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29 settembre 2007

I cristiani a Baghdad vivono sotto minaccia

Fonte: San Francisco Chronicle
By James Palmer
Giovedì 27 sttembre 2007

La famiglia di Nabil Comanny ha sopportato i cadaveri lasciati a decomporsi lungo la strada del loro quartiere di Dora. Ha accettato le bande criminali che si aggirano nella zona alla ricerca di vittime da rapire. E nè la mancanza di servizi, nè le montagne di rifiuti li avrebbero fatti andar via.
Come cristiani i Comanny hanno imparato a tenere un basso profilo. Sono rimasti nella loro casa anche dopo che molti musulmani sono sfuggiti al caos quotidiano dei massacri settari scoppiati tra i militanti sunniti e sciiti nel 2006 che hanno trasformato Dora in uno dei distretti più violenti. Ma il biglietto scarabocchiato sulla loro porta è stata l'ultima goccia. Il messaggio ordinava alla famiglia di scegliere tra tre opzioni: convertirsi all'Islam, pagare una tassa "di protezione" di 300$ al mese o andare via, pena la morte.

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"Non abbiamo armi ed il governo non ci protegge. Cosa possiamo fare? dice Commanny, un giornalista di 37 anni la cui famiglia ha abbandonato in aprile la propria, modesta, abitazione costruita 11 anni fa.
I militanti islamici stanno sempre più bersagliando i cristiani in Iraq, specialmente nella capitale, secondo quanto riferiscono i residenti, gli ecclesiastici ed i gruppi di assitenza. Come risultato, la comunità cristiana - una esigua minoranza nel paese islamico - continua a diminuire.
Sebbene sia difficile ottenere dati statisticamente significativi - l'ultimo censimento in Iraq risale al 1987 e riporta un milione di cristiani - molti di loro sono fuggiti dopo l'imposizione delle sanzioni economiche da parte delle Nazioni Unite negli anni 90. Oggi i gruppi di assistenza stimano che i cristiani rimasti in Iraq siano dai 300.000 ai 600.000 su 25 milioni di abitanti.
Secondo Comanny i primi problemi sono iniziati la scorsa primavera dopo che i militanti islamici imposero la legge islamica a Dora con un proclama di 18 punti affisso nei negozi e sui muri che stabiliva le regole di comportamento per i residenti, compreso l'obbligo per le donne di indossare un mantello che le coprisse interamente.
"Non è nella nostra tradizione" dice Comanny. "Come ci si può aspettare che una donna cristiana lo faccia?" Alla fine molte famiglie cristiane decisero di pagare la pesante tangente ai militanti islamici per poter rimanere nel quartiere, "per avere il tempo di prepararsi a partire" spiega Comanny, "ma molte non riuscirono a continuare a pagare."
Anche Comanny, che viveva con sua madre, tre fratelli e quattro sorelle in una piccola casa di Dora, alla fine lasciò il quartiere dietro consiglio di un vecchio conoscente che lui definisce un insorto comprensivo. Dato che i militanti a Dora spesso attaccano le famiglie che tornano a casa a raccogliere la propria roba Comanny ha pagato 800$ al suo contatto per uscire indenne dal quartiere.
Oggi i Comanny vivono nel quartiere di New Baghdad, nella parte sud-est della capitale, con altre centinaia di famiglie cristiane sfollate, e si aggirano con prudenza nel quartiere a maggioranza sciita che affida la sua protezione all'Esercito del Mahdi guidato dal religioso radicale Muqtada Al Sadr.
I cristiani che vivono a Dora raccontano come una volta la convivenza con i musulmani fosse facile, che a Natale si offrivano loro i dolci e che si mangiava con loro durante l'Iftar, la cena che rompe il digiuno durante il sacro mese di Ramadan.
Amer Awadish, un tassista di 47 anni, racconta di come queste relazioni lo hanno salvato. Dopo che a dicembre lui e la moglie Samia ricevettero un biglietto che ordinava di andare via entro due giorni un vicino andò a trovarli e consigliò loro di farlo subito.
"Quell'uomo baciava mia madre sulla fronte in pubblico" racconta Awadish riferendosi ad un comune gesto di rispetto verso le donne anziane, " per questo non poteva uccidermi."
Oltre alle minacce dirette i cristiani iracheni devono anche affrontare ostacoli più sottili. Willliam Warda, il fondatore di Hamorabi, un gruppo cristiano per i diritti umani che opera in Iraq, afferma che la maggior parte dei cristiani a Baghdad non si sente più sicura di vivere come prima: "Non possono bere alcolici o vestire come erano abituati, forse potranno resistere per un anno o due, ma non per sempre."
La maggior parte dei cristiani in Iraq appartiene alla Chiesa Cattolica Caldea che riconosce l'autorità papale ma ha un proprio ordinamento. Altre denominazioni sono i Siro Cattolici, gli Armeni Ortodossi e Cattolici. Ci sono piccoli gruppi di Greci, Cattolici ed Ortodossi, di Anglicani e di Evangelici.
Un sentire comune tra tutti questi gruppi è però che i capi delle chiese non stiano difendendo i loro diritti.
Le chiese "non ci difendono e questo è parte del problema" dice Bashar Jamil John, 24 anni, studente di ingegneria al Baghdad Technical Institute.
Il Patriarca cattolico caldeo, Emmanuel Delly, che è anche il rappresentante vaticano in Iraq, * non ha accettato di farsi intervistare, ma il Reverendo Mokhlous Shasha, 32 anni, da un anno sacerdote della chiesa siro cattolica di Nostra Signora della Salvezza in centro a Baghdad, ha riferito che i sacerdoti sono minacciati così come i laici. Dal 2006 i militanti hanno ucciso due sacerdoti - un cattolico ed un greco ortodosso *- ed un ministro protestante, e ne hanno rapiti almeno altri dieci
"I sacerdoti vivono come i loro parrocchiani" dice Shasha, che quando cammina per le strade di Baghdad non indossa mai il collare.
Sono molti i cristiani che pensano che il loro futuro a Baghdad sia tetro.
Almeno 12 chiese sono state chiuse, molti seminari e conventi sono stati trasferiti nella più sicura area curda nel nord, e secondo alcuni sacerdoti in quelli ancora aperti i fedeli sono meno della metà.
Il risultato, secondo William Warda, sarà un esodo di massa dall'Iraq nel momento in cui i paesi occidentali dovessero adottare politiche immigratorie meno restrittive.
"Se l'America e l'Europa apriranno le porte non rimarranno cristiani in Iraq" dice Warda, "se ne andranno tutti."

Traduzione, adattamento e note di Baghdadhope

* In realtà il rappresentante vaticano in Iraq non è Mar Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei, ma colui che ha il titolo di Nunzio Apostolico in Giordania ed Iraq - praticamente l'Ambasciatore vaticano, Monsignor Francis Assisi Chullikat

* Il riferimento al ministro protestante ucciso è al
Rev. Monther Saqa, quello al sacerdote cattolico è a Padre Ragheed Ghanni, mentre Padre Paul Iskandar, ucciso a Mosul nell'ottobre del 2006, era sacerdote della chiesa siro-ortodossa e non della chiesa greco-ortodossa come citato nell'articolo.