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2 ottobre 2020

Baghdad, dopo sette mesi messe aperte ai fedeli


“Iniziamo domenica prossima, piano piano, con tanta speranza, emozione e felicità, secondo le capacità di ciascuna chiesa, secondo un numero che sarà limitato perché dobbiamo mantenere le distanze”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Basilio Yaldo, ausiliare di Baghdad e stretto collaboratore del patriarca Louis Raphael Sako, commentando la riapertura delle chiese ai fedeli della capitale per domenica 4 ottobre. “Se un luogo di culto ha una capacità di 550 posti, ne accoglieremo un centinaio, con un massimo di due persone per banco. Ma è una bella notizia, dopo oltre sette mesi di chiusure”. 
La decisione, spiega il prelato, è frutto di una presa di coscienza collettiva: “Dato che dovremo convivere con il coronavirus per lungo tempo, abbiamo deciso di riaprire le porte delle chiese in modo graduale. In questi giorni aprono anche le moschee, il governo ha disposto la ripresa di molte attività, per questo pure noi ci siamo mossi. È necessario convivere con questo virus, rispettando le indicazioni dei sanitari e delle autorità, prestando attenzione ma garantendo al contempo sostegno ai fedeli”.
L’Iraq è una delle nazioni del Medio oriente più colpite dal nuovo coronavirus, che si somma ad altri problemi annosi come povertà e violenze portando il Paese sull’orlo del collasso. Sulla pandemia è intervenuto a più riprese anche il patriarca caldeo, il card Louis Raphael Sako, il quale ha sottolineato he la pandemia è occasione per ripensare a una fede “più profonda” e a una società più “solidale”, cogliendo le “opportunità” di questo periodo drammatico.
Con una nota pubblicata sul proprio sito, il patriarcato caldeo ha annunciato il “graduale ritorno” dei fedeli alla messa nelle chiese della capitale, Baghdad, a partire da domenica 4 ottobre. Una ripresa delle funzioni in presenza, precisa il documento, che è “subordinato” al rispetto di una serie di procedure rigorose per scongiurare contagi all’interno. 
In primo luogo il numero dei fedeli deve essere “appropriato” in base alle “capacità” del luogo di culto. Inoltre vi è richiesta di un rispetto rigoroso del “distanziamento sociale” fra le persone, cui si affianca l’obbligo “di indossare mascherina e guanti”. All’ingresso sono posizionati detergenti e disinfettanti per la pulizia delle mani, mentre al termine di ogni funzione si terrà una opportuna igienizzazione dei locali. 
Durante la messa sarà fatto divieto di baciarsi, stringersi le mani o salutarsi con inchini troppo ravvicinati ed è “preferibile che gli anziani non assistano” in quanto categoria più fragile ed esposta alle conseguenze peggiori del nuovo coronavirus. In caso di scoperta di positività dopo aver partecipato a una funzione, il fedele è tenuto a informare i responsabili del patriarcato per le opportune operazioni di tracciamento. Infine, al sacerdote è data facoltà di celebrare da una a tre messe a seconda delle richieste di partecipazione e ciascuna di essere potrà ospitare un numero di persone variabili fra 50 e 100 a seconda delle capacità della chiesa stessa. Queste disposizioni, conclude la nota, si applicano anche alle altre attività della parrocchia. 
“In questi sette mesi - osserva l’ausiliare di Baghdad - la gente ha avuto molta paura, la maggior parte ha scelto di chiudersi in casa per evitare il contagio. Noi, come Chiesa, abbiamo cercato di restare vicino alle persone e sostenere attraverso aiuti e donazioni le famiglie più in difficoltà. Ogni mese o due, a seconda dei momenti, distribuivamo duemila dollari per parrocchia, per l’acquisto di beni di prima necessità. Oltre a una vicinanza materiale, abbiamo mantenuto viva anche la presenza spirituale visitando le famiglie e celebrando messe e preghiere online. Uno degli elementi positivi emersi in questi mesi di pandemia è proprio la solidarietà che si è sentita fra le persone, una Chiesa viva e che non trascura nessuno”. 
Infine, mons. Yaldo ricorda i momenti della malattia quando è risultato positivo al nuovo coronavirus assieme ad un altro vescovo, un sacerdote (il 68enne p. Salah, deceduto in soli quattro giorni) e tre suore. “Sono rimasto isolato 10 giorni all’interno del patriarcato, nella mia stanza, salvo brevi momenti in giardino per godere di un po’ di sole. Non ho avuto grossi sintomi e si è risolta in modo spontaneo. La speranza - conclude - è che la situazione possa migliorare in un futuro prossimo, anche se nulla tornerà come prima. Resta la speranza, l’ottimismo con il quale ci rivolgiamo ai fedeli e diciamo loro di tornare in chiesa. Un primo passo, di un lungo cammino”.