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31 luglio 2007

A Baghdad i cinema chiudono ma le persone non invecchiano

By Baghdadhope

D’estate mi piace cambiare spesso il giornale che leggo ma, complice le vacanze, a volte sono un po' in ritardo. Così qualche giorno fa ho preso in mano la copia della STAMPA di domenica 22 luglio ed ho trovato un articolo che ha suscitato in me molti ricordi. Il titolo è
"Baghdad, nuovo cinema inferno." Barbara Schiavulli, Reportage, Baghdad.

L'articolo è incentrato su un cinema di Baghdad, il Samiramis, che chiuderà definitivamente i battenti il primo di agosto. Ricordo quel cinema. Non che ci sia mai entrata, ma ho chiara in mente l'immagine di un'assolata mattina di settembre, sarà stato il 1998 o il 1999. Tornavamo in albergo percorrendo proprio Sa'doun Street e ci accorgemmo che sotto una tettoia che riparava l'entrata del cinema sostavano decine di ragazzi (niente donne, neanche allora). L'enorme cartellone al di sopra dell'edificio indicava il film in programmazione. Le scritte erano solo in arabo ma il dipinto riproduceva fedelmente il manifesto che tutti noi riconoscemmo come quello
di "Basic Instinct" il giallo "bollente" che nel 1992 aveva fatto conoscere al mondo Sharon Stone con la famosa scena dell'accavallamento di gambe. Ricordo anche che, essendo venerdì, avevamo commentato il fatto che tutti quei ragazzi sembrassero più interessati all'intrigante e torbido sguardo dell'attrice che a celebrare il giorno di preghiera in modo islamicamente consono.


Scavando nella memoria e nel mio archivio ho trovato altri due articoli molto, molto, simili a quello pubblicato da La Stampa del 12 luglio 2007:

"Baghdad cinema 'gone with the wind'" di Zaid Sabah, pubblicato da USA Today il 12 luglio 2007

"Baghdad blues" di Kathleen McCaul, pubblicato dal Baghdad Bullettin il 31 agosto 2003.

Per leggere questi due articoli in lingua originale clicca sui titoli.

Clicca su "leggi tutto" per l'articolo "Baghdad, nuovo cinema inferno" della Stampa del 22 luglio e le traduzioni e gli adattamenti in italiano degli articoli di USAToday e Baghdad Bullettin di Baghdadhope.

Una piccola nota. Rileggendo gli articoli mi ha fatto piacere sapere che a distanza di 4 anni il proprietario del cinema Najaa, il Signor Ahmed Nadim, sia ancora vivo. Nella Baghdad degli orrori una tale sopravvivenza ha quasi del miracoloso. Come miracolosa è anche la sua memoria di ferro che gli ha permesso di rendere identica testimonianza nel contenuto a distanza di 4 anni. Sarà perché da come risulta aveva 76 anni nel 2003 ed "anche" nel 2007?
Sorprendente, vero?

Baghdad, Nuovo Cinema Inferno
Barbara Schiavulli, La Stampa, 22 luglio 2007
BAGHDAD

Saad Samir siede sconsolato accanto alla biglietteria del suo cinema. Diversi mesi fa ha licenziato l’impiegato che vendeva i biglietti e ancora prima la maschera che li strappava all’entrata della sala. Ora fa tutto Samir, accoglie i clienti e poi fa partire il film. Una volta si usavano quei romantici macchinari dove venivano installate le enormi pizze di pellicole, adesso basta un computer e un dvd. Non serve pagare un tecnico per quel lavoro. E in ogni caso presto i battenti del cinema Samiramis si chiuderanno. Il primo agosto, il cinema più importante e autorevole di Baghdad si arrende. Samir non ce la fa più. Ha tentato, ha lottato, ci ha creduto, ma è arrivato il momento che non sa più come rimandare. Sono trascorsi trentotto anni dalla sua apertura, nella sua sala sono passati film che hanno commosso e fatto ridere tutto il mondo e anche gli iracheni. Dalla serie di Indiana Jones a quella di Batman. «Il mondo del cinema se ne va “via col vento” - dice Samir, ripetendo una frase piuttosto comune tra gli iracheni, tratta dall’omonimo film del 1939 con Clark Gable - Non ho più i soldi per mantenerlo, ormai qui non viene più nessuno. Le famiglie, e il mio cinema è sempre stato per loro, non trascinano fuori i bambini per paura delle autobombe e dei rapimenti. Nessuno ha voglia di rischiare la vita per avventurarsi in una città che è già un film dell’orrore. Senza contare che per un dollaro, contro i due e mezzo del biglietto, si trovano ormai ovunque film pirata, la gente se vuole vedere qualcosa può tranquillamente farlo senza uscire di casa. Anche noi, visto che non potevamo permetterci di pagare le tasse per i film originali, siamo costretti a mandare in onda film piratati. Come Superman 3 ora in programmazione. Per noi una giornata piena non ha più di cinquanta persone, oggi ne abbiamo solo dodici, gente che viene per dormire, per starsene all’aria condizionata o perché non sa dove andare. Quello che metto in onda è irrilevante».Ma non è stato sempre così. Ai tempi d’oro negli Anni 70 si faceva la fila per entrare nel cinema, 1800 posti a sedere, film nuovi che arrivavano dagli Stati Uniti e dall’Italia. Gli spettatori si appollaiavano sugli scomodi sedili di legno, fumavano una sigaretta e si perdevano nel mondo magico della celluloide, l’unico posto dove i sogni per un paio d’ore potevano trasformarsi in realtà. «Questo posto brulicava di persone, di bambini chiassosi che si divertivano per un pomeriggio intero. Adesso a causa del coprifuoco sono costretto a chiudere alle tre del pomeriggio - spiega Samir che non ha ancora deciso cosa farà quando il cinema sarà chiuso - mio padre me lo ha lasciato in eredità, tutta la vita della mia famiglia ha girato intorno a questo posto, ho perfino conosciuto mia moglie qui, era venuta a vedere Forrest Gump accompagnata da sua madre, è rimasta a vederlo tre volte, fino a quando mi sono deciso a parlarle». Samir non crede che la situazione migliorerà in tempi brevi, quindi per lui, è inutile continuare ad investire in qualcosa del quale il pubblico non può usufruire con serenità. «Sono così triste di aver dovuto prendere questa decisione, ma non ho scelta».In realtà i problemi sono cominciati alla fine degli anni ‘90, quando un’ondata di film pirata ha invaso il mercato riducendo drasticamente la clientela dei cinema. «Con gli affari che calavano, abbiamo dovuto smettere di comprare i film americani che uscivano perché i costi raggiungevano i venti, venticinquemila dollari». Durante il regime di Saddam Hussein, la diffusione dei film era molto controllata, il governo prediligeva le epopee belliche e i film arabi. «La caduta di Saddam nel 2003 non ha portato solo violenza, ma un’era di immoralità». Con la chiusura del Samiramis, se ne va l’ultimo cinema «per tutti» di Baghdad, restano solo le sale cinematografiche, circa una dozzina, che si dedicano a film per adulti proibiti durante l’epoca dell’ex rais. «Il Samiramis è il miglior cinema di Baghdad», ammette Ahmad Nadim, un vecchio di 76 anni che dirige il cinema Najaa da quarantaquattro anni, ad una decina di minuti di strada dall’altro. Si ricorda ancora quando gli inglesi aprirono il primo cinema negli anni ‘20 con i film muti, seguiti da quelli di Charlie Chaplin, solo negli anni ‘40 gli iracheni hanno cominciato a produrre i loro primi film, in genere, tutti romantici. Nadim ora trasmette film pornografici. «L’Iraq è cambiato, al cinema vengono solo uomini e vogliono vedere sesso. Tutti quelli che potevano apprezzare un film di qualità hanno lasciato il paese. Qui sono rimasti i poveracci, gli ignoranti e i combattenti che sono la somma di entrambi. Per tornare al cinema di una volta, c’è solo un modo; raggiungere i cuori dei nostri ragazzi e riparare i pezzi».

Il cinema a Baghdad è andato “via col vento”
Di Zaid Sabah, USA Today, 12 luglio 2007
BAGHDAD

Negli anni 70 ed 80 il cinema teatro Samiramis fu un punto di riferimento nel centro di Baghdad per un’intera generazione di iracheni che si divertiva con film di prima visione che andavano dalla serie di Indiana Jones a Batman. Il primo agosto prossimo il suo grande schermo si spegnerà per sempre. Il cinema, uno degli ultimi del suo genere, chiuderà dopo 38 anni. “Il cinema a Baghdad ed in Iraq è andato “via col vento” ha dichiarato il direttore del Samiramis, Saad Samir, usando un’espressione comune in Iraq che deriva dal classico del 1939 interpretato da Clark Gable. Il cinema da 1800 posti non è stato in grado di resistere alla violenza endemica, ad un coprifuoco che lo costringeva a chiudere alle tre di ogni pomeriggio, alla tendenza globale che fa preferire i DVD visti a casa.“Non speriamo neanche più che le cose possano migliorare” ha aggiunto Samir un mercoledì pomeriggio mentre 12 persone assistevano alla proiezione di una copia pirata di Spider Man 3. “Siamo molto tristi, ma non avevamo altra scelta.”I problemi del Samiramis iniziarono alla metà degli anni 90 quando un’ondata di copie pirata di film in Iraq ridussero drasticamente il numero degli spettatori, ha spiegato Samir. Col diminuire degli affari il cinema ha smesso di importare i film di prima visione americani perché non poteva permettersi di pagare spese di 20.000/25.000 $, ed ha cominciato a proiettare i DVD pirati. Il rovesciamento di Saddam Hussein nel 2003 non ha portato solo violenza, ha aggiunto Samir, ma anche un’epoca di immoralità. La maggior parte della dozzina di cinema di Baghdad ora proiettano film pornografici – proibiti sotto Saddam – mentre altri sono stati distrutti o semplicemente hanno chiuso.“Samiramis è l’unico cinema ancora decente a Baghdad” ha dichiarato Firas Hamdi, 27 anni, un ingegnere disoccupato, “la gente a cui piacevano i film americani ha lasciato il paese, e quella che è rimasta è senza istruzione o ha come principale interesse il sesso.”Nel cinema il numero massimo di spettatori è di 50 persone. “Molti vengono non per guardare il film ma per passare delle ore in un ambiente con aria condizionata” ha detto Samir in un giorno in cui la temperatura era di quasi 48°, la media per metà luglio, “alcuni vengono a fare un sonnellino.”Hamdi, infatti, è contento di aver pagato 2.40 $ di ingresso per sfuggire al calore del suo appartamento dove l’aria condizionata funziona per circa un’ora al giorno quando c’è elettricità, di essere “sfuggito al caos” e di poter vedere l’ultimo episodio di Spider Man:“spero sia un giorno calmo” ha detto “così potrò passare un po' di tempo in pace.”

Baghdad Blues
Di Kathleen McCaul, Baghdad Bullettin, 31 agosto 2003

Venerdì. Cinema “Le Stelle” in Sadun Street. Normalmente è il giorno da passare in famiglia o in moschea, ma la fiumana di uomini che entrano ed escono dal cinema ha scelto un luogo di incontro alternativo. Il cartellone del film è pittoresco. Dipinto a colori vivaci reclamizza un film italiano degli anni 70. All’interno della hall alcune foto tratte dal film sono appese a dei tabelloni. Ad osservarle è chiaro che non si tratta di un film romantico, ma di ciò che viene definito “film hard.” Dall’inizio dell’occupazione i molti cinema di Baghdad si sono riempiti, ma c’è una sola scelta: film pornografici. Sebbene si tratti nella maggior parte dei casi di film datati e casti se paragonati a ciò a cui si è abituati in occidente, si tratta di un fenomeno nuovo a Baghdad. “Saddam controllava tutti i film, ma l’assenza di un ministero dello spettacolo ha creato una situazione di anarchia" dice Ahmed Nadim, 76 anni, direttore per 44 anni del cinema Najaa, che si dichiara esperto di cinema e teatro.“Oggi si può vedere ogni tipo di film. Sebbene prima si proiettassero pochi film romantici non c’erano scene spinte, ora invece si tratta di puro sesso”Nadim è andato al cinema ed ha scritto recensioni sui film a Baghdad per quasi tutta la sua vita. Conserva ancora nel portafoglio un biglietto sbiadito del cinema Simbad che risale al 1948 ed è disgustato da ciò che viene proiettato oggi. “La qualità e lo spirito dei film cui sono abituato non esiste più, oggi non riesco più a vederli – la mia generazione non li accetta, è la generazione di Saddam.” Malgrado ciò, però, Nadim ammette di proiettare anche lui i film hard perchè è l’unico modo per poter guadagnare a Baghdad. "Il cinema Sameera Ramees è uno dei migliori di Baghdad, proiettava solo film adatti a tutti, ma non incassava più nulla, le famiglie non vanno più al cinema per ragioni di sicurezza, gli unici spettatori sono uomini” dice. Anche il rispettabile cinema Sameera Ramees è cambiato ora. Sebbene pubblicizzi solo film in voga, ad esempio American Pie 2, alle pareti le foto mostrano solo attrici turche ed italiane poco vestite per attirare l’avido pubblico.“E’ ancora un cinema per famiglie, il proprietario ha messo queste foto per attirare la gente” ha dichiarato Assam Abdul Karim un impiegato del cinema. La storia del cinema in Iraq riflette gli scossoni attraverso i quali il paese è passato. Nadim ricorda come gli inglesi fondarono il primo cinema quando occuparono il paese prima del 1920. A quello ne seguirono altri che proiettavano i film muti come quelli di Charlie Chaplin importati dall’estero. Negli anni 40 gli iracheni iniziarono a produrre i propri film, spesso di natura romantica, ma con la salita al potere del partito Baath nel 1968 lo stato iniziò a controllare l’industria del cinema commissionando film epici di argomento storico e politico. Il cinema in Iraq comunque continuò ad esistere per tutta la durata della guerra contro l’Iran. Faiz Taha Salam, docente all’Accademia di Belle Arti, fu il protagonista di tre grandi film degli anni 80 – “Amore e motocicletta” “Matrimonio iracheno” e “Il dilemma”. In quest’ultimo film, che trattava della lotta contro il dominio britannico negli anni 20, Salam recitò accanto ad una stella del cinema inglese, Oliver Reed, che faceva la parte di un ufficiale di Sua Maestà ucciso dalla folla in rivolta.“L’impatto della guerra ha cambiato il cinema in Iraq. I film erano diventati violenta propaganda militare, lontani dalla sofferenza della gente comune – spiritualmente vuoti secondo me –" dice Salam.
L’industria cinematografica crollò poi a causa delle sanzioni delle Nazioni Unite e la conseguente mancanza di fondi e di registi. Il pubblico si dovette rivolgere alla televisione, certo non un esempio artistico, secondo Salam. La televisione di stato, Shabab, nella maggior parte dei casi rubava i film di altre stazioni ed il compito di portare avanti la storia del cinema iracheno ricadde su chi viveva all’estero.
Saad Salman, un regista iracheno in esilio in Francia per trent’anni ritornò in incognito nel 2000 per girare un film sugli effetti del regime di Saddam. Le interviste comprendevano quelle ad una donna che aveva visto uccidere suo marito ed i suoi tre figli e quella ad un uomo depresso cui era stato tagliato un orecchio e non poteva portare gli occhiali. La granata usata come peso per vendere le patate, ed il cartello con la scritta “Benvenuti ad Helabja” mostravano l’orrore della sofferenza quotidiana. Il film, “Baghdad on and off” acclamato internazionalmente sebbene bandito in Francia fu proiettato per la prima volta in Iraq il 15 agosto (2003) all’Al-Awiyah Club, che sotto Saddam era un club per dirigenti. "Non sono mai stato così nervoso come per quella prima, ma sono rimasto sorpreso che la gente del cinema in Iraq ha capito ciò che intendevo” dice Salman. Sebbene il pubblico possa avere capito la sofferenza, lo stile documentaristico era però nuovo. Secondo Ahmid Hassa, un impiegato “Non era altro che una telecamera che si spostava da un posto all’altro.” “E’ un film rozzo perchè manca di bellezza, ma è realistico nel dialogo e nella storia” secondo Awatif Naim, una nota attrice irachena. La mancanza di familiarità con i documentari potrebbe però cessare a breve. Salman ha infatti deciso di produrre e finanziare documentari di 10 ore sull’Iraq.“Il progetto tratterà dei ricordi delle persone rimaste a lungo in silenzio – ed ogni documentario sarà diretto da un giovane iracheno” dice. Salman, che insegna ai giovani studenti di cinematografia, ha anche intenzione di istituire una fondazione che terrà seminari e corsi per i nuovi registi iracheni, ed ha grandi idee per il futuro. Secondo lui l’industria cinematografica ha un grande compito.“Abbiamo diverse strade davanti a noi. Dobbiamo trattare i casi sociali trascurati in passato, e dobbiamo girare film che mostrino la realtà politica nascosta dell’Iraq.” Sfortunatamente però i suoi studenti non sono ostacolati solo dalla mancanza di risorse e pratica, ma dalle loro stesse esperienze. “Il nostro compito è molto difficile perchè gli studenti hanno la mente ed il cuore feriti – siamo bloccati da un grande muro e dobbiamo scegliere la giusta finestra da cui guardare il sole che entra nelle nostre case e ci fa felici.”

Iraq e infermiere bulgare: due comportamenti diversi della comunità internazionale

Fonte: Asia News

di Louis Sako

Mons. Louis Sako
, arcivescovo di Kirkuk, chiama in causa le responsabilità della comunità internazionale che non si mobilita per far sì che i Paesi confinanti smettano di far passare combattenti e di destabilizzare l’Iraq. E l’annunciata vendita di armi all’Arabia Saudita ed ai Paesi del Golfo certo non va in al senso. Gli arabi dovrebbero rendersi conto che l’offensiva degli Usa in Iraq ed Afghanistan li ha salvati dalle mire di Saddam Hussein e dai telebani.


La comunità internazionale ha fatto tanto per sostenere il caso delle 5 infermiere bulgare e il medico palestinese e ha ottenuto la loro liberazione. Che gioia per loro e per loro famiglie. Nel giorno stesso ho celebrato la messa di ringraziamento. Ma una tristezza profonda mi ha dominato quando ho comparato il caso loro colla situazione nostra in Iraq. Ogni giorno fra 50 – 100 morti in maggioranza civili e innocenti e circa 2,2 milioni di profughi in fuga dalla guerra iniziata nel 2003 con l’offensiva guidata dagli Stati Uniti. Da cinque anni viviamo in tale situazione e non si sa quanto durerà ancora, forse anni. perchè si osserva che il progetto nucleare iraniano e i nuovi piani americani d'armamento dei Paesi del Golfo, in particolare l'Arabia Saudita, non aiuteranno per nulla la sicurezza e la stabilizzazione della regione, anzi la complicheranno di più.
Tutti sanno che i Paesi limitrofi dell'Iraq mandano combattenti (mujahidin). Secondo le dichiarazioni del governo iracheno i sauditi vengono in prima fila, poi gli iraniani e i siriani... Finora non abbiamo sentito una visita d'un capo di Stato o di una delegazione internazionale capace di prre un freno a questi fatti! Se gli Stati Uniti, in quanto forza occupante e la cui politica ha creato questa situazione, sono responsabili, la comunità internazionale è anche responsabile di cercare positivamente di fornire un’assistenza seria agli iracheni per una vera soluzione del loro problema, che è la riconciliazione e la ricostruzione del loro Paese ed un processo politico che includa tutte le forze politiche, religiose e etniche.
Penso che gli iracheni meritino un aiuto internazionale come quelle infermiere bulgare!
Secondo me l’offensiva guidata dagli Stati Uniti in Iraq ed Afghanistan ha avuto conseguenze positive per tanti Paesi arabi: sono stati salvati del pericolo di Saddam Hussein che voleva dominare il mondo arabo e anche i Paesi musulmani devono sapere che gli Stati Uniti hanno salvato i loro Paesi dai talebani.
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A conferma delle affermazioni di mons. Sako, ieri sera l’ambasciatore americano all’Onu, Zalmay Khalilzad, ha affermato che “l’Arabia Saudita ed un certo numero di altri Paesi, non fanno tutto ciò che potrebbero per aiutarci in Iraq”.

Iraq vs Bulgarian nurses, the international community’s double standards

Source: Asia News

by Mons. Luis Sako

Mgr Louis Sako
, archbishop of Kirkuk, challenges the international community over its responsibilities. So far it has failed to lean on Iraq’s neighbours to stop fighters from entering and destabilising Iraq. The announced US arms sale to Saudi Arabia and the Gulf countries won’t stop it either. Arabs should realise that US offensives in Iraq and Afghanistan saved them from Saddam Hussein and the Talibans.


The international community has done a lot for the Bulgarian nurses and Palestinian medic imprisoned in Libya. What joy for them and their families when they finally got their freedom! On the day they were released I celebrated a thanksgiving mass. However, I was also sad because I compared their fate to that of Iraq. Every day some 50 to 100 people die, mostly civilian and innocent; 2.2 millions refugees have fled since the war began in 2003 with the offensive led by the United States. For five years we have lived in this situation and we don’t know how long it will go on, perhaps for years, because Iran’s nuclear programme and the US plan to arm the Gulf states, especially Saudi Arabia, will not improve the region’s security and stability; in fact it will make things more complicated.
All of Iraq’s neighbouring countries are sending fighters (mujahidin) into the country. According to statements by the Iraqi government Saudis lead the pack, followed by the Iranians and the Syrians . . . .
So far we have not heard a single word out of a leader or an international delegation visiting Iraq saying something that could end this flow.
If the United States as the occupying power that created the current situation is responsible for it, the international community is also responsible for providing real assistance to solve Iraq’s problems like reconciliation and reconstruction that include all political, religious and ethnic groups. Indeed I think Iraqis deserve as much international help as the Bulgarian nurses.
I believe that the US-led offensives in Iraq and Afghanistan had some positive consequences for many Arab countries, which were saved from the danger of Saddam Hussein and his desire to rule the Arab world. Muslim countries must also realise that the United States saved them from the Talibans.
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As evidence in support of Mgr Sako’s statement, former US ambassador to Iraq Zalmay Khalilzad said that “Saudi Arabia and a number of other countries are not doing all they can to help us in Iraq.”

Vescovi USA avvertono il Segretario di Stato americano della terribile piaga dei rifugiati iracheni

Fonte: ZENIT

La piaga dei rifugiati iracheni è terribile, soprattutto per i bambini, e richiede una maggiore assistenza statunitense, hanno affermato il Cardinale Theodore McCarrick e il Vescovo Nicholas DiMarzio. In una lettera del 26 luglio inviata al Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, il Cardinal McCarrick, Arcivescovo emerito di Washington, e il Vescovo DiMarzio di Brooklyn, New York, hanno espresso preoccupazione dopo una missione in Turchia, Libano, Giordania e Siria a nome della Conferenza Episcopale Statunitense.Dopo aver trascorso del tempo nei Paesi confinanti con l’Iraq, i presuli hanno detto: “Era chiaro che i Paesi che abbiamo visitato hanno un estremo bisogno di ulteriore sostegno da parte degli Stati Uniti e della comunità internazionale per fornire un porto sicuro ai quasi due milioni di rifugiati iracheni nella regione”.“Senza un maggiore impegno da parte della nostra Nazione e delle altre”, hanno aggiunto, “temiamo che questi Paesi non accoglieranno e proteggeranno più i rifugiati, soprattutto se la situazione della sicurezza in Iraq si deteriorerà e altri Iracheni abbandoneranno le proprie case”.I presuli hanno sottolineato la “mancanza di finanziamenti sufficienti ad assicurare i bisogni di base dei rifugiati e delle loro famiglie”, notando che soprattutto l’assistenza medica “non è facilmente disponibile”.“I bambini sono particolarmente vulnerabili”, hanno detto i Vescovi. “Molti di loro hanno problemi fisici e psicologici a causa del conflitto”, mentre “l’accesso all’istruzione rimane un problema fondamentale”.Il Cardinal McCarrick e il Vescovo DiMarzio hanno anche esortato gli Stati Uniti “a lavorare sempre più urgentemente per una transizione responsabile per porre fine alla guerra in Iraq”, sottolineando che “l’esistenza di grandi numeri di rifugiati vulnerabili è una tragica e sfortunata conseguenza della guerra”.

U.S. Bishops Urge More Aid for Iraqi Refugees

Source: ZENIT

The plight of Iraqi refugees is dire and calls for increased U.S. assistance, said Cardinal Theodore McCarrick and Bishop Nicholas DiMarzio. In a July 26 letter sent to U.S. Secretary of State Condoleezza Rice, Cardinal McCarrick, retired archbishop of Washington, D.C., and Bishop DiMarzio of Brooklyn, New York, voiced concern after a mission trip to Turkey, Lebanon, Jordan and Syria on behalf of the U.S. bishops' conference.After spending time in the countries neighboring Iraq, the prelates said: "It was clear that the countries we visited are in dire need of additional support from the United States and the international community in order to provide safe haven to the almost 2 million Iraqi refugees in the region." "Without a heightened commitment from our nation and others," they added, "we are fearful that these countries will no longer welcome and protect these refugees, particularly if the security situation in Iraq deteriorates and more Iraqis flee their homes." The prelates highlighted the "lack of sufficient funding to ensure that the basic needs of refugees and their families are being met," noting that medical care in particular "is not readily available." "Children are particularly vulnerable," the bishops said. "Many of them suffer physical and psychological ailments from the conflict," while "access to education remains a major problem." Cardinal McCarrick and Bishop DiMarzio also urged the United States "to work even more urgently for a responsible transition to end the war in Iraq," noting that "the existence of large numbers of vulnerable refugees is a tragic and unfortunate byproduct of the war."

30 luglio 2007

Iraq: Vescovo di Baghdad riferisce il peggiorare della situazione di sicurezza per i cristiani

Fonte: Aid to the Church in Need - Aiuto alla Chiesa che Soffre

by John Pontifex

Tradotto ed adattato da Baghdahope


I capi religiosi cristiani di Baghdad hanno unito le forze nel disperato tentativo di proteggere la propria gente dalla persecuzione – questo è ciò che ha riferito un vescovo che ha osato parlare della crescente crisi dei cristiani in città.
Tra i segni della sempre maggiore oppressione della comunità cristiana di Baghdad, Monsignor Andrea Abouna ha riferito di come i capi religiosi di diversi riti stiano elaborando dei piani per trovare sistemazione ai fedeli in posti sicuri, lontani dalle zone calde dell’estremismo. Nel corso di una visita a Londra il Vescovo Ausiliare di Baghdad ha dichiarato che la comunità caldea di cui fa parte, insieme alle gerarchie siro cattolica ed armena è impegnata nel tentativo di salvare migliaia di sfollati.
Nel corso dell’intervista rilasciata ad Aid to the Church in Need, Monsignor Abouna ha detto: “Non è facile per la nostra gente, ha bisogno di tutto. La Chiesa aiuta per quanto può.”

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Descrivendo la cooperazione tra vescovi come senza precedenti Monsignor Abouna ha dichiarato come l’intervento miri a dare alloggio ed aiuto a più di 6000 cristiani rimasti senza casa ed a rischio di essere rapiti o uccisi in un paese con enormi problemi di sicurezza.
Monsignor Abouna ha anche spiegato che i cristiani hanno cercato rifugio nel quartiere centrale di Baghdad Jadida dopo essere fuggiti da quello di Dora dove i militanti islamici avevano dato loro un ultimatum: convertirsi all’Islam o abbandonare le proprie case.
Orgoglioso del fatto che la zona di Dora fosse in passato conosciuta come il “Vaticano dell’Iraq” il vescovo ha sottolineato la determinazione dei suoi abitanti cristiani a non tradire la propria religione, memori dell’enorme numero di chiese ed altre istituzioni religiose una volta lì presenti. Secondo il vescovo, la persecuzione già attuata a Dora si sta estendendo in altre parti della città, specialmente nella zona ad ovest del Tigri, Al Karkh. Secondo alcune fonti cristiane i sacerdoti che operano in quella zona sono scesi da 11 a 3 negli ultimi tre anni.
L’iniziativa di sostegno, che ha il suo centro nella chiesa di Saint George, è per ora in una situazione di stallo dovuta ad un’ ulteriore ondata di sfollati cui bisogna trovare una sistemazione in albergo o da parenti o amici.
Con tutte le sette chiese di Dora ormai chiuse, e con i militanti che rifiutano di far tornare i cristiani alle proprie case, i non musulmani nella zona di Karkh, continua Monsignor Abouna, sono sottoposti a crescenti pressioni per la conversione all’Islam, così come all’obbligo per le donne ad indossare il velo.
Questa crisi, secondo il vescovo, spiega perché l’esodo dei cristiani da Baghdad e da altre parte dell’Iraq sia così imponente anche se non esistono statistiche affidabili sui movimenti delle masse. Secondo alcuni rapporti almeno metà del 1.200.000 cristiani che vivevano in Iraq prima della caduta di Saddam Hussein sono fuggiti dalle proprie case e da una crisi umanitaria che, riferisce Monsignor Abouna, vuole dire scarsità di acqua potabile, elettricità a volte solo per un’ora al giorno ed alto rischio di rapimenti e di rimanere uccisi che spinge la gente a non uscire di casa.
Desideroso di trovare una nota positiva il vescovo continua: “Non è la prima volta che i cristiani soffrono nella terra dell’antica Mesopotamia, ed a dispetto delle difficoltà vi sono sempre rimasti.”
Descrivendo però le visite pastorali nella zona di Mansour nella parte sud occidentale di Baghdad dove vive, dice: “Le famiglie sono tristi e turbate, era stata promessa loro la democrazia ma non c’è niente di simile.” Eppure, continua: “Malgrado ciò speriamo ancora nella pace.”
L’intervista termina con i ringraziamenti ad Aid to the Church in Need per l’aiuto dato. ACN lo scorso anno ha stanziato 200.000 $ per la chiesa in Iraq, la maggior parte dei quali in aiuti di emergenza sollecitati dagli appelli degli stessi vescovi.

Iraq: Baghdad bishop tells of worsening security crisis for Christians


By John Pontifex

Baghdad's Church leaders have joined forces in a desperate bid to protect their people from persecution – according to a bishop who has dared to speak out on the growing crisis engulfing the city’s Christians. Amid signs of worsening oppression against Baghdad’s Christian community, Bishop Andreas Abouna said Church leaders from a number of different rites were now rolling out plans to find the faithful homes in safe places away from known hot-spots of extremism. Speaking during a visit to London, the Auxiliary Bishop of Baghdad said that his Chaldean community had linked up with Syriac Catholic and Armenian hierarchy in a rescue mission for thousands of displaced people. During the interview, given to Aid to the Church in Need, Bishop Abouna said: “It is not easy for our people – they are in need of everything. The Church is helping in any way it can.”

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Describing the co-operation between the bishops as unprecedented, Bishop Abouna said the initiative was aimed at providing housing and emergency aid for more than 6,000 Christians forced onto the streets and in grave risk of kidnap or murder in a country with huge security problems. He explained that the Christians had sought sanctuary in central Baghdad’s Al Jadida region having escaped Al Dora, in south west Baghdad, where militant Muslims had put an ultimatum to Christians demanding that they convert to Islam or face eviction from their homes. Proud of Al Dora’s nickname of the ‘Vatican of Iraq’, the bishop said the people were determined not to lose their religion, retaining strong memories of the region’s high concentration of churches and other religious institutions. Now, according to Bishop Abouna, reports suggest that the persecution in Al Dora is beginning to spread to other parts of the city – with the Karkh region, west of the River Tigris worst affected. Iraq Church sources claim the number of priests in this area has slumped from 11 to three within just three years. The emergency support initiative, centring on Baghdad’s St George’s Church, is on standby for a further influx of displaced Christians, helping them to find temporary accommodation in hostels or with relatives and friends of the Church. With all seven churches in Dora now closed, and militants refusing to allow Christians back home there, Bishop Abouna said non-Muslims in the Karkh region were under increasing pressure to convert to Islam, as well as mandatory wearing of the veil for women. The crisis, he said, explained why the exodus of Christians from Baghdad and other parts of Iraq was still high. He said the mass movement of people meant reliable statistics were no longer available. Reports show at least half of the 1.2 million Christians in Iraq before the fall of Saddam Hussein have now fled their homes. With the humanitarian situation growing fast, the Bishop said that in the city clean water was scarce and that electricity was sometimes down to one hour a day. The bishop described how the high risk of kidnappings and killings meant people were afraid to leave their homes. But determined to strike a positive note, the bishop went on: “This is not the first time Christians in the ancient land of Mesopotamia have suffered. Despite all the difficulties of the past, Christians somehow remained in our country.”He described making morale-boosting pastoral visits to Mansour, the region of south-west Baghdad where he is based.“The families are very sad and upset,” he said. “They were promised freedom and democracy but nothing like that is happening.”The bishop said: “In spite of the situation, we still hope that peace will come.” He went on to thank ACN for offering key help and support. “What Aid to the Church in Need has given us is very important. We are so grateful.” ACN last year provided over $200,000. for the Church in Iraq, much of it emergency aid in response to urgent appeals from the bishops.

25 luglio 2007

Seeds in a wounded land. Interview to the Iraqi Ambassador to the Holy See

Source: SIR

by Daniele Rocchi

News of persecutions by terrorists and islamic extremists against the Iraqi Christian community, forced to leave cities such as Baghdad or Mosul to take refuge in the north of the country or abroad, are reported. News about kidnappings, of priests also, protection tax, forced convertions and killings are a growing worry for the Chaldean Church that must cope with this "persecution emergency." Continuous are Benedict XVI's appeals to peace, to reconciliation and to the respect of human rights. About persecution of the Christians in Iraq, and not only, SIR made some questions to the Iraqi Ambassador to the Holy See, Albert Edward Ismail Yelda. Christian, he has a degree in ancient literature and a specialization in international human rights studies. Since 1997 to 2003 he worked as a legal advicer and to projects of support for Iraqi immigrants in London.
How can the Iraqi institutions protect the Christian minority?
"I personally belong to this ancient and fragile close community and, as an Iraqi Ambassador, I strongly condemn all the atrocities committed against the Christians of Iraq as well as other venerable minorities which take many forms including ethnic cleansings, threats, persecutions and killings by a handful of radicals and extremist groups linked and supported by the former remnants of the old regime. By such actions of these radicals committed in the name of Islam, and Islam as a religion is quite far from their evil actions, they are trying to create chaos in order to undermine the work of our newly elected Government’s efforts to fight terrorism, extremism and religious radicalism as well as religious sectarian violence in order to create the proper and sound environment to engage in all Iraqi political parties in a real and true dialogue as well as in a real national reconciliation among all the segments of the Iraqi society who believes in a new peaceful, stable, multicultural, multinational, multireligious, democratic and federal Iraq, it means that there should be no place for first, second or third class citizens in the new Iraq. We are also well aware that there are many elements from the neighbouring countries who are supporting the atrocities committed against our people by radicals and the remnants of the former regime who are making the life of all Iraqis, regardless of their religion, denomination, gender and nationality, so miserable in order to turn back the clock so that the new and young democracy in Iraq will not succeed and be replaced again by another ideology of evil tyranny and dictatorship so that the Iraqi people will continue to suffer for another at least 35 years of persecutions, suppressions and oppressions on a daily basis. Our Government of National Unity has been in power for just only one year and it needs all the support provided by the International Community to build a united, patriotic and non sectarian security to ensure the security of all Iraqis in order to make Iraq stable and peaceful. I am well aware that my Government is trying to do its utmost to help, assist and support all the Iraqi citizens and in particular the venerable ones including the Iraqi Christians. I am also aware that our Iraqi Christian religious leaders and the Iraqi Christian politicians, who are represented in the central and the regional Government of Kurdistan, are trying their utmost to highlight the current situation and the tragic events that the Christians of Iraq like wise the majority of Iraqis are going through."
Is there any scope for Christians in the new Iraq, and what is their role in the rebuilding of the country?
"Iraqi Christians are the seeds of the land of Mesopotamia (modern day Iraq) and I do not believe that there is any force on this earth that can uproot these seeds from their ancestral land. Today the Christians of Iraq are actively engaged in the political, social, cultural and economic aspects of the new Iraq. They are represented in the Parliament, the Central Government, the regional Parliament and the Government of Kurdistan as well as in all Diplomatic Missions, therefore, the Iraqi Christians are currently into decision making capacity but on a smaller level. I can assure you that the Christians of Iraq are and will be playing a positive and important role in the efforts of building a peaceful, secular, pluralistic, democratic and federal State of Iraq. The Christians of Iraq suffered enormously during the era of the former regime and especially from the chauvinism policies of Arabization implemented by the ideology of the Baath Arab Socialist party. Assyrians and Chaldeans opposed these chauvinism policies and sided with the Iraqi National and Democratic forces including Islamic movements, Kurdish, communists, liberals and other Baathist who opposed the regime of Saddam Hussein which was based on mass executions and persecutions in order to remove it and establish the Democratic alternative in which all Iraqis regardless of their religion, culture, ethnicity and nationality be treated justly and equally in their rights as first class citizens.

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Is there the risk of the creation of a Christian enclave in the Niniveh Plain, in the north of Iraq?
"As far as for a save enclave for the Christians in the North part of the country, and in particular for the Niniveh plane, I believe this issue has been exaggerated by the media and some self-motivated politicians as well as it has been misunderstood by some. Unfortunately, the sad events and tragic consequences of expulsion of the Iraqi Christians from their homes and the crimes committed against the Christian individuals religious authorities and the bombing of their Churches in Baghdad and Mosul by radicals has forced the Iraqi Christian religious authorities as well as the Iraqi Christian politicians to find out the best way to save and protect the interests of the Christian community, including the debating and the discussing of the constitutional rights by implementing the new Iraqi Constitution art. n° 125 in order to have administrative rights in areas of Iraq where they constitute the majority.
There is no such a plan for a separate area for Christians this is not what the majority of Christian in Iraq want. The Iraqi Christians (Assyrians, Chaldeans including Syriac and Armenians) are spread throughout Iraq from the North to the deep South and from the East to the West and have lived side by side with Muslims (Shiits and Sunnis), Arabs, Kurds and Turkmens as well as other religious groups and minorities and have shared together the good and the bad, the happy and the sad, tragic and pleasant times and events, I should hope they will be able to continue this peaceful coexistence while maintaining and implementing their constitutional rights."
As the Iraqi Ambassador to the Holy See did you discuss the situation of Iraqi Christian minority with Vatican representatives?
The Holy See and the Vatican officials are very much concerned about the plight of all Iraqis and they have a special concern for the plight of the small venerable Christian community in Iraq, which the majority belong to the Roman Catholic Church. The late Holy Father, John Paul II, and the current Great Pontiff, His Holiness Benedict XVI, have made it very clear publicly that they hold the dear Iraqi people, regardless of their religion, culture, nationality and gender, very close to their hearts. In many of my special audiences with the Holy Father, His Holiness clearly stated that, particularly during these tragic events in Iraq, he kept on praying deeply for peace and stability to Iraq and prosperity to all Iraqis. Fortunately, being the first Christian Ambassador of the Republic of Iraq to the Holy See, I haven’t missed a chance in highlighting the plights of all Iraqis, and I have discussed and debated with the high ranking Vatican officials the current situation and the way forward for a successful political process to the suffering of our Iraqi people. I’ve also highlighted the plight of our Iraqi people to the Arab League representatives, Islamic and non Islamic Diplomatic Missions, including Ambassadors who are accredited to the Holy See as well as the media in order to assist our young Iraqi Government of national unity in its efforts for a true dialogue and national reconciliation among all Iraqis to end the sectarian violence and to ensure the perfect environment for a lasting peace."
Many analists affirm that in Iraq priority must be given to the security issue. Do you agree with them or do you think that there are other emergencies to cope with?
"I would definitely believe that security is the most important and essential issue at this moment. In order to have a secured Iraq we need to have a strong and reliable security force that will ensure the protection of the Iraqi borders in order to prevent terrorists from entering into Iraq and murdering innocent civilians and create havoc by terrorising the Iraqi citizens in order to prevent our Government’s efforts of reconstruction. It is essential that the International community should provide more concrete assistance to our young Iraqi Government as well as make our security forces well equipped with the latest strong and powerful equipments to ensure their ability to counter and prevent the elements of darkness including terrorists from achieving their evil agenda in Iraq and be able to destroy the daily life of our Iraqi people. We need better sharing intelligence information with our Government and the intelligence agencies of the neighbouring countries in order to coordinate all efforts to deal a major blow and destroy the enemies of the Iraqi people and Middle East. I seriously believe that the multinational forces in Iraq, including the United States of America’s commands, should coordinate its operations whether political or military with our Government and prior to any action our Government should be well informed in advance i.e. with prior agreement with our Government and politic leadership in Iraq."
In the media news from Iraq are of violence and attacks, do you think there is something that the media don't report and that deserves to be known?
"The media has, unfortunately, concentrated its efforts to publicize the negative aspects of what is happening inside Iraq. They continuously highlighted the propaganda campaign of the evil terrorist and murderous groups who are trying tirelessly to destabilize our Government’s efforts of national reconciliation. I truly believe that the media hasn’t been fair enough and courageous enough to find out through it’s own fact finding missions to report on positive and democratic changes in Iraq since the toppling of the old regime. In today’s Iraq we have the freedom of speech, the freedom of expression of political views and opinions, the freedom of Assembly, the freedom of demonstrations, the freedom of creating political opposition which they did not exist during Saddam’s regime. The salaries of the Iraqis are dramatically increased, there is the free economic market in which almost everything is available in shops and supermarkets, the restriction of preventing Iraqis from travelling has been lifted, Iraqis today are able to travel within Iraq outside Iraq and coming back to Iraq whenever they like. Currently in Iraq there are hundreds of newspapers and unrestricted free satellite channels representing all segments of the society as well as the open market in which the business opportunity for all Iraqis is granted without discrimination. Many projects have been implemented in Iraq in particular in its safe parts. Several reconstruction plans are part of our Government’s plan which will benefit all Iraqis but implementing these plans and projects is very slow due to the counter efforts of the evil forces of darkness, this is why emphasize on the issue of security which is essential and priority. In Iraqi Kurdistan region the regional Government is positively reshaping the one ignored important part of Iraq by the old regime, and the regional Government of Kurdistan is implementing the rebuilding and reconstruction of the region which benefits all the people in Kurdistan who and are living in peace and harmony, practising their constitutional rights freely without the fear of being persecuted or arrested for expressing or demanding their rights within the framework of the rule of the law. I sincerely hope that this positive experience in Iraqi Kurdistan will be expanded to all parts of Iraq eventually."
After the meeting of May 28, on July 24 there was in Baghdad the one between the ambassadors of Iran and USA. What constribution can a stable Iraq give to the Middle East?
"Iran is a very important neighbour with great cultural, social and religious ties with the majority of the Iraqi society, therefore I believe that the relations with our neighbour, the Islamic Republic of Iran, should be as normal and stable as possible, based on mutual respect and non interference policies in the internal affairs of each other. I also believe that Iraq and Iran should be engaged in close economic tie which will be on mutual benefits to both States and its peoples. I certainly believe that the normal relations between the United States of America and the Islamic Republic of Iran will have a positive impact on the political, social and economic aspects in Iraq and an effective and positive outcome will be achieved not only to the Iraqi and Iranian peoples but to the whole region as well as to the United States of America’s interests. The former Iraqi regime tried hard to destroy the normal relations with Iran as a country and the historic ties with the Iranian people. As a matter of fact the former regime of Saddam Hussein left Iraq isolated and normal relations with Iraq’s neighbours did not exist during its time. I also sincerely believe that a stable and peaceful Iraq with fraternal relations with all its neighbours will be beneficial to the stability and the peaceful coexistence among all the countries in Middle East and it will help further the peace process in Middle East in particular between Arab, Islamic States and the State of Israel. "

Semi in una terra ferita. Intervista all'ambasciatore della Repubblica d'Iraq presso la Santa Sede

Fonte: SIR

Da tempo si registrano, da parte di terroristi e integralisti islamici, vere e proprie persecuzioni ai danni della minoranza cristiana irachena costretta a lasciare città come Baghdad e Mosul per trovare rifugio nel Nord del Paese o all'estero. Le notizie di rapimenti, anche di sacerdoti, tasse sulla protezione, conversioni forzate e uccisioni preoccupano sempre più la Chiesa caldea che si trova a dover fronteggiare questa "emergenza persecuzione" come continui sono gli appelli alla pace, alla riconciliazione, al rispetto dei diritti di Benedetto XVI. Sulla persecuzione dei cristiani in Iraq, e non solo, il SIR ha posto alcune domande all'ambasciatore della Repubblica d'Iraq presso la Santa Sede, il cristiano Albert Edward Ismail Yelda, una laurea in letteratura antica e una specializzazione in diritti umani internazionali. Dal 1987 al 2003 si è dedicato alla consulenza legale e a progetti di assistenza per immigrati iracheni a Londra.
In che modo le Istituzioni possono proteggere la minoranza cristiana?
"Personalmente faccio parte di questa antica e fragile comunità e, in veste di ambasciatore dell'Iraq, condanno profondamente tutte le atrocità commesse contro i cristiani dell'Iraq e contro altre venerabili minoranze, atrocità che hanno assunto varie forme, pulizie etniche, minacce, persecuzioni e uccisioni da parte di gruppi radicali ed estremisti collegati e aiutati dai sostenitori del vecchio regime. Con queste azioni compiute nel nome dell'Islam - e l'Islam come religione è ben distante da queste - cercano di creare il caos per minare l'operato e gli sforzi del nuovo governo nella lotta al terrorismo, all'estremismo e al radicalismo religioso e contro la violenza religiosa settaria, per creare un ambiente sano che permetta di coinvolgere tutti i partiti politici iracheni in un dialogo reale e sincero oltre che in un'effettiva riconciliazione nazionale tra tutti gli strati della società irachena che crede in un nuovo Iraq pacifico, stabile, multiculturale, multinazionale, multireligioso, democratico e federale. Ciò significa che nel nuovo Iraq non dovrebbe esserci posto per cittadini di prima, di seconda o di terza classe. Ci rendiamo conto che esistono molti elementi provenienti dai Paesi di confine che sostengono le atrocità commesse contro il nostro popolo dagli estremisti e dai resti del vecchio regime, che stanno rendendo la vita di tutti gli iracheni infelice e che vogliono far fallire la giovane democrazia irachena e sostituirla nuovamente con un'altra tirannia e dittatura, costringendo il popolo iracheno a subire ancora persecuzioni, soppressioni e oppressioni quotidiane per almeno altri 35 anni. Il nostro governo di unità nazionale è al potere da soltanto un anno e ha bisogno di tutto il sostegno della comunità internazionale per costruire una nazione unita e non settaria che garantisca la sicurezza di tutti gli iracheni, rendendo l'Iraq stabile e pacifico. Sono ben cosciente del fatto che il governo sta cercando di fare il possibile per aiutare, assistere e sostenere tutti i cittadini iracheni e in particolare i cittadini venerabili, come i cristiani d'Iraq. So che i leader religiosi cristiani in Iraq e i politici cristiani dell'Iraq, rappresentati nel governo centrale e in quello regionale del Kurdistan, stanno cercando di mettere in evidenza la situazione attuale e i tragici eventi che i cristiani, come del resto, la maggioranza degli iracheni, stanno subendo".
C'è spazio per i cristiani nel nuovo Iraq e che ruolo hanno nella ricostruzione del Paese?
"I cristiani d'Iraq sono i semi della terra di Mesopotamia, l'attuale Iraq, e non credo che esista una forza su questa terra che possa sradicare tali semi dalla loro terra avita. Oggi i cristiani d'Iraq sono attivamente impegnati negli aspetti politici, sociali, culturali ed economici del nuovo Iraq. Essi sono rappresentati in Parlamento, nel governo centrale, nel Parlamento regionale e nel governo del Kurdistan oltre che in tutte le missioni diplomatiche, e pertanto i cristiani d'Iraq hanno attualmente risorse decisionali benché a livello ridotto. Posso garantire che i cristiani d'Iraq rivestono e rivestiranno un ruolo positivo e importante nello sforzo di costruzione di uno Stato iracheno pacifico, secolare, pluralista, democratico e federale. I cristiani d'Iraq hanno sofferto enormemente durante il periodo dell'ex regime, e specialmente a causa delle politiche scioviniste di arabizzazione attuate dall'ideologia del partito socialista del Baath Arab. Gli assiri e i caldei si sono opposti a tali politiche e hanno preso le parti delle forze nazional-democratiche dell'Iraq, inclusi i movimenti islamici, curdi, i comunisti, progressisti e i membri del Baath che si opponevano al regime di Saddam Hussein, che si basava su esecuzioni di massa e persecuzioni, per insediare l'alternativa democratica, in cui tutti gli iracheni, indipendentemente dalla loro religione, cultura, etnia o nazionalità, fossero rispettati nei loro diritti".

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C'è rischio che si crei un'enclave cristiana nella piana di Ninive a nord del Paese?
"Per quanto riguarda un'enclave sicura per i cristiani nel nord del Paese e in particolare nella pianura di Ninive, credo che la questione sia stata esagerata dai mass media e da alcuni politici mossi da interessi personali e in qualche caso fraintesa. Purtroppo le tragiche conseguenze dell'espulsione dei cristiani iracheni dalle loro case, i crimini commessi contro di loro e le autorità religiose, il bombardamento delle chiese a Baghdad e a Mosul da parte di estremisti, hanno costretto le autorità religiose cristiane d'Iraq e i politici cristiani del Paese a cercare la via migliore per proteggere la comunità cristiana, inclusa la discussione se esercitare i propri diritti costituzionali applicando l'articolo 125 della nuova Costituzione irachena per avere diritti amministrativi nelle zone dell'Iraq in cui essi costituiscono la maggioranza. Non esiste un piano per una zona separata per i cristiani; non è questo ciò che vuole la maggior parte dei cristiani in Iraq. I cristiani (assiri, caldei, compresi i siriaci e gli armeni) sono sparsi in tutto l'Iraq e hanno vissuto fianco a fianco con i musulmani (sciiti e sunniti), gli arabi, i curdi e i turcomanni oltre ad altri gruppi e minoranze religiose e hanno condiviso con loro il bene e il male, la felicità e la tristezza, periodi ed eventi tragici e piacevoli. Spero che riescano a continuare questa convivenza pacifica, nel mantenimento e nell'esercizio dei propri diritti costituzionali".
Da ambasciatore iracheno presso la Santa Sede ha avuto contatti con rappresentanti vaticani circa la condizione della minoranza cristiana irachena?
"La Santa Sede è molto preoccupata della situazione di tutto il popolo iracheno e segue con particolare interesse la situazione della comunità cristiana, che appartiene in maggioranza alla Chiesa cattolica romana. Già Giovanni Paolo II e ora Benedetto XVI hanno spiegato di avere molto a cuore gli iracheni, indipendentemente dalla loro religione. In molte delle mie udienze speciali con il Papa, Sua Santità ha affermato che, specialmente durante questi tragici eventi in Iraq, egli ha continuato a pregare per la pace, per la stabilità e prosperità di tutti gli iracheni. Fortunatamente, essendo il primo ambasciatore cristiano della Repubblica irachena presso la Santa Sede, non ho mai perso occasione di dare rilievo alla situazione di tutti gli iracheni e ho parlato con gli alti funzionari vaticani della situazione attuale e della strada da perseguire per un processo politico che riesca ad alleviare le sofferenze del nostro popolo. Ho anche messo in evidenza la situazione degli iracheni ai rappresentanti della Lega Araba, alle missioni diplomatiche islamiche e non islamiche, compresi gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede e ai mass media, per poter aiutare il giovane governo iracheno negli sforzi per un vero dialogo e una riconciliazione nazionale, per la pace duratura".
È d'accordo nel dire, come diversi analisti, che la priorità per l'Iraq attuale è la sicurezza? O individua anche altre urgenze?
"Credo che la sicurezza sia in questo momento la questione più importante ed essenziale. Per avere un Iraq sicuro, dobbiamo avere una forza di sicurezza affidabile e potente, che garantisca la protezione dei confini, impedendo ai terroristi di entrare in Iraq e uccidere civili innocenti e creare scompiglio terrorizzando gli iracheni per ostacolare gli sforzi governativi di ricostruzione. È essenziale che la comunità internazionale fornisca aiuti più concreti al governo iracheno oltre ad attrezzare bene le nostre forze di sicurezza con i mezzi più recenti e potenti per impedire agli elementi oscuri, compresi i terroristi, di mettere in pratica i loro piani malvagi e distruggere la vita del popolo iracheno. Abbiamo bisogno di una migliore condivisione delle informazioni dei servizi segreti col nostro governo e con le agenzie di intelligence dei Paesi confinanti, per coordinare tutti gli sforzi e infliggere un duro colpo ai nemici del popolo iracheno e del Medio Oriente. Sono convinto che le forze multinazionali in Iraq, comprese le unità statunitensi, debbano coordinare le proprie operazioni, non importa se politiche o militari, con il nostro governo e che, prima di qualsiasi azione, il nostro governo dovrebbe essere accuratamente informato; sarebbero necessari accordi preliminari con il nostro governo e con la leadership politica in Iraq".
Nei media l'Iraq fa notizia per le violenze e attentati. Ma c'è, a suo avviso, qualcosa che i giornali non dicono e che merita di essere conosciuto?
"Purtroppo i mass media hanno concentrato i propri sforzi nel dare notizia degli aspetti negativi di ciò che accade all'interno dell'Iraq. Hanno sempre dato spazio alla campagna propagandistica dei perversi gruppi terroristici e criminali, che stanno cercando di destabilizzare gli sforzi del governo per la riconciliazione nazionale. I mass media non sono stati abbastanza onesti e coraggiosi nell'indagare i fatti con missioni conoscitive, nel riferire dei cambiamenti positivi e democratici che si sono verificati in Iraq dopo la caduta del vecchio regime. Nell'Iraq di oggi, abbiamo la libertà di parola, di opinione, di assemblea, di manifestare, di creare opposizione politica, tutti diritti che non esistevano nel regime di Saddam. I salari degli iracheni sono enormemente aumentati, esiste un mercato economico libero in cui quasi tutto è disponibile nei negozi e nei supermercati; sono stati eliminati gli ostacoli che impedivano agli iracheni di viaggiare, oggi gli iracheni possono viaggiare all'interno dell'Iraq, fuori dall'Iraq e tornare in Iraq quando vogliono. Attualmente, in Iraq, ci sono centinaia di quotidiani e canali satellitari liberi e senza limitazioni, che rappresentano tutti gli strati della società, oltre a un mercato aperto, in cui a tutti gli iracheni sono concesse opportunità di affari senza discriminazioni. In Iraq sono stati attuati molti progetti, in particolare nelle zone sicure del Paese. I programmi del governo prevedono vari progetti di ricostruzione che porteranno vantaggi a tutti gli iracheni, ma l'attuazione di questi progetti e di questi programmi è notevolmente rallentata dagli sforzi compiuti in senso opposto dalle forze malvagie dell'oscurità; ecco perché è necessario mettere in evidenza la questione della sicurezza, che è prioritaria. Nella regione del Kurdistan iracheno, il governo regionale sta rimodellando positivamente la parte importante dell'Iraq, ignorata dal vecchio regime e sta attuando la ricostruzione della regione a vantaggio di tutta la popolazione che vive in pace e armonia, esercitando i propri diritti costituzionali, senza il timore di persecuzioni o arresti per avere espresso o rivendicato i propri diritti nell'ambito della legge. Spero che questa esperienza positiva del Kurdistan iracheno sia un giorno estesa a tutte le zone dell'Iraq".
Dopo il colloquio del 28 maggio, il 24 luglio si sono incontrati gli ambasciatori di Iran e Usa a Baghdad. Quale contributo può dare un Iraq stabile al Medio Oriente?
"L'Iran è un vicino molto importante, con forti legami culturali, sociali e religiosi con la maggior parte della società irachena, per cui ritengo che le relazioni con il nostro vicino, la Repubblica Islamica dell'Iran, debbano essere il più normali e stabili possibili, basate su politiche di reciproco rispetto e di non interferenza negli affari interni. Credo inoltre che l'Iraq e l'Iran debbano stabilire legami economici, che andrebbero a beneficio dei due Stati e delle loro popolazioni. Sono sicuro che rapporti normali tra gli Usa e Repubblica Islamica dell'Iran avranno ripercussioni positive sugli aspetti politici, sociali ed economici dell'Iraq, e si raggiungerà un esito valido e positivo non soltanto per le popolazioni irachene e iraniane ma per tutta la regione, oltre che nell'interesse degli Usa. Il vecchio regime iracheno ha cercato con tutte le sue forze di distruggere i rapporti con l'Iran e i legami storici con il popolo iraniano. Saddam Hussein ha lasciato l'Iraq isolato, e in quel periodo non esistevano relazioni normali tra l'Iraq e i Paesi vicini. Un Iraq stabile e pacifico gioverà alla stabilità e alla pacifica convivenza di tutti i Paesi del Medio Oriente e contribuirà a promuovere il processo di pace, specialmente tra gli Stati arabi, gli islamici e lo Stato di Israele".

24 luglio 2007

Kirkuk, giovani cristiani in aiuto ai rifugiati nel nord

Fonte: SIR


In mezzo ai cristiani di Baghdad e Mosul, rifugiatisi nei lontani villaggi della diocesi di Zahko nel Nord dell'Iraq, per portare loro aiuto e solidarietà. È l’iniziativa di 50 giovani (26 ragazzi e 24 ragazze) della diocesi di Kirkuk, che, nonostante i pericoli legati alla mancanza di sicurezza, si sono recati nei villaggi di Veshgabour, di Dayrabun e di Karawella, dove per una settimana hanno animato preghiera e attività sociali per i rifugiati cristiani in fuga da Baghdad e Mosul per le persecuzioni. A riferire la notizia al SIR è don Janan Shamil dalla diocesi di Kirkuk che parla di “una esperienza di speranza nel buio iracheno. I giovani – spiega - fanno parte del gruppo diocesano Emmaus, fondato circa due anni fa, che propone preghiera, meditazione, lavoro e solidarietà”. “Un conto è parlarne, altro è vedere di persona le sofferenze che molti nostri fratelli patiscono nell’Iraq di oggi – dichiara al SIR M.M. giovane studentessa di Kirkuk -Trovarsi a contatto con gente che viveva in grandi città mentre ora si trova in piccoli villaggi dopo essere stata costretta a lasciare lavoro, casa ed averi, è un'occasione per meditare per sperare in un futuro migliore. Insieme abbiamo pregato per una rapida fine dalla violenza e per la pace”.

Kirkuk, young Christians helping refugees in the north

Source: SIR
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In the middle of the Christians in Baghdad and Mosul, taking refuge in the faraway villages of the diocese of Zahko, in the North of Iraq, to bring them help and solidarity. It is the initiative of 50 young people (26 boys and 24 girls) from the diocese of Kirkuk. In spite of the dangers linked with lack of security, they went to the villages of Veshgabour, Dayrabun and Karawella. There, for one week, they revived prayer and social activities for the Christian refugees escaping from Baghdad and Mosul, owing to persecutions. The piece of news was communicated to SIR by Father Janan Shamil, from the diocese of Kirkuk. He talked about “an experience of hope in the Iraqi darkness. The young – he said - are part of the Emmaus diocesan group, established about two years ago, which proposes prayer, meditation, work and solidarity”. “One thing is talking about that, another thing is personally seeing the suffering which lots of our brothers have to withstand in today’s Iraq – declared M.M. to SIR, a young female student from Kirkuk. - Finding oneself in touch with people who lived in big cities but are now living in small villages, after being forced to leave their work, houses and belongings, is an opportunity to meditate, and to hope for a better world. Together, we prayed for a quick end of violence and for peace”.

"Gli sfollati cristiani e musulmani sono ugualmente poveri" Padre Rayan P. Atto, Ankawa

By Baghdadhope

Immaginate Napoli. Immaginate tutti i suoi 1.004.500 abitanti.* Ora immaginatela quasi completamente vuota. I negozi chiusi. Le strade silenziose. Le finestre serrate.
Ora immaginate che solo 33.115 persone la abitino ancora.
Ed adesso chiedetevi che fine hanno fatto le altre 1.037.615 che non vi vivono più.
Impressionante? Questi numeri, rapportati ad una fantasiosa realtà italiana, in Iraq sono quitidianità, anche se non riguardano una sola città.
1.037.615 è il numero di iracheni che la Mezza Luna Rossa ha definito, in un rapporto del 5 luglio scorso, IDPs, (Internally Displaced Persons) persone cioè che hanno dovuto abbandonare le proprie case per fuggire altrove ma senza varcare confini nazionali. Un fenomeno che, sebbene già esistente, è peggiorato, secondo il rapporto citato dall’agenzia IRIN, a partire dal 22 febbraio 2006, il giorno della distruzione della moschea sciita di Samarra che ha innescato la lotta senza quartiere tra sciiti e sunniti, e che procede al ritmo di 80/100.000 sfollati in più al mese.
A queste persone la Mezza Luna Rossa, secondo l’IRIN l’unica agenzia umanitaria operante in Iraq, cerca di dare un aiuto.
Tra quegli sfollati molti sono gli iracheni cristiani, specialmente di Baghdad, che sono fuggiti nel nord alla ricerca della salvezza che per ora il territorio controllato dal Governo Regionale Curdo sta dando loro, e che si sono rivolti alle chiese per avere un sostegno per ricominciare una nuova vita partendo molte volte dal nulla.
Alcuni di questi iracheni cristiani hanno ricevuto in questi giorni aiuto proprio dalla Mezza Luna Rossa che ha distribuito generi alimentari e di prima necessità attraverso la chiesa caldea di Mar Qardagh, ad Ankawa.
A raccontarlo è il parroco della chiesa, Padre Rayan P. Atto, che da mesi, insieme agli altri sacerdoti e vescovi, affronta quotidianamente la difficoltà di aiutare queste persone, queste famiglie senza più radici, per le quali ogni aiuto è necessario.
“Distribuire aiuti alla popolazione attraverso una chiesa non è il sistema usuale per la Mezza Luna Rossa” aggiunge il sacerdote “ma qui niente è usuale, e gli sfollati cristiani e musulmani sono ugualmente poveri.”
Così, nell’Iraq dilaniato dalle lotte tra fazioni, qualcosa unisce: l’amara sorte di chi, forse, neanche sapeva cosa fosse un IDP finchè non lo ha provato sulla propria pelle.

23 luglio 2007

Ancora ordinazioni in Iraq. La chiesa non vuole morire!

By Baghdadhopeabcda

"Le nuove ordinazioni sono un segno di speranza per gli iracheni cristiani."
Questo il commento di Monsignor Philip Najim, Procuratore Caldeo presso la Santa Sede, alla celebrazione svoltasi sabato 21 luglio presso la Cattedrale di San Giuseppe a Baghdad dove sono stati ordinati un sacerdote, Padre Rimon Hamid Sarkis, ed un diacono, Yousif Khalid Yousif.

Chiesa di San Giuseppe

"A Baghdad era un inferno, ma il Patriarca, Mar Emmauel III Delly, non ha voluto annullare o posporre la cerimonia e l'ha presieduta insieme a Monsignor Jacques Isaac, Monsignor Shleimun Warduni e Padre Fadi Lion, proprio per dimostrare la forza e la determinazione della chiesa caldea a rimanere parte del tessuto sociale iracheno cui appartiene."
Una forza della chiesa irachena dimostrata anche dalla quasi contemporanea ordinazione di due sacerdoti siro cattolici nella cittadina settentrionale di Bakhdeeda. Padre Ammar Abd Allah Al Qas Mousa e Padre Tihal Sabeh Al Qas Mousa sono stati ordinati nella chiesa della Vergine alla presenza di Monsignor George Qas Mousa, vescovo siro cattolico di Mosul che ha guidato la cerimonia, e di Monsignor Saliba Chamoun, vescovo siro ortodosso della stessa città.

New ordinations in Iraq. Church doesn't want to die!
Chiesa della Vergine

"The new ordinations are a sign of hope for Iraqi Christians." In this way Mgr. Philip Najim, Proxy of the Chaldean Church to the Holy See, commented on the ceremony of Saturday July 21 in Saint Joseph Cathedral in Baghdad were a new priest, Father Rimon Hamid Sarkis, and a new diacon, Yousif Khalid Yousif, were ordained.
"Baghdad was a hell but our Patriarch, Mar Emmauel III Delly, didn't cancel or postpone the ceremony that he chaired together with Mgr. Jacques Isaac, Mgr. Shleimun Warduni and Father Fadi Lion, just to show the strenght and the determination of the chaldean church to be part of the Iraqi social tissue it belongs to."
The strenght of the Iraqi Church showed also by the almost contemporary ordination of two syriac catholic priests in the northern village of Bakhdeeda. Father Ammar Abd Allah Al Qas Mousa and Father Tihal Sabeh Al Qas Mousa were ordained in the Church of the Vergin by Mgr. George Qas Mousa, Bishop of Mosul, at the presence of Mgr. Saliba Chamoun, syriac orthodox bishop of the same city.

19 luglio 2007

On line il nuovo portale della Città del Vaticano

Fonte: ZENIT

Da questo mercoledí è possibile visitare via Internet la Città del Vaticano, il piccolissimo Stato che accoglie la Santa Sede, con i suoi musei, giardini e negozi.Un comunicato congiunto del Governatorato dello Stato vaticano e di Telecom Italia ha annunciato la creazione di un sito istituzionale, raggiungibile all’indirizzo
http://www.vaticanstate.va/, che va ad affiancarsi all’altro canale telematico ufficiale della Santa Sede, http://www.vatican.va/. Dietro il portale - si legge nella nota informativa - c’è “la sempre più numerosa presenza di pellegrini e turisti in Vaticano e la continua richiesta di informazioni che, attraverso i canali tradizionali, perviene giornalmente agli Uffici dello Stato”. Realizzato in cinque lingue - italiano, inglese, francese, spagnolo, tedesco - alle quali prossimamente si aggiungerà il portoghese, il portale presenta attraverso le sue cinque sezioni (Stato e Governo, Servizi, altre Istituzioni, Monumenti, Shop) gli organi dello Stato, gli orari dei servizi di pubblica utilità e un percorso di testi e video.Tante le curiosità come la webcam in tempo reale su alcuni luoghi vaticani, inclusa la tomba di Giovanni Paolo II, o una fotogallery delle automobili del Papa.“In un prossimo futuro”, preannuncia il comunicato, il sito offrirà anche “la possibilità di acquistare i prodotti numismatici e filatelici e gli articoli realizzati dall'Ufficio vendita pubblicazioni e riproduzioni dei Musei Vaticani”. E all’orizzonte, si profilano opportunità di accesso vocale per i diversamente abili o la fruizione in streaming delle audioteche e videoteche vaticane.

Vatican City State Goes Online


17 luglio 2007

Nuova nomina per la Nunziatura Apostolica di Iraq e Giordania

Fonti: Canadian Catholic News in Catholic.org


di Deborah Gyapong

La Nunziatura Apostolica di Iraq e Giordania, guidata dal 2006 da Monsignor Francis Assisi Chullikat, avrà presto un altro effettivo: Monsignor Michael Crotty.
Sacerdote irlandese a servizio della Santa Sede, Mons. Crotty ha lavorato prima in Kenya e successivamente come primo segretario dell’Arcivescovo Luigi Ventura, Nunzio Apostolico in Canada, paese che Monsignor Crotty lascerà per recarsi prima in Giordania e poi in Iraq. In un’intervista rilasciata lo scorso 9 luglio alla Catholic Near East Welfare Association (CNEWA) del Canada, Monsignor Crotty ha dichiarato di sentirsi stimolato dalla nomina che “non si aspettava.” Una nomina che lo porterà a diretto contatto con la tragedia della comunità irachena cristiana da lui stesso definita un “disastro umanitario.”
I legami di Monsignor Crotty con l’Iraq risalgono a quando, alla fine degli anni 90, egli studiava presso la Pontificia Accademia Ecclesiastica di Roma, l’istituzione che prepara i futuri diplomatici vaticani destinati alle Nunziature Apostoliche o alla Segreteria di Stato. Come Irlandese, infatti, proprio in quegli anni conobbe Padre Ragheed Aziz Kanni, il sacerdote caldeo brutalmente assassinato con tre suddiaconi a Mosul il 3 giugno scorso che allora studiava presso il Collegio Irlandese della capitale e che “ha offerto un grande esempio di eroismo con il suo modo di vivere il sacerdozio.”
Proprio la tragica morte di Padre Kanni, simbolo della drammatica situazione della comunità irachena cristiana, sarà il pensiero guida di Monsignor Crotty nel suo lavoro a Baghdad che dovrà “sostenere gli iracheni cristiani con fraterna solidarietà.”
Una solidarietà che, ricorda Monsignor Crotty, è stata espressa anche dal Papa quando ha dichiarato che “la Santa Sede impiegherà tutti i suoi mezzi e risorse” a tal fine.
La stessa presenza della sede diplomatica vaticana in Iraq è “un segno tangibile della preoccupazione del Pontefice, il legame fisico del ministero di Pietro con le chiese locali.”
D’altra parte, è sempre Monsignor Crotty a ricordarlo, durante la guerra del 2003 fu proprio la Nunziatura Apostolica di Baghdad, allora guidata da Monsignor Fernando Filoni, l’unica sede diplomatica a rimanere aperta persino nei momenti più pericolosi. Una tradizione che non si interromperà e che, anzi, con questa nomina, si rafforzerà per il bene della comunità irachena cristiana.

16 luglio 2007

Attacco terroristico a Kirkuk, è la guerra per il petrolio e "per i cristiani non ci sarà più posto"

Fonte SIRabcd

100 morti e 125 feriti. E’ questo il bilancio, ancora provvisorio, dell’attentato terroristico che oggi ha seminato morte a Kirkuk, nel quartiere curdo, non distante dal cimitero cattolico. A riferirlo al Sir sono fonti locali che per motivi di sicurezza preferiscono mantenere l’anonimato. Le stesse fonti “indicano come autori dell’attacco persone venute da fuori città appositamente inviate per creare disturbo e destabilizzare Kirkuk”. Intorno a questa località, situata a oltre 250 chilometri a nord di Baghdad e principale centro petrolifero iracheno, si concentra l’attenzione di curdi, arabi e turcomanni. Tutti, infatti, ne rivendicano il possesso. A Kirkuk sono in programma per il prossimo dicembre votazioni per un referendum sull'eventuale autonomia amministrativa, e l'eventuale annessione al Curdistan. L’attentato di oggi giunge quando il premier iracheno Al Maliki si è detto pronto a sostituire le truppe Usa in caso di ritiro. Su questa possibilità le fonti interpellate dal Sir non hanno dubbi: “sarà la divisione dell’Iraq, Sud sciita, Centro sunnita e Nord curdo. Per i cristiani non ci sarà più posto” l’amaro commento.


TERRORIST ATTACK IN KIRKUK, IT’S THE OIL WAR AND “FOR CHRISTIANS THERE WILL BE NO PLACE ANY MORE"
100 people dead and 125 wounded. This is the still provisional balance of the terrorist attack that sowed death today in Kirkuk, in the Kurdish district, not far from the Catholic cemetery. It was reported to SIR by local sources that for security reasons prefer to remain anonymous. The same sources “suggest that the authors of the attack are people from out of town, specially sent to create trouble and destabilise Kirkuk”. The attention of Kurds, Arabs and Turkmen is actually focussed on this place, which is over 250 kilometres north of Baghdad and Iraq’s main oil centre. All of them claim possession of this place. A poll for a referendum for its administrative independence and annexation to Kurdistan is due to be held in Kirkul next December. Today’s terrorist attack occurred just when the Iraqi Prime Minister Al Maliki said he was willing to replace the US troops if they withdraw. As to this possibility, the sources contacted by SIR have no doubts: “it will mean the division of Iraq, a Shiite South, a Sunni Centre and a Kurdish North. There will be no place any more for Christians" it’s their bitter comment.

15 luglio 2007

Rapimenti. uccisioni, ma anche nuovi sacerdoti e Prime Comunioni: la chiesa in Iraq vive nonostante le difficoltà

Fonti: Ankawa.com
aaaaa Asia News

By Baghdadhope

Giovedì 12 luglio, nella città di Samara, tra Baghdad e Mosul, tre uomini hanno fatto irruzione in una casa abitata da una famiglia cristiana ed hanno ucciso a sangue freddo una donna, Amera Abdelmassih Hermiz, colpendola ripetutamente al busto ed al viso mentre aveva in braccio il suo ultimo figlio, Yousif, di appena due mesi.
Al momento dell’omicidio il marito, Jalal Shaya Marogi Hayawi, era al lavoro, ed in casa c’erano solo gli altri figli della coppia e l’anziano suocero. I funerali sono stati celebrati a Teleskuf, cittadina natale della vittima che lascia sette orfani, la più grande dei quali ha solo 15anni: Nassim (1992), Nasma (1995), Mariam (1999), Wassim (2001), Essam (2002), Ghaidaa (2005), Yousif (2007)
Neanche il pagamento del riscatto (20.000 $) ha salvato la vita di Matti Boulos Markus Moma, rapito il 9 luglio mentre si allontanava dalla sua casa di Bakhdida, ed il cui corpo è stato ritrovato a quattro giorni dal sequestro. La cerimonia funebre è stata celebrata nella Tahira Church a Bakhdida.
Nello stesso villaggio è stato rapito l’11 luglio Lubaid Majeed Sukariya per il quale, secondo la famiglia, è stato chiesto un riscatto di 50.000 $, ed è tornato, dopo esservi stato rapito, Majeed Skeria, liberato dopo il pagamento del riscatto a Mosul dove spesso, si fa notare, vengono rilasciate anche le vittime sequestrate nelle zone vicine.

Venerdì 13 luglio, nella chiesa caldea di Mar Korkis ad Al Qosh, Monsignor Mikha P. Maqdassi ha celebrato l’ordinazione sacerdotale di Padre Salar Solomon. Alla cerimonia ha presenziato anche Monsignor Rabban Al Qas, sacerdoti, suore e molti parenti ed amici di Padre Salar. Nonostante le violenze cui i sacerdoti caldei sono stati paticolarmente esposti a partire dal 2006, e che sono culminate nella barbara uccisione a Mosul di Padre Ragheed Aziz Kanni e di tre suddiaconi, lo scorso 3 giugno, una sola cosa non sembra mancare alla chiesa irachena: le vocazioni.



Quella di Padre Salar, infatti, è la terza ordinazione sacerdotale nel giro di una settimana. Il 6 luglio è stato ordinato a Fishkabour Padre Yusuf Dawood, el il 7, a Karamles, è stata la volta di Padre Ephram Kallyana.
Tre nuovi servi di Dio in una settimana in un paese dove diventarlo, e rimanerlo, è un atto di coraggio e fede che non mancherà di far riflettere coloro che cercano di trovare una spiegazione alla mancanza di vocazioni che preoccupa la chiesa in occidente. Così come non mancherà di far riflettere l’alto numero di bambini e bambine che, nonostante i pericoli di Baghdad, ricevono la Prima Comunione. Dopo i 59 bambini che il 9 luglio, come riportato da Asia News, hanno ricevuto la comunione nella chiesa Siro Cattolica di Nostra Signora della Salvezza, il 12 luglio ha visto uguali cerimonie nelle chiese caldee della Vergine Maria e dell’Ascensione.
La cerimonia nella chiesa della Vergine Maria, in Palestine Street, ha visto come protagonisti 40 tra bambini e bambine che sono stati comunicati dal Patriarca della Chiesa Caldea, Mar Emmanuel III Delly. Alla cerimonia hanno presenziato Monsignor Shleimun Warduni e Padre Medhat Ishaq. Padre Albert Abouna, assistito da Padre Jamil Nissan, ha invece accolto i 44 bambini della chiesa dell’Ascensione nella zona di Almashtal.