

Visita a rischio. 
Il clima di tensione nel Paese potrebbe avere delle ripercussioni anche sulla visita – da più parti data per certa – del Grande Imam di al-Azhar, Sheikh Ahmad Al-Tayyeb, in Iraq e sul suo incontro con il Grande Ayatollah Ali al-Sistani. Vere e proprie ‘prove di dialogo’ tra le due “anime” dell’islam sunnita e sciita, nel contesto del Documento di Abu Dhabi, e sulla scia della visita in Iraq del Papa a marzo scorso. “Non credo che chi ha compiuto questo attentato al premier abbia mirato anche a questo incontro – afferma Mar Sako -.
Su questa visita non c’è ancora nulla di ufficiale, almeno fino ad ora, né un programma, né una data. Si parlava di fine novembre ma io credo che con questa situazione sarà difficile che possa tenersi. Ritengo che questa visita potrà realizzarsi solo con una situazione interna stabile e sicura. Probabilmente dopo la formazione di un nuovo Governo” nel quale, è il timore del patriarca, “il ruolo della componente cristiana potrebbe essere nullo”.

I giovani iracheni. 
Maggiori speranze, invece, il patriarca caldeo le riserva per i giovani del Paese: “Sono certo che il futuro sarà dell’Iraq, e il futuro dell’Iraq è rappresentato dai suoi giovani”.
Assume particolare significato il prossimo raduno della Gioventù caldea, in programma nella capitale irachena dal 18 al 20 novembre, sul tema “Voi siete una Chiesa viva”.
“Aspettiamo almeno 400 giovani da Baghdad e da altre diocesi caldee irachene” spiega il patriarca che rivela: “ho invitato il Primo Ministro a tenere un discorso ma vediamo se sarà possibile, dopo l’attentato”.
L’evento cade alla vigilia della Giornata mondiale della Gioventù che quest’anno per la prima volta si celebra nella domenica di Cristo Re, dopo lo spostamento dalla data tradizionale della Domenica delle Palme. “Sarà un tempo di meditazione, di fede di festa per alzare il morale dei giovani. Abbiamo bisogno di loro per il nuovo Iraq”.

11 novembre 2021

A Mosul gli Usa finanziano il restauro della chiesa di Mar Korkis, devastata dai jihadisti

By Fides

E’ prevista entro la fine di novembre la cerimonia di riapertura della chiesa principale del monastero di Mar Korkis, nella città irachena di Mosul, gravemente danneggiata dai miliziani dell’autoproclamato Stato islamico (Daesh) durante il tempo dell’occupazione jihadista. Nei giorni scorsi è stato reso noto il completamento dei lavori di restauro eseguiti nel quadro del programma di stabilizzazione del patrimonio iracheno, in collaborazione con l’ordine monastico antoniano di Sant’Ormisda dei Caldei e grazie al supporto finanziario garantito dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America ai progetti di ricostruzione di chiese e monumenti realizzati in Nord Iraq dal Department of Heritage and Civilization dell'Università della Pennsylvania.
Il Monastero di Mar Korkis si trova sul lato destro del fiume Tigri, appena fuori dalla strada che unisce Mosul a Dohuk, a 10 km dal centro della città. La prima fondazione del monastero viene fatta risalire dalle fonti storiche a prima del X secolo dopo Cristo.
Nel marzo 2015, i jihadisti dello Stato Islamico devastarono gravemente la chiesa, senza però raderla al suolo. Furono smentite le informazioni rilanciate da diversi media che in quei giorni avevano accreditato le voci in merito a una totale demolizione del luogo di culto cristiano tramite esplosivo. La furia distruttiva dei jihadisti si era concentrata sulla cupola e sulla facciata della chiesa, caratterizzata da una particolare configurazione architettonica, con i mattoni e le aperture disposti in modo da disegnare una grande croce. Le croci che spiccavano sulla cupola e sul tetto del monastero erano state divelte dai jihadisti già nel dicembre 2014. Foto e documenti pubblicati a quel tempo confermarono che a subire devastazioni era stato soprattutto il cimitero adiacente alla chiesa, dove riposavano anche i corpi di molti soldati iracheni cristiani caduti durante il conflitto Iraq-Iran. Durante il tempo dell’occupazione jihadista, il monastero di San Giorgio era stato usato anche come luogo di detenzione. Nel dicembre 2014 vi erano stati trasferiti almeno 150 prigionieri bendati e ammanettati, compresi alcuni capi tribù sunniti oppositori dello Stato Islamico ed ex membri degli apparati di sicurezza, detenuti in precedenza presso la prigione di Badush (evacuata nella previsione di un possibile attacco da parte della coalizione anti-Califfato).
Le opere di restauro hanno visto coinvolti ingegneri, e architetti e operai locali. Le pareti interne del luogo di culto sono state ricoperte con il marmo di Mosul.

10 novembre 2021

Safe haven: What will Ankawa's new autonomy mean for Kurdistan's Christians?

Michal Kranz
November 4, 2021

For Ankawa, an Assyrian Christian-majority suburb of Iraqi Kurdistan’s capital Erbil, the last decade has been one of change and transformation.
Its population swelled in 2014 as Assyrian Christian refugees from other parts of northern Iraq poured in ahead of the Islamic State’s (IS) onslaught, cementing the town’s status as one of the primary nodes of Iraqi Kurdistan’s Christian community.
Mechanical engineer Liver Dakali moved to Ankawa from Erbil in 2019, well after the wartime surge. Although he wasn’t fleeing war, he too felt the pull of the town’s Christian character.
“We are a minority there in Erbil, so we were alone. It was uncomfortable to celebrate occasions like Christmas,” Dakali said. “So we came here.”
"Ankawa's population swelled in 2014 as Assyrian Christian refugees from other parts of northern Iraq poured in ahead of the Islamic State's onslaught" 
On 4 October, Iraqi Kurdistan’s Prime Minister Masrour Barzani moved to recognise Ankawa’s ethno-religious distinctiveness by announcing that the town would become a separate, autonomous district from Erbil for the first time.
Like others in Ankawa, Dakali said he is hopeful that the change will lead to improved infrastructure, public services, and security. But for him, any additional quality of life benefits for Christians in Ankawa or beyond will be limited at best.
“I don’t think there will be a significant effect,” Dakali said, referring to the move’s impact on the broader Assyrian Christian community in Iraqi Kurdistan.
According to locals and political leaders alike, Ankawa’s new status will be a positive development for the Christian community in Iraqi Kurdistan, and despite some reservations, Dakali and other residents remain optimistic about the town’s future.
Yet many argue that the change does not go far enough, and claim that although Ankawa’s new designation is a step in the right direction, the Kurdistan Regional Government (KRG) must take serious and concrete steps to rectify a host of grievances before Assyrian Christians can feel completely at home in Ankawa or elsewhere in Iraqi Kurdistan.
For activists and community leaders, wedge issues like taxation, land expropriation, and the erasure of Assyrian Christian identity will continue to plague Christians in the KRG despite the shift in Ankawa’s status.
As part of his 4 October announcement, Barzani stated that once its new designation is implemented, Christians in Ankawa would be able to “nominate civic leaders, appoint officials, manage their own security and directly shape their destinies” — something that residents said will allow them to maintain their heritage, upgrade their cityscape, and improve zoning practices to protect residential areas.

Papa Francesco condanna il ‘vile’ attentato al premier iracheno

By Asia News
9 novembre 2021

“Vicinanza nella preghiera a voi e alla vostra famiglia e ai feriti”, unita alla condanna ferma per un “vile atto di terrorismo”.
È il messaggio inviato al primo ministro iracheno Mustafa Al-Kadhimi da papa Francesco, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, in seguito “all’attacco alla vostra residenza a Baghdad”. Il pontefice rinnova dunque la solidarietà all’Iraq e alle sue massime istituzioni, dopo l’attentato del 7 novembre scorso che ha preso di mira l’abitazione del capo del governo. Una vicinanza rafforzata dagli incontri passati e dalla storica visita ufficiale compiuta nel marzo scorso nel Paese arabo.
Il papa esprime “ancora una volta la fiducia che, con la benedizione di Dio onnipotente, il popolo dell’Iraq sarà confermato nella saggezza e nella forza” per perseguire “la via della pace” attraverso “il dialogo e la solidarietà fraterna”. Parole non scontate e che confermano, una volta di più, la vicinanza della Santa Sede del papa stesso ai passi compiuti dal governo e dal premier nella direzione della riconciliazione fraterna dopo anni di violenze politiche, etniche e confessionali.
Un messaggio rilanciato con forza ieri ad AsiaNews dallo stesso patriarca caldeo, il card. Louis Raphael Sako, secondo cui l’attentato mira a “bloccare” il progetto di un Iraq forte, di uno Stato “basato sulla legge, sulla cittadinanza, sull’ordine e la giustizia”.
Oggi, intanto, giunge notizia dell’arresto da parte delle forze di sicurezza irachene di tre persone legate al tentativo di assassinio del premier al-Kadhimi. A riferirlo è un funzionario governativo a Russia Today, il quale non fornisce però ulteriori indicazioni sull’identità dei fermati e il loro ruolo nell’attacco, nel quale sono rimaste ferite alcune guardie del corpo. Alcune voci non confermate affermano che le tre persone arrestate apparterrebbero a una “fazione sciita armata” vicina all’ Iran. In precedenza lo stesso primo ministro aveva affermato di “conoscere bene” identità e matrice dei responsabili.

“Voi siete una Chiesa viva”: 400 ragazzi e ragazze attesi a Bagdhad per l’incontro della Gioventù caldea

9 novembre 2021

Foto Patriarcato caldeo
“Voi siete una Chiesa viva”.
Le parole pronunciate da Papa Francesco a Baghdad, nell’omelia della concelebrazione liturgica da lui presieduta nella Cattedrale caldea di San Giuseppe durante la sua visita pastorale in terra irachena, sono state scelte come motto dell’Incontro della Gioventù caldea, in programma nella capitale irachena dal 18 al 20 novembre. All’evento, convocato dal Patriarcato caldeo, parteciperanno almeno 400 ragazzi e ragazze di Baghdad e delle altre diocesi caldee sparse per il territorio nazionale.
La kermesse giovanile, scandita da appuntamenti liturgici, tempi di preghiera, dibattiti e momenti di socializzazione, avrà come momento clou un incontro di catechesi guidato dal Patriarca caldeo Louis Raphael Sako sul tema “Noi crediamo nel Signore Gesù Cristo”. Nei diversi momenti comunitari, l’attenzione si concentrerà intorno ad alcune questioni connesse all’incontro con Cristo e alla vita ecclesiale delle giovani generazioni caldee. Per facilitare la riflessione individuale e comunitaria, sono stati già diffusi attraverso i canali di comunicazione del Patriarcato caldeo, alcuni interrogativi relativi al rapporto personale di ciascuno con Cristo stesso, all’efficacia dei corsi di catechesi, alla familiarità con le Sacre Scritture, alle vie più efficaci per rendere ragione agli altri della speranza cristiana e del vivere nella quotidianità la partecipazione universale al sacerdozio di Cristo, condivisa da ogni cristiano in virtù del Battesimo. I ragazzi e le ragazze riuniti a Baghdad saranno anche sollecitati a far conoscere le proprie aspettative in merito al cammino sinodale avviato nella Chiesa cattolica in vista della prossima Assemblea del Sinodo dei Vescovi.
L’esodo impressionante che negli ultimi lustri ha visto buona parte dei cristiani iracheni lasciare il proprio Paese, ha interessato soprattutto le giovani generazioni di battezzati. L’incontro dei giovani convocato dal Patriarcato caldeo rappresenta un tentativo di farsi carico anche di questo fenomeno, e di interrogarsi sui tesori che conviene custodire e le grazie che occorre mendicare per veder fiorire e rifiorire il miracolo della fede in Cristo nelle vite di ragazzi e ragazze irachene.
Le parole e i gesti disseminati da Papa Francesco durante il suo storico viaggio in Iraq continuano a essere carichi di suggestioni per il presente e il futuro dei cristiani nel Paese dei due fiumi. «Oggi – disse il Papa concludendo l’omelia letta in italiano nella messa celebrata nel pomeriggio di domenica 7 marzo a Erbil - posso vedere e toccare con mano che la Chiesa in Iraq è viva, che Cristo vive e opera in questo suo popolo santo e fedele».
Nei pochi giorni del suo breve e intenso pellegrinaggio tra i dolori e le attese del popolo iracheno, l’85enne Successore di Pietro aveva toccato con mano le tribolazioni e rincuorato le speranze di rinascita di tutto il popolo e della locale comunità cristiana. Da Baghdad a Mosul, da Qaraqosh a Erbil, il Successore di Pietro si è imbattuto nel miracolo di una comunità di fede viva, un popolo di Dio umile e povero, reso ancora più esiguo nei numeri dalle traversie degli ultimi anni, che continua a attingere alla sorgente inesauribile della fede degli Apostoli.
Uomini e donne, giovani e bambini gli avevano raccontato anche i patimenti e i colpi subiti nel recente passato senza accusare, maledire o recriminare. Attestando piuttosto – come disse allora il sacerdote siro cattolico Ammar Yako nella testimonianza resa davanti al Papa a Qaraqosh – che perfino gli anni passati come profughi da lui e dai suoi parrocchiani, cacciati dalle proprie case, non sono stati «anni maledetti, ma benedetti dal Signore, che ha mostrato la sua gloria».