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29 maggio 2020

Iraq: Please stay at home

By Aid to the Church in Need (UK)
John Pontife

The leader of Iraq’s largest Christian community has issued an urgent plea for people to stay at home amid growing fears that the country cannot cope with a spiralling number of COVID-19 cases.
Chaldean Catholic Patriarch Louis Raphael I Sako said the country’s medical services, still shattered after the 2003 collapse of the Saddam Hussein regime, are already in crisis, with cases topping 5,000 and 175 dead, according to Iraq’s federal authorities.
In an interview yesterday (Thursday, 28th May) with Catholic charity Aid to the Church in Need (ACN), the Patriarch said:
“The situation with the virus is getting worse – it is not possible to control it.”
He said that lack of infrastructure and social care provision, especially in towns and cities, with poor job creation and corruption, meant people had limited protection against the virus.
Patriarch Sako said: “There are many problems – no money, not enough hospitals, doctors or equipment – and the lockdown is against the culture here, especially for the men.
“The people must stay at home. This is the only way to stay safe.
“The government are telling people what to do but people are not listening.”
The capital, Baghdad, where the Patriarch is based, has suffered the brunt of the pandemic.
Iraq’s federal health ministry on Wednesday (27th May) stated that the vast majority of the 287 cases confirmed over the previous 24 hours had been in Baghdad.
Patriarch Sako told ACN that last week five Christians had died of the virus.
He added: “The Christians are mostly following the laws. They are usually more open-minded about the need to follow the government instructions.”
In response to a spike in cases, Iraq’s federal government re-imposed a national lockdown to coincide with the holiday for last weekend’s Islamic feast of Eid al-Fitr.
The figures provided by Iraq’s federal authorities do not cover Iraq’s semi-autonomous Kurdistan region which has recorded more than 500 cases with five deaths.
Patriarch Sako said the Church was distributing emergency aid – for Christians and non-Muslims alike – through the parishes.
Last month (April), ACN announced a €5 million (£4.49m) COVID-19 response package concentrating on project priority countries, with further grants being announced over the last week.

Sacerdote irakeno: oltre i contagi, il Covid-19 affossa l’economia e rilancia l’Isis

By Asia News

Il virus della fame “rischia di essere, se possibile, ancora più cattivo” del Covid-19 ed è forte il rischio che la crisi economica innescata dal nuovo coronavirus “possa alimentare criminalità e dare nuovo slancio ai gruppi terroristi”. È quanto racconta ad AsiaNews p. Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya, nel Kurdistan irakeno, secondo cui potrebbe già essere iniziato “il reclutamento dei giovani” che sono rimasti senza lavoro, né prospettive per il futuro. Intanto lo Stato islamico (SI, ex Isis) ha “ripreso forza in alcune zone” del Paese, sfruttando “le debolezze economiche, sociali e politiche” perché “disponendo di soldi e risorse” finisce per esercitare una forza attrattiva verso il jihad, la guerra santa. 
I gruppi estremisti, dall’Isis ad al-Qaeda, in Medio oriente come in Africa o in ogni parte del mondo “cercano una situazione di debolezza” sociale ed economica “per entrare e attaccare”. Le difficoltà legate al nuovo coronavirus hanno comportato anche un drastico calo nelle risorse “per combattere il fondamentalismo” e questo ha favorito nuovi attacchi. Non è un caso, prosegue p. Samir, che “di recente siano stati uccisi una decina di soldati nei pressi di Kirkuk”, nel contesto di un attacco sferrato “da una cellula locale dell’Isis”. 
Il timore, avverte, “non riguarda solo l’Iraq” e se finora l’estremismo era “legato soprattutto al mondo sunnita, ora nel contesto dello scontro fra Iran e Stati Uniti emergono anche sempre più realtà fondamentaliste anche nella galassia sciita”. Sono milizie “che prendono di mira. Prima di tutto i gruppi moderati all’interno dell’islam stesso” e rappresentano “un pericolo concreto”. 
Il parroco di Enishke, fra i beneficiari della campagna di AsiaNews "Adotta un cristiano di Mosul", conferma i timori di una nuova chiusura per il Paese nel tentativo di contenere la diffusione del virus. “Ai tempi del coprifuoco - spiega - qui nel Kurdistan irakeno siamo riusciti a limitare i contagi. Con la riapertura stanno emergendo nuovi casi, soprattutto legati a persone provenienti da Baghdad, dove si sono verificati i maggiori focolai”. Fra  le vittime vi sono anche cristiani, come testimonia “il decesso di una infermiera cristiana ieri nella capitale, di soli 25 anni. E nei giorni precedenti un’altra ragazza, parte della corale di una parrocchia di Baghdad, anch’essa deceduta per il virus”. 
Nel Kurdistan la situazione era migliore, tanto che le autorità avevano disposto la riapertura delle attività commerciali e persino delle chiese e dei luoghi di culto per le celebrazioni. Ieri è arrivata la marcia indietro, con l’emergere di nuovi contagi nella regione. “Con l’allentamento delle misure restrittive - sottolinea p. Samir - era inevitabile, anche perché non tutti osservano le misure di contenimento della pandemia, fra cui l’indicazione di indossare le mascherine e rispettare il distanziamento sociale. E poi vi sono gli scambi fra Erbil e Baghdad: le comunicazioni fra Erbil e Dohuk sono interrotte, mentre si può viaggiare senza restrizioni da e per la capitale. Ciò ha causato nuovi contagi in queste ore, anche ad Ankawa (4 sui 9 di Erbil) e Dohuk con sette casi”.
All’emergenza sanitaria si affianca il problema economico, che ha inciso in un contesto già di per sé critico a causa di anni di guerre, violenze estremiste, scontri interni. “La crisi - afferma il sacerdote caldeo - inizia a mordere. Il 60% delle persone ha perso il lavoro, il governo trova sempre maggiore difficoltà a corrispondere i salari e vi sono famiglie che non ricevono soldi da almeno due mesi. Il crollo dei prezzi del petrolio, principale se non unica fonte di reddito per l’Iraq, è stato un colpo durissimo e questo fa emergere in modo ancor più marcato” l’errore di essersi affidati quasi solo in esclusiva ai proventi dell’oro nero, “mentre molte fabbriche sono andate distrutte negli anni”. 
Anche l’opera di aiuto e di sostegno della Chiesa ha risentito della pandemia di nuovo coronavirus, perché “per diverso tempo, con le banche chiuse, non sono arrivati aiuti. Adesso - spiega p. Samir - possiamo contare su donazioni alimentari che abbiamo distribuito alle famiglie più bisognose”. Il desiderio è “di far sentire la nostra vicinanza, di restare un punto di riferimento per i più deboli, portando il conforto del Signore e quel poco di cibo e beni di prima necessità che riusciamo a raccogliere”. “In fondo al tunnel - conclude - vi è ancora il buio e non si sa come uscirne, non solo a livello locale, ma per tutto il mondo. Dopo due mesi di chiusure, vediamo profilarsi all’orizzonte lo tsunami che rischia di travolgere l’economia.”

27 maggio 2020

Emergenza coronavirus: richiudono le chiese nel Kurdistan iracheno

By Baghdadhope*

Photo Ankawa.com
Cattedrale caldea di San Giuseppe

Dieci giorni è durata la libertà concessa ai cristiani del Kurdistan iracheno di professare la propria fede seguendo la Parola del Signore non più via web ma in carne ed ossa nelle chiese di nuovo aperte per le messe.
E' di ieri infatti l'annuncio da parte del Ministero della Salute della regione autonoma del Kurdistan iracheno di due nuovi casi di malati da Coronavirus ad Erbil, un uomo di 50 anni ed una ragazza di 18, che ha spinto il governo ad imporre una nuova chiusura dei luoghi di culto di tutte le religioni nei governatorati di Erbil e Dohuk secondo quanto ha riferito oggi il sito Ankawa.com.
Secondo il Ministero della Salute iracheno fino ad ora nel paese si sono registrati 4.848 casi di infezione da virus e 169 decessi, ma questa situazione potrebbe peggiorare a causa della mancanza di rispetto delle regole di sicurezza e di distanziamento sociale da parte dei cittadini.

25 maggio 2020

Festa della discesa della Spirito Santo e la pandemia del coronavirus

Foto Patriarcato Caldeo
By Patriarcato Caldeo
Cardinale Louis Raffaele Sako

La parola “ʿanṣarah” in arabo deriva dalla parola ebraica “atzeret”, che significa riunione e festa, mentre la parola “Pentecoste” è una parola greca che significa cinquanta giorni e indica il periodo tra la risurrezione di Cristo e la domenica della discesa dello Spirito Santo sui discepoli. C’è una certa somiglianza tra la situazione dei discepoli dopo la morte di Gesù, bloccati in casa e la nostra situazione oggi, bloccati in casa per far fronte alla crisi del coronavirus. 
 Il Vangelo dice a proposito dei discepoli: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!» (Gv 20,19).
Dunque i discepoli hanno vissuto la reclusione in casa, per timore di un’aggressione da parte dei Giudei estremisti, come noi viviamo da circa due mesi, per timore di essere contagiati da questo virus che ha scosso la nostra vita; restiamo in casa per salvaguardare la nostra salute e la salute dei nostri famigliari.
I discepoli hanno continuato in genere, dopo l’Ascensione di Gesù al cielo, a rimanere in casa per lo stesso motivo, finché scese su di loro lo Spirito Santo: «Ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano» (Atti 1,12-13). Al cinquantesimo giorno tutto cambiò per loro: «Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo» (Atti 1,1-4).
Il periodo di cinquanta giorni (la reclusione) fu un periodo di meditazione e di revisione di quello che avevano udito da Gesù, di quello che avevano visto delle sue azioni, per essere assimilato, compreso, in modo da maturare per manifestare la loro fede e la loro vocazione. Vivevano come una sola famiglia, come ci dicono gli Atti: «Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa i comune» (Atti 2,44). E lo Spirito Santo, scendendo su di loro, li trasferì da una situazione di apprensione e di paura a una situazione di doni e di preparazione alla missione.
Noi pure sperimentiamo una segregazione in casa e una lontananza sociale, ansiosi e paurosi, a motivo della mancanza di spazi sicuri e di indicazioni rapide per eliminare questo virus. Ma c’è una cosa che dobbiamo capire, ossia che la crisi del coronavirus, benché sia violenta, è passeggera e transitoria, e che l’umanità, che ha vissuto altre crisi violente, uscendone più sana e più forte, sicuramente supererà questo coronavirus. Dal punto di vista della fede Osserviamo che molti tornano alla fede e ad aggrapparsi alla spiritualità cristiana, alla preghiera, al digiuno, al servizio della carità.
Ci accorgiamo dai centinaia di commenti nel Facebook del Patriarcato, da cui diffondiamo la Messa durante questo periodo difficile. Ci accorgiamo che c’è una chiesa domestica che matura, si radica nella fede e nell’impegno, e manifesta il desiderio di accedere alla comunione e alla riapertura delle chiese, come in passato. E noi, come Chiesa locale, ci prepariamo a questo passo con molta serietà.
Lo Spirito Santo ha un ruolo nella nostra vita, come aveva un ruolo nella vita dei primi discepoli. Con i suoi doni e le sue illuminazioni continua a manifestare Dio nelle nostre azioni e gli rende testimonianza (Gv 15,26). Lo Spirito Santo ci aiuta a sopportare e a resistere, ci conforta, rinfranca il nostro spirito, ci rassicura (Gv 14,16). Lo Spirito santo ci introduce nel mondo di Dio, se collaboriamo con Lui, affinché mettiamo nel nostro mondo qualcosa del mondo di Dio. Questo è il carisma e la missione.
Il nostro mondo non sarà più come era prima del coronavirus Il nostro mondo e il suo sistema non saranno come erano prima della pandemia del coronavirus, come gli Apostoli, dopo la discesa dello Spirito Santo, non furono come erano dopo la morte di Gesù. Si deve imparare dagli aspetti negativi del passato. Come fedeli cristiani, dobbiamo tornare con forza alla nostra fede, ai nostri valori, alle nostre sane relazioni famigliari, ai nostri impegni sociali. Lo Spirito Santo, se gli diamo spazio, ci aiuterà con i suoi doni a vedere le cose con occhio illuminato, in modo più completo e più profondo, ci aiuterà a superare le crisi con la nostra fede, i nostri valori, la nostra carità, la nostra solidarietà fraterna. Come società internazionale.
Occorre cercare di assicurare il cibo, le medicine e i servizi ai popoli, invece di cercare di fabbricare armi e di avere il controllo dell’economia mondiale. Il coronavirus e l’isolamento in casa sono un’occasione propizia per i governanti mondiali in vista di migliorare la solidarietà umana, e per creare un ordine mondiale nuovo, ove ci sia maggiore misericordia, amore, pace, rispetto, giustizia applicata, senza guardare al gender, al colore della pelle, alla religione, alla dottrina, alla maggioranza e minoranza. Tutti gli uomini sono fratelli nella creazione, uguali nei diritti e doveri.
Abbiamo bisogno di programmi scolastici nuovi per consolidare la fratellanza umana, come ci ha esortato il Papa Francesco e Ahmad al-Tayyib, sheikh dell’Azhar nel “documento della fratellanza umana”.
Il bene è una situazione e una posizione, stiamo bene quando facciamo il bene a ogni uomo, come merita. Come autorità religiose Le autorità religiose cristiane, islamiche, giudaiche, e le altre religioni devono prendere sul serio le sfide del coronavirus per un cambiamento culturale, economico e sociale, per fare un esame critico preciso, chiarire i punti di vista, curare l’estremismo e ogni pensiero che spinga all’avversione e alla violenza. Esse hanno ciò che ci unisce e ciò che le spinge ad andare avanti insieme portando la loro missione per diffondere l’amore, la tolleranza, le buone qualità, la convivenza e la difesa dei diritti dell’uomo.

22 maggio 2020

I cristiani di Qaraqosh e la lotta al Coronavirus

By Christian Media Center

La città cristiana di Qaraqosh, nel nord dell’Iraq, che dopo la devastazione e la persecuzione dell’Isis, oggi si ritrova a lottare contro il Coronavirus. La chiesa locale e l’autorità civile hanno istituito due Comitati per aiutare le famiglie più bisognose.


Iraq: card. Sako (Baghdad), “la componente cristiana manca di una vera rappresentanza”

By AgenSIR

“I partiti politici lascino la libertà al nuovo primo ministro, Mustafa Al-Kazemi, di formare un governo civile nazionale forte ed equo, capace di essere riferimento per tutti gli iracheni”.
È il monito del patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, contenuto in una nota in cui lamenta la mancanza di rappresentanza politica della componente cristiana. Non è la prima volta che il patriarca caldeo denuncia “il furto” delle quote di rappresentanza spettanti ai cristiani. La legge concede ai cristiani cinque seggi nella Camera dei rappresentanti così da preservare la loro rappresentanza e tutelare i loro diritti.
“La realtà – rimarca il card. Sako – è diversa e vede i partiti più forti votare a favore dei cristiani loro fedeli. Questi, infatti, perseguono l’agenda del partito e non della minoranza cui appartengono”. La richiesta avanzata già in passato dal cardinale è quella di riservare questa quota alla votazione solo dei cristiani, “candidati non espressione dei partiti e per questo capaci di parlare in favore dei cristiani”. “I cristiani iracheni – conclude – sono figli di questa terra benedetta, la terra delle civiltà, la terra di nostro padre Abramo. Sono orgogliosi dell’eredità della loro storia, si aggrappano ai valori della loro fede cristiana, amano il loro Paese e credono nella convivenza”.

18 maggio 2020

Iraq’s suffering will ‘rise sharply’ in wake of coronavirus, priest says

By Catholic News Agency
Hannah Brockhaus

The number of people in need of help with basic necessities in Iraq, already in the millions, is expected to rise greatly in the wake of the coronavirus pandemic, according to a Catholic priest working in the country.
“The COVID-19 outbreak in Iraq and the mitigation measures imposed by public health and security authorities have had ramifications on almost all aspects of public and family life and disrupted the economy,” Fr. Joseph Cassar, S.J., said during a press conference May 15.
Cassar, who works for the Jesuit Refugee Service, spoke via video connection from Erbil, Iraq, during a Vatican press conference on Pope Francis’ message for the 2020 World Day of Migrants and Refugees.
He said that at the beginning of 2020 an estimated “4.1 million persons in Iraq were in need of humanitarian assistance,” out of a population of 38 million.
“This figure is set to rise sharply since already vulnerable households will increasingly be unable to meet even their most basic needs and are already resorting to negative coping strategies that will deplete their existing scarce resources and push them deeper into debt,” he stated.
Cassar explained that in Iraq one of the grave problems of the last several decades has been the displacement of people from their homes due to war.
The priest said he works regularly with people who were displaced in Iraq when the Islamic State took control of large parts of the country in 2014: “Almost six years later, there continue to be close to 1.4 million IDPs [internally displaced persons] in Iraq. That would be a sizable city, by any standard,” he noted.
Being displaced within their own country means these people are often overlooked, he said.
Cassar said “protracted displacement, coupled with limited prospects of return in the short-to-medium term, takes its toll on the lives of people. Among the young especially, the sense of ‘no future’ contributes to an increased incidence of suicide.”
Besides the need for financial support in Iraq, Cassar said “now is the time for a massive investment in peace. Beyond valuable statistics, bringing the ‘forgotten’ internally displaced persons to the forefront as people is now more timely than ever.”
Among IDPs, the recently returned, and host communities in Iraq, “the desire for peace could not be stronger,” he underlined.
Internally displaced persons were the topic of Pope Francis’ message for the World Day of Migrants and Refugees, which will be marked Sept. 27.
In his message, published May 15, the pope said the situation of internally displaced persons is an “often unseen tragedy that the global crisis caused by the COVID-19 pandemic has only exacerbated.” 
“In fact,” he continued, “due to its virulence, severity and geographical extent, this crisis has impacted many other humanitarian emergencies that affect millions of people, which has relegated to the bottom of national political agendas those urgent international efforts essential to saving lives.”
Cardinal Michael Czerny, the head of the Vatican’s migrants and refugees office, said May 15 the tradition of the World Day of Migrants and Refugees goes back to 1915 and the upheaval following World War I, which included the Spanish flu outbreak. 

Kurdistan’s Christians attend first church services since lockdown lifted


In the picture by Rudaw the Chaldean priest
Fr. Francis Cher. Note by Baghdadhope
Bilind T. Abdullah

Christians in the Kurdistan Region were able to attend their first Sunday services in almost two months after coronavirus containment measures imposed on places of worship were lifted earlier this week.
Mosques were immediately reopened when the Kurdistan Regional Government (KRG) lifted the restrictions on Monday, allowing Muslims to hold their first mass prayers of the holy month of Ramadan.
Christians in Ankawa, a predominantly Christian neighborhood in the north of Erbil city, flocked to the Syriac Orthodox Mart Shmoni Church and the Chaldean Catholic Mar Yousif Cathedral.
Those in Shaqlawa were able to attend the Sunday service at the Chaldean Al Shuhuda Church.
Many churches used the internet to continue broadcasting services during the lockdown.
The Kurdistan Region is predominantly Muslim, but prides itself on religious tolerance.
Churches of different denominations can be found across many cities and villages in the Region.
When the Islamic State group (ISIS) seized control of vast swathes of northern Iraq in summer 2014, thousands of Iraqi Christians fled their homes, seeking shelter in the Kurdistan Region.
Churches in Ankawa took in thousands of displaced people in 2014 before they were resettled in camps or emigrated abroad.
In its 2018 report on religious freedom, the US State Department described Iraq as a country in “danger of losing its ancient Christian community.”
However, it acknowledged “increasing space for religious freedom” in the Kurdistan Region where many religious minorities in Iraq prefer to live.
Around half a million Christians were estimated to live across Iraq prior to the rise of ISIS.
Christian community leaders have told Rudaw English they estimate around 200,000-250,000 Christians remain split between the Kurdistan Region and elsewhere in Iraq, with many others having emigrated abroad.


Emergenza sanitaria Coronavirus Covid-19: Iraq, dal card. Sako (Baghdad) “appello a rispettare norme anticontagio”. Preghiere per il vescovo Sirop Hanna, colpito dal virus

By AgenSIR

Nuovo appello alla prudenza, alla saggezza e al rispetto delle norme anticontagio da parte del Patriarcato caldeo di Baghdad (Iraq).
Gli ultimi dati parlano, nel Paese, di oltre 3.400 casi confermati, più di 2.200 guarigioni e 123 decessi. In un comunicato il patriarca di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, ricorda che “l’epidemia di Coronavirus ha causato la morte di migliaia di persone e infettato quasi cinque milioni. Il Coronavirus è un nemico mortale, invisibile che vive con noi”.
Da qui il monito del porporato “a fare attenzione e a restare il più possibile a casa rispettando le regole di prevenzione emesse dai governi locali”. Il patriarca esorta a “non sottovalutare il virus che non sta scomparendo. Le informazioni, a riguardano, mostrano esattamente il contrario e il pericolo di una sua recrudescenza sarebbe di estrema gravità anche alla luce del fatto che, ad oggi, non è stato scoperto alcun vaccino”.
Il card. Sako allontana anche una ripresa a breve delle attività liturgiche e pastorali con il concorso di popolo perché spiega “è necessario, per preservare la sicurezza e la vita delle persone, essere pazienti e attendere sviluppi. Il numero di vittime è aumentato a Baghdad negli ultimi giorni, tra questa anche molti cristiani”.
Il patriarca invita a pregare per la guarigione di mons. Saad Sirop Hanna, vescovo visitatore dei caldei residenti in Europa, ricoverato in ospedale a causa del Coronavirus Covid-19. Nel 2006, quando era ancora sacerdote, il vescovo fu rapito per 28 giorni da un gruppo di terroristi legati ad Al-Qaeda, torturato e minacciato di morte.
“Riapriremo le nostre chiese ma non sappiamo ancora quando. Per adesso è opportuno seguire rigorosamente le misure di protezione senza le quali milioni di persone sarebbero morte e l’economia globale crollata”. “I nostri fedeli sono persone semplici che partecipano alle pratiche religiose, vivono le loro relazioni familiari e sociali, ma – avverte il patriarca – non facciamoci prendere troppo dalle emozioni nemmeno nelle cerimonie di sepoltura, visite ai malati e per le condoglianze”. Per quanto riguarda le famiglie bisognose, “il Patriarcato si sta prendendo cura di loro con i mezzi disponibili e grazie ai suoi sacerdoti”. Attivo un fondo di solidarietà di 100mila dollari. Dal card. Sako, infine, arriva l’indicazione ai vescovi caldei, dentro e fuori l’Iraq, a rispettare le procedure dei governi locali e le istruzioni del Patriarcato.

12 maggio 2020

Card. Sako: Covid-19, cristiani e musulmani irakeni in preghiera con il Papa e l’imam

By Asia News

In questo “momento difficile”, l’umanità e “in particolare gli irakeni” segnati da mesi di crisi politica hanno bisogno di “solidarietà umana e sforzi concentrati” per “eliminare il nemico comune, il coronavirus” e altri “problemi complessi”. È quanto scrive, in un messaggio inviato per conoscenza ad AsiaNews, il patriarca caldeo card Louis Raphael Sako, annunciando l’adesione della Chiesa irakena alla giornata di preghiera indetta dall’Alto comitato per la fratellanza umana per dopodomani, 14 maggio. Il porporato invita cristiani e musulmani a una preghiera comune, perché “tutti possano vivere in pace, sicurezza, stabilità e gioia”. 
In risposta alla chiamata di Papa Francesco e dell’imam di al-Azhar Ahmed al-Tayeb, il primate caldeo “esorta i credenti della Chiesa caldea in Iraq e nel mondo a partecipare a questo giorno digiunando e pregando”. Il porporato si rivolge “a tutti gli irakeni, la maggior parte dei quali sono musulmani” che stanno osservando il Ramadan, “a innalzare le loro preghiere a Dio” per mettere fine a “questa pericolosa pandemia e salvarla” * dalle terribili conseguenze “sanitarie, economiche, sociali e politiche”. 
Nel suo messaggio il porporato ricorda la promessa di un viaggio del pontefice in Iraq nel 2020, annunciata lo scorso anno e poi sospesa per le turbolenze politiche e istituzionali e l’emergenza innescata dal nuovo coronavirus. “Avevamo sperato - sottolinea il card Sako - che Papa Francesco avrebbe visitato l’Iraq e incontrato il leader supremo sciita l’ayatollah Ali al-Sistani, a Najaf”. Nell’occasione, prosegue, i due leader religiosi avrebbero “firmato il documento sulla fratellanza umana. Speriamo - afferma il porporato - che ciò si possa realizzare in un futuro prossimo”. 
In queste settimane la Chiesa caldea avrebbe voluto organizzare una preghiera ecumenica islamo-cristiana, invitando anche membri di altre religioni “ma - sottolinea il card Sako - la pandemia di coronavirus lo ha impedito”. In un contesto che resta di emergenza i sacerdoti della capitale hanno deciso di devolvere il loro stipendio a favore dei più bisognosi e il patriarcato ha stanziato una ulteriore somma di 90mila dollari. 
Per vivere appieno la giornata di preghiera, i cristiani irakeni osserveranno il digiuno “secondo i nostri rituali” e, alle sei e mezza di sera “reciteremo il Rosario e poi la messa nella chiesa del Patriarcato. Alla celebrazione, conclude il primate caldeo, potranno assistere tutti i fedeli “attraverso la trasmissione in diretta Facebook”. 

* Salvare l'umanità
Nota di Baghdadhope


Christians Cry Foul in KRG

By International Christian Concern

Some Iraqi Christians living in Hazar Jot village have expressed concern after the Governor of Dohuk gave permission to a Barzani family relative, Dindar Farzanda Zober, to dig a well on their land. The village is traditionally Assyrian Christian and the well digging is considered the first step of seizing their land, especially since it was reportedly done without their consent. The Barzani family is a tribe which has politically controlled northern Iraq for decades.

Land grabbing is a sensitive topic in Iraq, and one of the main concerns for Christians who have long lived in the Kurdish Regional Government (KRG) areas. Many Assyrian Christian villages have been lost overtime because of land grabbing in this area. Most often, it first starts as building a well or home (some type of infrastructure) that is then expanded over a series of time. It effectively strangles Assyrian Christian villages, preventing them from using their land as before and forcing them to relocate. Many of the younger village members had relocated to the Nineveh Plains, but then the genocide of ISIS came and they were forced to flee.

8 maggio 2020

Svolta politica in Iraq, Sako: “Nuova fase di speranza per il Paese”

By Vatican News
Andrea De Angelis 


Un voto atteso da quasi sei mesi. 
Lo scorso novembre - quando il mondo ancora non immaginava l’emergenza che avrebbe dovuto affrontare l’anno successivo - l’Iraq era alle prese con una crisi politica senza precedenti, tale da portare l’ex primo ministro Abdul Mahdi a dimettersi. Non era mai accaduto dopo la fine del regime di Saddam HusseinNella notte, il Parlamento ha dunque votato la fiducia al nuovo Governo che avrà come primo ministro il 53enne Mustafa al-Kadhimi, giornalista e già a capo dei servizi segreti del Paese. Accordata la fiducia anche a 15 ministri, in un gabinetto che normalmente ne conta oltre venti. I tasselli chiave del settore petrolifero e degli affari esteri sono però ancora da riempire. 

Fiducia ottenuta al terzo tentativo

 Per l’Iraq è stato un lungo inverno, terminato poi con l’emergenza da coronavirus che nel Paese ha causato 102 vittime, mentre sono quasi 3mila i contagi. A febbraio infatti il presidente Barham Salih aveva inizialmente nominato primo ministro incaricato Muhammad Allawi, che però non era riuscito a ottenere il sostegno dei partiti dei musulmani sciiti e delle milizie ad essi legate. Il mese successivo l’incarico era stato dato a Adnan Zurfi, ma anche in questo caso non si era arrivati ad alcun risultato. Poi la svolta con al-Kadhimi. “Il mio Governo avrà come priorità sicurezza, sovranità, stabilità e prosperità dell’Iraq”, ha scritto in un tweet poco dopo la mezzanotte di oggi il neo premier.

“Una speranza per l’Iraq”
 “Siamo davanti all’inizio di una nuova fase per il Paese” e la formazione di questo nuovo Governo “è una speranza per tutti noi”.
Lo afferma nell’intervista a VaticanNews il cardinale Louis Raphaël I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei. Il presule una settimana fa aveva lanciato un appello per un nuovo esecutivo nazionale caratterizzato da “integrità, patriottismo, imparzialità e lealtà”, grazie a politici che restino lontani da “ambizioni personali o di parte” e che sappiano, al contrario, compiere i loro sforzi per “far rivivere il Paese e porsi al servizio dei suoi figli”. “È un sogno, ma speriamo che si avveri”, aveva scritto in una nota il Patriarca. Alla domanda se la speranza in quel sogno sia ancora viva, il cardinale Sako risponde in maniera affermativa, sottolineando come al-Kadhimi sia “un uomo onesto, non legato a nessun partito politico” e con il quale c’è sempre stato un buon dialogo.

 Il ruolo dei cristiani
Non vi è nessun cristiano, al momento, nella squadra del Governo al-Kadhimi. Nonostante questo, il ruolo dei cristiani nel Paese resta importante e prezioso. “Molti cittadini iracheni vengono da noi a parlare, ci chiedono una visione ed apprezzano le nostre posizioni”, afferma. “L’unità del Paese, la solidarietà nazionale sono preziose e spetta anche ai laici cristiani costruirle”, aggiunge. “La corruzione - prosegue il Patriarca - è presente anche nella nostra comunità, dobbiamo dirlo. Ma il nostro compito non deve mai venire meno”.

La Chiesa siro cattolica mette a disposizione il seminario di Mosul per la cura dei contagiati Covid-19

By Fides
7 maggio 2020

48 camere singole per ospitare le persone contagiate dal Coronavirus che non hanno bisogno di sottoporsi a terapia intensiva o devono trascorrere in isolamento il periodo di quarantena dopo la guarigione. Le ha messe a disposizione l’arcidiocesi siro-cattolica di Mosul, offrendo alle autorità politiche e sanitarie della Provincia di Ninive, chiamate a gestire l’emergenza Covid-19, i locali e le strutture che in passato hanno ospitato il seminario patriarcale, presso una parrocchia siro-cattolica della città nord-irachena, rimasta per lunghi anni sotto il controllo dei jihadisti dell’autoproclamato Stato Islamico (Daesh).
L’arcidiocesi siro cattolica ha preso anche l’impegno di garantire vitto e assistenza logistica ai malati e ai convalescenti che verranno ricoverati nella struttura, ricevendo il ringraziamento del direttore del dipartimento della sanità pubblica della provincia di Ninive, che nei giorni scorsi ha verificato di persona l’idoneità dei locali messi a disposizione. Nella struttura dovrebbero essere ricoverati in particolare i contagiati provenienti da Qaraqosh, città della Piana di Ninive un tempo abitata in maggioranza da cristiani.

Nel mese di aprile 2020, come riferito dall’Agenzia Fides a Mosul sarebbero dovuti iniziare i lavori di ricostruzione e restauro della chiesa siro cattolica di San Tommaso, devastata - ma non completamente distrutta - nel tempo in cui la metropoli irachena era sotto il controllo jihadista. La ricostruzione del luogo di culto cristiano doveva essere sostenuta dall’Unesco, grazie soprattutto a un cospicuo finanziamento fornito dagli Emirati Arabi Uniti.

Dopo gli anni dell’occupazione jihadista di Mosul, e più di un anno e mezzo dopo la sua liberazione, proprio la chiesa di San Tommaso, ancora ingombra di macerie, aveva (vedi Fides 1/3/2019) celebrata dall’Arcivescovo siro cattolico Boutros Moshi. Dopo la liberazione dal dominio jihadista, il ritorno degli sfollati nelle proprie aree di tradizionale insediamento è stato sempre indicato come una priorità per le autorità locali irachene. Non di meno, già prima dell’esplosione dell’emergenza sanitaria diverse ricerche e indagini sui processi di contro-esodo concordavano nelll’indicare come piuttosto bassa la percentuale di sfollati cristiani ritornati alle proprie case a Mosul e nella Provincia di Ninive. 

5 maggio 2020

Iraq: card. Sako (patriarca) su uso della lingua araba da parte della Chiesa caldea. “Intolleranza e pregiudizio sono tra i motivi per i quali ogni società non progredisce”


 “Intolleranza, pregiudizio e ignoranza sono tra i motivi più importanti a causa dei quali ogni società o istituzione non progredisce”.
È quanto scrive il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, rispondendo, attraverso il sito del Patriarcato, ad alcune critiche relative all’uso della lingua araba da parte della Chiesa caldea durante le liturgie trasmesse via social durante questo tempo di pandemia. 
“La Chiesa caldea – precisa il cardinale – usa la lingua parlata dai suoi figli ovunque si trovino. Nei villaggi della pianura di Ninive e della regione del Kurdistan o nei villaggi di Iran e Turchia, usiamo la lingua caldea-Sureth (neo-aramaico, ndr.) per la messa, ma ci sono caldei a Mosul, Baghdad, Kirkuk, Bassora, in Siria e Libano che parlano solo arabo e hanno i loro diritti. Diversamente li perderemmo. I nostri cittadini arabi che desiderano ascoltare le nostre preghiere hanno anche il diritto di seguirle nella loro lingua. Oggi non possiamo agire come in passato quando il 90% dei caldei era in Iraq e la maggior parte di loro parlava il caldeo-Sureth”
Nel suo messaggio il patriarca Sako ricorda che “la lingua è un mezzo, non un obiettivo. L’obiettivo è la missione di Cristo ed è prioritario. Preservare la nostra lingua e patrimonio è responsabilità anche della società civile caldea. Laici caldei, in particolare accademici, politici e attivisti civili, patrioti dovrebbero fondare istituzioni culturali, linguistiche, folcloristiche, sociali, nazionali, politiche e mediatiche e anche club sociali e sportivi, come hanno fatto i fratelli assiri e armeni. I caldei devono assumersi le proprie responsabilità e fare sacrifici e non criticare la Chiesa”.
“La nostra eredità – sottolinea Mar Sako – è parte essenziale della ricchezza della Chiesa universale. Il progresso scientifico, culturale e sociale, i social media, i profondi dibattiti filosofici e teologici sono realtà che dobbiamo tenere presenti anche a livello religioso. Il rinnovamento è necessario perché dona speranza ai credenti e rafforza il loro attaccamento ai valori di fede, amore, pace, vita e dignità”. “Siamo orgogliosi del nostro patrimonio – conclude il patriarca di Baghdad – ma questo non è un pezzo da museo. La speranza è che i nostri fedeli si liberino del coronavirus e dai virus dell’estremismo della mente e dello spirito per costruire un futuro migliore”.

1 maggio 2020

In post-Islamic State northern Iraq, demographic changes raise concerns

By Middle East Eye
Adam Lucente

A picture of Iran's Ayatollah Ali Khamenei stands in a traffic circle in the northern Iraqi town of Bartella. It is a prominent symbol of Shia Islam in a town that has been historically inhabited by Syriac Catholic and Orthodox Christians. In recent years, the population of Shabak people - a heterodox minority who predominantly identify as Shia Muslims - has increased significantly in the town.

Similarly, in nearby Qaraqosh, flags commemorating Imam Hussein - who is revered by Shia Muslims - fly over the houses around the base of the Nineveh Plain Protection Units (NPU), a Christian paramilitary group.
Demographic changes in the town, which are perceived by some as forced, have led to frustration for many of the area's Christians and others.
"The problem is Sunnis have the Gulf, Shias have Iran, and the Christians have no one," John Hadaya, head of the Syriac Party, told Middle East Eye.
The Shabak presence in Bartella, Qaraqosh and other historically Christian towns significantly increased in the aftermath of the war with the Islamic State (IS) group, when expelled populations returned to their lands or moved from destroyed villages to larger towns.
Nineveh Plains residents disagree on whether demographic change occurring in the area is forced or not. The issue has pitted people who suffered at the hands of IS against each other. It has also highlighted disagreements over Iran and its militia allies' influence in Iraq.One Shabak activist spoke to MEE on condition of anonymity out of a fear of pro-Iran militias in the area. He said that Shabak left villages for towns due to poor living conditions in the former.
"The villages have no water, no schools," the activist told MEE. "Where could we live? We needed to be in city centres."
'A result, not a plan'
Both Bartella and Qaraqosh lie in the Nineveh Plains. The area is strategic for the powers in the Middle East. For Iran, it is a connecting area between Shia majority parts of Iraq and Iran's allies in Syria and Lebanon - plus the Mediterranean Sea.
The arable plains are also one of Iraq's official disputed territories claimed by both the autonomous Kurdistan Regional Government (KRG) and the federal Iraqi government. IS controlled much of the Nineveh Plains between 2014 and 2017.
The Nineveh Plains showcase an incredible amount of religious and ethnic diversity. The area north of Mosul includes Kurdish, Turkmen, Arab and Yazidi communities, as well as Christian and Shabak.
During the reign of Iraq's President Saddam Hussein, Iraqi authorities forcibly expelled Nineveh Plains residents from their homes and moved Arabs from elsewhere in Iraq there in an "Arabisation" campaign. This also resulted in homes being sold to Arabs from other parts of the country.
Shabak people were among those made to leave their homes. The Iraqi government's perception that they were Kurds resulted in harsh home destructions and expulsions of Shabak, according to the Iraqi website Niqash.
Saddam persecuted Kurds in Iraq during and following the Iran-Iraq war in the 1980s. After the US invasion in 2003 that toppled Saddam, Islamic militant groups also attacked Shabak communities in Mosul.
The Hashd al-Shaabi or Popular Mobilisation Forces (PMF) - mostly, but not exclusively, Shia militias formed in 2014 to fight IS - played a crucial role in defeating IS, including in areas like the Nineveh Plains that are outside the Shia-majority parts of Iraq. Many PMF groups receive financial, military and political support from Iran.
The PMF presence is clear in Nineveh. The official checkpoint leading to the province from the KRG includes numerous PMF and Imam Hussein flags, as does the road to Bartella.
Graffiti with Shia religious expressions are visible on many of the numerous PMF checkpoints throughout the area. The PMF honours their soldiers who died fighting IS with posters of them carrying the word "martyr" lining the roads.
In the Nineveh Plains, Brigade 30 is one of the main PMF groups and its soldiers are mostly Shabak. Before the IS conflict, the Shabak community had no such military clout.
"After the liberation, Shabak had militias," the Shabak activist said.
Thousands of Christians fled the Nineveh Plains in advance of IS. Others were enslaved or killed. This prompted heavy emigration of Iraq's Christians from the country. The flight of Christians enabled Shabak to move to historically Christian towns, according to the activist.
"Many Christians left Iraq, so areas became Shabak and pictures of Imam Hussein appeared," he said.
The activist said this was not a plan, but a desire to live in areas with better conditions. He blamed the government for the situation.
"It was a result, not a plan. We just wanted water, services, schools for the children," he said. "If the government had given us land, we would've never left our areas."
Even since the areas were liberated from IS control, the Christian population has not returned in the same numbers. This is due to the destruction of homes and the lack of basic services, making the areas almost uninhabitable, while others found work in other regions.
Some Christian leaders in the area also note emigration as a reason the local Christian population has decreased.
"Christians left Iraq, and they accepted this because they had no sources from which to live," Isam Daaboul, the mayor of Hamdaniya, which includes Qaraqosh, told Middle East Eye.
The large size of Shabak families and their practice of polygamy is another contributing factor to their population increase in the Nineveh Plains vis-a-vis Christians.

Nomina del Nunzio Apostolico in Iraq: Monsignor Mitja Leskovar




Foto Radio Ognjisce.
Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Iraq il Rev.do Mons. Mitja Leskovar, Consigliere di Nunziatura, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Benevento, con dignità di Arcivescovo.


Rev.do Mons. Mitja Leskovar

È nato a Kranj (Slovenia) il 3 gennaio 1970.
È stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1995.
Si è incardinato a Ljubljana.
È laureato in Diritto Canonico. *
Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 2001, ha prestato la propria opera nella Rappresentanza Pontificia in Bangladesh, presso la Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, e nelle Rappresentanze Pontificie in Germania e in India.
Conosce l’italiano, l’inglese, il tedesco, il croato, il francese e lo spagnolo. 

*
presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Titolo della dissertazione dottorale: "Che cosa rende cattolica un'università?: studio storico-giuridico della Costituzione Apostolica Ex corde ecclesiae"  2001
Nota di Baghdadhope