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29 novembre 2023

Il Patriarca senza patria

Luigia Storti

Un caso diplomatico spinoso tra Iraq, Vaticano e Italia.
È crisi fra Stato iracheno e il cardinale Sako.
La ricostruzione dei fatti.
Ancora una volta i cristiani iracheni si sentono traditi da tutti


Il ventesimo anno dalla caduta del regime Baathista è segnato per la comunità cristiana irachena da un'ennesima crisi foriera di una nuova spinta migratoria che ne ridurrebbe ulteriormente i membri, 250.000 oggi rispetto al milione e mezzo pre-2003. Da quell'anno gli iracheni cristiani sono stati perseguitati perché percepiti come alleati dei correligionari invasori, per impossessarsi delle loro proprietà, e perché anello debole e disarmato, in quanto minoranza ed a ragione della loro fede, nella lotta per il potere tra la minoranza sunnita che l'ha perso e la maggioranza sciita che governa il paese in virtù dei numeri.
Sono stati traditi dall'Iraq il cui esercito abbandonò senza combattere Mosul lasciando nelle mani dei miliziani dell'ISIS una città che però condivideva con loro la fede sunnita e che non li difese quando le loro case furono segnate con la lettera "enne" iniziale di "Nazareno."
Sono stati traditi dal governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno, al cui esercito era affidata la sicurezza della Piana di Ninive, il loro territorio ancestrale dove a centinaia di migliaia erano già fuggiti da Bassora, da Baghdad e da Mosul, e che pur appartenente all'Iraq era boccone ambito per chi ad Erbil sognava di aumentare il proprio territorio. L'esercito curdo, infatti, come quello iracheno, si ritirò senza combattere contro i miliziani dell'ISIS che in una notte sola, nell'agosto del 2014, costrinsero più di centomila cristiani ad abbandonare i villaggi della Piana ed a dirigersi con ogni mezzo, anche a piedi, verso la capitale curda, quella sì ben difesa dai propri soldati.
E sono stati traditi dall'Occidente, troppo avaro nel concedere i visti di ingresso per alcuni ma troppo generoso in questo per altri, ad esempio la gerarchia ecclesiastica che per bocca dell'allora vescovo ed ora patriarca Cardinale Louis Sako nel 2012 tuonava contro i "visti facili" che favorivano la fuga dei fedeli.

La Brigata Babilonia
Ma torniamo alla crisi di oggi.
Per farlo dobbiamo ricordare quando nel 2014 la massima autorità sciita irachena, l'Ayatollah Ali al-Sistani, fece un appello ai suoi fedeli perché combattessero i miliziani sunniti dell'auto proclamatosi califfo dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIS) Abu Bakr al Baghdadi, che avevano appena conquistato vaste aree del nord del paese.
Da quell'appello nacque un'organizzazione formata in maggioranza da milizie sciite ma anche da una cristiana.
Era la "Brigata Babilonia" guidata Rayan al-Kaldani, Ryan il Caldeo, il cui scopo dichiarato era riconquistare i territori ed i beni sottratti ai cristiani dall'ISIS appellandosi alle parole di Luca, 22.36 -Ed egli soggiunse: "Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una."-
La guerra tra le due parti cristiane, quella disarmata del cardinale Sako e quella armata di Rayan il Caldeo era cominciata.

La sconfessione del Patriarca
La prima bordata ufficiale arrivò nel 2017 come reazione ad un video in cui Rayan il Caldeo si mostrava a fianco di alcuni prigionieri sunniti accusati di essere fiancheggiatori dell'ISIS ed aveva parlato a nome di tutti i cristiani. Rayan il Caldeo, si leggeva nella nota patriarcale, “non ha alcun legame con la morale insegnata da Cristo, messaggero di pace, amore e perdono”, e non può “fare tali affermazioni coinvolgendo i cristiani perché “non li rappresenta in alcun modo.”
Il timore era che l'agire di singoli individui che operavano ostentando simboli cristiani potesse fomentare scontri su base religiosa ed innescare una spirale di vendette.
Se i cristiani avessero proprio voluto partecipare alla liberazione dei territori occupati dall'ISIS sarebbe stato meglio farlo arruolandosi nell'esercito iracheno o in quello curdo piuttosto che in milizie ufficialmente cristiane ma finanziate e popolate da sciiti, in grado di alimentare la "sedizione confessionale." Alle accuse del patriarcato caldeo si unirono quelle del Consiglio dei capi delle chiese in Iraq che nel luglio del 2019 criticò aspramente Rayan il Caldeo per aver scritto una lettera aperta all'Ayatollah Ali al Sistani per lamentarsi delle espressioni negative usate da alcuni esponenti sciiti nei confronti della festa cristiana del Natale.
Una buona intenzione vanificata dall'aver definito il destinatario come “la più alta guida spirituale dell’Iraq” in completo disprezzo della varietà di minoranze religiose non sciite, ed in più di averlo fatto a nome di "tutti i cristiani dell'Iraq" scavalcando quindi le autorità religiose di tutte le chiese riconosciute nel paese.

Anche gli USA contro Rayan il Caldeo
A dare manforte alla posizione dei leader cristiani da lì a poco sarebbe arrivata anche l'amministrazione Trump che nel 2019 inserì Rayan il Caldeo tra gli iracheni cui imporre sanzioni per "violazione dei diritti umani e corruzione" in riferimento ad un video del 2018 in cui lo si era visto tagliare un orecchio ad un prigioniero ammanettato, ed al suo essere capo della 50ma Brigata: "... il principale impedimento al ritorno degli sfollati nella Piana di Ninive" che "ha sistematicamente saccheggiato case nel villaggio di Batnaya che sta lottando per riprendersi dopo la brutale dominazione dell'ISIS" e che "ha illegalmente sequestrato e venduto terreni agricoli e che la popolazione ha accusato di atti di intimidazione, estorsione e molestie sessuali."
La guerra continuò negli anni successivi senza esclusione di colpi. Se Rayan il Caldeo accusava il patriarca Sako di commerciare i beni della chiesa e di avere un conto bancario segreto in Canada il patriarca ribaltava le accuse di furto e frode e minacciava di deferire il governo iracheno all'assise internazionale per non aver perseguito un siffatto criminale.
La situazione si aggravò lo scorso maggio quando per l'ennesima volta il patriarca fu convocato dalla Polizia dopo le denunce di calunnia e diffamazione istigate - come da lui stesso scritto in una lettera aperta alla presidenza - dal Movimento Babilonia, il braccio politico della Brigata Babilonia di Rayan il Caldeo che dalle elezioni del 2021 può contare su 4 dei 5 seggi riservati alla minoranza cristiana ed un ministro. Posti ottenuti, questa è l'accusa del patriarca, con i voti non dei propri correligionari ma di elettori sciiti, i veri padroni della Brigata e del Movimento.

A luglio la crisi precipita
Il presidente iracheno, il curdo Abdul Latif Rashid, ritirò infatti il decreto presidenziale n° 147 firmato dal suo predecessore e che riconosceva il patriarca caldeo come "Patriarca e capo della chiesa caldea" e quindi "responsabile dei beni della chiesa."
Secondo Rashid "dal 2018 i consiglieri legali e costituzionali della presidenza, così come le autorità giudiziarie, hanno stabilito che il presidente della repubblica irachena non ha il potere o l'autorità di emanare decreti che riguardino i capi delle denominazioni" (religiose) e di conseguenza il decreto non avrebbe avuto basi istituzionali.
Una tale decisione non poteva che scatenare l'inferno.
In pochi giorni il patriarca Sako rivolse ben tre lettere aperte alla presidenza della repubblica per chiedere di ritirarla appellandosi alla storia che aveva visto riconosciuta la figura del patriarca come capo della chiesa e responsabile dei suoi beni fin dai tempi della dominazione ottomana dell'attuale Iraq, sottolineando come essa avrebbe potuto incidere negativamente sulla permanenza in patria della già esigua comunità cristiana testimone dell'attacco diretto del governo al suo esponente di maggior spicco e ribadendo l'importanza del suo ruolo di nominato dal papa e, in quanto cardinale elettore, egli stesso possibile candidato al soglio di Pietro.

Il Patriarca si ritira in Kurdistan
Di fronte al granitico rifiuto presidenziale di una marcia indietro ed alla minaccia di altre convocazioni da parte della Polizia -qualcuno non escludeva il rischio di un arresto- rimanevano poche strade da percorrere ed il patriarca scelse quella, rischiosa, dell'esilio volontario.
Lasciata Baghdad a metà luglio per la già programmata cerimonia di nomina del vescovo caldeo per la Turchia il patriarca non vi ha fatto più ritorno rifugiandosi nella regione autonoma del Kurdistan iracheno dove ormai vive la maggior parte dei suoi fedeli e dove ha trovato calda accoglienza da parte delle autorità politiche desiderose di mostrare al mondo il loro atteggiamento di apertura verso le minoranze religiose, magari anche per far dimenticare di aver abbandonato nelle mani dell'ISIS proprio i cristiani della Piana di Ninive nel 2014.
Ad oggi, metà settembre, la situazione è ancora in stallo.
Nessuna delle due parti sembra voler - ma neanche potere senza rimetterci il prestigio - recedere dalle sue decisioni e fino ad ora le manifestazioni di solidarietà arrivate al patriarca da leader politici e religiosi iracheni e stranieri non hanno portato a nulla.
Quello che di certo il patriarca sta attendendo è una chiara presa di posizione da parte di Papa Francesco che il governo iracheno non possa ignorare tanto da far pressione sul presidente a suo favore.

Il papa si consulta e riflette
Il papa che fino ad ora ha taciuto e che è stato piuttosto inconsapevole protagonista di un evento spiacevole quando, il 6 settembre, nel corso dell'udienza generale in Piazza San Pietro è stato avvicinato da un gruppo di fedeli iracheni uno dei quali è riuscito a farsi fotografare mentre gli porgeva un regalo.
Un fedele che altri non era che il tagliaorecchie Rayan il Caldeo, l'accusato di "violazione dei diritti umani e corruzione" ed al quale lo stesso papa aveva rifiutato udienza ad aprile sapendolo acerrimo nemico del suo massimo rappresentante in terra irachena.
Forse è quindi proprio perché il Vaticano si esprima ufficialmente che il 13 dello stesso mese a parlare con il papa a Roma è arrivato da Baghdad il vicario patriarcale caldeo, Monsignor Basel Yaldo.
Come sempre però nulla è semplice per gli iracheni cristiani.
Perché se può essere facile per il Vaticano schierarsi ufficialmente a favore del Cardinale che è riuscito a portare il papa ad Ur, sarà più difficile mettersi contro la decisione di un presidente di uno stato sovrano.
E lo sarà ancora di più perché dal 19 maggio scorso Abdul Latif Rashid è anche Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine al Merito, la massima onorificenza concessa dalla Repubblica Italiana riservata ai capi di stato. Un pasticcio diplomatico di non facile soluzione.

26 novembre 2023

Le sfide della Chiesa in Iraq. Monsignor Fernando Filoni, ex Nunzio Apostolico a Baghdad.

Roberto Cetera
24 settembre 2023

«Una parte del mio cuore è rimasta in Iraq»: con queste parole, il cardinale Fernando Filoni, attuale Gran Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, sintetizza la sua esperienza di nunzio apostolico in Iraq, vissuta dal 2001 al 2006. Anni complessi che videro esplodere, nel 2003, la seconda guerra del Golfo, con tutte le sue drammatiche conseguenze. In quel tragico contesto, la Chiesa in Iraq divenne un punto di riferimento per la popolazione cristiana e non solo, come lo stesso cardinale Filoni spiega nel volume “La Chiesa in Iraq. Storia, sviluppo e missione, dagli inizi ai nostri giorni” (Lev, 2015, 256 pagine).
A un colloquio con «L’Osservatore Romano», il porporato ripercorre le principali tappe che vent’anni fa portarono al conflitto in Iraq.

Eminenza, quando Lei è arrivato in Iraq nel 2001, quale Paese ha trovato?
All’epoca, l’Iraq viveva le conseguenze sia del conflitto con l’Iran, perdurato dal 1980 al 1988, sia della prima guerra del Golfo, esplosa nel 1991. Gli Stati Uniti avevano imposto la no-fly zone e le sanzioni, la popolazione non aveva granché, il governo doveva sostenere l’economia, la moneta locale era letteralmente crollata. La gente viveva una situazione di controllo da parte delle Nazioni Unite e di scontro con Saddam Hussein, accusato di possedere armi micidiali. Accuse sempre respinte dallo stesso Saddam Hussein e in effetti a posteriori mai confermate.
Nel Kurdistan iracheno, invece, qual era la situazione?
Nella parte nord dell’Iraq, l’instabilità era provocata dai curdi che volevano essere autonomi e indipendenti da Saddam Hussein. Di conseguenza, continuamente si verificano guerriglie e devastazioni tra l’esercito di Saddam Hussein e i Peshmerga. Questo fu uno dei motivi che portò alla grande migrazione, sia interna che esterna, dei cristiani.
Qual era l’atteggiamento delle autorità irachene nei confronti della Chiesa?
Quando io sono arrivato in Iraq, la Chiesa era tenuta in considerazione perché durante la prima guerra del Golfo l’allora nunzio apostolico, monsignor Marian Oleś, non aveva abbandonato Baghdad. E questo fu apprezzato da Saddam Hussein, quindi non c’era un’attitudine negativa nei confronti delle autorità ecclesiali. La Chiesa godeva di una certa stima, anche perché era un punto di riferimento super partes, molto equilibrato. Non c’era libertà religiosa, ma i cristiani potevano vivere in modo abbastanza tranquillo. C’era la libertà di culto, anche se le scuole cattoliche erano state tutte requisite, eccetto una, lasciata alle suore caldee e presso la quale studiavano le figlie di Saddam Hussein. C’era inoltre un piccolo ospedale cattolico, tenuto dalle suore domenicane francesi, che furono le prime religiose arrivate in Iraq. Durante la guerra del 2003, questo nosocomio non poteva accettare feriti, però curava le malattie comuni e soprattutto le donne, sia cristiane che musulmane. In quel periodo, in sostanza, la Chiesa aveva una sua sicurezza, seppur minima: non c’erano atti diretti contro i cristiani. Tanto che l’uccisione di una suora di oltre 70 anni, avvenuta nel 2002 e commessa da parte di tre ragazzi, incontrò l’ira di Saddam Hussein che, nel giro di poche settimane, catturò i responsabili.
Lei ha mai incontrato Saddam Hussein?
Non l’ho mai incontrato, perché dopo la prima guerra del Golfo Hussein non incontrava mai alcun diplomatico per ragioni di sicurezza. Le credenziali si presentavano al vicepresidente.
Essere nunzio a Baghdad quali differenze comportava rispetto alle Sue precedenti esperienze?
Essendo i cristiani una minoranza, si sentivano protetti dalla presenza del nunzio e quindi anche del Papa. E il governo stesso rispettava questo ruolo anche per dimostrare che le minoranze in Iraq venivano rispettate. Il nunzio era quindi una garanzia e si poteva, in alcuni casi limitati, aprire delle trattative attraverso il Patriarcato. E dovunque io sono andato, ho trovato sempre molta deferenza da parte delle autorità.
Tra l’altro, Saddam Hussein fece arrivare in Iraq alcune suore di Madre Teresa alle quali affidò un piccolo orfanotrofio per bambini gravemente disabili. Nella residenza di Saddam Hussein, inoltre, c’erano molti lavoratori cristiani, dei quali lui si fidava, perché diceva che rispettavano la parola data.
Qual era la posizione della Santa Sede in quegli anni?
Non si può guardare alla Chiesa come a una potenza che deve intervenire in favore dell’una o dell’altra parte. C’è sempre un principio di giustizia ed esso può essere difeso attraverso un atteggiamento equanime.
Giovanni Paolo II aveva il polso della situazione e aveva una posizione corretta ed onesta: non difendeva Saddam Hussein in quanto era un dittatore ed anche violento, ma il Papa era contro la guerra in Iraq e sapeva che la guerra preventiva che gli Stati Uniti avevano ipotizzato, con il sostegno della Gran Bretagna, era inaccettabile. Perché con questo concetto si può fare la guerra ovunque. E invece nel caso dell’Iraq non c’erano motivi reali per scatenare un conflitto.
Quali conseguenze ha provocato la seconda guerra del Golfo?
Basti dire che il sedicente stato islamico (Is) è “l’ultimo figlio” di quel conflitto. L’Is non è nato casualmente: gli americani erano visti come forza di occupazione, non di liberazione. E l’attuale situazione nasce dal fatto che quella guerra ha lasciato dietro di sé il caos.
Che impressione Le ha fatto tornare in Iraq a marzo 2021 insieme Papa Francesco?
Racconto un aneddoto: dopo vent’anni, ho rivisto una persona che nel 2001 era assistita nell’orfanotrofio delle suore di Madre Teresa. All’epoca, era una bimba di pochi mesi ed aveva una grave disabilità. I genitori l’avevano abbandonata alla nascita, ma era una bambina molto intelligente. A marzo 2021 l’ho ritrovata: oggi ha vent’anni, si muove in sedia a rotelle e ha imparato l’inglese. L’ho salutata e lei mi ha risposto con un sorriso.

Medio Oriente: "Quanta luce fa quel lumicino"

Maria Acqua Simi
23 novembre 2023

Il conflitto in Terra Santa ha riportato i riflettori anche sulla ormai sempre più esigua presenza dei cristiani in Medio Oriente. Costretti ad abbandonare le loro terre a causa di discriminazioni, guerre e terrorismo, sono ormai pochi coloro che scelgono di rimanere. Eppure qualcuno c’è. E non rimane per mancanza di alternative, ma «per amore».
Lo racconta il cardinale Raphael Louis Sako, Patriarca della Chiesa caldea. Lui stesso, che in questi mesi sta subendo in Iraq una persecuzione infamante (il luglio scorso il Capo dello Stato, Abdul Latif Rashid, ha revocato lo storico decreto che riconosceva il Cardinale come leader della Chiesa irachena e amministratore dei beni ecclesiastici) ha deciso di trasferirsi da Baghdad a Erbil, nel Kurdistan iracheno, pur di rimanere accanto al circa mezzo milione di cristiani che ancora abita il Paese.
«Nella difficoltà la nostra è una Chiesa viva, dinamica, dove la partecipazione alla messa e la fedeltà all’eucarestia sono commoventi. E i cristiani, qui, vivono un grande servizio di carità verso tutti, musulmani compresi. Con questo amore attendiamo il Natale, che per noi sarà una celebrazione scarna, essenziale, senza trionfalismi perché la situazione che viviamo lo impone. Ma al centro ci sarà sempre il Bambino Gesù».
Parla di sé, il Cardinale, non scarta le domande personali. E così quando gli domandiamo cosa desidera per questo Avvento, non si nega. «Chiedo a Gesù di vivere prima di tutto un’attesa fondata sulla speranza. L’Avvento è un cammino, un tempo che io userò per pregare questo Bambino. La sua nascita è un dono per tutti ma ogni anno io devo riscoprire Lui, riascoltare Lui, riamare Lui. La preghiera è condizione necessaria della speranza: se io attendo, vivo un dinamismo interiore che mi fa chiedere, mi fa mettere in ginocchio».
Pregherà anche per le comunità che gli sono affidate, in un Paese dove la situazione economica è fragile e dove gli attacchi contro i cristiani sono la quotidianità: dall’esclusione dal lavoro all’appropriazione delle loro proprietà, fino al sistematico cambiamento demografico delle loro città nella Piana di Ninive (l’area storicamente abitata dalle comunità cristiane, ndr).
La strage nella cattedrale di Nostra Signora a Baghdad nel 2010, quattro anni dopo l’arrivo dell’Isis, con l’uccisione e l’esodo di centinaia di migliaia di cristiani. Poi l’instabilità politica, le brigate filo-iraniane che discriminano i non musulmani, il terribile rogo di Qaraqosh che solo due mesi fa ha ucciso oltre cento cristiani durante un matrimonio e infine il riaccendersi delle tensioni tra israeliani e palestinesi con ripercussioni in tutta la regione.
«Capisco tante famiglie cristiane che decidono di andarsene dall’Iraq e dal Medio Oriente per cercare un futuro migliore per sé e per i propri figli. Ma guardo con speranza alla tenacia con cui tanti altri sono rimasti, ripenso alle parole del Papa che è voluto venire in Iraq per ricordarci che siamo tutti fratelli. Oggi soffriamo ma abbiamo una vocazione qui. Non siamo nati per caso in Iraq, in Siria, in Libano o in Terra Santa: siamo chiamati ad essere missionari con il nostro Battesimo. Questo è stato un punto centrale del Sinodo appena trascorso: ogni battezzato deve vivere pienamente la sua fede per trasmetterla al mondo. Noi, cristiani del Medio Oriente, con la nostra presenza testimoniamo a tutti una fraternità. Le nostre piccole comunità cristiane sono sale della terra: siamo infinitamente piccoli, siamo come candele. Ma se c’è buio, quanta luce può fare anche un lumicino! Questo è possibile tramite cose molto concrete: è stato istituito ad esempio un comitato di dialogo tra cristiani, sciiti, sunniti, yazidi in Iraq, e in tutta la regione mediorientale le comunità cristiane sono impegnate in campo educativo, culturale, di carità per vivere nella fedeltà, nella pace, nel perdono. La nostra è una fede feconda. Il nostro compito è preparare terreno al futuro, per gli uomini domani. Perché le guerre finiranno, la pace verrà e ci sarà bisogno di uomini e donne liberi per ricostruire».
Anche per questo il recente Sinodo per il Cardinale è stato «un momento di grande grazia» tanto che in una delle sue ultime omelie si è trovato ad augurare al mondo musulmano di poter vivere un confronto così aperto e appassionato. «Auspico che anche i musulmani possano sperimentare una vera sinodalità per scoprire la bellezza della loro fede. Penso che abbiano bisogno di confrontarsi di più con i problemi della modernità, di affrontare temi scomodi come l’esegesi o l’interpretazione del Corano. Le autorità religiose musulmane devono fare qualcosa perché è diffusa una mentalità chiusa e che irrigidisce. Se non si offre qualcosa di interessante, un giovane dove andrà a cercare?».
Per vivere un’unità e cercare di uscire dalle guerre che ciclicamente sconvolgono i Paesi mediorientali, per il Cardinale non esiste altra via che «una conversione del cuore profonda e radicale. E bisogna avere il coraggio di aprirsi anche a chi è diverso. Dall’unità nasce una fecondità che poi contagia la politica, la società. Questo vale anche tra noi cristiani, che a volte ci perdiamo nelle nostre scaramucce. Attenzione, quando parlo di unità non intendo dire uniformità: è bello avere liturgie diverse, lingue diverse, tradizioni diverse ma al centro non dobbiamo dimenticare che c’è Cristo. Cristo - ce lo insegna il Natale - è quello che il mondo attende».

Il dolore di un prete: il racconto straziante di padre Sheeto nel fuoco in Iraq

Rodi Sher
22 novembre 2023

All'indomani del catastrofico incendio di Qaraqosh, in Iraq, che ha causato la morte di circa 140 persone e ne ha lasciate ferite circa 250, la comunità sta ancora affrontando l'enormità della perdita.
Padre Peter Sheeto, parroco della Chiesa siro-cattolica di San Giacomo, ha condiviso con ACI MENA la sua straziante storia a seguito del tragico evento verificatosi nella città storicamente cristiana - nota anche come Bakhdida - nel Governatorato di Ninive, in Iraq.
Padre Sheeto ha perso 10 dei suoi cari nell'incendio della sala matrimoni di Al Haytham il 26 settembre, tra cui i suoi genitori, due sorelle, le consorti di entrambi i suoi fratelli e i loro figli. Il suo dolore e la sua perdita sono profondi: "Mi mancano ancora le risate di mio padre, la tenerezza di mia madre e i volti innocenti dei miei nipoti".
Il pastore ha dichiarato ad ACI MENA: "Sto vivendo il mio personale calvario. Sto portando una croce pesante e ho bisogno di un Simone di Cirene per alleviare il mio dolore", ha detto.
Nonostante il suo ruolo di sacerdote, ha sottolineato l'aspetto umano del suo dolore: "Non riuscivo a superare la tragedia. Un sacerdote esprime le normali emozioni umane di fronte alla catastrofe e alla tentazione".
Padre Sheeto ha detto di essersi rivolto alle Sacre Scritture per trovare conforto, contemplando il Libro di Giobbe - ma ha anche riconosciuto di "non riuscire a trovare un caso simile" al suo nella Bibbia.
Esprimendo un dolore simile a quello di Gesù che piange per la morte di Lazzaro, padre Sheeto ha lamentato la perdita della sua famiglia.
Il sacerdote ha espresso delusione per la risposta del Vaticano alla tragedia, notando una mancanza di sostegno nel sottolineare la situazione della sua comunità sulla scena internazionale.
"A differenza del passato, il Vaticano non ha messo in evidenza la nostra situazione e la morte dei nostri cari. Viviamo in un Paese che ci vede come agnelli da macello, dove le nostre vite e la nostra dignità sono ignorate", ha dichiarato.
Nonostante l'immenso dolore, padre Sheeto ha dichiarato ad ACI MENA di non aver perso la speranza. La tragedia, che ha superato la sua capacità emotiva, lo ha portato a pregare per la Luce della Risurrezione per i membri della sua famiglia sopravvissuti.
"La preghiera afferma che siamo figli di Dio e che affidiamo la nostra vita a Lui. La pace interiore è essenziale, perché senza di essa la vita perde di significato, così come le preghiere", ha affermato.
In un messaggio conclusivo rivolto a tutti coloro che soffrono simili difficoltà, padre Sheeto ha espresso la sua costante fede cristiana nell'aldilà: "Dopo essere diventato orfano in tutti i sensi, prego per Maria, la mia amorevole madre. Credo fermamente che la mia famiglia riposi con gli angeli e i santi nel Regno Celeste di Dio".

Iraqi Christians future could not be dictated by a militia group, says Chaldean Church patriarch

November 21, 2023

The future of Iraqi Christians could not be dictated by a militia group, the head of the Chaldean Catholic Church in the country and the world said on Tuesday at the MEPS23 Forum in Duhok.
Remarks by Patriarch Raphael Louis Sako, who had fled Baghdad for Erbil in recent months, came during a keynote speech he delivered on Tuesday morning on the second day of Middle East Peace and Security (MEPS).
Calling for peace and living in harmony, the clergyman said the future of Christians in Iraq could not be determined by anyone.
“A militia group could not dictate the future of Christians,” he said.
The patriarch has reportedly been threatened by an Iranian-backed militia group that claims to be composed of Christian fighters in the Nineveh Plains. Similarly, Iraqi President Abdul Latif Rashid has withdrawn a presidential decree that had recognized the religious leader as the head and custodian of the Chaldean church.
The faith leader also laid out a project that would enhance religious coexistence in Iraq, which includes amending the Iraqi constitution that would stipulate greater protection and representation to the Christian community as well as other minority groups in Iraq.
Hundreds of politicians, political pundits, and researchers are attending the second day of MEPS23 in Duhok.

Teheran, neo-arcivescovo caldeo: ‘padre e pastore’ di una comunità che cerca stabilità

Dario Salvi 
21 novembre 2023

“I fedeli si aspettano che il vescovo sia per loro padre e pastore”. Quando parliamo di padre, si vanno a toccare “i bisogni” e le “aspettative” dei figli, per questo il vescovo “è un padre per tutta la comunità” e guarda ai suoi “figli con tanta cura e profonda sincerità, con amore e con umiltà”.
È quanto racconta ad AsiaNews il neo arcivescovo caldeo di Teheran, mons. Imad Khoshaba Gargees, ordinato ai primi di novembre dal patriarca e (sic) card. Louis Rapahel Sako dopo la nomina - con assenso del papa - a fine settembre scorso. Un momento di festa per una comunità, quella dei cristiani della capitale iraniana, che da tempo attende un nuovo pastore, che il neo vescovo desidera scoprire “non avendola mai visitata sinora”, sebbene al momento “non vi sia una data certa” per l’ingresso. “Dopo l’approvazione di papa Francesco - ricorda - sono corso subito in chiesa a pregare davanti al santissimo, affidando la mia vita [e la missione] nelle mani del Signore”.

Un pastore atteso a lungo
Il 26 settembre scorso il pontefice ha espresso il proprio assenso all’elezione della Chiesa patriarcale di Baghdad di mons. Imad Khoshaba Gargees, del clero dell’eparchia di Duhok, nel Kurdistan iracheno, ad arcivescovo di Teheran dei caldei. 
Il prelato è nato il 4 aprile 1978 a Komane (Amadiyah-Duhok), nella regione semi-autonoma del nord, e ha studiato filosofia e teologia al Babel College di Baghdad fra il 1997 e il 2004. L’8 giugno dello stesso anno riceve l’ordinazione sacerdotale a Komane ed è stato ascritto all’eparchia di Duhok. Dal 2004 al 2010 è segretario del vescovo e parroco di Amadiyah. A Roma consegue la licenza e il dottorato in Diritto canonico presso il Pontificio Istituto Orientale. Dal 2016 al 2022 ricopre l’incarico di parroco della cattedrale Mar Ith Alaha a Duhok, prima di essere trasferito nel 2022 a Mangesh come parroco.
La comunità cattolica della capitale iraniana, racconta il neo-vescovo, ha accolto con gioia la nomina e “ho ricevuto molte congratulazioni e messaggi di auguri” sia dai caldei che “da altri vescovi” a Teheran e nel Paese. “Nella società iraniana - spiega - vi è grande rispetto reciproco e, in questo elemento, si gioca ed è racchiusa in sintesi la nostra missione: essere testimoni e fratelli” gli uni con gli altri, cristiani e non, con “ogni essere umano”. “Gran parte del mio nuovo lavoro - aggiunge - si baserà sulla cura dei fedeli e dei loro bisogni” che intende conoscere e approfondire “una volta che sarò arrivato” in diocesi. Al centro dell’opera, afferma, vi sono “i fedeli e la comunità”.
L’arciepachia caldea di Teheran ha sede nella cattedrale di san Giuseppe, anche se la prima sede nel 1854 è stata Sanandaj e solo nel 1944 è avvenuto il trasferimento nella capitale. Nel novembre 1970 i fedeli hanno accolto Paolo VI, unico pontefice a visitare la Repubblica islamica sebbene i rapporti fra ayatollah e Santa Sede siano consolidati e il Vaticano abbia spesso svolto il ruolo di interlocutore privilegiato con Teheran anche nei momenti più critici.

Cristiani e libertà religiosa
Un nodo che riguarda le minoranze religiose è quello della libera pratica del culto, in una realtà in cui vi è un controllo dello Stato sulla popolazione e sulle manifestazioni di dissenso, in particolare dopo la morte della 22enne curda Mahsa Amini nel settembre 2022. La giovane è stata fermata dalla polizia della morale a Teheran per non aver indossato correttamente il velo (hijab) ed è stata uccisa durante la detenzione in circostanze mai chiarite. La repressione delle proteste ha rafforzato i controlli anche sulle religioni, come denuncia il rapporto 2023 della US Commission on International Religious Freedom, che invita riclassifica l’Iran come “nazione di particolare preoccupazione” per “violazioni sistematiche ed eclatanti”. Inoltre in sette settimane, fra giugno e luglio scorso, decine di cristiani, in maggioranza convertiti dall’islam ma non mancano casi di assiro-caldei battezzati sin da piccoli, sono stati arrestati dalle autorità. Gli attivisti di Article18, sito specializzato nel documentare le repressioni in atto per mano degli ayatollah contro le minoranze religiose, riferiscono di almeno 69 persone trattenute in stato di fermo. E almeno 10 di esse - quattro uomini e sei donne - sono state incarcerati. Per quanti hanno ottenuto la libertà su cauzione, le famiglie hanno dovuto versare importi variabile da 8mila fino a 40mila dollari. La maggioranza delle persone fermate sono neo-convertiti dall’islam, ma non mancano - almeno due i casi accertati - di arresti a carico di armeni iraniani, che professano la fede cristiana sin dalla nascita. L’ondata di arresti è coincisa con una nuova repressione che ha colpito pure la comunità baha’i, che insieme ai convertiti cristiani è un altro gruppo religioso minoritario non riconosciuto da Teheran.

Le molteplici sfide
“Il nostro mondo di oggi - sottolinea mons. Imad Khoshaba Gargees - sta affrontando sfide diverse e molteplici, e tutti devono collaborare per potersi aiutare l’uno con l’altro. Certo, le problematiche variano da una società all’altra e da un luogo all’altro, ma come cristiani viviamo sempre nella speranza per poterle superare” con “la fede e la preghiera”. A guidare la missione saranno i principi della “sincerità e della serietà”, del rispetto della “coscienza” consapevole di operare in una realtà in cui i cristiani sono minoranza in una società a larga maggioranza musulmana. E in un Paese spesso in contrasto con le potenze occidentali e oggetto di sanzioni che ne hanno minato l’economia.
Secondo le ultime stime ufficiali in Iran vi sono circa 22mila cattolici, mentre i cristiani di tutte le confessioni raggiungono quota 500mila circa a fronte di un totale complessivo di quasi 84 milioni di abitanti, in larghissima maggioranza musulmani sciiti. Essi superano il 90%, con una piccola quota del 5% circa di sunniti, soprattutto nelle zone del sud-est dove vivono le minoranze etniche fra le quali i beluci. A livello di Chiese vi sono caldei, armeni e comunità di rito latino, che si sommano a europei o latino-americani che vivono per lavoro nella Repubblica islamica. Secondo la Costituzione iraniana (art. 13) cristiani, zoroastriani ed ebrei sono liberi di praticare il culto “nel rispetto” delle leggi ispirate alla fede musulmana. Inoltre i cristiani hanno di diritto dei rappresentanti in Parlamento (Majlis). In tutto il Paese vi sono solo due arcidiocesi assiro-caldee, una diocesi armena e un’arcidiocesi latina in un territorio assai vasto e di difficile amministrazione.
Sulla situazione dei cristiani in Iran era intervenuto nel luglio del 2020 lo stesso patriarca caldeo, il quale aveva inviato una lettera pastorale alla comunità e ai fedeli in una fase complicata per la Chiesa locale per la persistente mancanza di un pastore. I fedeli, aveva sottolineato già tre anni fa il card. Sako, devono affrontare “molteplici sfide”, la prima delle quali è l’emigrazione. Un tempo erano almeno 15mila i caldei nella Repubblica islamica, adesso sono solo 4mila fra Teheran e Urmia, e il dato “è preoccupante”.
Durante l’omelia della messa di ordinazione di mons. Imad il primate ha ricordato che “il vescovo è padre di tutti”, specialmente di “poveri e oppressi” di cui comprende “paure, speranze e aspirazioni” seguendo e risolvendo “le crisi con amore e saggezza”. “Ogni vescovo - ha sottolineato il patriarca - nella chiesa non è solo per la sua comunità, ma per tutti i cristiani e per tutte le persone. Si apre a loro, le ama, le sostiene, collabora e difende i loro diritti e la loro dignità”. Parole che guideranno la missione del neo-vescovo, che attende fiducioso di poter prendere possesso della diocesi: “Sto aspettando - conclude mons. Imad - che siano completate le procedute [burocratiche] per potere arrivare a Teheran e iniziare a lavorare con la nostra comunità. Ma a tutti, anche ai lettori di AsiaNews, chiedo preghiere perché mi sostengano nella missione e perché il Signore conceda pace e stabilità in tutto il mondo”.

19 novembre 2023

Papa al presidente iracheno: preservare ‘missione’ della Chiesa e presenza cristiana

18 novembre 2023

“Buone” relazioni bilaterali e “temi di interesse comune”, in particolare “la missione” della Chiesa cattolica e il futuro della comunità, soprattutto nella piana di Ninive. Sono le questioni al centro dell’incontro di stamane in Vaticano fra papa Francesco e il presidente iracheno Abdul Latif Jamal Rashid, in una fase di crisi profonda fra le istituzioni a Baghdad e il patriarcato caldeo. 
Al centro della controversia la decisione del capo dello Stato di ritirare il decreto presidenziale - avallata in settimana dal tribunale - che ne riconosce ruolo e autorità. Il pontefice per due volte aveva respinto, in passato, una richiesta di incontro da parte di Rashid; oggi il faccia a faccia, cui è seguito l’incontro col segretario di Stato card. Pietro Parolin e mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali.
In una nota diffusa dalla Sala Stampa alla conclusione si parla di “cordiali colloqui” in cui sono confermate “le buone relazioni bilaterali” e “si sono affrontati temi di interesse comune”. “In particolare, si è ribadita la necessità - prosegue la dichiarazione - che la Chiesa cattolica in Iraq possa continuare a svolgere la sua apprezzata missione e che si garantisca a tutti i cristiani iracheni di essere parte vibrante e attiva della società e del territorio, in particolare nella Piana di Ninive”. Inoltre, conclude la nota, “ci si è soffermati su alcune tematiche internazionali, con particolare attenzione al conflitto in Israele e Palestina, e all’urgente impegno per la pace e la stabilità”.
A metà luglio il card. Sako ha trasferito in via temporanea la sede patriarcale dalla capitale irachena a Erbil, nel Kurdistan iracheno, in risposta all’annullamento da parte del presidente della Repubblica del decreto che ne riconosce ruolo e autorità. Una “prima volta” nella storia del Paese, come ha sottolineato lo stesso patriarca, in risposta a una decisione sorprendente del capo dello Stato: Abdul Latif Rashid, infatti, ha sconfessato una tradizione secolare colpendo la massima autorità cattolica, che è anche responsabile della gestione di patrimonio e beni ecclesiastici. Ed è qui che ruota la questione: il controllo delle proprietà finite nel mirino del sedicente leader cristiano “Rayan il caldeo” e delle milizie filo-iraniane che lo sostengono (una galassia variegata che comprende sciiti, cristiani, sunniti, etc), minaccia per la pace e la convivenza per tutta la nazione.
In risposta agli attacchi, il porporato - che ha definito il ritiro del decreto un “assassinio morale” - ha trasferito come “protesta estrema” la sede patriarcale a Erbil e non ha escluso il boicottaggio delle prossime elezioni. 
Al riguardo, in una recente intervista ad AsiaNews, il card. Sako ha confermato una volta di più il proposito di andare fino in fondo per quella che definisce una battaglia per la sopravvivenza stessa della comunità cristiana in Iraq. “A Baghdad - ha affermato il porporato - farò ritorno solo quando verrà ritirato il decreto. La nostra Chiesa molto ha dato all’Iraq, dalla visita del papa agli aiuti umanitari ai musulmani ai tempi dell’Isis, anche maggiori rispetto a quelli riservati ai cristiani. Oggi, il ringraziamento delle istituzioni è quello di punire il patriarca e un’intera comunità”.
Già a fine ottobre il presidente iracheno, presente a Roma per il World Food Forum, aveva chiesto di essere ricevuto in udienza, ma il papa aveva declinato per la seconda volta replicando la risposta data sei mesi prima a fronte di una richiesta analoga. La scelta del pontefice era chiaramente legata alla controversia in atto fra il capo dello Stato e il patriarca caldeo, anche se la Santa Sede non ha mai preso ufficialmente posizione sulla vicenda tanto che lo stesso card. Sako aveva criticato il “silenzio” di Roma. Di contro, aveva sollevato forti polemiche e perplessità il (casuale) incontro fra Rayan il caldeo e il papa al termine di una udienza generale del mercoledì. 
Alte fonti vaticane, interpellate da AsiaNews nelle scorse settimane, avevano spiegato che la diplomazia è “al lavoro” per trovare una “soluzione” alla controversia fra il primate caldeo e il presidente mediante il dialogo e la riconciliazione, per “il bene” della comunità cristiana irachena.

Comunicato della Sala Stampa della Santa Sede: Udienza al Presidente della Repubblica d’Iraq

18 novembre 2023

Nella mattinata di oggi, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Presidente della Repubblica d’Iraq, S.E. il Sig. Abdul Latif Jamal Rashid, il quale si è successivamente incontrato con Sua Eminenza il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, accompagnato da Sua Eccellenza Mons. Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali.
Durante i cordiali colloqui in Segreteria di Stato, avvalorando le buone relazioni bilaterali, si sono affrontati temi di interesse comune. In particolare, si è ribadita la necessità che la Chiesa cattolica in Iraq possa continuare a svolgere la sua apprezzata missione e che si garantisca a tutti i cristiani iracheni di essere parte vibrante e attiva della società e del territorio, in particolare nella Piana di Ninive.
Inoltre, ci si è soffermati su alcune tematiche internazionali, con particolare attenzione al conflitto in Israele e Palestina, e all’urgente impegno per la pace e la stabilità.

Rashid: Iraq has come a long way in establishing security and political stability

November 18, 2023

The President of the Republic, Abdul Latif Jamal Rashid, confirmed that Iraq has come a long way in consolidating security and political stability.
A statement from the Media Office of the President of the Republic, received by the Iraqi News Agency (INA), stated that the President of the Republic, Abdul Latif Jamal Rashid, and First Lady Shanaz Ibrahim Ahmed met with His Holiness Pope Francis, Pope of the Vatican.
At the beginning of the meeting, the President of the Republic expressed his “thanks to His Holiness the Pope for the visit to Iraq,” stressing that “Iraqis remember with love and pride this visit, which embodied the concepts of peaceful coexistence and the depth of ties between religions inside and outside Iraq.”
The President of the Republic pointed out that “our region needs to consolidate the foundations of brotherhood and tolerant human ties,” stressing “the importance of concerted efforts to strengthen the principles of dialogue, cooperation, and joint work among peoples, and that the invitations, prayers, and public messages issued by the Vatican have a moral impact in relying on calm, dialogue, and consolidating understanding.”
He added, "Iraq has come a long way in establishing security and political stability, and our priorities today are shifting to providing services, improving the standard of living of citizens, rehabilitating the infrastructure, and developing the economy in order to achieve comprehensive development."
He stressed that "Iraq is keen to strengthen democracy, pluralism, and respect for rights and freedoms," noting that "the relationship between the federal government and the Kurdistan Regional Government is good, and there is a will on both sides to resolve the outstanding issues in accordance with the constitution and the law."
The President of the Republic stressed that “Christians are an essential component in building the country, its progress, and its prosperity, and there is the government’s keenness on the return of the displaced Christians, Yazidis, and other components to their areas and resolving this humanitarian issue by providing them with the requirements of a decent life, preserving the Christian presence, and protecting diversity,” indicating that “The doors of the Presidency of the Republic are open to Christians to consider their demands and issues in a way that secures their livelihood and stability.”
He pointed out that "Iraq has good relations with neighboring countries and the world as they depend on mutual respect and common interests. His Excellency also spoke about the situation in Palestine and Gaza," stressing that "Iraq strongly condemns the ongoing violations and aggression against the Palestinians, and calls on the international community to make more efforts."
To stop the aggression, protect civilians, and secure the arrival of hmanitarian aid.”
For his part, His Holiness the Pope expressed his “welcome to the visit of the President of the Republic,” stressing “the Vatican City’s support for Iraq’s efforts to strengthen ties between religions and components,” and pointed to “the role of the Christian component in promoting harmony and solidarity, their sacrifices for a prosperous and developed Iraq, and their adherence to national identity.”
The statement continued, "His Holiness the Pope focused on the importance of enhancing opportunities for peace in the world, since wars mean failure."
The statement noted that souvenirs were exchanged between His Excellency the President and His Holiness the Pope, and that the meeting witnessed the presence of Member of Parliament Dylan Abdul Ghafour, the Ambassador of the Republic of Iraq to the Vatican, Rahman Al-Amiri, and a number of advisors and officials.

Sako's initial response to Federal Court ruling

November 16, 2023

The Chaldean Patriarchate Media, on Thursday, considered the Federal Court ruling on the dismissal of Cardinal Louis Raphael Sako's lawsuit aimed at revoking the presidential decree as "an unfair decision."
In a statement today, the media noted, "Our legal representatives have informed us of the Federal Court's decision affirming the validity of the revocation of Decree No. 147 issued in 2013 against Patriarch Cardinal Louis Raphael Sako, providing a copy of the ruling."
The statement clarified that "the court's decision to revoke the decree from Patriarch Sako is based on the absence of a constitutional and legal basis for granting him the decree. However, why was it withdrawn from His Holiness the Patriarch and not from other clergy of lower rank? How is it acceptable to revoke it from him but not from others? Isn't this politicization?"
The statement emphasized, "Granting senior Christian clerics a decree tradition that dates back 1400 years, and the patriarchal decree has been in place for 10 years, what does it mean for the President to decide to annul this ancient tradition now?" It was noted that the decision was reached by five judges out of nine in favor of revocation and four against.
The statement mentioned, "When the President was in Italy, he assured certain individuals that the court would rule in his favor regarding the withdrawal decision," asking, "Can we then consider the judiciary in this case an emblem of justice and equality?"
Concluding, the statement asserted, "The patriarch still deems the revocation of the decree from him as an unjust decision without justification and will not remain silent in demanding his rights."
Earlier today, the Supreme Federal Court (the highest judicial authority in Iraq) announced its decision to dismiss the lawsuit filed by Cardinal Mar Louis Raphael Sako, the Patriarch of Babylon of the Chaldeans in Iraq and the world, due to the absence of any irregularities in the issuance procedures of the presidential decree.

FSC rules to dismiss the case of Cardinal Mar Louis Sako

November 16, 2023

The Federal Supreme Court FSC decided, on Thursday, to dismiss the case of Cardinal Mar Louis Raphaël I Sako, patriarch of Babylon, the Chaldeans in Iraq and the world.
FSC said in a statement, received by the Iraqi News Agency (INA) that “It considered the case No. 186/federal/2022 containing the appeal against the validity of the procedures for withdrawing the republican decree on the appointment of Cardinal Mar Louis Raphaël I Sako as patriarch of Babylon".
FSC added that "it decided to dismiss the lawsuit of the plaintiff Cardinal Mar Louis Raphaël I Sako, patriarch of Babylon and the Chaldeans in Iraq and the world because there is nothing to prejudice the validity of the procedures for issuing the Republican Decree No. 31 of 2023 published in the official Gazette of Iraq No. 4727 dated 3 /7 /2023 issued by the defendant the president of the Republic/ in addition to his post, which includes the withdrawal of the Presidential Decree No. 147 of 2013, under paragraph (I) of which it was decided to appoint Patriarch St. Louis Raphael I Sako patriarch of Babylon and the Chaldeans in Iraq and the world and taking over the suspension of them".

Iraqi Federal Supreme Court rejects Chaldean Patriarch Sako’s lawsuit, upholds withdrawal of Republican Decree

November 14, 2023

Iraq’s Federal Supreme Court has delivered a verdict to dismiss the lawsuit brought by Roman Catholic Cardinal and Patriarch of the Chaldean Church Mar Louis Raphael Sako which sought to overturn the Republican Decree issued by President of Iraq Abdul Latif Rashid which stripped him of official recognition as the head of the Church.
The Court ruled against Patriarch Sako, citing the absence of evidence that would undermine the legitimacy of the procedures involved in the issuance of Republican Decree No. 31 of 2023 by President Rashid.
President Rashid’s decree effectively rescinded the previous appointment of Patriarch Sako as the officially recognized of the Chaldean Church, along with his responsibilities for its endowments.
Patriarch Sako has vehemently contested the withdrawal, asserting that there is no legal basis for revoking the decree that acknowledged him as the Church’s leader with custodial authority over its assets. He emphasized his commitment to remaining in the Kurdistan Region of Iraq (KRI) until the decision is reversed.

12 novembre 2023

Patriarch Sako Led the Ordination Ceremony of Bishop Imad Khoshabeh as Archbishop of Tehran

November 10, 2023 

His Beatitude Patriarch Louis Raphael Card. Sako led the episcopal ordination ceremony for the bishop-elect of the Diocese of Tehran, Mar Imad Khoshabeh Girgis, on Friday morning, November 10, 2023, at the Mar Eith Alaha Cathedral in Dohuk.
Chaldean bishops from Iraq, Iran, Turkey and America participated in the ceremony, in the presence of His Excellency the Apostolic Ambassador to Iraq, Archbishop Matjia Leskovar, some bishops of sister churches, and official representatives from the Kurdistan Regional Government: the representative of Mr. Masoud Barzani, the representative of Mr. Nechirvan Barzani, His Excellency Minister Ano Johar, and Dr. Siwan Barzani, the Iraqi ambassador to Italy. Mr. Charlie Anwyia from the Iranian Shura Council, a delegation from the Iranian Consulate in Erbil, a number of priests, nuns, monks, and a large gathering of faithful as well as the relatives of the ordained bishop.

Homily of His Beatitude Patriarch Sako at the Ordination of the New Archbishop for Tehran- Iran

Bishop, is a man of God, a servant, pays attention to his folks accompany them, and defend them all

Bishop Imad,
Blessings and heartfelt congratulations to you and the Chaldean diocese of Teheran. This is a day of joy for our Church. I am pleased to welcome all bishops, priests and officials for being with us on such a special day. We will keep you in our prayers that the Holy Spirit guide you in the new role of service at the Diocese of Tehran in our neighboring country, Iran. I hope that your presence among daughters and sons of this ancient Diocese will thrill them as it will pleases Christ’s heart.
Furthermore, I would like to emphasize to you and to all bishops and priests the importance of adhering to the clear Episcopal and Priesthood leadership concepts, especially that I have just returned back from participating in the First Phase of Bishops’ Synod on Synodality in Rome (4 – 29 October 2023). I believe that its’ outcome will be the turning point in the history of the Church and will change many traditional concepts.

Bishop Imad,
Concepts listed below are for our protection as well as forming a basis for you to succeed in your new role and will definitely contribute to Church progress.
Being a bishop is not a prestige, domination, limited to management and administration, or a way to gain personal and family privileges, but a living faith, which include: personal relationship with Christ; prayer; teaching, serving community through dialogue; listening to the Holy Spirit and to faithful; activating their role; and respecting their dignity.
Bishop’s authority is, first and foremost, to serve with sincerity, fairness, according to the spirituality of Christ’s service and teachings, so that he can give “the Spirit” to the faithful. Authority should be used to help faith grow by serving people with love, honesty and integrity. Bishop’s authority shouldn’t be a personal impulse, which means chaos that will never ever build the Church or a society.
Bishop must be clear in his thoughts, words, stances, and transparent honest, and have no tendency to make money, since money is “the devil which interfere via the pocket”. Bishop should not sit at the corner of the Church as a “solo” worshipper. In contrary, his presence should be distinctive and effective inside and outside the Church.
Bishop is a father for everyone, pays attention to everyone, especially poor and oppressed, understands their fears, hopes, aspirations, follows up on their needs, and resolves crises as much as possible with love and wisdom. Bishop must march with faithful with great love, amazing energy, and harmony, in order to grow with them, using a humble and honest tone in speaking, rather than harsh, dry or arrogant one. Every bishop in the Church is not for his community only, but for all Christians and all people. Expected to be open-minded, loving father, supporting, cooperating and defending their rights, and dignity. Frankly, I do not understand extremism, in particular, the authoritative tendencies of some Churchmen, which is neither in line with the spirituality of the Gospel nor with Pope Francis’ call for synodality to renew forms and roles of service in the Church by encouraging participation of lay people at different roles and finding an understandable language.
Bishop is a servant of sharing and participation, not a “superman” to do everything by himself. He must believe in talents of others, share his responsibility and service with them, especially priests, and rather than discouraging them. Since priests and lay people love their Church and are partners in it, so he must work with them to prosper his diocese and ultimately his Church.
Bishop is a man of prayer and absolute trust in divine providence. Being the successor of the apostles, he must make apostolic continuity an approach to his life. He is also a man of hope, as Saint Ignatius of Antioch says. He must have the ability to listen and discern the signs of the times wisely.
In this context, I would like to share with you, my personal experience. Ten years ago, when I was elected as a patriarch, I avoided a well-known political party relying on my logic. They tried to subjugate me along these years, but I stood firm for the sake of the Church and the Christians. Hence, I am paying the price. However, personal injustice is nothing compared to the importance of maintaining our Church as strong as possible, holding its head high proudly, refusing to be sold out, taking the lead to truth and common good. We have God and they have the President!
Usually, bishops and priest have a strong vision and enthusiasm in the beginning, but unfortunately it may start declining with time “for some” unless they learn how to renew it every day.
On this occasion, I extend my thanks and gratitude to the Kurdistan Regional Government for embracing and protecting Christians and non-Christians within its territories. I wish them continued progress and prosperity.
Finally, I would like to conclude with the need to pray together for the protection of civilian lives at the Holy Land by ending all military operations there. I urge people of conscience and good well around the world to stop this brutal war, so the region

won’t be drawn into an inclusive war, wishing that ending this conflict will result in setting up two safe and stable neighboring states.
May God bless the new bishop and bless us all

7 novembre 2023

Iraqi archbishop: God forbid the spread of war

November 2, 2023

People in Iraq are terrified that the war in the Holy Land will engulf the region, according to a leading archbishop, who is calling on governments around the world to work to bring peace.
Chaldean Catholic Archbishop Bashar Warda said he fears an escalation of the conflict could trigger another wave of migration, with devastating consequences for the Christian community which has already been decimated by war and extreme poverty.
Speaking to Aid to the Church in Need (ACN), the Catholic charity for persecuted Christians, the Archbishop of Erbil, in Iraq's semi-autonomous Kurdistan region, said: "People [in Iraq] are really afraid that the violence will spread beyond Gaza."
He said: "Speaking on behalf of all the people - especially the minorities, who tend to suffer more than others, especially in conflict situations - please God, no more war."
The archbishop added: "We are asking all the leaders and all those who have influence to calm the situation."
He said: "God forbid that this war goes beyond what we have been seeing of late. The settling of old scores would endanger the social cohesion in the whole region. The situation in Syria is not settled, nor has it settled in Iraq."
Archbishop Warda said his people were on tenterhooks and some were still uncertain about staying in the country following the recent violence and persecution carried out by Daesh (ISIS), Al Qaeda and other extremist militant groups.
Saying that "the wounds of ISIS have yet to heal," the archbishop added: "The violence could trigger yet more migration. The fear is still there. It is not as if the war we had was 30 years ago. It was less than 10 years ago."
Before 2002, Iraq was home to more than 1.2 million Christians, but persecution, violence and poverty prompted mass migration of Christians and Archbishop Warda said there were now about 150,000 left.
He added: "For us as a Church, if you do not have the people around you what's the point of having any structures? We are not like an NGO. We are dependent on the presence of the people."
The archbishop went on to thank ACN and other organisations for providing emergency and pastoral help, especially during the crisis years climaxing with the Daesh invasion of Mosul, Iraq's second city, and the nearby Nineveh Plains, an ancient homeland for Christians.
He singled out in particular the charity's current support for the Pope Francis Scholarship Programme, sponsoring students at the Catholic University of Erbil, the institute Archbishop Warda founded.
Archbishop Warda gave his interview during a visit to London where he preached at Westminster Abbey during an All Saints Day service recalling the martyrs of the Church.
In his homily, the archbishop recalled the sacrifice of so many faithful during the years of Al Qaeda, Daesh (ISIS) and other militants and praised the heroism of martyrs, including his close friend Father Ragheed Ganni, who was shot dead in June 2007 for refusing to close his church in Mosul.

Card. Sako: dalla cattedrale di Baghdad a Qaraqosh, il martirio dei cristiani iracheni

Dario Salvi
31 ottobre 2023

Vi è un filo rosso - come il sangue versato - che unisce le vicende dei cristiani degli ultimi 20 anni in Iraq, dall’invasione statunitense nel 2003, in particolare dall’attentato jihadista alla chiesa siro-cattolica a Baghdad fino alla strage a una festa di nozze a Qaraqosh: il martirio di una comunità che, nel tempo, ha pagato con le uccisioni, l’esodo, la lotta per la sopravvivenza e un futuro che, ancora oggi, appare incerto.
Come racconta ad AsiaNews lo stesso patriarca caldeo, il card. Louis Raphael Sako, che abbiamo incontrato nei giorni scorsi a Roma per partecipare al Sinodo: “Non vi sono le garanzie necessarie per una reale sicurezza - afferma il porporato - e per un futuro stabile. Il quadro è sempre di estrema fragilità, ma i cristiani non possono vivere in un clima di persistenze insicurezza e precarietà”, mentre il loro sangue continua a scorrere impunito fra attentati, incidenti e persecuzioni etnico-confessionali.
Oggi ricorre il 13mo anniversario dalla strage alla cattedrale siro cattolica di Nostra Signora della Salvezza (Sayedat al-Najat) a Karrada, un quartiere di Baghdad, teatro il 31 ottobre 2010 di un attacco suicida di una cellula irachena di al-Qaeda. Un gruppo di terroristi ha fatto irruzione durante la messa domenicale, prendendo in ostaggio i fedeli al suo interno. Al tentativo di blitz delle forze di sicurezza i jihadisti hanno risposto aprendo il fuoco e compiendo un vero e proprio massacro, al termine del quale sono morte 58 persone inclusi i due sacerdoti che stavano celebrando al momento dell’attacco (p. Thair e p. Waseem), almeno 75 i feriti. Per i cristiani iracheni si è trattato dell’attacco “più sanguinario” dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Una lunga scia di violenza e terrore che ha colpito sacerdoti, vescovi, fedeli e che dopo la tragedia dello Stato islamico e la campagna internazionale che ne ha sancito la sconfitta (almeno sul piano militare) sembrava aver restituito una speranza di rinascita.
Tuttavia, alla situazione persistente di fragilità e precarietà in parte alleviata dalla visita di papa Francesco nel 2021 si è aggiunto un ultimo, drammatico capitolo con la strage - dai contorni misteriosi - ad un matrimonio a Qaraqosh a fine settembre. Un rogo che ha distrutto la sala in cui si stavano festeggiando le nozze e un bilancio di almeno 126 morti e centinaia di feriti.
I cristiani, racconta il card. Sako, vanno alla ricerca “di un futuro per i loro figli” che non può essere caratterizzato da violenze e insicurezza. “Serve un luogo dove possano studiare, frequentare scuole e università, trovare un lavoro” ma in Iraq questo non è ancora possibile “perché tutto è settario: sunniti, sciiti, curdi - prosegue - riservano [posti e ruoli di potere] ai membri della loro comunità” e i cristiani finiscono per essere esclusi.
“Anche la sedicente milizia delle Brigate Babilonia [all’origine degli attacchi al patriarca e che ha manovrato per il ritiro del decreto presidenziale, cui il card. Sako ha risposto spostando, con una decisione senza precedenti, la sede patriarcale da Baghdad a Erbil] perseguita i cristiani, invece di difenderli. Questo è ciò che sta avvenendo ancora oggi nella piana di Ninive”.
Il rogo al matrimonio “è stato uno shock per tutti, anche per i musulmani” afferma il primate caldeo, anche perché è avvenuto in una zona in cui finora si viveva “in condizioni di relativa calma, di pace. Gli abitanti di questi villaggi sono molto legati fra loro, vi erano mille persone all’interno della sala al momento dell’incidente e in pochi minuti è bruciato tutto”.
Secondo alcune fonti, prosegue il porporato, “il proprietario di questa struttura sarebbe legato alle milizie [Babilonia], ma non vi sono elementi certi al riguardo”. Di sicuro vi è, afferma, che “vogliono intimidire i cristiani per spingerli ad abbandonare la zona, lasciare l’Iraq, e fare in modo che sia occupata da altri, rubarne le proprietà, i terreni, le case. Anche questo incidente è strumentale alla loro cacciata”.
Alla mentalità settaria, il patriarca caldeo risponde con una prospettiva di appartenenza comunitaria “all’Iraq” e alla “identità cristiana. Io - spiega - non ho mai pensato di essere il capo dei caldei, ma rappresento tutti, anche i musulmani e tanti ne abbiamo aiutati in questi anni”. Al contrario, questa milizia “sta solo cercando di dividere i cristiani e ha comprato anche alcuni vescovi con denaro” per attirare i loro favori e “questo ha creato enorme scandalo, oltre ad aver fatto perdere loro la credibilità. Dicono che la Chiesa è con questa milizia, ma è solo propaganda e bugie”. Di fronte alle violenze che troppo spesso assumono i connotati del martirio, il card. Sako ha deciso di rispondere con fermezza, e coerenza. “A Baghdad - conclude - farò ritorno solo quando verrà ritirato il decreto. La nostra Chiesa molto ha dato all’Iraq, dalla visita del papa agli aiuti umanitari ai musulmani ai tempi dell’Isis, anche maggiori rispetto a quelli riservati ai cristiani. Oggi, il ringraziamento delle istituzioni è quello di punire il patriarca e un’intera comunità”.