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23 novembre 2021

Ricostruire il Paese, crescere nella fede: il messaggio dei giovani cristiani iracheni

Dario Salvi

Essere parte della ricostruzione di una nazione martoriata da guerre, violenze e dalla pandemia di Covid-19, rafforzare l’appartenenza alla Chiesa caldea e vivere la propria missione al servizio dell’altro con “spirito di carità”.
Questo il messaggio che alcuni giovani, presenti all’incontro promosso dalla Chiesa caldea dal 18 al 20 novembre a Baghdad, hanno voluto affidare ad AsiaNews. Una tre giorni di discussione, di preghiera, che ha permesso a 450 fra ragazzi e ragazze di “avvicinarsi” in maniera ancora più salda alla fede e di riflettere sul futuro della comunità cristiana e della stessa nazione irachena. Come ha sottolineato il patriarca, card. Louis Raphael Sako, nel discorso introduttivo essi sono “il nostro orgoglio” e hanno un ruolo essenziale grazie al loro “slancio creativo” per edificare una Chiesa sempre più “viva e forte”.
Di seguito, le testimonianze raccolte da AsiaNews con la collaborazione del sacerdote caldeo p. Albert Hisham:
Merna Nimat Ayad
23 anni, originaria di Baghdad Laureata in Finanza, lavora in Banca.
La fede mi ha aiutato molto nella vita pratica e nello studio, ma soprattutto nella realtà quotidiana e nelle difficoltà: essa mi ha dato la forza per superare il dolore ed è stata, in alcuni momenti, unica fonte di gioia e speranza. Per il mio Paese chiedo maggiore stabilità e più spazi di libertà. E che i cristiani possano esserne partecipi in modo più efficace della vita della nazione. In questi anni, nelle guerre e nella pandemia, abbiamo perso tanti parenti: un mio zio è stato ucciso dai terroristi. Con la migrazione abbiamo perduto anche tanti conoscenti, ma il primo ad aver sofferto è l’Iraq stesso perché sono venuti meno molti dei suoi cristiani. Di queste giornate di incontri ciò che resta è l’attenzione e l’interesse della Chiesa verso i giovani.
Daniella Rafeeq 
24enne di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Laureata in medicina, lavora come dottoressa.
 La fede mi ha cambiato il modo in cui guardare la vita, perché so che Dio è con me e mi dà la forza per affrontare crisi, paure e difficoltà, di non cedere alla disperazione. Sul piano personale cerco di svolgere sempre la mia missione che è quella di testimoniare Cristo, perché con i nostri gesti possiamo essere esempio vito di carità verso tutti gli iracheni. Vivendo a Erbil, una zona relativamente sicura, non ho affrontato persecuzioni o violenze, ma ho imparato a mettermi al servizio di migranti e rifugiati venuti nella mia città. Con il Covid ho poi capito quanto sia importante essere più responsabili verso la vita degli altri, parenti e non. Infine, grazie a questo incontro ho potuto visitare Baghdad, che è molto bella nonostante le guerre; poi riunirsi con giovani dal nord al sud mi ha ricordato la comune appartenenza alla Chiesa caldea, in una società a maggioranza musulmana.
Waleed Khalid Wiliam 23enne di Bassora, nel sud dell’Iraq. Studi di medicina, oggi svolge la professione di chirurgo dentale.
La fede si è rivelata di grande aiuto in molti momenti di prova affrontati in passato e mi ha saputo infondere grande forza. Sul piano personale vorrei contribuire alla riforma e allo sviluppo del mio Paese, collaborando per migliorarlo attraverso l’onestà e la sincerità [contro ogni tipo di corruzione], partecipando in maniera attiva ai diversi settori della nostra multiforme società. Il Covid-19 e le violenze sono circostanze difficili che hanno fatto emergere l’essenza dei cristiani, lo spirito di carità, l’assistenza materiale e morale soprattutto a favore delle vittime delle guerre e di quanti sono colpiti dalla disoccupazione. Perché la comunità cristiana possa crescere è importante che incontri fra giovani possano ripetersi anche in futuro, avvicinando sempre più persone alla fede.
Ansam Yousif Zaya Allos Originaria di Kirkuk, 35 anni Diplomata in informatica, lavora come dipendente comunale.
 In questi anni travagliati, la fede è stata fonte di grande pace interiore, di fiducia in un Dio misericordioso e che mi ama sempre, anche quando io stessa non sono capace di farlo. Per l’Iraq vorrei un futuro brillante e questa speranza dipende anche dai cristiani, che sono il sale e la luce di questa società. Prima le guerre, l’Isis, poi la pandemia hanno rappresentato dei “giorni dolorosi” per noi cristiani, che ancora oggi siamo chiamati “minoranza”. Ma attraverso il nostro essere comunità e incontri come questo la speranza è di diventare una candela accesa che fa luce in mezzo a questo buio. In questi giorni mi sono sentita parte di un’unica famiglia che è la Chiesa, imparando attraverso i suoi occhi a leggere la parola di Dio.