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19 dicembre 2019

P. Samir: fra i profughi di Mosul un Natale di croce e speranza

By Asia News

A cinque anni dalla loro fuga, la vita per i profughi di Mosul e della piana di Ninive nel Kurdistan irakeno è ancora “difficile: giornate intere senza elettricità”, gli aiuti “che sono sempre meno” e il lavoro “che manca”, mentre l’opera di ricostruzione arranca. Tuttavia, a dispetto “delle preoccupazioni e della fatica” la partecipazione “alle messe, agli incontri, alla vita di comunità mostrano che la fede è viva e salda”. È quanto racconta ad AsiaNews p. Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya, che in questi anni ha curato migliaia di cristiani, musulmani e yazidi fuggiti nell’estate 2014 per l’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis). “La croce, unita all’amore di Dio, in questo contesto di difficoltà diventano esperienza concreta e quotidiana - sottolinea - e ci fanno sentire una forza e una fede ancora superiore”. 
Le persone, sia i locali che i profughi di Mosul, della piana di Ninive, e gli ultimi dal nord-est della Siria, “sono sempre più stanche per la mancanza di lavoro, gli aiuti che scarseggiano sempre più, i salari a singhiozzo”. La disoccupazione è uno dei problemi più gravi perché azzera le prospettive di ripresa. Queste difficoltà afferma p. Samir, “creano un vuoto, un sentimento di dolore, che viene colmato dalla nascita di Gesù, che è fonte di grazia”. 
Ricorre un pensiero, prosegue il sacerdote, fra i profughi: “Gesù è nato in una grotta. Anche la nostra vita è una grotta, la miseria è diffusa; ma questo è anche lo spazio, e il tempo, in cui il Signore rinasce e ci fa il dono della Sua presenza”. In queste settimane di Avvento “non sono mancate messe e momenti di preghiera, domani è in programma un ritiro spirituale per i bambini e prima dell’Epifania ci sarà un momento dedicato ai regali per i più piccoli”.
Li prepariamo, aggiunge, “perché possano trascorrere un bel Natale” anche se le feste sono in tono minore. Anche qui “abbiamo raccolto l’appello del patriarca caldeo”, che ha deciso di cancellare celebrazioni e festeggiamenti, oltre alla messa di mezzanotte, per le violenze legate alle proteste anti-governative. “Prima l’Isis, poi la crisi politica - conferma p. Samir - hanno spinto le persone a rafforzare l’elemento spirituale della ricorrenza. Vogliamo anche ricordare i mariti, i cristiani e i musulmani in piazza anche per noi, per dire che vogliamo un Paese unito, sotto un’unica bandiera. Seppur lontani, ci sentiamo idealmente vicini a loro e uniti a loro”.
Anche nel Kurdistan irakeno si scorgono i riflessi della crisi politica e istituzionale che ha colpito il Paese, soprattutto nella capitale e nel sud a maggioranza sciita. “La lotta per il potere, la crisi economica - racconta il sacerdote - generano instabilità, fermano i cantieri, bloccano quelle poche prospettive di sviluppo e azzerano il lavoro. A questo si aggiunge il mancato invio dei salari, che arrivano dal governo centrale a Baghdad; l’ultimo stipendio è quello di settembre, altri ne dovevano arrivare prima di Natale, ma ora è tutto bloccato”. 
Tutto questo, prosegue, causa ancora maggiori difficoltà alle famiglie “già piagate da mancanza di soldi e risorse. Manca il denaro per il kerosene per scaldare le case, la distribuzione è a singhiozzo e questo per la popolazione locale. Per i profughi la realtà, se possibile, è ancor più dura e si cerca di sopperire grazie agli aiuti, sempre meno, che arrivano grazie all’opera della Chiesa e che vanno a beneficio di tutti: profughi cristiani, musulmani, yazidi, senza distinzioni”.
P. Samir, parroco a  Enishke, è fra i principali beneficiari della campagna di AsiaNews "Adotta un cristiano di Mosul". Archiviata la lotta contro il movimento jihadista, dichiarato sconfitto almeno sul piano militare due anni fa “ma la cui mentalità è ancora diffusa”, ad oggi restano molti i problemi degli sfollati che non dispongono nemmeno delle risorse di base per sopravvivere. “Qui, nella regione di Amadiya - siamo più dimenticati di altri. Una parte dei profughi ha cercato di tornare a casa, ma la situazione nel Sinjar, a Mosul e in alcune zone della piana di Ninive è ancora disastrosa. Per questo hanno scelto di rientrare nel Kurdistan irakeno”. 
In questo contesto, l’offensiva turca contro i curdi nel nord-est della Siria ha innescato una nuova ondata di profughi con ripercussioni in tutta la regione. “Solo nella mia parrocchia - conferma p. Samir - abbiamo accolto 35 famiglie siriane, di cui solo due cristiane mentre le altre sono musulmane. Sono fuggite all’inizio dell’offensiva e alcuni di questi hanno trovato riparo da amici e parenti, altri ancora sono finiti nei centri di accoglienza. Tuttavia, non hanno mezzi e possibilità per sopravvivere, dunque il bisogno è - se possibile - ancora più grande”. “In queste tenebre, in questa situazione di mancanza - conclude p. Samir - l’aiuto e il sostegno dei benefattori ha ancor più valore e importanza. Queste donazioni sono un segno di speranza, ci fa sentire che siamo meno soli”.