Pagine

19 dicembre 2019




Buon Natale e Buon Anno Nuovo

Edo Bri'cho o Rish d'Shato Brich'to

عيد ميلاد سعيد وسنة ميلادية مباركة

Happy Christmas and Happy New Year

Feliz Navidad y Feliz Año Nuevo

Feliz Natal e Feliz Ano Novo


Joyeux Noël et Bonne Année

Fröhliche Weihnachten und Gutes Neues Jahr

God Jul och Gott Nytt År

By Baghdadhope*

Cathedral in Iraq’s largest Christian town to be rebuilt in 2020

By Catholic Herald

The Great Al-Tahira Immaculate Conception Cathedral in Bakhdida remains charred black inside, five years after the Islamic State plundered and set it aflame; however, in 2020 the Syriac Catholic cathedral will be restored as Iraq’s largest Christian community fights to rebuild and regain what was lost.
“It is a very significant church because it was built from the donations of local people, agriculture workers,” Fr. Georges Jahola, a parish priest from Bakhdida, told CNA.
Bakhdida, also known as Qaraqosh, is located 20 miles southeast of Mosul. Fr Jahola said that the local Christians hope that in the future their town will be referred to as as Bakhdida, the Aramaic and more historic name of their town, rather than Qaraqosh, a Turkish name that came from the Ottoman Empire.
The cathedral in Iraq’s Nineveh Plains was constructed from 1932-1948 as Catholic farmers donated each year from their harvest, the priest explained. The Great Al-Tahira served a growing Christian community, until the Islamic State turned the cathedral into an indoor shooting range from 2014-2016.
After Bakhdida’s liberation from the Islamic State in 2016, Masses resumed in the damaged cathedral as Christians returned to rebuild their community. Aid to the Church in Need committed to completely restore the cathedral’s fire-damaged interior in late 2019.
Christianity has been present in the Nineveh plain in Iraq – between Mosul and Iraqi Kurdistan – since the first century.
Rebuilding the 6,936 damaged homes in Bakhdida began in earnest in May 2017, and since then more than half have been completed, Fr. Jahola said.
The latest rebuilding statistics for Bakhdida divide the rebuilt homes into three categories: completed destroyed, partially destroyed, and partially damaged.
Of the 2,100 homes that were burnt and partially destroyed in Bakhdida, 818 homes have been rebuilt and 1,282 remain in need of repair. Thirty-two of the homes that were completely destroyed have been totally rebuilt, while 30 such houses remain. A little over half of the 4,774 homes that were partially damaged by the Islamic State in the city have been repaired.
“With the help of many NGOs we were able to rebuild many houses,” he said, noting the contributions of Aid to the Church in Need, Samaritan’s Purse, the Salt Foundation, SOS Chrétiens d’Orient, Malteser International, Fraternity in Iraq, and others to Bakhdida.
The Hungarian government office for Aid of Persecuted Christians announced in October a partnership with U.S. Agency for International Development to contribute to the rebuilding of homes in Bakhdida and Sinjar in northern Iraq.
“It is indeed the cradle of Christianity,” Tristan Azbej, Hungarian State Secretary for the Aid of Persecuted Christians told CNA.
“What we have partnered for is that Hungary would provide donations of local Syriac rite Orthodox Church to reconstruct close to 100 local homes and USAID will provide donations and provision of reconstruction of the market center for the local businesses of the town Qaraqosh Baghdeda,” he said.
Fr. Jahola told CNA that Bakhdida needs news jobs. “Young people have no work, so some of them go to Erbil or leave Iraq,” he said. “It isn’t easy. Also because Iraq now is in an unstable political situation.”
At least 400 people have died since anti-government protests began across Iraq in October.
Among the Syriac Catholic, Syriac Orthodox, Chaldean, Armenian, Assyrian, and Muslim commities in Bakhdida, there was one reconstruction committee that has worked together to manage rebuilding, Jahola said.
The Al-Tahira Cathedral was one of four churches in Bakhdida to be desecrated and burnt by the Islamic State: two Syriac Catholic churches and two Syriac Orthodox.
Fr. Jahola is the parish priest of the Syriac Catholic Church of Mar Behnam and Mart Sarah, a desecrated church that was renovated and rededicated on the feast of the Assumption of Mary this year.
“I think it is very important to support this town because it is the biggest symbol of Christianity in Iraq. Until now, we kept it as a Christian city, but we do not know what the future will bring for us,” he said.
An estimated 225,000 Christians remain in Iraq, according to In Defence of Christians.

P. Samir: fra i profughi di Mosul un Natale di croce e speranza

By Asia News

A cinque anni dalla loro fuga, la vita per i profughi di Mosul e della piana di Ninive nel Kurdistan irakeno è ancora “difficile: giornate intere senza elettricità”, gli aiuti “che sono sempre meno” e il lavoro “che manca”, mentre l’opera di ricostruzione arranca. Tuttavia, a dispetto “delle preoccupazioni e della fatica” la partecipazione “alle messe, agli incontri, alla vita di comunità mostrano che la fede è viva e salda”. È quanto racconta ad AsiaNews p. Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya, che in questi anni ha curato migliaia di cristiani, musulmani e yazidi fuggiti nell’estate 2014 per l’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis). “La croce, unita all’amore di Dio, in questo contesto di difficoltà diventano esperienza concreta e quotidiana - sottolinea - e ci fanno sentire una forza e una fede ancora superiore”. 
Le persone, sia i locali che i profughi di Mosul, della piana di Ninive, e gli ultimi dal nord-est della Siria, “sono sempre più stanche per la mancanza di lavoro, gli aiuti che scarseggiano sempre più, i salari a singhiozzo”. La disoccupazione è uno dei problemi più gravi perché azzera le prospettive di ripresa. Queste difficoltà afferma p. Samir, “creano un vuoto, un sentimento di dolore, che viene colmato dalla nascita di Gesù, che è fonte di grazia”. 
Ricorre un pensiero, prosegue il sacerdote, fra i profughi: “Gesù è nato in una grotta. Anche la nostra vita è una grotta, la miseria è diffusa; ma questo è anche lo spazio, e il tempo, in cui il Signore rinasce e ci fa il dono della Sua presenza”. In queste settimane di Avvento “non sono mancate messe e momenti di preghiera, domani è in programma un ritiro spirituale per i bambini e prima dell’Epifania ci sarà un momento dedicato ai regali per i più piccoli”.
Li prepariamo, aggiunge, “perché possano trascorrere un bel Natale” anche se le feste sono in tono minore. Anche qui “abbiamo raccolto l’appello del patriarca caldeo”, che ha deciso di cancellare celebrazioni e festeggiamenti, oltre alla messa di mezzanotte, per le violenze legate alle proteste anti-governative. “Prima l’Isis, poi la crisi politica - conferma p. Samir - hanno spinto le persone a rafforzare l’elemento spirituale della ricorrenza. Vogliamo anche ricordare i mariti, i cristiani e i musulmani in piazza anche per noi, per dire che vogliamo un Paese unito, sotto un’unica bandiera. Seppur lontani, ci sentiamo idealmente vicini a loro e uniti a loro”.
Anche nel Kurdistan irakeno si scorgono i riflessi della crisi politica e istituzionale che ha colpito il Paese, soprattutto nella capitale e nel sud a maggioranza sciita. “La lotta per il potere, la crisi economica - racconta il sacerdote - generano instabilità, fermano i cantieri, bloccano quelle poche prospettive di sviluppo e azzerano il lavoro. A questo si aggiunge il mancato invio dei salari, che arrivano dal governo centrale a Baghdad; l’ultimo stipendio è quello di settembre, altri ne dovevano arrivare prima di Natale, ma ora è tutto bloccato”. 
Tutto questo, prosegue, causa ancora maggiori difficoltà alle famiglie “già piagate da mancanza di soldi e risorse. Manca il denaro per il kerosene per scaldare le case, la distribuzione è a singhiozzo e questo per la popolazione locale. Per i profughi la realtà, se possibile, è ancor più dura e si cerca di sopperire grazie agli aiuti, sempre meno, che arrivano grazie all’opera della Chiesa e che vanno a beneficio di tutti: profughi cristiani, musulmani, yazidi, senza distinzioni”.
P. Samir, parroco a  Enishke, è fra i principali beneficiari della campagna di AsiaNews "Adotta un cristiano di Mosul". Archiviata la lotta contro il movimento jihadista, dichiarato sconfitto almeno sul piano militare due anni fa “ma la cui mentalità è ancora diffusa”, ad oggi restano molti i problemi degli sfollati che non dispongono nemmeno delle risorse di base per sopravvivere. “Qui, nella regione di Amadiya - siamo più dimenticati di altri. Una parte dei profughi ha cercato di tornare a casa, ma la situazione nel Sinjar, a Mosul e in alcune zone della piana di Ninive è ancora disastrosa. Per questo hanno scelto di rientrare nel Kurdistan irakeno”. 
In questo contesto, l’offensiva turca contro i curdi nel nord-est della Siria ha innescato una nuova ondata di profughi con ripercussioni in tutta la regione. “Solo nella mia parrocchia - conferma p. Samir - abbiamo accolto 35 famiglie siriane, di cui solo due cristiane mentre le altre sono musulmane. Sono fuggite all’inizio dell’offensiva e alcuni di questi hanno trovato riparo da amici e parenti, altri ancora sono finiti nei centri di accoglienza. Tuttavia, non hanno mezzi e possibilità per sopravvivere, dunque il bisogno è - se possibile - ancora più grande”. “In queste tenebre, in questa situazione di mancanza - conclude p. Samir - l’aiuto e il sostegno dei benefattori ha ancor più valore e importanza. Queste donazioni sono un segno di speranza, ci fa sentire che siamo meno soli”.

Card Sako: Natale a Baghdad, cancellata la messa di mezzanotte

By Asia News

Il patriarcato caldeo ha deciso di cancellare la messa di mezzanotte “per questioni di sicurezza” e a tutela “dell’incolumità dei fedeli”. È quanto afferma ad AsiaNews il primate, card Louis Raphael Sako, a conferma della situazione di tensione che si respira in Iraq in seguito alle violenze legate alle manifestazioni anti-governative in tutto il Paese. Violenze, va sottolineato, che non provengono dai manifestanti ma da gruppi infiltrati e milizie che fomentano scontri, attacchi mirati, sequestri e omicidi, in numero crescente nell’ultimo periodo. 
La decisione, spiega il card Sako, “é venuta al termine di un incontro con preti e parroci della capitale e tutti sono d’accordo sulla cancellazione. Abbiamo sentito anche diversi fedeli e il sentimento è comune e condiviso”. In primis, aggiunge, “bisogna salvaguardare la vita della gente, in questo contesto un attacco sarebbe un disastro”. 
“La sicurezza - racconta il porporato - è molto debole a Baghdad” dove si registrano “morti, rapimenti mirati e attacchi dei dimostranti in piazza”, soprattutto fra le personalità più in vista, come giornalisti e attivisti. Il pericolo, prosegue, è che “i fedeli che vanno in chiesa, soprattutto di sera, possano diventare un obiettivo da colpire”.
Del resto di notte, prosegue, “hanno già ammazzato tante persone, soprattutto fra gli animatori della protesta” e non è escluso che questi gruppi dietro ai disordini “possano anche attaccare” un luogo di culto. Da qui la scelta di celebrare “le messe solo a Natale, di giorno, in piena luce: vogliamo prima di tutto garantire e tutelare la sicurezza delle persone”. 
La cancellazione, spiega una nota del patriarcato, riguarda tutte le chiese della capitale, Baghdad. Le messe di Natale saranno occasione per “aumentare le preghiere” per una soluzione “onorevole dell'attuale crisi e riportare la vita alla normalità”. Già nelle scorse settimane, per onorare la memoria di vittime e feriti, la Chiesa irakena aveva deciso di cancellare le cerimonie e le feste legate al Natale e di devolvere il denaro risparmiato all’acquisto di medicine.
Dal primo ottobre l’Iraq è teatro di un vasto movimento di protesta contro governo e autorità. Le manifestazioni, represse con la forza dalla polizia, hanno portato alle dimissioni del premier Adel Abdul Mahdi, ma i dimostranti - senza distinzioni etniche, confessionali, religiose - mirano alla caduta dell’intera classe politica.
La stretta si è rafforzata a fine novembre, in seguito al doppio assalto al consolato iraniano a Najaf, e ha causato un totale di oltre 450 morti e 20mila feriti.
“I manifestanti sono pacifici - sottolinea il card Sako, che anche nel messaggio di Natale ha analizzato l’attualità politica e sociale del Paese - ma ci sono gruppi che non vogliono il cambiamento e attaccano chi dimostra in piazza. Inoltre, lo stallo sulla nomina del Primo Ministro alimenta la situazione di incertezza e confusione, come in Libano”.

Cancellate le messe di mezzanotte di Natale a Baghdad.

By Baghdadhope*

Dopo aver chiesto ai propri fedeli di cancellare le occasioni sociali di festa nel prossimo natale per rispetto ai morti ed ai feriti delle manifestazioni antigovernative in atto in Iraq dallo scorso primo di ottobre oggi il patriarcato caldeo ha pubblicato l'annuncio della cancellazione nella capitale irachena di tutte le messe serali e notturne della vigilia. Le sante messe saranno quindi celebrate nel giorno 25.
"Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra"
Con queste parole il patriarcato dà voce al desiderio che il popolo iracheno possa finalmente godere di pace, sicurezza, stabilità e vita dignitosa, e ricorda che preghiere saranno elevate perchè sia trovata una soluzione ai problemi del paese che consenta a tutti il ritorno ad una vita normale ricordando anche le anime dei morti delle proteste, civili e mlitari, ed i numerosi feriti.

18 dicembre 2019

Patriarca caldeo: il Natale doni speranza per l’Iraq che soffre. No a “soluzioni militari”della crisi

By Fides

Quest’anno, in Iraq, il Natale arriva in mezzo a “circostanze tanto dolorose”, visto che nel Paese “le ferite dello Stato islamico non sono ancora state guarite”, e nel frattempo violenza, povertà e disoccupazione “hanno spinto migliaia di persone, soprattutto giovani, a manifestare pacificamente, chiedendo il diritto di vivere con dignità e libertà in una patria stabile, sicura, forte e indipendente”. In questa situazione, “Gesù Cristo nasce tra noi quando l'amore e la misericordia riempiono il nostro cuore; quando scegliamo la fraternità e la compassione e rifiutiamo di assecondare il male, allora avremo la gioia della pace”. Lo ha scritto il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako, nel suo messaggio di Natale diffuso attraverso i canali ufficiali del Patriarcato.
Nel messaggio, il Cardinale Primate della Chiesa caldea esorta a calare l’annuncio del Natale nella vita quotidiana per trovare consolazione, visto che la nascita di Gesù rappresenta per tutti l’annuncio di una vita felice. Riferendosi all’ennesima fase travagliata che sta attraversando il Paese, il Patriarca Sako ripete che in Iraq le attese oggi espresse dalle manifestazioni di massa vengono tradite dal 2003, anno in cui la fine del regime di Saddam Hussein era stata presentata come una chance di nuovo inizio per la storia nazionale. Invece sono continuati gli attentati, i conflitti, le stragi, e sembra che “gli iracheni non siano in grado di trovare un modo efficace per mettere il paese sulla strada giusta, eliminare il settarismo, la corruzione, l'arricchimento illegale e l'ingiusto sequestro di proprietà pubbliche e private”.
In una condizione così desolata, e prendendo atto che “nessuno sa dove andrà l'Iraq, il Patriarca invita politici e funzionari della sicurezza a “ascoltare la voce del loro popolo in questa terra benedetta di Abramo. La voce di coloro che sono stati uccisi e di coloro che sono ancora sottoposti a ingiustizia, miseria e umiliazione”. Soprattutto, il Patriarca chiede di “evitare soluzioni militari” alla crisi, esorcizzando una scelta che provocherebbe un’ulteriore escalation di morti e feriti.
Il Messaggio del Patriarca chiede anche ai battezzati di mostrare prossimità verso tutti gli iracheni, “cristiani, musulmani e tutti gli altri”, sia dal punto di vista spirituale che nella forma del soccorso caritativo e umanitario, “rispondendo ai loro bisogni con particolare cura, sull'esempio di Gesù Cristo. In definitiva, ricorda il Patriarca caldeo, “Dio ci riterrà responsabili del nostro amore e del servizio che offriamo agli altri”.

Chaldean Patriarchate. 2019 Christmas Message.

Patriarch Louis Raphael Card. Sako

It is very sad that Christmas is coming this year too in such painful circumstances. The wounds of the Islamic State (ISIS) have not been healed yet, together with the ongoing violence, poverty, unemployment and poor services that have pushed thousands of people, especially youth, to demonstrate peacefully, demanding the right to live with dignity and freedom in a stable, secure, and strong independent homeland. Since 2003, this dream has not been realized and our hearts are still full of sorrow and anxiety for the large number of casualties and thousands of injured Iraqis. It is unfortunate that Iraqis are unable to find an effective way to put the country on the right track, eliminate sectarianism, corruption, illegal enrichment, and the unfair seize of public and private properties, despite the numerous appeals from inside and outside Iraq.
The message of Christmas is the message of Jesus Christ, the Savior) defiant), at all its stages, aims to achieve peace, justice, freedom, dignity, fraternity, love, and happiness: “Glory to God in the highest and peace be on earth among people of good will” (Luke 2:14). Jesus Christ was born, in order for us to be born in him and with him for a new life of all humankind through its spiritual and moral concepts. Jesus Christ will be born within us when love and mercy fill our hearts; when we choose fraternity and compassion; and refuse to comply with evil, then we will have the joy of peace and reiterating Saint Paul’s words: “For the grace of God has appeared, saving all and training us to reject godless ways and worldly desires and to live temperately, justly, and devoutly in this age(Titus 2: 11-12).
Dear Sisters and Brothers,
In this suffering Middle East, let us meditate deeply on the message of Christmas, in order to personify it in our daily life, since Jesus’ birth is a declaration of a harmonious and happy life. This is the way to follow His path of heartfelt fraternity, peace and joy. A path that makes human being more human and allow him to live with dignity.
Today, we live in grief, and we are looking for hope and consolation to face the escalation of violence and the frightening increase in number of casualties and wounded in Baghdad and other cities. No one knows where Iraq is going to? Therefore, and in this delicate situation, I urge all politicians and security officials to listen to the voice of their people in this blessed land of Abraham, the voice of those who were killed, and those who are still subjected to injustice, misery and humiliation; and to avoid military solution that will certainly leave more dead and injured. This appeal embraces a “rescue initiative” that should accommodate the crisis, through courageous dialogue with the protesters to achieve a comprehensive national project, which could be the “rescue board” that saves the country, pleases God, and makes Iraqis happy.
On this occasion and as we are going through these critical and painful circumstances, I would like to bring to the attention of our bishops and priests (especially those who are serving in Iraq), the importance of showing closeness of the Church to Iraqis, Christians, Muslims and others; accompanying them, spiritually and humanitarianly; and responding to their needs with distinct care, following the example of Jesus Christ. Keeping in mind that God will hold us accountable for our love and service we offer for others, which is precisely what we mean by singing the Christmas Eve hymn: When we give a cup of water for a thirst * When we clothe a naked, out of love * When we wipe out tears from others’ eyes * when we fill hearts with hope * we are in Christmas. When I kiss my friend without cheating * When I get rid of the spirit of revenge * When my heart is cleansed from staleness * When my souls melts in God’s being * I am in Christmas (this hymn is inspired by the Gospel of Matthew 25: 35- 36). This is the right way to live our consecration of loving, serving and witnessing,
In conclusion, I assure my closeness to all Iraqis, and express my condolences and feelings of solidarity with the families of martyrs, injured, and the disabled, of both protesters and security forces, wishing a speedy recovery for the wounded.
I implore God the Almighty to grant us the peace and joy of Christmas, wishing you all a blessed and happy New Year.

17 dicembre 2019

World of Worship: Ancient monastery in Iraq survives centuries of upheaval, but ISIS threat is still felt

By CBS


In recent years, Iraq has suffered terrible violence, often inflamed by religious differences. But in a country where worship can come at a heavy cost, CBS News correspondent Charlie D'Agata discovered an unlikely oasis hidden in the mountains: an ancient Christian monastery.
The Rabban Hormizd Monastery, one of the oldest of its kind in the world, was founded almost 1,400 years ago. Carved into and out of the very rock on which it rests, the temple overlooks the vast plains of northern Iraq.
Its namesake, Rabban Hormizd, traveled from Persia. He lived as a hermit for almost 30 years, living an austere life of isolation in the network of caves that push deep into the mountainside. Over time, more monks made the pilgrimage, settling in its labyrinth.
"Christians are an important part of the community here in Iraqi Kurdistan," said 21-year-old Miriam Salih, who traveled to the monastery with other Iraqi history students. "They've been here for thousands of years."
Over the centuries, the monastery has been more than a house of worship. It's been a sanctuary, a safe place in a region that has had more than its fair share of upheaval. The Mongols, the Kurds, the Ottomans and the Turks all overran the territory at one point or another, yet it somehow survived.
But the biggest threat came in modern times. When ISIS rampaged throughout the region in 2014, the Islamic extremists targeted anything to do with Christianity. Churches that stood for centuries were ruined in a matter of seconds. 
When ISIS overran nearby Mosul, tens of thousands of terrified Christians fled, escaping to other Christian towns in the region. At one point, the terrorist group was just a 10-minute drive away from the Christian town of Alqosh that sits at the base of the mountain. They never made it any closer, but the threat is still felt today.
At the monastery, an armed bodyguard follows the priest everywhere. The head monk, Father Denha Toma, knows they have to plan for the worst. He was in Mosul when ISIS invaded five years ago. 
"What do you think ISIS would have done if they had reached this place?" D'Agata asked Toma.
"Wherever they saw a cross they smashed it," he said. "They erased any traces of Christianity. Even the Virgin Mary — there used to be a statue of her. They chopped the head off and left the rest of the statue standing there. If they had reached here, they would have certainly destroyed this monastery."
Before the U.S.-led invasion, the insurgency and ISIS, there were around 1.5 million Christians in Iraq. There are now barely 250,000. In fact there are now more Chaldean Catholics, the most followed denomination among Iraqi Christians, in the United States than in Iraq.
The regional Archbishop recently described Christianity in Iraq as being "perilously close to extinction," which means one of the oldest continuous Christian communities in existence now remains on a cliff-edge.

Doni alle famiglie dei martiri di Nassiriyah da parte del patriarcato caldeo

By Baghdadhope*

Non ci scoraggiamo di fare il bene; perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo.
(Galati, 6:9)

Con questo animo il patriarcato caldeo ha distribuito aiuti alle famiglie di Nassiriyah che hanno perso un caro durante le proteste antigovernative scoppiate in Iraq il primo di ottobre  ed ancora in corso.













Il patriarca Mar Louis Sako, dopo aver visitato i feriti nell'ospedale al-Kindi di Baghdad alla fine di ottobre donando alla struttura i mezzi per acquistare i medicinali a loro necessari, ed aver di persona portato medicine ai punti di soccorso di Piazza Tahrir, epicentro della rivolta, ha rivolto la sua attenzione alla città sciita di Nassiriyah che ha avuto un numero molto alto di vittime tra i manifestanti, facendo recapitare pacchi dono contenenti generi alimentari e capi di vestiario ma anche donazioni in denaro per aiutare le famiglie dei martiri feriti a pagarne le cure e quelle dei morti le esequie. 

13 dicembre 2019

Card Sako: la fratellanza umana linea guida per un nuovo Iraq, unito e plurale

 By Asia News

Il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” firmato nel febbraio scorso da papa Francesco e l’imam di al-Azhar negli Emirati Arabi Uniti (Eau) è la linea guida da seguire per una vera “convivenza”. È quanto sottolinea  il patriarca caldeo card Louis Raphael Sako nel discorso, inviato per conoscenza ad AsiaNews, pronunciato in occasione della conferenza “Costruire la pace in Medio oriente per la promozione della diversità culturale e religiosa”. Un testo, afferma, che non vale solo a livello religioso, ma sul quale è necessario basarsi per ricostruire il tessuto sociale, politico ed economico dell’Iraq.
Il primate caldeo non ha potuto prendere parte di persona all’evento, promosso ieri dal Senato francese, a causa delle tensioni sociali e politiche che attraversano il Paese e che lo hanno spinto a cancellare celebrazioni e festeggiamenti legati al Natale. Da qui la decisione di inviare un messaggio video ai partecipanti, trasmesso in aula nel corso della giornata, e di restare vicino al proprio popolo in questi “momenti di caos”. 
Egli sottolinea le manifestazioni “senza precedenti per numero, diversità di partecipanti e rivendicazioni” ed esalta il “movimento popolare pacifico” che nulla ha a che vedere con “partiti politici o settarismo”. “Ciò che chiedono i manifestanti - aggiunge - è una nazione civile, con una democrazia pluralista che permetta la partecipazione di tutti gli irakeni, senza eccezioni”. 
Le parole del card Sako giungono in un contesto difficile per l’Iraq, dal primo ottobre teatro di un vasto movimento di protesta contro governo e autorità. Le manifestazioni, represse con la forza dalla polizia, hanno portato alle dimissioni del premier Adel Abdul Mahdi, ma i dimostranti - senza distinzioni etniche, confessionali, religiose - mirano alla caduta dell’intera classe politica. La stretta si è rafforzata a fine novembre, in seguito al doppio assalto al consolato iraniano a Najaf, e ha causato un totale di oltre 450 morti e 20mila feriti.
Il governo cerca di promuovere riforme, spiega il card Sako, che i dimostranti giudicano “insufficienti” mentre continuano a chiedere “un cambio di regime che definiscono settario e corrotto”. Ad oggi, prosegue, “non c’è dialogo” e questa situazione di blocco “ogni giorno che passa trascina il Paese verso l’ignoto”. A due anni dalla riconquista di Mosul e dalla cacciata dello Stato islamico (SI, ex Isis) l’Iraq è in preda a un “paradosso”: l’aspirazione a voltare pagina e mettere alle spalle guerre e divisioni, sebbene restino sempre “linee di frattura profonde”. 
Le appartenenze tribali, la religione, le scelte politiche e l’orgoglio geografico sono elementi di divisione, che possono essere sanati solo “dall’appartenenza comune alla stessa cittadinanza”. Essa, afferma il porporato, “è la sola soluzione per andare al di là delle divisioni” per “il futuro dell’Iraq e della nostra regione”. “Tuttavia - prosegue - perché la cittadinanza diventi reale e non un concetto vago, deve concretizzarsi nel funzionamento dei servizi pubblici iracheni”. 
Per il card Sako il conflitto interconfessionale “è uno scandalo” che ha colpito anche i cristiani passati da oltre 1,8 milioni nel 2003 a meno di mezzo milione oggi “a causa della persecuzione e dell’emigrazione”. Al contrario, la cittadinanza “deve essere il mezzo perché le religioni e le correnti spirituali si liberino dal peso della politica e si possano dedicare al bene delle anime dei loro fedeli e a praticare la carità”. “Liberati dal ruolo politico che la storia dell’Iraq ha affidato loro - avverte - le religioni possono ancora una volta compiere la loro vera missione”. 
Infine, il card Sako traccia le linee per la rinascita dell’Iraq: una Costituzione che garantisce la cittadinanza a tutti nel quadro di un contesto democratico libero da logiche tribali e di appartenenza; proibire con fermezza ogni discorso di odio e di fanatismo; dopo Daesh [acronimo arabo per l’Isis], la sfida maggiore resta quella dell’educazione e per far questo è necessario riformare i testi scolastici e ripulirli dai discorsi di odio; una autorità che garantisca una corretta interpretazione del diritto e una giurisprudenza attualizzata; nuove infrastrutture per rilanciare l’economia del Paese.

12 dicembre 2019

«Construire la paix au Proche Orient par la promotion de la diversité culturelle et religieuse»

By Patriarcat Chaldéen
Jeudi 12 décembre 2019 de 10 heures à 18 heures

Colloque  « Construire la Paix au Proche-Orient par la promotion de la diversité culturelle et religieuse » (sur invitation), Salle Clemenceau (Palais du Luxembourg), organisé par le groupe de liaison, de réflexion, de vigilance et de solidarité avec les chrétiens, les minorités au Moyen-Orient et les Kurdes, présidé par M. Bruno Retailleau, avec l’Association Agir pour la Paix avec les Chrétiens d’Orient, présidée par M. François Fillon, Ancien Premier ministre.

Ce discours a été filmé et envoyé au colloque parce que Sa Béatitude Louis Raphael Sako a préféré rester avec son Peuple dans cette situation délicate .

En préambule, permettez-moi de remercier M. François Fillon car cette conférence intervient à un moment crucial pour le Proche Orient, marqué depuis plusieurs mois par de vives tensions populaires et des manifestations nombreuses.
En raison des manifestations l'Irak traverse depuis deux mois des moments très difficiles que l'on peut même qualifier de chaotiques. Ces manifestations n'ont pas de précédent quant au auombre, à la diversité des participants et au type des revendications. Ces manifestations sont un mouvement populaire pacifique qui n'a rien à voir avec les considérations de partis politiques ou du sectarisme. Ces jeunes sont désespérés par une classe politique qui depuis 2003, n'a fait que des discours et des promesses. La corruption, l'injustice, la pauvreté, le chômage, le faible niveau des services publics, tout cela renforcé par l'émite de l'élite ont conduit à un profond désespoir. Ce que demandent ces manifestants c'est un pays civique avec une démocratie pluraliste permettant la participation de tous les Irakiens sans exception. Ils aspirent avo avoir une vie libre et digne pour eux et pour leurs enfants.
Le nombre de morts et de blessés est élevé, certaines routes sont bloquées, de nombreuses écoles et universités sont fermées, le mouvement dans la rue est presque paralysé. Néanmoins il faut reconnaître que le gouvernement essaie de mener certaines réformes cependant les manifestants les trouvent insuffisantes et continuent à demander le changement d'un régime qu'ils jugent sectaire et corrompu. A ce stade, il n'y a pas de dialogue, les positions des manifestants et du gouvernement se font écho sans se répondre. Cette situation de blocage conduit chaque jour un peu plus le pays vers l'inconnu.
Je fais le vœu que ce colloque soit un premier pas afin d'éclairer l'avenir de notre région sur le chemin de la paix. En effet, la paix est une formation, il est nécessaire de s'y entraîner, de la travailler. Bien sûr, la paix est un défi mais nos différences qui en apparence nous divisent permettent que nous soyons en réalité complémentaires. Chaque composante de nos pays à un talent à offrir à la société toute entière.
Par ces différences, par ces complémentarités, nous dépendons naturellement les uns des autres: lorsque je sais que j'ai besoin de mon voisin, je fais encore plus attention à lui et à vivre en paix avec lui. Aujourd'hui il est nécessaire de sortir de nous-memes pour travailler de manière simple et concrète à construire la paix: «Heureux les artisans de la paix ! »Dit Jésus (Mat 5: 8).
Pour construire la paix dans nos sociétés, le développement d'une citoyenneté réelle est une condition nécessaire pour le Proche Orient.
  1. Aujourd'hui il ya chez les irakiens et au Proche Orient un nouvel état d'esprit mais les clivages demeurent profondément ancrés.
Près de deux ans après la reconquête de Mossoul, notre pays est traversé par un paradoxe:
Il ya une grande aspiration parmi les irakiens à ne plus vivre en décalage par rapport à la modernité et à tourner enfin la page des guerres et des divisions. La plupart des personnes que vous pourrez interroger en Irak vous diront vouloir tourner la page des divisions et du sectarisme parce que le sectarisme abolit le statut de la citoyenneté et du citoyen.
Et pourtant, la société irakienne semble être toujours marquée par de profondes lignes de fractures.
Les clivages qui segmentent la société irakienne sont en effet nombreux. Ils sont d'origine tribale, ethnique, religieuse ou encore culturelle. Il faut vous imaginer qu'aujourd'hui, dans un certain nombre de régions rurales d'Irak, l'appartenance à une tribu est le premier repère identitaire. Pourtant cela serait trop simple si être membre d'une tribu suffisait à définir votre identité. En réalité ces personnes sont membres d'une famille qui appartient à un clan qui fait lui-même partie d'une tribu.
Ette cette réalité tribale il faut ajouter l'appartenance religieuse: beaucoup de tribus sont-elles mêmes divisées entre chiites et sunnites.
Si vous superposez, l'appartenance tribale, la religion, les choix politiques et la fierté géographique, vous comprenez l'urgence qu'il ya à favoriser une cohésion nationale bâtie sur l'appartenance commune à la même Cité. Grâce à cette communauté irakienne et à son identité forgée dans un alliage qui mélange notre histoire millénaire et les récentes souffrances des guerres, il est urgent de faire de nos différences, des complémentarités qui favorisent une dynamique d'échange pl .
  1. La citoyenneté est la seule solution pour aller au-delà des divisions. La citoyenneté est la seule solution pour l'avenir de l'Irak et de notre région. Cette citoyenneté doit être pour tout le monde; tous doivent y être intégrés; c'est sous sa tente que tous seront protégés quelle que soit leur appartenance ethnique et religieuse. La notion de citoyenneté permet de mettre fin aux distinctions et aux exclusions, comme c'est le cas en Occident démocratique. L'appartenance citoyenne fait qu'il n'y a plus de majorité religieuse ou ethnique ni même de notion de minorité. La citoyenneté permet que tous soient protégés parce que tous sont soumis à la même loi.
Cependant pour que la citoyenneté devienne réelle et ne reste pas un concept vague, il est nécessaire qu'elle s'incarne concrètement dans le fonctionnement des services publics irakiens. Il est nécessaire que l'Irak s'inspire de la démocratie pour que les postes de fonctionnaires, par exemple, ne soient plus attribués en raison de liens familiaux ou d'appartenance mais seulement en raison de compétences. Si les Irakiens savent que leurs enfants ont tous les mêmes chances de réussir, ils se sentiront plus pleinement citoyens. Si les Irakiens savent que le policier qui les contrôle est là parce qu'il a réussi un concours sur la base de ses compétences, ils le respecteront plus. C'est toute la relation entre les citoyens et les représentants de l'Etat qui changera de manière positive.
  1. Quel est l'impact de la religion sur la citoyenneté?
Pour nous chrétiens, la citoyenneté fait partie intégrante de notre culture aujourd'hui. Nous nous félicitons de la séparation de la religion et de la politique. Le discours religieux devrait se concentrer courageusement sur la défense des droits de l'homme. Les membres du clergé doivent tenir leur rôle prophétique dans la société pour défendre la dignité humaine et la justice. Dieu est amour et miséricordieux et celui qui n'a pas d'amour dans son cœur, ne connaît pas le sens de la religion.
Le conflit interconfessionnel est un scandale. C'est un crime que les gens soient persécutés à cause de leur foi, comme c'est arrivé en Irak, en Syrie ou encore en Égypte par exemple.
Nous, les citoyens de religion chrétienne, avons beaucoup souffert du sectarisme et de l'extrémisme islamique. C'est ce qui a poussé notre peuple à émigrer. En 2003, le nombre des chrétiens en Irak était d'environ 1 876 500 (un million huit cent soixante-seize mille cinq cents). Actuellement, les chrétiens sont moins d'un demi-million en raison de la persécution et de l'émigration. Pourtant les chrétiens sont une part importante de l'histoire et des origines de l'rak mais aujourd'hui dans les manuels scolaires il n'y pas même pas une ligne qui parle de notre histoire et de notre religion. Il n'est pas fait mention de ce que nous avons donné à nos frères musulmans et offert à notre pays.
Pour que la citoyenneté prenne toute sa place en Irak, il est évident qu'il ne faut pas tenter de nier la place qu'occupent les religions dans l'histoire de notre pays. Au contraire, la citoyenneté doit être un moyen pour que les religions et les courants spirituels se libèrent du poids de la politique et puissent se consacrer à veiller au bien des âmes de leurs fidèles et à pratiquer la charité. Libérées du rôle politique que l'histoire de l'Irak les a amenées à avoir, les religions pourront à nouveau remplir leur vraie mission.
  1. Pour qu'une citoyenneté concrète, étape essentielle sur le chemin de la paix, s'impose en Irak et au Proche Orient il est nécessaire de faire évoluer plusieurs points concrets
Pour sortir des grands discours, voici quelques résolutions concrètes que nous souhaiterions voir appliquées dans notre pays et plus largement dans la région:
1- Une constitution qui garantirait la citoyenneté à tous dans le cadre d'un fonctionnement démocratique libéré du jeu des tribus et des appartenances pourrait permettre la coexistence harmonieuse de TOUS les citoyens. Concrètement, pour que chacun se sente citoyen, il est nécessaire de faire disparaître la mention de la religion sur les papiers d'identité et les actes administratifs. Une telle décision est loin d'être anecdotique. Au-delà de la disparition de nombreuses distinctions et discriminations à cause de cette mention sur les papiers d'identité, elle permettrait une plus grande liberté religieuse. Il en découlerait la possibilité pour une femme de garder sa religion si par exemple son mari devenait musulman. Les enfants de ce couple ne seraient plus automatiquement déclarés musulmans.
2- Interdire avec fermeté les discours de haine et de fanatisme, est une étape importante pour faire baisser le niveau de violence verbale et physique qui alourdit l'atmosphère de nos sociétés. En outre, cela implique d'éliminer les pratiques tribales d'un autre temps consistant à se venger ou à considérer les autres religions comme infidèles.
3- Dans cette période de l'après Daech, le défi majeur est l'éducation. Pour cela il est nécessaire de réformer les manuels scolaires et de les purifier de tout discours de haine, de violence ou de vengeance. Ce travail a déjà été mené dans d'autres pays du Moyen-Orient, comme au Liban, grâce à la fondation Adyan. Il est donc possible.
4- D'un point de vue juridique, nous avons besoin d'une autorité pour garantir une interprétation juste du droit et établir une jurisprudence actualisée. Il est aussi nécessaire de sensibiliser le grand public aux droits de l'homme et aux principes de la citoyenneté et de l'égalité.
5- Naturellement, notre peuple a besoin d'infrastructures nouvelles au sortir de cette guerre contre Daech. Pour réconcilier un peuple avec lui-même il est nécessaire qu'il puisse se rencontrer et commercer, or hormis une ligne de train il n'existe aucun transport public en Irak aujourd'hui. De la même manière il est important d'encourager les investissements qui permettent aux jeunes d'avoir un travail. De la même manière il est urgent de renforcer nos infrastructures essentielles dans le domaine de l'eau et de l'irrigation, de la santé et bien sûr de l'éducation.
6- Enfin, si nous voulons avoir une ligne directrice je crois qu'il est nécessaire de tirer parti du «Document sur la fraternité humaine» signé aux Emirats Arabes Unis par le grand Imam d'Al Azhar, Ahmed Al Tayeb et Notre Saint Père le Pape François. Ce texte est un point de repère essentiel si nous voulons une véritable «convivialité».
Toutes ces mesures, si elles étaient mises en place progressivement, permettraient l'avènement d'une démocratie heureuse et d'un etat de droit en Irak et dans les pays du Proche Orient.

11 dicembre 2019

C'è il Natale a Piazza Tahrir. Baghdad.

By Baghdadhope*

Foto Yalla
Foto Yalla













 Giorni fa il patriarca caldeo, Mar Louis Raphael I Sako, aveva invitato i fedeli a celebrare le imminenti festività natalizie in modo sobrio per onorare la memoria dei martiri caduti in tutto l'Iraq nel corso delle proteste antigovernative in atto dallo scorso primo di ottobre. 
Da qualche giorno in piazza Tahrir, proprio sotto il monumento alla liberazione, svetta un piccolo albero di Natale con delle decorazioni molto particolari e tutto sommato in linea coon i suggerimenti espressi dal patriarcato. Niente luci o palline ma solo le foto ed i nomi dei martiri. Ai suoi lati due poster che raffigurano Gesù e la Madonna ritratti dietro la bandiera irachena che ha la forma dei confini del paese. Ai suoi piedi due statuine che raffigurano gli stessi personaggi onorati sia nel cristianesimo che nell'Islam che dominano una sorta di altarino su cui poggiano delle piccole bare dipinte con i colori della bandiera, e che hanno tra loro un simbolico fiore nero, bianco e rosso su cui spicca la Croce.
Per ora le proteste, cui hanno partecipato anche i cristiani, hanno unito le diverse etnie e religioni in Iraq e la Croce, per anni considerato il simbolo dei crociati infedeli da combattere, ha finalmente trovato la sua legittimità. 
Il desiderio da esprimere a Natale sarà che le cose possano continuare così.


Franciscan University forms partnership with Iraqi Catholic university

By Catholic News Agency
Perry West

A Catholic university in the U.S. has partnered with an Iraqi Catholic college to promote opportunities for scholarship, collaboration, and understanding between the two countries.
Franciscan University of Steubenville in Ohio and the Catholic University of Erbil (CUE) in Iraq signed a Memorandum of Understanding on Dec. 6.
“The agreement forges ties between the two schools and cities that include cultural exchanges, such as the visit this past September by Iraqi high school students to Steubenville,” Tom Sofio, a Franciscan University spokesman, told CNA.
“The agreement also allows for the development of language courses in Arabic and Aramaic to be offered to Franciscan University students, the pursuit of scholarship funding for Iraqi students to study at Franciscan University … and Skype sessions between students at Franciscan University and The Catholic University of Erbil,” Sofio added.
The document was signed by Father Dave Pivonka, president of Franciscan, and Archbishop Bashar Warda of Erbil, who founded the Iraq university in 2015.
Under the agreement, students from Iraq can receive scholarships to take Franciscan University courses in person or online, and, in turn, Franciscan University students will have opportunities to visit Erbil, study there, and better experience the culture of the Kurdistan region in Iraq.
Erbil’s Catholic university, only four years old, has 147 students and offers 10 programs, including pharmacy technology, accounting, law, and international relations, the Herald-Star reported.
The partnership will also explore avenues of catechetical assistance for the Diocese of Erbil, which could involve the collaboration of Franciscan University’s Catechetical Institute, Conference Office, and Wild Goose, a ministry led by the Franciscan Friars of the Third Order Regular and founded by Pivonka. 
The partnership has been supported by Aid to the Church in Need USA. The organization also recently funded two of CUE’s computer labs, which especially benefit students in civil engineering or architecture programs.
Warda founded the CUE in 2015 to promote higher education and to help Christians displaced by the Islamic State. 
Some 125,000 Christians live in Iraq. The Christian population of the country has declined dramatically in recent years, as Christians fled the persecution of the Islamic State or were killed. The northern Kurdistan region in Iraq has about 4,300 Chaldean Christians, the Herald-Star reported, and several thousand more have fled to Iraqi Kurdistan since 2014.
Pivonka expressed hope that the partnership will be an opportunity for U.S. Catholic students to interact with Christians in other countries who have faced terrible persecution.
“Largely the Christians in Iraq have been forgotten. But they have much to offer us,” Pivonka told the Herald-Star this week.
“We talk about inconveniences in our faith. But in Iraq there are people who are dying for it. All of the (Iraqi) youth here have family members who have been killed. It’s just part of their faith.”

It’s Human Rights Day – but what about human rights in Iraq?

Koko Alhusainy
“Where does the thought go when it is forgotten?”
Whilst I read this line, I already capture myself overthinking; I immediately feel a sense of loss, and an inner urge to recall all of my previous thoughts, I feel violated by my own memory loss – of never having actively traced back these steps of forgotten thoughts. “Where does the thought go when it is forgotten?”, asks Ali Eyal when he tries to revise his memories of what it means to have grown up in Iraq. The result is an intricate narrative on the cultural visibility of Iraqis under decades of violence, loss, and exile in the New York MOMA. 
On Human Rights Day, I ask myself the same question, as I try to retrace the steps of my own human rights consciousness, and my own journey to adjusting to the intergenerational trauma methodology of normalising the violence against Iraqis. I unlearned to grieve every time I heard about killings and abductions of family members, but most importantly when I realised that the human right to life, liberty and security, as stipulated under Article 3 of the UNHRC, did not emerge to protect brown, Iraqi bodies like mine.
Twenty minutes away from Ali Eyal’s exhibition, Iraqi Archbishop Warda warns the UN Security Council on the 3rd December 2019 about possible repercussions, such as another civil war, if the international community remains silent whilst protesters at the ongoing Iraqi revolution are being violently murdered.
On 1 October this year, Iraqis came together in Baghdad’s Tahrir Square to assert themselves against multiple local, regional, and global forces of oppression. Not only did this quickly come to prove itself as one of the largest protests since the overthrow of Saddam Hussein, but it soon blossomed into a revolutionary movement that has led to the resignation of Prime Minister Adil Abdul Mahdi.
Protests in Iraq have been an annual occurrence, which would usually emerge in the heat of the summer in Southern Iraq – which is also the country’s oil-richest area and thus makes Iraq OPEC’s second largest crude oil provider. Iraq’s youth, constituting 60% of the Iraqi population, has been protesting against lack of clean water, public services, and consequential cholera outbreaks – which constitute a clear contestation of Article 21(2) of the Human Rights Convention.
The human right to life (Article 3) is routinely violated in Iraq. ISIL and Abu Ghraib contributed to political, social, and murderous hostilities exacerbated by the environmental consequences of the seven-year war. Iraq’s radiation could be ten times higher than that of Chernobyl.
One of the major demands of Iraq’s revolutionary movement today is the revision of the 2005 Iraqi Constitution, which was drafted under the US-led coalition forces, and has divided Iraq according to ethno-sectarian quota systems. It has thus legitimised the abduction of almost 30,000 Sunni Iraqis as a provisional measurement against terrorism; and, furthermore, allowed personal status issues to be determined according to religious affiliations, contributing to the deterioration of women’s rights.
The imposition of neoliberal doctrines, leading to a deeply intertwined debt relation with the International Monetary Fund, has also reinforced western investors’ preferential treatment through tax-free exports. As a result, protesters are demanding an end to corruption and the patronage system as fostered by the current Iraqi constitution – it is estimated that since 2003, $459 million has been stolen.
The UN Human Rights Review published a report in 2019 on the situation of Iraq. It documents that the Iraqi government abolished the Ministry of Human Rights in 2015, similarly as it briefly mentions that the Iraqi constitution is incompatible with Article 18 of UDHR (Freedom of Religion).
It further enlists the estimated killing of 200 people on grounds of their sexual identity, and condemns that hate speech is not criminalised in Iraq. Yet it fails to draw analogies to the current uprisings in Iraq.
After 16 years of an enduring, corrupt regime, triggered by the lack of opportunities and anger with the systematic discrimination, Iraqis have taken to the streets. There have since been more than 400 deaths, and 2000 abductions. Suffice it to say that the Freedom of Assembly (Article 20) has been violently breached not only by the Internet blackout, but also by targeting protesters’ heads with gas canisters and snipers.
The Iraqi Human Rights Commission stipulated a warning of a security escalation in Baghdad, which will further put the life of protesters at risk, now constantly attacked by unknown assailants. The world remains silent. 
Is the visual imagination of an armed group who opened fire on protesters in Baghdad this Friday – where 15 young people died and 60 were wounded – not scenic enough to constitute a clear enough violation of Article 30 UNHRC in order to be featured in popular media?
I wonder about where the forgotten thought went when the UN Human Rights review analysed Iraq in 2019 – was there a sudden inertia that Iraq is still a signatory to the Covenant of Civil & Political Rights, or is it acceptable to undermine Iraqi protesters’ compliance with Article 19 (Freedom of Expression and Article 20 (Freedom of Peaceful Assembly), because the weapons used against protesters contribute to the US economy?
I wonder what happens when the aspirations of the Universal Declaration of Human Rights are being forgotten in today’s post-Saddam Hussein Iraq. One may hope it will not reproduce a history of blood to be solely hung on the walls of the New York Museum Of Modern Art.
On Human Rights Day, it is important to be mindful of our own stance when replicating media narratives. I suggest this moment to be utmost crucial – not just for Iraqi history, but also to our international community – to speak openly about the occurrences in Iraq.
To speak from an emic narrative perspective, which puts the protester’s individual journey and motivations before the popular portrayal of bloodshed and ‘vulnerabilisation’ of Iraqis. By doing so, we understand Iraqi youth as self-determined agents, capable of hindering the loss of a thought before it can manifest itself into a more suitable legal framework respecting human rights.

Koko Alhusainy is a student currently studying the LLM in Law and Gender, and has experience researching about the role of international law in the ethno-sectarian tensions in Iraq.