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28 ottobre 2020

A Mosul, giovani musulmani restaurano la chiesa di Mar Toma. Ma il “ritorno”dei cristiani rimane flebile


Foto A24 News Agency
Sono per lo più musulmani i giovani di Mosul che nei giorni scorsi hanno preso parte ai lavori di pulizia e ripristino della chiesa siro cattolica di Mar Toma (San Tommaso).
L’iniziativa, realizzata dalla organizzazione non governativa “Sawaed Mosuliya”, ha consentito di rimuovere macerie e detriti che ancora ingombravano l’interno e l’esterno del luogo di culto, dopo le devastazioni subite negli anni in cui Mosul era sotto il controllo delle milizie jihadiste del sedicente Stato islamico (Daesh).
Mosul, sottratta al controllo delle milizie jihadiste nel settembre 2017, è al centro di diversi progetti di riqualificazione sponsorizzati anche da organismi internazionali – compresi ONU e Unione Europea - e miranti anche a ripristinare monumenti e luoghi di culto danneggiati per provare a rivitalizzare l’identità plurale, multietnica e multireligiosa della città nord-irachena. Dopo gli anni dell’occupazione jihadista di Mosul, e più di un anno e mezzo dopo la sua liberazione, proprio la chiesa di San Tommaso, ancora ingombra di macerie, aveva ospitato giovedì 28 febbraio 2019 una “Messa per la pace” celebrata dall’Arcivescovo siro cattolico Boutros Moshi.
La ricostruzione del luogo di culto cristiano, gravemente danneggiato ma non distrutto durante l’occupazione jihadista, faceva parte del programma di riqualificazione di monumenti, chiese e moschee messo in agenda dall’Unesco, e finanziato grazie soprattutto a un contributo di 50 milioni di dollari promesso dagli Emirati Arabi Uniti.
Il sacerdote siro cattolico Raed Adel, intervistato dall’emittente A24 News Agency, ha elogiato la generosità dei giovani musulmani che a Mosul lavorano fianco a fianco per tentare di dare nuovo slancio alla città e convincere anche i cristiani fuggiti durante l’occupazione jihadista a far ritorno alle proprie case. 
Negli ultimi anni, il ritorno degli sfollati cristiani a Mosul e nelle aree di tradizionale insediamento, storicamente concentrate nella Piana di Ninive, è stato sempre indicato come una priorità dalle autorità irachene, sia a livello nazionale che a livello locale. Non di meno, già prima dell’esplosione dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia da Covid-19, diverse ricerche e indagini sui processi di contro-esodo hanno documentato in maniera unanime quanto sia scarso il numero di rifugiati cristiani ritornati alle proprie case a Mosul e nella Provincia di Ninive dopo la fine dell’occupazione jihadista.

27 ottobre 2020

Patriarcato caldeo: non c’è stata nessuna “apertura” del Papa ai matrimoni omosessuali


E’ del tutto falso che Papa Francesco abbia manifestato approvazione per il matrimonio tra persone dello stesso sesso, modificando la dottrina della Chiesa cattolica. 
Lo sottolinea in maniera netta il Patriarcato caldeo, guidato dal Patriarca e Cardinale Louis Raphael Sako, attraverso un comunicato ufficiale diffuso dai mezzi di comunicazione patriarcali. 
Il comunicato fa riferimento a resoconti fuorvianti messi in circolazione da social media e reti televisive satellitari seguite anche in Iraq, costruiti intorno a alcuni passaggi montati ad arte nel docufilm “Francesco”, del regista Evgeny Afineevsky, cittadino statunitense nato in Russia, proiettato in anteprima il 21 ottobre alla Festa del Cinema di Roma. 
La Chiesa cattolica e le altre Chiese – si legge nel comunicato – riconoscono che solo il matrimonio naturale tra maschio e femmina “è secondo il disegno divino”, e agli occhi della Chiesa solo il matrimonio tra un uomo e una donna rispetta la legge di Dio e può essere elevato alla dignità di sacramento.
In Occidente – aggiunge il comunicato patriarcale – le Chiese sono separate dallo Stato, e i poteri civili emanano anche leggi non conformi alla dottrina della Chiesa, come quelle che depenalizzano o legalizzano le pratiche abortive. Anche nel docufilm che ha dato pretesto al caso sulle presunte aperture papali ai “matrimoni gay”, il comunicato del Patriarcato caldeo fa notare che in realtà, anche negli spezzoni del docufilm ripresi da una vecchia intervista e rimontati in maniera arbitraria e artificiosa, Papa Francesco “non usa affatto il termine ‘matrimonio’ in riferimento agli omosessuali. 
Il Papa invita la società civile e le famiglie a prendersi cura, amare e proteggere gli omosessuali, e non dice che hanno diritto a formare una famiglia”. Il comunicato del Patriarcato caldeo conclude ribadendo che Il Papa “non ha mai parlato di possibile integrazione degli omosessuali in un matrimonio naturale riconosciuto dalla Chiesa”, e ha sempre ripetuto quanto a riguardo insegna la Chiesa cattolica, che riconosce come matrimonio soltanto “l’unione permanente tra un uomo e una donna”.

21 ottobre 2020

British Ambassador to Iraq visits Chaldean-Syriac-Assyrian town of Alqosh in Nineveh Plains

By SyriacPress
Photo: SyriacPress


The British Ambassador to Iraq, Stephen Hickey, visited the Syriac Chaldean town of Alqosh in Nineveh Plains to speak with Syriac Chaldean Mayor Lara Yousef Zarra and to see firsthand the living conditions in the town. During the visit, the situation in the area was discussed and both sides exchanged views on the economy, tourism, and security concerns.
Ambassador Hickey and his delegation also visited the seventh century Rabban Hormizd Monastery in the mountains outside the Chaldean-Syriac-Assyrian town. Hickey met with Father Raphaël Bidawid, head of Monastery of Our Lady, and Father Danha al-Rahib who gave the ambassador a tour of the tomb of the Prophet Nahum.

Iraq has such an incredibly rich cultural heritage. Privileged to visit Khinis and to learn more from Dr Hasan Qasem about the Assyrian civilisation. The UK will use its cultural heritage fund to help preserve Iraq’s rich heritage. pic.twitter.com/MZa0dLpk7c
— Stephen Hickey October 16, 2020

“Disputed area”
The town of Alqosh and the Chaldean-Syriac-Assyrian Nineveh Plain are considered “disputed” by the KDP-led Kurdish Region in Iraq and the central government in Baghdad. The Kurdish Regional Government (KRG) has Peshmerga forces mobilized and set up strategic roadblocks to strengthen their claim on the area. The central government is present with its security forces and Popular Mobilization Units – semi-independent militias many of them backed by Iran.
To protect their people, the Chaldeans-Syriac-Assyrians have set up their own PMU-force called Nineveh Plain Protection Units which is affiliated with the Shiite PMUs and Brigade 30. The NPU, unfortunately, is relatively small and needs international backing to be able to operate independent and execute the desired self-defense role in the security of the Chaldean-Syriac-Assyrian Nineveh Plain.
Both the KRG and the PMUs try to bring the “disputed” Nineveh Plain under their control. With regards to the PMUs, the 2019 Religious Freedom Report of the U.S. State Department states;
“Yezidis, Christians, and local and international NGOs reported continued verbal harassment and physical abuse by members of the Popular Mobilization Forces (PMF), a state-sponsored organization composed of more than 40 mostly Shia militias originally formed to combat ISIS, including at checkpoints and in and around PMF-controlled towns on the Ninewa Plain. Christians said the PMF controlled the trade roads in the Ninewa Plain, forcing merchants to pay bribes, and controlled real estate in Christian areas. Sources said some government officials sought to facilitate demographic change by providing land and housing for Shia and Sunni Muslims to move into traditionally Christian areas in the Ninewa Plain, Sunni areas in Diyala Province, and Sunni areas in Babil Province. Representatives of minority religious communities said the central government did not generally interfere with religious observances, but local authorities sometimes verbally harassed them.”
With regards to the KRG and its claim, the 2017 Religious Freedom Report of the U.S. State Department states that “Some Yezidis, Christian leaders, and NGOs reported occurrences of harassment and abuses by Kurdistan Regional Government (KRG) Peshmerga and Asayish (internal security) forces, including Asayish-imposed requirements for security permits, which impeded the movement of Yezidis between Dohuk Province and the Sinjar area.” And “Media and government officials continued to state Peshmerga and the PMF prevented displaced Sunni Arabs, Yezidis, Turkmen, and others from returning to their homes in some areas liberated from ISIS.”
The nomination of Syriac Chaldean Mayor Lara Yousef Zarra in 2017 has also been highly criticized. The 2017 Religious Freedom Report states that “In July Christian civil society organizations reported the Assyrian Christian mayors in Al Qosh and Tel Kayf were replaced, reportedly due to corruption, with KDP members who also were Christian. At the direction of the mayor, security forces in Al Qosh arrested and threatened a group who publicly protested this decision. Christian groups stated this was part of a “Kurdization” of their towns.”

Stuck in the middle, highly fragmented Chaldean-Syriac-Assyrian political
Regime change in 2003, the consequent violence, Iranian influence, proxy-militias, a weak and unstable government, ISIS, Chaldean-Syriac-Assyrian displacement from the Nineveh Plain, demographic change, Chaldean-Syriac-Assyrian emigration to the West, etc. etc… all make the prospects for the Chaldeans-Syriacs-Assyrians to survive as an indigenous people in Iraq very dire. Where past criticism focused mostly on the Barzani’s and the Kurdistan Kurds, Iran-backed Shia PMUs have increased their influence at the cost of the Kurds and taken over control of the Nineveh Plain. The Chaldean-Syriac-Assyrian people are stuck in the middle.
Post-ISIS demographic change in the Nineveh Plain is ongoing. The longer it takes for Chaldean-Syriac-Assyrian IDPs to safely return to their homes in the Nineveh Plain, the less likely it is they will ever return at all. So far, only an estimate 35%-40% of the pre-ISIS occupation Chaldeans-Syriacs-Assyrians of the Nineveh Plain have returned. The longer this situation endures the more the Chaldean–Syriac–Assyrian and Christian character of the Nineveh Plain comes under threat.
The failure of Chaldean-Syriac-Assyrian parties to come to inter-party dialogue and real constructive and joint initiatives makes the whole situation even more dire. External powers do and will continue to do all they can to sabotage Chaldean-Syriac-Assyrian inter-party dialogue, and similarly inter-church dialogue.
Internal discord, blaming one and other, and pointing fingers does not help in times of deep existential crisis. If Chaldean-Syriac-Assyrian political parties in Iraq can not come to a memorandum of understanding that sets joint goals and direction for the future of the Chaldean-Syriac-Assyrian people in Iraq, then the future of the Chaldeans-Syriacs-Assyrians as a proud people in their ancient homeland is very much impaired.
The large but scattered Chaldean-Syriac-Assyrian diaspora has a great responsibility and important task in this. It is imperative that the diaspora does not get caught up into this internal discord and blame gaming. That it resists external divide-and-conquer strategies and actively supports and points the way for our political parties and churches to come to formal understanding of common goals an direction.

Patriarca caldeo: una liturgia aggiornata per la missione dei cristiani di oggi


La Chiesa caldea, dietro impulso del patriarca caldeo e dei vescovi, ha di recente rinnovato la liturgia. Una urgenza per venire incontro ai cambiamenti della modernità, in risposta alle rinnovate esigenze dei fedeli e per essere compresa da un mondo musulmano che guarda, e assiste, con crescente interesse alle celebrazioni.
In questo messaggio affidato ad AsiaNews, il card Louis Raphael Sako spiega le ragioni e i passaggi del cambiamento.
Ecco quanto ha scritto:
Il rinnovamento del pensiero e della scienza è uno stato naturale necessario, vitale e legittimo dovuto al cambiamento delle persone, del tempo, della mentalità, della cultura e delle circostanze. In ambito religioso, esso dovrebbe rappresentare una priorità perché molto è cambiato - soprattutto negli ultimi tempi - in seguito all’influenza dei social media che hanno trasformato il mondo in un piccolo villaggio digitale. Ecco perché il rinnovamento del discorso religioso è diventato un’esigenza urgente e imprescindibile. 
In questo senso, la Chiesa non è prigioniera di antiche tradizioni e di un rigido patrimonio basato sull’indottrinamento e la memorizzazione. Essa deve portare la buona novella del Vangelo in ogni tempo e luogo, rispondendo alla chiamata missionaria. La Chiesa è aperta al mondo con uno spirito più pragmatico e olistico, la sua caratteristica principale è l’ecumenismo, non è per un popolo specifico, un genere specifico, una lingua specifica, una geografia specifica, ma è per tutti!

1) Le Chiese cattoliche orientali sono Chiese sui iuris, cioè hanno una struttura (il Sinodo) per il governo della loro vita interna. La Congregazione per le Chiese orientali è stata creata un secolo fa, per aiutare queste realtà a svilupparsi, non per dare ordini o annullare i decreti di un patriarca o del Sinodo quanto, al suo interno, vi è una unanimità. È questo che è fonte di shock per le Chiese ortodosse, non l’aggiornamento liturgico che oggi è una esigenza pastorale e spirituale. Un vescovo assiro ha preso delle copie del nuovo messale e spera che anche loro potranno approfittare dell’occasione per fare una riforma. Il 9 febbraio scorso noi patriarchi orientali cattolici abbiamo incontrato papa Francesco e gli abbiamo espresso le nostre difficoltà. Egli ci ha risposto: “Quando il semaforo è rosso è dura avanzare”. Oggi i nostri vescovi sono tutti laureati, preparati e sono coscienti delle sfide pastorali. 
2) Nella Chiesa caldea vi sono tre anafore: la prima di Addai e Mari, verso il terzo secolo; la seconda di Nestorio e la terza di Teodoro di Mopsuestia. Queste ultime due sono di tradizione bizantina, lunghe e caratterizzate da un vocabolario complesso e di difficile comprensione per la nostra cultura. Da anni non si celebrano più funzioni con queste due ultime anafore.
3) Dato il cambiamento della cultura e della sensibilità della gente che è oggi istruita, insieme ai vescovi abbiamo tentato di fare un aggiornamento basato sul Concilio Vaticano II per aiutare i nostri fedeli a partecipare alla liturgia e vivere ciò che pregano. Un passo che segue le orme di quanto già fatto dalla Chiesa latina. Nella Chiesa non ci sono due criteri. San Crisostomo dice che la liturgia è per l’uomo, non il contrario.
4) Nel Sinodo a Roma del 2005 il comitato formato per attuare l’aggiornamento liturgico ci ha presentato l’anafora di Addai e Mari. I vescovi hanno avanzato diverse proposte ma il presidente del Comitato, che aveva promesso di includere le nostre osservazioni nel testo e per questo lo abbiamo firmato prima della sua pubblicazione. Tuttavia, il presidente non ha inserito le nostre indicazioni e le nostre domande, mantenendo il testo originale. Da qui la decisione unanime di tutti i prelati e dell’allora patriarca Emmanuel Delly di non celebrare con questo nuovo messale. Non era questo ciò che volevamo e chiedevamo come vescovi per la nostra Chiesa. È stato un guaio! 
5) Al momento della mia elezione come patriarca caldeo ho avuto subito a cuore la riforma liturgica, un compito assunto in comunione con i vescovi perché la nostra gente non capisce più la lingua siriaca e il suo vocabolario. La messa non è un museo, ma è un patrimonio comune per parlare alla gente. Inoltre abbiamo preso in considerazione anche i musulmani che seguono le nostre celebrazioni alla televisione o sui social network. In questi anni vi è stata una opera positiva di aggiornamento dell’anafora di Addai e Mari, della seconda di Nestorio e abbiamo preparato una nuova anafora di “San Tommaso” più breve e dinamica, con preghiere che si alternano, ispirata alla nostra liturgia, teologia, spiritualità. La terza anafora di Teodoro rimane valida per chi vuole celebrare on essa, ma non penso che lo farà per lunghezza e vocabolario. Spero che nei Sinodi a venire faremo una ulteriore riforma, tutti i vescovi hanno firmato all’unanimità. Dalla domenica abbiamo cominciato a celebrare con questo messale, mettendo fine alla confusione. Con questo lavoro abbiamo cercato il bene spirituale dei fedeli, che affrontano tanti problemi, soprattutto l’emigrazione. Per la prima volta il messale è in siriaco, arabo, inglese e caldeo dialettale.

* Patriarca caldeo di Baghdad e presidente della Conferenza episcopale irakena

20 ottobre 2020

Christians in Northern Iraq face a second Covid-19 wave (without enough hospital beds)

By America Magazine (The Jesuit Review)
Kevin Clarke 

As nations around the world grapple with the coronavirus pandemic’s second wave, many will struggle to build capacity to care for the sick and provide for the vulnerable. That effort will be especially challenging in places like northern Iraq. The pandemic response in Iraqi-Kurdistan and Nineveh is complicated by political tension and dysfunction and a still-smoldering ISIS insurgency. And civic and donor resources have already been significantly strained by the cost and effort of reconstruction and relocation after years of conflict.
Though the Christian communities around Erbil, like much of Iraq, were largely spared by the first wave of the pandemic in the spring, the numbers of Covid-19 cases and deaths rose dramatically over the summer. After steadying in recent weeks, they appear on the cusp of another significant acceleration.
In Erbil, “we now have about 2,000 families affected by Covid,” said Archbishop Bashar Warda, the spiritual (and these days frequently material) leader of the Chalden Church in Erbil. He reports that 23 members of Erbil’s Christian community have been lost to Covid-19 since March. 
The death toll throughout Iraqi-Kurdistan is of course much higher, approaching 2,100 out of more than 57,000 cases. Nationwide, more than 413,000 have been infected and 10,000 have perished so far.
The archbishop, who responded to questions from America about Erbil’s pandemic response by email, said that sourcing affordable and reliable supplies of effective medicines and oxygen tanks to distribute among Covid-19 victims has become a major preoccupation.
The Archdiocese of Erbil, he said, has agreed to assist the regional government in its efforts to respond to the coronavirus. According to an archdiocesan spokesperson, while the recently opened Maryamana Hospital in the largely Christian Ankawa neighborhood is being used to coordinate treatment of Covid-19 patients in the community, none of the Covid-19 cases have so far been brought into the new facility as a precautionary measure to protect current patients.
The archdiocese’s role had been pivotal in the building of the new hospital. It is perhaps the best equipped in Erbil, but it is small, with about 70 beds and seven I.C.U. units.
Most coronavirus victims are being treated in their own homes by visiting medical teams dispatched from Maryamana. Other patients are being diverted to a temporary facility the archdiocese helped establish to treat active and recovering Covid-19 victims exclusively.
A spokesperson for the archdiocese reports that as the case numbers increase, “a considerable amount of time is spent trying to find oxygen, and the demand exceeds supply.” He said parish priests “visit hospitals in search of oxygen, and there is little guarantee that a supply will be found.”
Many of the Covid-19 patients are indigent and rely completely on the archdiocese for medicine and oxygen supplies. “To go to a private hospital will cost $2,000 per day, and that is without medicines,” Archbishop Warda said, an impossible sum for many of the refugee families and other dislocated people who are largely unemployed and have been for months.
Archbishop Warda detailed conditions in Erbil that sound close to crisis level.
“The public hospitals are not highly thought of nor trusted,” he said. “They also lack oxygen supplies and the beds are full. In order to get a bed you now have to apply for a waiting ticket until someone vacates the bed, either in death or being cured. Therefore there is no real choice, so we handle most of our cases, and some of those for Muslims, in the homes with medicines and oxygen, both of which are in short supply.”
Describing the expensive and time-consuming logistics of maintaining a reliable supply of oxygen for deployment to scores of patients across Erbil, Archbishop Warda said, “A huge and life-saving boost would be if we could afford an oxygen machine to fully fill the bottles at the Maryamana instead of sending them to the factory,” he said. “The machine would cost $60,000. This would be put into our hospital and would save many lives.” The pandemic of course has also created acute economic dislocation in a community ill-prepared to accept one more burden. Unemployment was already high before the pandemic led to even more job losses.
The archdiocese has undertaken efforts to keep food on the table for scores of families across Ankawa. With churches closed and breadwinners out of work, donations and collections within the diocese are down 32 percent, Archbishop Warda said. He worries that overseas Christian agencies that have assisted the archdiocese and its reconstruction efforts in Nineveh Province will soon face their own financial challenges related to the pandemic and may be forced to reduce support.
 Still, the archbishop remains determined to encourage the remnant community of Christians hanging on in northern Iraq. Their numbers had been falling for years before the disorder engendered by the 2003 U.S. invasion of Iraq. The ISIS rampage across Nineveh in 2014 drove the Christian population in northern Iraq to historic lows.
“Education is vital to bring hope to the Christians,” he said. The archdiocese is financially supporting over 60 percent of the tuition—about $2,500 per student—at the Catholic University in Erbil. “Overseas agencies are now sponsoring 26 C.U.E. students,” he said. “We are searching for more sponsors all of the time.” The archdiocese also supports 300 students at other Catholic schools.
A key challenge throughout the pandemic, and one that will continue beyond it, remains “livelihood programs,” said Archbishop Warda—that is, finding or creating work and new businesses for the Christian families who remain. In some communities in northern Iraq and in the Christian villages of the Nineveh Plains, unemployment may reach as high as 70 percent, he said. Kurdistan has endured recession and deep political uncertainty for many years.
The lockdown related to the pandemic has only been an additional, if substantial, blow to an economy that had already been reeling. In northern Iraq the majority of jobs are provided by the government, Archbishop Warda said.
Now only two out of six of those government salaries are being paid.
“We have to find support to help the families during this difficult time,” Archbishop Warda said. “The pandemic has only exacerbated the issues and challenges for my church. We have to look after the community, as there is no government help…. We have to rely on our own initiatives and resources.”
Archbishop Warda implored international bodies to keep up their assistance to the region “to help to get us back on our feet.” Though the task ahead seems daunting, Archbishop Warda is confident that his team can respond to the challenge. The archdiocese has had to learn the hard way how to deal with tremendous logistical challenges. He noted that the Rev. Shwan Kakona, who is helpingcoordinate the pandemic response now, “was in charge of the rental and food program during the ISIS crisis when we had 75,000 [internally dislocated people] and refugees to deal with.” “His experience during that time,” Archbishop Warda said, “is proving invaluable to what we are trying to do for the community.”
      

Christian Refugees From Iraq On Their New Lives In Jordan

By NPR (National Public Radio)
Jane Arraf

TONYA MOSLEY, HOST: A look now at the culinary scene in Amman, Jordan, or at least one place that serves up both authentic Italian dishes and skills. It's inside of a church that tends to Christian refugees from Iraq who are waiting to resettle somewhere else. And while they're in limbo in Jordan, they're learning how to cook.

NPR's Jane Arraf went for a taste. 
JANE ARRAF, (BYLINE): In a kitchen just off the courtyard of St. Joseph's Church in downtown Amman, fettuccini hangs from a wooden rack to dry. The chefs chopping vegetables and clanging pots and pans are Iraqi, but the food - authentic Italian. This is Mar Yusef's Pizza, Arabic for St. Joseph, and the kitchen is part of a training project for Iraqi refugees started by parish priest Mario Cornioli. Father Mario is from Tuscany, and you can tell from the way he describes what he's eating that he loves food.
MARIO CORNIOLI: This is focaccia with mortadella. Oh, my God - remember me when I was young in Italy I close my eyes. I saw my friends, my mom and my dad.
ARRAF: When he came to Jordan five years ago, he found thousands of Christians who took refuge here after being driven from their homes in the north of Iraq.
CORNIOLI: They are waiting to leave for mainly Australia, after Canada and the states. So they are waiting here two, three, four, five, seven years. It's not easy for them.
ARRAF: Jordan, a poor country with high unemployment, allowed them in on condition they didn't work here. So Father Mario came up with projects in which the Iraqis get paid expenses while learning a trade. For dozens of Iraqis, it's the chance to learn how to cook and serve some of the best Italian food in the region.
LEDEN TOMA: I recommend the parmigiana and the ravioli (laughter). These are the tops.
ARRAF: That's Leden Toma, who's 19. He holds a menu listing more than a dozen different pasta dishes and pizza, along with homemade wine, cheese and gelato. Toma and his family came to Jordan three years ago from what had been one of the biggest Christian villages in northern Iraq.
TOMA: There's no place for us there. Even our neighbors, they became against us. They wanted to kill us. So we had to get out of there as fast as we could.
ARRAF: He has relatives in California and Australia. If he ever gets out of here, he dreams of studying pharmacy. Here, he's safe but in limbo. The restaurant, technically a social club, gives the trainees skills they could use in other countries. Behind the high walls of the church, covered with Italian mosaics, there are widely spaced tables in the courtyard and a patio strung with fairy lights. Because of the pandemic, the servers wear face shields. Guests have temperatures checked at the door. Father Mario calls over one of the chefs.
CORNIOLI: Hello, chef Alin. Come. Come here.
ARRAF: Alin Kando has learned to make authentic Italian ravioli and lasagna. Kando, who's 39, left the Christian suburb of Ankawa in the Kurdish city of Irbil two years ago with his wife and young son and daughter.
ALIN KANDO: Because there is no future, there is no life, there is no healthy, nothing for your children.
ARRAF: He says at school in Iraq, teachers tried to persuade his daughter to become Muslim. He came to Jordan hoping to join his sisters and brother in Australia. Most Iraqis of all religions have lived in peace for centuries with each other. But ISIS and its ideology stoked hostility and attacks against Christians, Yazidis and other religious minorities.
Behnam Gebrita is 27. He remembers Iraqis cheering when a bus full of Christians was attacked near his hometown. When he and his family left in 2014 for the safer Kurdistan region of Iraq, they thought they'd be gone only a few days.
BEHNAM GEBRITA: So we wait, like, one year, two years and hope that we will come back there again. But this dream didn't came true, so we take a decision that we will leave Iraq once and forever.
ARRAF: Forever, I ask him.
GEBRITA: Yes, really forever because when you are at your home, at your country and no one there wants you, it's very hard. So we take a final decision that we will not - never come back there.
ARRAF: But it's hard here, too. Gebrita is one of four brothers, all college educated. None can work or afford to get married. Gebrita has a degree in accounting, but if he's caught working here, he'll be deported back to Iraq. He came to Jordan hoping to follow his sister, who managed to get to Australia. But Gebrita has just received his sixth refusal for asylum. He says he doesn't know why they keep being rejected. Father Mario sees the toll it takes.
CORNIOLI: For one week, they are very sad after. They start again and they start again, the paper to present another request, but is very difficult. So sometimes also for me is very difficult.
(CROSSTALK) ARRAF: For now, the Iraqi workers are immersed in a world of Italian cuisine that Father Mario and his network of Italian volunteer artisans have created.
CORNIOLI: I brought one cheesemaker. We start to dream to make pecorino ricotta because for the kitchen we need the ricotta for the ravioli. So the ricotta coming from Italy was terrible. So we start to dream to make a good ricotta.
ARRAF: They got a U.S. government grant to start a women's cooperative in a Jordanian village that ages cheese in a grotto in the village church courtyard. The gelato, including mango, pistachio and tiramisu, is made with fresh milk and fresh fruit from recipes from an Italian ice cream maker who came to impart his 40 years of experience to the Iraqis.
(SOUNDBITE OF BELLS TOLLING)
ARRAF: As dusk falls, the church bells ring. It's Thursday night before the weekend coronavirus lockdown, and people are gathering on the steps of the stone church for mass.
CORNIOLI: This is beautiful music, our bells.
ARRAF: Others have come for dinner with their children.
CORNIOLI: Musa - hi, Musa. Hello, Musa.
ARRAF: Father Mario says at the end of the day, Mar Yousef's Pizza isn't really a restaurant or a pizzeria. It's a pastoral center meant to serve the congregation where they happen to serve the best Italian food in the country.

19 ottobre 2020

«Dans les régions passées sous le contrôle de Daech, toutes les églises ont été vandalisées»

By Le Figaro in Il Sismografo blogspot
Paul Sugy

Le photographe Pascal Maguesyan a dirigé la publication d’un album photo montrant la richesse du patrimoine chrétien en Mésopotamie, et l’ampleur des destructions commises par Daech. Certains de ces monuments sont déjà en reconstruction.

La présence chrétienne en Irak est menacée. Par ce livre, vous avez voulu retracer l’histoire qui lie les chrétiens à la Mésopotamie depuis les premiers temps de l’Eglise: le patrimoine chrétien est une part essentielle de la richesse culturelle de cette région?

Pascal MAGUESYAN.- Le christianisme s’est implanté en Mésopotamie au premier siècle, c’est-à-dire au siècle de Jésus-Christ! Notamment sous l’impulsion de l’un des douze apôtres, Thomas, qui est parti en mission jusqu’en Inde en traversant toute la Mésopotamie. C’est lui le premier à avoir sensibilisé les communautés de la région à la parole chrétienne, et autour de lui se sont constituées les premiers groupes de chrétiens.
L’Église qui aujourd’hui revendique la paternité de Saint Thomas est l’Église apostolique assyrienne de l’Orient, qu’on appelle parfois, tout simplement, Église de l’Orient, ou encre Église nestorienne, du nom du patriarche Nestorius qui fut jugé hérétique par Rome. Renvoyé dans son monastère à Antioche, puis exilé en Haute Égypte, sa théologie imprégna l’Église de l’Orient en Mésopotamie. 
Cette Église fut, jusqu’au temps des croisades, la plus répandue du monde puisqu’elle est allée évangéliser jusqu’en Chine! Les plus curieux pourront lire les travaux de l’historien Sébastien de Courtois, qui est l’un des meilleurs spécialistes de l’histoire de cette communauté chrétienne. Paradoxalement, aujourd’hui, ce n’est plus qu’une petite communauté chrétienne. Elle est autocéphale et possède son propre patriarche.

On compte 400 000 chrétiens d’Irak environ alors qu’ils étaient probablement 1,5 million encore en 1991.

Le reste des chrétiens d’Irak (on en compte 400 000 environ, toutes confessions confondues, alors qu’ils étaient probablement 1,5 million encore en 1991) forme un paysage assez complexe. 
Il y a l’Église chaldéenne, née au XVIe siècle d’un schisme: ce sont des chrétiens de l’Église d’Orient qui ont choisi de rejoindre Rome. Ils sont les plus nombreux. Il y a aussi l’Église syriaque orthodoxe, qui est une église antiochienne répartie également entre la Syrie et la Turquie. 
Puis l’Église arménienne, qui n’est pas autochtone car ses fidèles ne sont pas natifs d’Irak et ne parlent pas le syriaque mais l’arménien. On les trouve essentiellement à Bagdad, et dans quelques villages du Kurdistan irakien. Enfin, quelques petites églises viennent s’ajouter au tableau: grecque orthodoxe, copte, et quelques évangéliques.
Mais parmi les minorités religieuses de la région, il faut dire un mot aussi des Yézidis, qui sont particulièrement menacés depuis le XIXe siècle. Ils étaient peut-être 800 000 en Irak avant le début de ces catastrophes, aujourd’hui leur nombre a diminué de moitié. Ils ont fait l’objet d’une violence particulière, un véritable génocide de la part de Daech. 
Les djihadistes ont investi en très peu de temps notamment le massif montagneux de Sinjar où ils vivaient et se sont livrés à des massacres de type génocidaire: on retrouve encore aujourd’hui des charniers, des associations recensent les témoignages de ce génocide. Plusieurs milliers de jeunes femmes yézidies (peut-être 3 000) ont été kidnappées et se retrouvent aujourd’hui esclaves sexuelles dans des clans islamistes en Irak et dans des pays voisins. 
On essaie depuis la victoire militaire contre Daech en juillet 2017 de les racheter…
Il faut aussi souligner que leur patrimoine a été systématiquement détruit à l’explosif. Les Yézidis ont toujours été considérés comme des «adorateurs du diable», et particulièrement par les islamistes. Leurs vergers d’oliviers à Baashiqa et Bahzani, dans la plaine de Ninive, avec 90 000 arbres, grâce auxquels ils produisaient l’huile sacrée, ont été incendiés par Daech. La barbarie à leur endroit n’a connu aucune limite.
Quelle est l’ampleur des destructions causées par Daech sur le patrimoine religieux de cette région?
C’est très simple: dans toutes les régions passées sous le contrôle de Daech, toutes les églises ont été vandalisées, pillées voire brulées. 100 % d’entre elles ont été profanées. Certaines ont été en partie détruites. Cela concerne la plaine de Ninive et Mossoul en particulier, où les destructions ont été très importantes.
C’est là que se concentrait, dans la vieille ville, la plupart du patrimoine de ces églises. L’intention de Daech, au-delà des pillages, était de détruire le plus possible. Mais il n’a pas eu le temps d’arriver au bout de son projet, heureusement. Par exemple, l’église syriaque-catholique Mar Touma à Mossoul devait être détruite à l’explosif mais les djihadistes n’ont pas eu le temps de passer à l’acte.

Un tiers seulement des ces chrétiens sont revenus
Quelles impressions vous sont venues, tout au long de ce reportage, à la vue de tant de ruines?
Plusieurs mêlés, sans les hiérarchiser. D’abord un état de choc devant l’ampleur des destructions. Ensuite la conscience intime que Daech, dans le fond, ne voulait pas simplement détruire des communautés, ou les contraindre à l’exode ou les soumettre, mais aussi détruire jusqu’au fondement même de leur identité, en annihilant leur patrimoine et tout ce qui permet à ces communautés de s’enraciner dans une histoire profonde et lointaine.
Cela a été un choc de constater que le but était de détruire une civilisation. J’ai été impressionné aussi de voir à quel point les Irakiens sont amoureux de leur patrimoine. Ils sont pris conscience de sa valeur, précisément parce que Daech s’y est attaqué.
C’est beau de voir à quel point les églises locales y sont désormais attachées, à quel point les chrétiens sont fiers et heureux de nous montrer les édifices dans lesquels ils prient, malgré l’ampleur du vandalisme commis.


Les chrétiens aspirent à présent à la stabilité.
On est émerveillé, à la vue de vos photos, par le sens de la fête et la beauté de la liturgie chez ces communautés…
Oui, c’est l’une de leurs grandes forces: la pudeur face à la catastrophe, et leur capacité à surmonter ces drames. Malgré l’exode et les pertes patrimoniales, malgré les autodafés de livres c’est fascinant de voir à quel point ces communautés, même exilées, parviennent à reconstituer et à revivifier leur essence culturelle et spirituelle.
Mais un tiers seulement des ces chrétiens sont revenus, et un autre tiers vit encore dans le Kurdistan d’Irak, sous un statut de déplacé, et le dernier tiers s’est exilé à l’étranger.
Le patrimoine n’a pas entièrement été restauré mais une partie déjà l’a été. Si ces communautés ne parviennent pas à retrouver les sources économiques de leur survie, alors ils ne pourront pas rester. Le travail de restauration du patrimoine permettra de stabiliser les communautés, qui doivent refaire souche.
Il faudra parfois du temps: à Mossoul, seule une cinquantaine de familles sont revenues. Il faut que les efforts politiques et économiques convergent de manière positive pour que les chrétiens reviennent en toute tranquillité. Ils ont besoin d’un cadre sécuritaire, car plus que toute autre communauté, ils sont minoritaires et donc fragiles. Ils ne sont pas agressifs, ils n’aiment pas prendre les armes même si parfois ils y ont été contraints. Mais ils aspirent à présent à la stabilité.

Il Patriarca caldeo al Presidente Salih: Natale diventi giorno festivo per tutti gli iracheni


 
Foto Presidenza irachena 

Un disegno di legge per far sì che il Natale sia ufficialmente riconosciuto come giorno festivo in tutto l’Iraq.
E’ questa la richiesta concreta che il Cardinale Louis Raphael Sako, Patriarca della Chiesa caldea, ha presentato al Presidente iracheno Barham Salih, che sabato 17 ottobre ha ricevuto il Patriarca nella sua residenza.
Durante il colloquio – riferiscono le fonti ufficiali del Patriarcato caldeo e della Presidenza irachena - il Presidente iracheno Barham Salih (ingegnere curdo laureatosi in Gran Bretagna, dove era espatriato ai tempi del regime di Saddam Hussein) ha riconosciuto e esaltato il ruolo delle comunità cristiane nella ricostruzione del Paese, ribadendo il suo impegno a favorire in tutti i modi il ritorno dei cristiani sfollati nei loro territori di provenienza, a cominciare da Mosul e dalla Piana di Ninive, da loro abbandonate durante gli anni della dominazione jihadista.
Il Capo di Stato iracheno ha sottolineato anche l’urgenza di porre fine alle discriminazioni, spesso dissimulate, che di fatto ostacolano la piena e libera partecipazione dei cristiani iracheni alla vita politica, sociale e culturale del Paese.
Lo scorso anno, lo stesso Cardinale Louis Raphael Sako aveva dato disposizione di celebrare il Natale in maniera sobria, senza momenti conviviali pubblici, come segno di vicinanza alle famiglie delle centinaia di morti e dei feriti registrati durante le proteste e gli scontri di piazza che nei mesi precedenti avevano scosso il Paese, e si erano verificati anche dopo la caduta del governo guidato da Adel Abdel Mahdi.
Per questo motivo vennero cancellati anche i tradizionali ricevimenti che vedevano autorità politiche e religiose recarsi presso la sede del Patriarcato caldeo per lo scambio di auguri con il Patriarca e i suoi collaboratori.

13 ottobre 2020

Iraq, nella pandemia a rischio saccheggio beni e antichità


Foto Middle East Eye

La pandemia di nuovo coronavirus colpisce anche tesori della storia e dell’archeologia, non solo le persone, come sta avvenendo in Iraq dove sono sempre più a rischio saccheggio i siti dell’antica Mesopotamia, famosi in tutto il mondo. Già bersaglio privilegiato dello Stato islamico (SI, ex Isis) nel recente passato, che vendeva beni e reperti al mercato nero per finanziare la lotta jihadista, oggi è facile bersaglio di ladri e borseggiatori per la mancanza di personale preposto alla cura e alla sorveglianza. 
Secondo una inchiesta elaborata nella prima decade del duemila dall’ispettorato per le antichità, vi sono oltre 1200 siti archeologici nel solo governatorato sud-orientale di Dhi Qar. Fra questi vi è anche la storia città di Ur, quasi 6mila anni di storia alle spalle, che secondo la tradizione biblica ha dato i natali al patriarca Abramo; dalla sua scoperta, avvenuta nel 1855, fino a oggi è venuto alla luce solo il 5% dei beni e dei tesori che racchiude l’area. 
Escludendo questo sito famoso in tutto il mondo e protetto da barriere per tutta la sua interezza, vi sono molti altre aree storiche e archeologiche che non godono di adeguata protezione o di personale sufficiente per il controllo.
Interpellato da Middle East Eye lo studioso Ali al-Rubaie spiega che questi siti “sono stati oggetto fin da sempre di saccheggi”. Tuttavia, negli ultimi decenni “che coincidono con l’inizio delle sanzioni contro il regime Baath di Saddam Hussein, si è assistito a una rapida escalation delle attività di saccheggio. A dispetto dell’esistenza di severe punizioni, l’attività non si è mai interrotta”. 
Fra le ragioni che hanno permesso la depredazione del patrimonio, vi è pure il fatto che la conservazione dei siti archeologici non è mai stata una priorità per Baghdad e per le forze armate statunitensi, in seguito all’invasione del 2003 che ha determinato la caduta dell’ex raìs. E le forze speciali addestrate per la tutela delle antichità sono state spesso deviate per altre missioni o la difesa di edifici o luoghi dall’importanza strategica a livello militare o istituzionale. 
Studiosi ed esperti invitano a maggiori investimenti per la tutela del patrimonio archeologico, sia a livello di mezzi che di personale. Le antichità vengono trafficate in Giordania o Turchia, per poi venire vendute al mercato nero nella regione e nel mondo finendo per arricchire privati collezionisti. Un problema reso ancor più evidente dalla crisi economica, dalle rivolte sociali e dalla pandemia he hanno caratterizzato l’ultimo anno, impoverendo un Paese ricco di risorse ma che, di rado, vanno a beneficio di tutta la popolazione. 
Inoltre, i tentativi di contenere il Covid-19 hanno assorbito gran parte delle energie e delle risorse economiche governative, prosciugando - se possibile - ancor più i pochi fondi destinati sinora alla tutela del patrimonio culturale. In tutto questo, il crollo dei prezzi del petrolio limitano le prospettive di ripresa economica le cui previsioni parlano di un calo attorno al 10%.

12 ottobre 2020

Padre Paul Iskandar: quattordici anni fa il primo sacerdote ucciso in Iraq

By Baghdadhope*

L'11 ottobre di 14 anni fa venne ritrovato a Mosul il corpo del sacerdote siro-ortodosso Padre Paul Iskandar, rapito due giorni prima. 
Il suo martirio inaugurò la lunga serie di rapimenti ed uccisioni di sacerdoti e vescovi in Iraq tra il 2006 ed il 2008. 
I rapimenti si risolsero in pagamenti di riscatti ma altri servi di Dio furono martirizzati: Padre Ragheed Ghanni, ucciso a sangue freddo insieme a tre suddiaconi nel giugno del 2007 sulla soglia della chiesa dello Spirito Santo a Mosul dove aveva appena celebrato la santa messa, Mons. Faraj Paulus Raho, arcivescovo caldeo della stessa città ritrovato cadavere dopo il rapimento avvenuto nel febbraio del 2008, anche in quel caso davanti alla chiesa dove il prelato aveva appena celebrato messa, e Padre Yousef Adel, sacerdote siro ortodosso ucciso a Baghdad il 5 aprile di quello stesso anno
Il funerale di Padre Padre Paul Iskandar, mutilato e decapitato dai suoi rapitori, fu celebrato nella Cattedrale di Mar Ephrem, la chiesa dove serviva e dove era stato ordinato sacerdote nel 1989 dall'allora vescovo di Mosul, Mor Gregorius Saliba Chamoun, che aveva precipitosamente abbandonato il sinodo che si stava svolgendo a Damasco non appena ricevuta la notizia del rapimento.
Il corpo fu poi sepolto nel cimitero dei sacerdoti nella chiesa dell'Immacolata, già colpita da un autobomba nel dicembre del 2009 e poi distrutta dall'ISIS nel 2015, durante il periodo di occupazione della città. 
In occasione del funerale alcuni familiari del sacerdote, seppure in forma anonima per timore di vendette, avevano confermato la richiesta di un riscatto da parte dei rapitori che avevano chiesto anche una esplicita condanna da parte della chiesa siro ortodossa del discorso fatto 
da Papa Benedetto XVI a Ratisbona
Condanna che le chiese siro ortodosse irachene avevano già reso pubblica esponendo dei cartelli a proposito già prima del rapimento di Padre Iskandar. 
 

7 ottobre 2020

Restituiti alcuni dei manoscritti trafugati dall'ISIS dalle chiese di Mosul.

By Baghdadhope*

Restituiti all'Arcidiocesi siro ortodossa di Mosul 20 manoscritti trafugati dai membri dell'ISIS durante il periodo di occupazione della città. 
A riceverli dalle mani delle forze speciali che li hanno recuperati è stato il vescovo Mons. Nicodemus Dawood Sharaf che ha affermato come ad essere stati trafugati dalle chiese in quel periodo siano stati circa 300 manoscritti di varie epoche dei quali fino ad ora ne sono stati recuperati un'ottantina. 
A riportare la notizia il sito Ankawa.com dal quale è tratta la foto.  


Mesopotamia: da culla di civiltà a culla di violenza. Mons. Najeeb Michaeel, Arcivescovo caldeo di Mosul a Bruxelles

By Baghdadhope*

Il sito web Ankawa.com ha riportato la notizia della conferenza tenuta a Bruxelles dall'Arcivescovo caldeo di Mosul, Mons. Najeeb Michaeel su invito della coalizione di destra Identità e Democrazia, presieduta dal leghista Marco Zanni dalla cui pagina Facebook è tratta la foto. 
L'incontro è avvenuto in occasione dell'accettazione da parte del prelato della candidatura al premio Sacharov.  
Secondo Ankawa.com l'Arcivescovo di Mosul ha espresso la convinzione dell'impossibilità di imporre all'umanità una cultura monocolore e sottolineato la necessità, invece, di sostenere e promuovere i valori della tolleranza e della diversità.
L'Arcivescovo si è detto poi pronto a continuare a lavorare con tutte le parti non solo per salvare l'identità cristiana in Medio Oriente ma tutte le persone che vi abitano e la loro eredità culturale in generale. 
A proposito dell'opera di recupero e messa in sicurezza di migliaia di manoscritti e testi antichissimi salvati dalla furia distruttrice dell'ISIS Mons. Michaeel ha affermato come il suo lavoro sia stato reso possibile dalla collaborazione con tutte le parti che in quei momenti la stavano subendo.
D
ella sua candidatura al premio Sacharov il prelato ha poi affermato come il fine ultimo non sia quello di uccidere i terroristi, quanto piuttosto quello di liberare le loro menti dal buio. 
Il discorso di Mons. Najeeb è terminato, sempre secondo quanto riferisce Ankawa.com, con un appello alle autorità europee perchè aiutino la regione mesopotamica, un tempo culla della civiltà e ora diventata "culla della violenza."

7 ottobre

Card Sako: l’enciclica luce in un tempo di guerre, settarismo e persecuzioni


Un documento che arriva “in un tempo di confusione totale, di guerre e di tensioni, di settarismo e di persecuzioni” per portare luce, quando richiamando il Vangelo afferma che “siamo tutti fratelli e dobbiamo collaborare su un piano di solidarietà”.
 È quanto sottolinea ad AsiaNews il patriarca caldeo, card Louis Raphael Sako, commentando la pubblicazione dell’enciclica “Fratelli tutti” di papa Francesco e suo stretto legame con il documento firmato ad Abu Dhabi nel febbraio 2019 con il grande imam di al-Azhar. “Questo testo - prosegue - esorta a vivere nella pace, nella gioia, nella dignità mettendo da parte le inimicizie, gli interessi privati”. 
Per il primate caldeo è essenziale il riferimento “alla carità, alla fraternità, alla giustizia e al perdono, all’amore per i poveri”. Questo, prosegue, è “un testo base per Paesi in cui vi sono guerre e devastazioni come lo stesso Iraq, la Siria, il Libano, la Libia o lo Yemen per far capire che la soluzione non è mai quella militare, ma diplomatica per mettere fine alle morte di tante persone”. 
L’invito alla misericordia, la parabola del buon samaritano la cui figura è apprezzata anche da fedeli di altre religioni è un invito “a redistribuire i beni secondo un criterio di giustizia”, perché “non sia solo per me, ma a vantaggio anche degli altri. Un richiamo che viene dalla Bibbia, quella del papa diventa una voce profetica in un mondo oscuro: lo ha detto lo stesso imam di al-Azhar, che questa enciclica è venuta alla luce perché oggi il mondo attraversa una fase oscura”. 
Nella fraternità vi è una delle caratteristiche più alte del cristianesimo: “I musulmani - spiega - parlano di una fraternità fra loro, una fraternità umana. Il riferimento del pontefice è più vasto, come nel Vangelo quando si esorta ad amare i nemici. Questo è un aspetto peculiare del cristianesimo e, partendo da questo elemento, dobbiamo aiutare gli altri a imparare a perdonare, a riconciliarci, a capire che la vendetta è un male. Un cambiamento radicale anche per i musulmani”. 
“Oggi vi è l’urgenza di un risveglio spirituale, non solo cristiano ma anche per ebrei, musulmani, indù” sottolinea il porporato, perché “a causa della globalizzazione e della crescente secolarizzazione, acuita dai social media, abbiamo trascurato questi valori”. “Dobbiamo contribuire - aggiunge - a questo risveglio spirituale, che rappresenta un dovere per noi cristiani. Il papa ci chiede tutto questo, esortandoci a pensare a una politica, una strategia diversa” perché quella attuale è stata annichilita “da guerre, da violenze e, da ultimo, dalla pandemia di nuovo coronavirus”. 
Nell’enciclica vi è un ampio passaggio dedicato ai migranti, un fenomeno ben noto per la realtà cristiana irakena più che dimezzata per un esodo massiccio negli ultimi 20 anni.
“Se, da un lato, è doveroso fornire accoglienza - afferma il patriarca caldeo - dall’altro è importante eliminare le cause che determinano la fuga. Oggi c’è un problema economico, politico e la comunità internazionale deve creare le basi perché vi siano condizioni di vita degne sul posto, non forzare le persone ad andarsene. Tutti devono contribuire allo sviluppo della nazione”. 
Il card Sako sottolinea infine la necessità di rendere “più fruibile il testo, che non deve finire sugli scaffali delle biblioteche”, ma diventare “elemento vivo, parte della quotidianità aiutando la gente a capirlo dando loro gli strumenti necessari”. Al riguardo, il patriarcato caldeo “ha pubblicato riassunti di alcune parti in arabo” ma, questo è l’invito del porporato, la Curia Romana stessa deve “elaborare riassunti, video esplicativi perché possa essere compreso e letto anche dalle autorità musulmane, dai leader di governo anche qui in Iraq. In un periodo storico in cui la gente fatica a leggere - conclude - è importante fornire nuovi mezzi per la sua diffusione: giustizia, migrazione, redistribuzione di beni e ricchezze sono temi attuali per tutti, dobbiamo diffondere la parola come i Padri della Chiesa, perché il papa non parla solo ai cristiani ma si rivolge a tutti”.

6 ottobre 2020

Commissione ad hoc indagherà sugli espropri illegali delle terre di cristiani nel Kurdistan iracheno


L’Ufficio di Presidenza della Regione autonoma del Kurdistan iracheno ha indicato al governo regionale di disporre la creazione di una Commissione ad hoc incaricata di verificare, documentare e perseguire i sistematici espropri illegali di terreni e beni immobiliari subiti negli ultimi anni da proprietari cristiani, soprattutto nel Governatorato (Provincia) di Dohuk.
La decisione è maturata anche grazie alla mobilitazione del Comitato indipendente per i diritti umani, che alla fine di luglio aveva presentato alle autorità della Regione autonoma del Kurdistan una istanza in cui si chiedeva la creazione di un organismo ad hoc, comprendente anche rappresentanti di vari ministeri, con il mandato di affrontare il problema.
Il 12 agosto – riferisce il sito d’informazioni ankawa.com - l’Ufficio della Presidenza regionale ha dato seguito all’istanza, inviando al Consiglio dei ministri regionale la richiesta di istituire la Commissione istruttoria incaricata di raccogliere documentazione, ascoltando le richieste e le giustificazioni delle parti coinvolte.
La Commissione sarà anche chiamata a disegnare una cera e propria mappa delle proprietà dei cristiani fatte oggetto di esproprio abusivo negli anni in cui tutta l’area nord-irachena viveva la drammatica esperienza connessa alle conquiste delle milizie jihadiste di Daesh e alla creazione dell’auto-proclamato Stato Islamico.
Il lavoro della Commissione punterà a sanzionare i soprusi subiti da proprietari cristiani, e a porre le condizioni per garantire che il fenomeno non si ripeta. Gli espropri su vasta scala di terreni e beni immobiliari appartenenti a famiglie cristiane sire, assire e caldee della regione del Kurdistan iracheno, come riferito dalla Agenzia Fides  furono denunciati con particolare veemenza nel 2016.
Secondo le denunce presentate, gli espropri illegali venivano messi in atto da concittadini curdi, che operavano singolarmente o in maniera coordinata con altri membri del proprio clan tribale.
Già a quel tempo il dottor Michael Benjamin, direttore del Centro Studi Ninive, riferiva che nel solo governatorato di Dohuk esisteva una lista di 56 villaggi in cui l'area di terreno sottratto illegalmente a famiglie cristiane era pari a 47.000 acri.
Il 13 aprile 2016, alcune centinaia di cristiani siri, caldei e assiri, provenienti dalla regione di Nahla (Governatorato di Dohuk) avevano organizzato una manifestazione davanti al Parlamento della Regione autonoma del Kurdistan iracheno (vedi foto) per protestare contro le espropriazioni illegali dei propri beni immobiliari subite negli anni precedenti ad opera di influenti notabili curdi, già più volte denunciate senza esito presso i tribunali competenti.
I manifestanti esponevano cartelli e striscioni, compreso uno in inglese con la scritta “Gli Usa e i Paesi occidentali sono responsabili di ciò che accade e viene perpetrato contro il nostro popolo in Iraq”.
Negli ultimi anni, gli espropri illegali hanno preso di mira in maggior parte terre e case appartenenti a cristiani che hanno lasciato l'area soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, per sfuggire ai conflitti regionali e alle violenze settarie e tribali esplose con maggior virulenza dopo gli interventi militari delle coalizioni internazionali.

5 ottobre 2020

Iraq: ieri chiese riaperte. Card. Sako (patriarca), “mondo intero ha bisogno di risveglio spirituale per godere di pace e stabilità”


Foto Patriarcato Caldeo
Un invito a pregare per l’Iraq, “che sta attraversando una crisi difficile”, per il Libano, la Siria, lo Yemen e la Libia è stato lanciato ieri dal patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, durante la messa celebrata nella chiesa del Rosario nella capitale irachena.
 Dopo più di 7 mesi di chiusura a causa del Covid, ieri per la prima volta i fedeli, anche se in piccolo numero, hanno potuto partecipare alle messe nelle chiese riaperte.
“Il mondo intero ha bisogno di un risveglio spirituale per godere della pace e della stabilità”, ha affermato il patriarca ricordando analoghi inviti di Papa Francesco a pregare “per la Chiesa perché possa compiere la sua missione con sincerità, integrità e con occhio vigile”.
“Il periodo di quarantena trascorso in casa
– ha affermato Mar Sako – nonostante sia stato difficile, ha avuto il beneficio di rafforzare il rapporto tra i membri della famiglia e la spiritualità cristiana attraverso la pratica della preghiera e del silenzio, la meditazione e una lettura approfondita della Bibbia”.
È in mezzo alle “tenebre”, ha aggiunto il cardinale, che “il credente trova uno spiraglio di luce e l’incoraggiamento a condurre una vita dignitosa. Dio, infatti, non è ignaro del nostro dolore e dei nostri bisogni. Egli vuole che andiamo da lui”.

2 ottobre 2020

Baghdad, dopo sette mesi messe aperte ai fedeli


“Iniziamo domenica prossima, piano piano, con tanta speranza, emozione e felicità, secondo le capacità di ciascuna chiesa, secondo un numero che sarà limitato perché dobbiamo mantenere le distanze”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Basilio Yaldo, ausiliare di Baghdad e stretto collaboratore del patriarca Louis Raphael Sako, commentando la riapertura delle chiese ai fedeli della capitale per domenica 4 ottobre. “Se un luogo di culto ha una capacità di 550 posti, ne accoglieremo un centinaio, con un massimo di due persone per banco. Ma è una bella notizia, dopo oltre sette mesi di chiusure”. 
La decisione, spiega il prelato, è frutto di una presa di coscienza collettiva: “Dato che dovremo convivere con il coronavirus per lungo tempo, abbiamo deciso di riaprire le porte delle chiese in modo graduale. In questi giorni aprono anche le moschee, il governo ha disposto la ripresa di molte attività, per questo pure noi ci siamo mossi. È necessario convivere con questo virus, rispettando le indicazioni dei sanitari e delle autorità, prestando attenzione ma garantendo al contempo sostegno ai fedeli”.
L’Iraq è una delle nazioni del Medio oriente più colpite dal nuovo coronavirus, che si somma ad altri problemi annosi come povertà e violenze portando il Paese sull’orlo del collasso. Sulla pandemia è intervenuto a più riprese anche il patriarca caldeo, il card Louis Raphael Sako, il quale ha sottolineato he la pandemia è occasione per ripensare a una fede “più profonda” e a una società più “solidale”, cogliendo le “opportunità” di questo periodo drammatico.
Con una nota pubblicata sul proprio sito, il patriarcato caldeo ha annunciato il “graduale ritorno” dei fedeli alla messa nelle chiese della capitale, Baghdad, a partire da domenica 4 ottobre. Una ripresa delle funzioni in presenza, precisa il documento, che è “subordinato” al rispetto di una serie di procedure rigorose per scongiurare contagi all’interno. 
In primo luogo il numero dei fedeli deve essere “appropriato” in base alle “capacità” del luogo di culto. Inoltre vi è richiesta di un rispetto rigoroso del “distanziamento sociale” fra le persone, cui si affianca l’obbligo “di indossare mascherina e guanti”. All’ingresso sono posizionati detergenti e disinfettanti per la pulizia delle mani, mentre al termine di ogni funzione si terrà una opportuna igienizzazione dei locali. 
Durante la messa sarà fatto divieto di baciarsi, stringersi le mani o salutarsi con inchini troppo ravvicinati ed è “preferibile che gli anziani non assistano” in quanto categoria più fragile ed esposta alle conseguenze peggiori del nuovo coronavirus. In caso di scoperta di positività dopo aver partecipato a una funzione, il fedele è tenuto a informare i responsabili del patriarcato per le opportune operazioni di tracciamento. Infine, al sacerdote è data facoltà di celebrare da una a tre messe a seconda delle richieste di partecipazione e ciascuna di essere potrà ospitare un numero di persone variabili fra 50 e 100 a seconda delle capacità della chiesa stessa. Queste disposizioni, conclude la nota, si applicano anche alle altre attività della parrocchia. 
“In questi sette mesi - osserva l’ausiliare di Baghdad - la gente ha avuto molta paura, la maggior parte ha scelto di chiudersi in casa per evitare il contagio. Noi, come Chiesa, abbiamo cercato di restare vicino alle persone e sostenere attraverso aiuti e donazioni le famiglie più in difficoltà. Ogni mese o due, a seconda dei momenti, distribuivamo duemila dollari per parrocchia, per l’acquisto di beni di prima necessità. Oltre a una vicinanza materiale, abbiamo mantenuto viva anche la presenza spirituale visitando le famiglie e celebrando messe e preghiere online. Uno degli elementi positivi emersi in questi mesi di pandemia è proprio la solidarietà che si è sentita fra le persone, una Chiesa viva e che non trascura nessuno”. 
Infine, mons. Yaldo ricorda i momenti della malattia quando è risultato positivo al nuovo coronavirus assieme ad un altro vescovo, un sacerdote (il 68enne p. Salah, deceduto in soli quattro giorni) e tre suore. “Sono rimasto isolato 10 giorni all’interno del patriarcato, nella mia stanza, salvo brevi momenti in giardino per godere di un po’ di sole. Non ho avuto grossi sintomi e si è risolta in modo spontaneo. La speranza - conclude - è che la situazione possa migliorare in un futuro prossimo, anche se nulla tornerà come prima. Resta la speranza, l’ottimismo con il quale ci rivolgiamo ai fedeli e diciamo loro di tornare in chiesa. Un primo passo, di un lungo cammino”.

1 ottobre 2020

Bartella Rockets Target Erbil


On Wednesday evening, six rockets were launched at the border of Bartella (Nineveh Province) towards Erbil International Airport. The targets were not hit and no damage was caused. The Kurdish Regional Government (KRG) called the Iraq Central Government (ICG) and asked that the perpetrators be held accountable.
Nineveh is a disputed territory between the KRG and ICG, but is currently largely controlled by Popular Mobilization Forces (PMF) who are supposed to be under the authority of the ICG. This technicality is not observed in practice, as much of the PMF are loyal to Iran not Baghdad. PMF militia Brigade 30 controls the area around Bartella. This is notable for two reasons.
First, Bartella is a historically Christian village that was displaced because of the ISIS genocide. Locals have been unable to return because of forced demographic change largely encouraged by Brigade 30. Bartella is located a few minutes’ drive north of Iraq’s largest Christian city, Qeraqosh. Security related incidents in Bartella naturally impact Qeraqosh, and rockets fired from Bartella worsen the security environment, thus decreasing the confidence of Christians to live in their traditional homeland.
Second, Brigade 30 has come under much pressure from the United States. Last year, the US sanctioned their leader for gross human rights violations. Within the past few days, the US has taken a stronger stance against PMF militias (who frequently target foreign missions and bases) which has resulted in Baghdad forcing leadership change amongst some PMF units. Brigade 30’s commander was removed and replaced with his assistant. Brigade 30 has a long history of harassing and intimidating local Christians.