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13 ottobre 2020

Iraq, nella pandemia a rischio saccheggio beni e antichità


Foto Middle East Eye

La pandemia di nuovo coronavirus colpisce anche tesori della storia e dell’archeologia, non solo le persone, come sta avvenendo in Iraq dove sono sempre più a rischio saccheggio i siti dell’antica Mesopotamia, famosi in tutto il mondo. Già bersaglio privilegiato dello Stato islamico (SI, ex Isis) nel recente passato, che vendeva beni e reperti al mercato nero per finanziare la lotta jihadista, oggi è facile bersaglio di ladri e borseggiatori per la mancanza di personale preposto alla cura e alla sorveglianza. 
Secondo una inchiesta elaborata nella prima decade del duemila dall’ispettorato per le antichità, vi sono oltre 1200 siti archeologici nel solo governatorato sud-orientale di Dhi Qar. Fra questi vi è anche la storia città di Ur, quasi 6mila anni di storia alle spalle, che secondo la tradizione biblica ha dato i natali al patriarca Abramo; dalla sua scoperta, avvenuta nel 1855, fino a oggi è venuto alla luce solo il 5% dei beni e dei tesori che racchiude l’area. 
Escludendo questo sito famoso in tutto il mondo e protetto da barriere per tutta la sua interezza, vi sono molti altre aree storiche e archeologiche che non godono di adeguata protezione o di personale sufficiente per il controllo.
Interpellato da Middle East Eye lo studioso Ali al-Rubaie spiega che questi siti “sono stati oggetto fin da sempre di saccheggi”. Tuttavia, negli ultimi decenni “che coincidono con l’inizio delle sanzioni contro il regime Baath di Saddam Hussein, si è assistito a una rapida escalation delle attività di saccheggio. A dispetto dell’esistenza di severe punizioni, l’attività non si è mai interrotta”. 
Fra le ragioni che hanno permesso la depredazione del patrimonio, vi è pure il fatto che la conservazione dei siti archeologici non è mai stata una priorità per Baghdad e per le forze armate statunitensi, in seguito all’invasione del 2003 che ha determinato la caduta dell’ex raìs. E le forze speciali addestrate per la tutela delle antichità sono state spesso deviate per altre missioni o la difesa di edifici o luoghi dall’importanza strategica a livello militare o istituzionale. 
Studiosi ed esperti invitano a maggiori investimenti per la tutela del patrimonio archeologico, sia a livello di mezzi che di personale. Le antichità vengono trafficate in Giordania o Turchia, per poi venire vendute al mercato nero nella regione e nel mondo finendo per arricchire privati collezionisti. Un problema reso ancor più evidente dalla crisi economica, dalle rivolte sociali e dalla pandemia he hanno caratterizzato l’ultimo anno, impoverendo un Paese ricco di risorse ma che, di rado, vanno a beneficio di tutta la popolazione. 
Inoltre, i tentativi di contenere il Covid-19 hanno assorbito gran parte delle energie e delle risorse economiche governative, prosciugando - se possibile - ancor più i pochi fondi destinati sinora alla tutela del patrimonio culturale. In tutto questo, il crollo dei prezzi del petrolio limitano le prospettive di ripresa economica le cui previsioni parlano di un calo attorno al 10%.