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28 febbraio 2025

Nessuna religione è un’isola

Stefano Leszczynski

Nell’anno in cui cade il sessantesimo della dichiarazione Nostra aetate, che diede il via al dialogo tra la Chiesa cattolica e le religioni non-cristiane, assume un significato speciale tornare a interrogarsi sul compito che tutte le religioni hanno in comune nel cercare risposte agli interrogativi dell’uomo.
«Per la Comunità di Sant’Egidio», spiega Marco Impagliazzo, da poco rieletto alla presidenza, «si tratta di un cammino che si inscrive nello “spirito di Assisi” dal 1986 a oggi e che negli ultimi dieci anni coinvolge in particolare il mondo sciita iracheno e le diverse confessioni cristiane locali e che dà tanto spazio al tema della pace».
Il iv incontro internazionale tra cattolici e sciiti, che si è concluso oggi 28 febbraio a Roma, si interroga proprio sulle sfide che le religioni sono chiamate ad affrontare nel mondo contemporaneo. «Questo convegno — ha dichiarato ai media vaticani il cardinale George Jacob Koovakad, prefetto del Dicastero per il dialogo interreligioso — sottolinea l’importanza della pace, tema che è nel cuore del Santo Padre. E in questo momento guardando il mondo sappiamo bene quanto sia importante». Però la pace, ha precisato il porporato, non è solo l’assenza della guerra, è anche un impegno spirituale teso a realizzare la visione comune delle religioni per un futuro di sviluppo da lasciare in eredità alle generazioni più giovani. Un futuro segnato dalla misericordia e dall’attenzione nei confronti di chi è più fragile e di chi soffre di più: i poveri del mondo.
Ad aprire ieri i lavori della sessione inaugurale sono stati gli interventi del fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, e del segretario generale della Fondazione irachena al-Khoei, l’imam Jawad al-Khoei.
Il “cambiamento d’epoca” intervenuto con la fine della Guerra fredda non ha portato quella pace, democrazia e prosperità in cui si sperava. «La globalizzazione — dice Riccardi — ha ingenerato reazioni identitarie: sono comparsi nazionalismi aggressivi, etnicismi, fondamentalismi religiosi, mentre si è praticata, di occasione in occasione, una politica di aggressione militare».
Le stesse comunità religiose in questo contesto sono state, in parte, oggetto di tentativi di strumentalizzazione da parte del mondo della politica. «Proprio l’attuale situazione difficile del mondo contemporaneo», afferma il fondatore della Sant’Egidio, «mostra come ci sia bisogno delle religioni, come la parola delle religioni sia “buon seme” ed educhi milioni di credenti a vivere in pace e secondo giustizia».
Parole che portano al cuore del dialogo in corso tra il mondo cattolico e quello sciita. Un dialogo che trova il proprio pilastro portante nello storico incontro tra il Grand ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani e Papa Francesco, a Najaf, durante il viaggio apostolico in Iraq nel marzo 2021. «Il mondo soffoca senza dialogo: è il motivo per cui questa nostra età può essere definita quella della forza o della violenza», ha aggiunto Riccardi sottolineando che «la scelta del dialogo non coinvolge solo sciiti e cattolici ma riguarda anche il mondo musulmano sunnita, come affermato nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato ad Abu Dhabi nel febbraio 2019 da Francesco e dal Grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb».
A ribadire come i mondi religiosi siano oggi vere riserve di umanità è stato anche l’imam Jawad al-Khoei che ha sottolineato il ruolo fondamentale del dialogo nella lotta all’ignoranza e alla povertà e come fattore di promozione dei diritti umani. «Il dialogo interreligioso non è qualcosa di cui si possa fare a meno», ha detto.
La spiritualità che caratterizza la scuola della città santa di Najaf è incentrata sul rispetto di tutte le autorità religiose e delle loro posizioni e il legame tra il Pontefice e il grande imam Al-Sistani testimonia la volontà e la capacità comune a tutte le religioni di riempire i cuori. “Il rispetto reciproco in cui noi crediamo fortemente è la chiave per garantire i principi di uguaglianza e di dignità della persona umana», ha dichiarato al-Khoei ai media vaticani, ricordando come il consolidato rapporto di amicizia con la Santa Sede e con la Comunità di Sant’Egidio abbiano permesso in questi anni di promuovere i valori comuni in favore della giustizia e della pace. Un particolare pensiero è stato rivolto dal segretario generale della Fondazione al-Khoei a Papa Francesco, per il quale ieri sera è stata organizzata una veglia di preghiera nella basilica di Santa Maria in Trastevere, a cui hanno partecipato in un clima di grande rispetto anche i rappresentanti religiosi sciiti.

Card. Sako: nel segno di Abramo, e del Papa, una chiesa a Ur ‘aperta’ a cristiani e musulmani

26 febbraio 2025

Un edificio che è anche un “messaggio”, un segno di “apertura”, un luogo di “pellegrinaggio internazionale” per gli iracheni e i fedeli di tutto il mondo, cristiani e musulmani, perché Abramo “è il padre comune”. È l’auspicio rivolto ad 
AsiaNews dal patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, anticipando l’imminente inaugurazione della chiesa a Ur dei caldei, a quattro anni dalla visita di papa Francesco. Un’apertura prevista, in origine, il 6 marzo in concomitanza con l’anniversario del viaggio apostolico, ma che “si terrà dopo Pasqua - spiega il porporato -
per far trascorrere il tempo di Ramadan e Quaresima. Anche perché, per la cerimonia, è prevista la partecipazione del primo ministro [Mohammed Shia al-Sudani] e di altre personalità musulmane, per questo abbiamo preferito posticipare dopo il mese di digiuno e preghiera islamico”. 
Il luogo di culto, spiega il card. Sako, intende rappresentare un punto di riferimento e un centro di pellegrinaggio “come la chiesa del Battesimo sul fiume Giordano o la Casa Abramitica negli Emirati Arabi Uniti”. “Oggi - prosegue - abbiamo bisogno di questi segni e di questi luoghi che uniscono tutta l’umanità e rappresentano un punto di incontro per tutte le religioni”. Una chiesa “importante per l’Iraq e per gli iracheni, un ‘segno’ cristiano in una realtà a larga maggioranza musulmana, che aiuterà a capire i cristiani e rispettare la loro fede, guardando ai punti di unione e accettando gli elementi di diversità, per vivere in pace e stabilità”.
A quattro anni dalla visita di papa Francesco - primo viaggio apostolico del pontefice all’estero, quando ancora infuriava la pandemia di Covid-19 - la comunità cattolica irachena è pronta a inaugurare una nuova chiesa a Ur dei caldei, la Ibrahim Al-Khalil Church. Un richiamo ad Abramo (origine della fede di ebrei, cristiani e musulmani) e parte di un complesso più ampio che sorge nella pianura desertica, contraddistinto da una caratteristica forma piramidale. Non solo luogo di culto, ma pure un centro religioso, sociale e culturale legato a doppio filo a Francesco e al suo messaggio sull’appartenenza al profeta delle tre grandi religioni monoteiste. Una spinta ulteriore al dialogo dopo la firma del documento sulla “fratellanza” ad Abu Dhabi nel 2019 con l’imam di al-Azhar per l’islam sunnita e l’incontro, sempre in Iraq, con l’ayatollah Ali al-Sistani massima autorità sciita.
Il luogo di culto vuole essere anche un incoraggiamento per comunità cristiana irachena, decimata nell’ultimo ventennio tanto che, se in passato si contavano almeno 1,5 milioni di fedeli, oggi ne sono rimaste qualche centinaia di migliaia. L’edificio sorge su una superficie di 10mila metri quadri e prevede al suo interno una grande sala di 600 mq e una torre campanaria alta 23 metri. La chiesa non intende solo servire la comunità cristiana, ma si propone al contempo di attirare turisti da tutto il mondo, in particolare i pellegrini cristiani.§
“A distanza di quattro anni dalla visita del papa - racconta il card. Sako - tutti lo ricordano, così come lui stesso, più volte in passato, ha detto che l’Iraq è nel suo cuore”.
Le condizioni di salute del pontefice sono fonte di apprensione non solo per i cristiani, ma per le stesse autorità e molti musulmani. “Due giorni fa - riferisce il porporato - mi ha chiamato il primo ministro chiedendo delle sue condizioni e facendo gli auguri di pronta guarigione. Fra la popolazione egli gode di grande rispetto, con la sua presenza ha saputo cambiare [almeno in parte] la mentalità, rafforzato la convivenza, il senso di fratellanza, la consapevolezza che la fede è una questione personale, mentre l’appartenenza allo Stato rappresenta un bene comune”. Un problema, quest’ultimo, centrale in Iraq “come in generale nei Paesi del Medio oriente: dalla Siria al Libano, dall’Iraq alla Palestina bisogna mettere fine all’ideologia estremista e violenta, alla guerra, morte, distruzione, bisogna ricorrere alla diplomazia morbida”.
Il patriarca caldeo guarda all’esempio di altre nazione arabe, anche fra quelle del Golfo, dove “non vi è più una ideologia religiosa così estremista, la fede è alla base, ma il regime, il sistema di governo deve essere civile. E si deve lavorare - aggiunge - per costruire uno Stato di diritto, di giustizia, uguaglianza, in cui sono assicurati rispetto e sicurezza”. Inoltre, l’Iraq deve valorizzare il proprio patrimonio culturale e archeologico, “il vero oro nero” come suole ripetere, perché “grazie al turismo e ai pellegrinaggi è possibile sostenere l’economia del Paese: un giorno il petrolio finirà, ma le antichità, i tesori, se conservati, resteranno”. Alla valorizzazione del patrimonio, avverte, si deve affiancare l’impegno per la pace perché “i molti fronti di guerra preoccupano e non sappiamo cosa succederà. Anche Siria e Libano sono elementi di incertezza, anche se spero si potrà continuare in questa strada di costruzione politica, nazionale ed economica”.
Tornando alla chiesa a Ur, il patriarca auspica che possa diventare “un segno di apertura” e aiuti “a ragionare e a vedere meglio. Faccio un esempio: due giorni fa ho pubblicato - racconta - un libro sull’islam, come un cristiano guarda alla fede musulmana negli elementi che avvicinano come nei punti di divergenza, la trinità, la divinità di Gesù, un capitolo sulla Vergine Maria. Intendo distribuirlo in questo Ramadan” aggiunge, anche per fornire loro gli strumenti per capire meglio i cristiani che “non sono nazareni, termine che identifica una setta mista di cristiani e giudei. Cerco di aprire il mondo musulmano - afferma - e di aiutarlo a ragionare sull’interpretazione dei libri sacri, come noi abbiamo fatto con l’esegesi del testo”. Infine, il card. Sako ritorna sulle preoccupazioni comuni “per il papa e la sua salute. Molti mi hanno scritto in questi giorni - conclude - anche musulmani, per sottolineare come egli rappresenti un segno di speranza, una luce per l’umanità con la sua lungimiranza, la sua umanità, la sua apertura”.

Visita del Patriarca Mar Awa III alla Comunità di Sant’Egidio di Anversa

25 febbraio 2025

Lunedì 24 febbraio, la Comunità di Sant’Egidio di Anversa ha ricevuto la visita di Mar Awa III, Patriarca della Chiesa assira d’Oriente. Accolto nella sede della Comunità in Kammenstraat, il Patriarca ha visitato la mensa per i poveri Kamiano, il laboratorio d'arte e la casa famiglia per anziani. Durante l’incontro ha anche avuto modo di conoscere alcuni rifugiati siriani e afgani, recentemente arrivati in Belgio attraverso i corridoi umanitari.
Mar Awa III ha un legame di lunga data con Sant’Egidio e partecipa regolarmente agli incontri internazionali di preghiera per la pace nello spirito di Assisi. Nel novembre scorso, in occasione di una visita alla Comunità di Sant’Egidio a Roma, ha donato i frammenti di una croce di pietra proveniente da una chiesa di Mosul, in Iraq, distrutta dall’ISIS nel 2014.
Ad Anversa, il Patriarca ha avuto modo di affrontare con i membri della Comunità temi come l'importanza della preghiera, la solidarietà con i poveri e i rifugiati e l’impegno per la pace.

22 febbraio 2025

Iraq’s Christian heritage being forgotten, says Bishop of Leeds

Francis Martin
Febrauary 20, 2025

Christians in Iraqi Kurdistan are “not just twiddling their thumbs” but “getting on and building things”, the Bishop of Leeds, the Rt Revd Nick Baines, has said.
Bishop Baines was speaking shortly after returning from a six-day visit to the Kurdish Autonomous Region of Iraq (KRI), earlier this month.
Bishop Baines was accompanied by the Bishop of Stockport, the Rt Revd Sam Corley, and the Bishop of Tunsberg, in the Church of Norway, the Rt Revd Jan Otto Myrseth.
The group, which also included the international-affairs adviser for the Church of England, Dr Charles Reed, and the Church of Norway’s head of ecumenical, interfaith, and international affairs, the Revd Einar Tjelle, met politicians and church leaders in the KRI, as well as members of the local Christian community.
Iraqi Christians were sometimes asked why they were in the country, as if they were newcomers, Bishop Baines said. The reality — that there had been Christians in the region for 2000 years — was being forgotten because the education system did not teach Iraqis about the Christian heritage in their land, he said.
The Christian population of Iraq has fallen by about 90 per cent since 2003, from 1.5 million to just 140,000; people had left for a more secure life, Bishop Baines said, after decades of instability.
Emigration was among the subjects that arose in conversations with young Christians at meetings in Ankawa and Duhok.
Education and freedom of religion were discussed with members of the Kurdish Regional Government.
It was important, Bishop Baines said, for foreign delegations not to limit their engagement to taking photos with leaders. He pledged to use his position in the House of Lords to raise issues with the UK Government.
There was a line between supporting and meddling, Bishop Baines suggested: “We’ve meddled in Iraq rather a lot in recent decades, and it hasn’t ended well. They have to do it themselves, but we can be supportive.”
Making a visit in person was vital in being able to offer support, he said. “You have to be there to smell it, to understand it, to listen, and learn.”

Mosul ha ritrovato il suo minareto. Mons. Moussa: nuova cultura, il fanatismo non tornerà

Dario Salvi
19 febbraio 2025

“Un decennio dopo l’incubo terrorista di Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico], Mosul sta riprendendo fiato e tornando al suo ritmo abituale. Sono stati compiuti progressi significativi nell’istruzione, nella sanità e nelle infrastrutture della città”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Michael Najeeb Moussa, domenicano, dal gennaio 2019 arcivescovo caldeo di Mosul, metropoli nel nord dell’Iraq, considerata la “capitale” del califfato islamico durante gli anni del dominio jihadista. “L’università, esemplare nell’insegnamento e nel progresso, ha ottenuto un posto all’Unesco solo pochi anni dopo la liberazione” dall’Isis, prosegue il prelato. E la popolazione “rifiuta lo spirito fanatico e le pratiche terroristiche dei gruppi salafiti. Non vi è possibilità - afferma - che questi gruppi fanatici riemergano, per una nuova collaborazione tra popolazione, servizi di intelligence e il governo per combattere violenza e ideologia settaria”.
Da poco è tornata agli antichi fasti la Grande Moschea di al-Nuri a Mosul, famosa per il minareto pendente di Hadba con i suoi otto secoli, distrutta dai militanti dell’Isis nel 2017 e oggetto di un profondo lavoro di restauro in un quadro più ampio di rinascita della capitale del nord. Dal suo minbar, infatti, il 4 luglio 2014 il leader dello Stato islamico (SI) Abu Bakr al-Baghdadi ha dichiarato la nascita del sedicente “Califfato” che, nel periodo di massima estensione, è arrivato a comprendere metà dei territori di Iraq e Siria.
Tre anni dopo, il gruppo estremista ha demolito il luogo di culto nelle fasi finali della campagna lanciata dall’esercito iracheno, sostenuto dagli Stati Uniti, conclusa con la sconfitta - almeno sul piano militare - dei jihadisti e la loro cacciata dalla seconda città per importanza del Paese. Una vittoria al prezzo di una guerra urbana prolungata e feroce, che ha ridotto in macerie gran parte del patrimonio storico, artistico e culturale della città, già segnata dalle devastazioni degli uomini del “califfo” sotto il suo dominio.
Nel 2018 l’Unesco aveva lanciato il progetto “Revive the Spirit of Mosul”: l’obiettivo era ricostruire la Grande moschea di Al-Nouri, la chiesa di Al-Tahera e il convento di Al-Saa’a, trasformato dall’Isis in prigione. Tre patrimoni dell’umanità simbolo di storia e cultura, distrutti dai miliziani tra il 2014, anno dell’ascesa jihadista, e il 2017 che ha segnato la sconfitta - almeno sul piano militare - degli uomini di al-Baghdadi. Sono trascorsi sette anni e sono stati investiti 111 milioni di euro, ma ora il progetto è giunto al termine e i tesori salvati, anche se molto resta ancora da fare per il rilancio complessivo di quella che era la capitale economica e commerciale del Paese.
“L’Unesco - spiega mons. Moussa - ha selezionato una serie di monumenti di grande importanza simbolica, tra cui due moschee e due chiese, oltre a una serie di case tradizionali tipiche dell’arte di Mosul, demolite da Daesh”. Tra questi, prosegue, “la famosa moschea ‘gobba’ e la chiesa dell’Orologio, oltre alle dimore al Tetunchi, Sulaiman Sayegh e altre”. Analizzando il valore del patrimonio culturale e archeologico dell’Iraq, il vero “oro nero” come lo aveva a suo tempo definito il patriarca caldeo card. Louis Raphael Sako, il prelato ricorda che “non si misura in termini materiali, ma simbolici. Ogni monumento porta con sé una pagina di storia e diventa un linguaggio che racconta il passato di una comunità”.
I monumenti oggetto di ricostruzione sono “elementi unificanti per la città” sottolinea l’arcivescovo caldeo, perché “non è immaginabile Mosul senza la moschea di al-Nuri o la chiesa dell’Orologio dell’imperatrice Eugenia”. “Il patrimonio non conosce confini - avverte - e riflette un luogo e un popolo, non solo una religione. I grandi restauratori di questi monumenti - sottolinea - lavorano con lo stesso impegno per costruire una chiesa, una moschea o un santuario. È meraviglioso lavorare e collaborare insieme”, anche perché “l’arte stessa è sacra, poiché riflette i valori umani e la creatività di ogni comunità”.
Per quanto riguarda la comunità cristiana, la “priorità” è “assicurare il loro ritorno ripristinando le case, trovando posti di lavoro e garantendo l’istruzione attraverso scuole e centri per il catechismo” avverte mons. Moussa. “I cristiani - prosegue - devono essere considerati veri cittadini come gli altri e non minoranze marginali, la legge deve proteggere e preservare i loro siti storici e demografici”. Da ultimo dedica una riflessione su papa Francesco, in questi giorni ricoverato per problemi di salute, che quattro anni fa di questi tempi si apprestava a visitare l’Iraq nel primo viaggio apostolico all’estero in piena pandemia di Covid-19. La visita a Mosul il 7 marzo 2021, afferma il prelato, “è stata una vera e propria festa per tutta la città e i suoi echi risuonano ancora nella memoria della popolazione. Un uomo di pace che deplora la violenza e invita alla fratellanza umana. Grazie a questa storica visita ha focalizzato l’attenzione dei media sulla distruzione dell’uomo e della pietra, per accelerare la ricostruzione della città e della sua cultura. Nella chiesa caldea di San Paolo - conclude - è stato allestito un piccolo museo che ripercorre la visita del papa e a Mosul è stato fondato un centro culturale che porta il nome di Francesco”.

6 febbraio 2025

Tra un mese ad Ur la celebrazione per ricordare la visita del Papa in Iraq. Pronta la chiesa di Abramo.

By Baghdadhope* - Patriarcato caldeo

Secondo quanto riferisce il sito del patriarcato caldeo, nell'imminenza del quarto anniversario dell'arrivo in Iraq per la visita apostolica di Papa Francesco il patriarca della chiesa caldea, Cardinale Mar Louis Raphel Sako, accompagnato dal vicario patriarcale Monsignor Baeel Yaldo, ha visitato la chiesa che sarà dedicata al profeta Abramo ad Ur, proprio dove anche il Santo Padre celebrò la santa messa.
La chiesa che è stata costruita grazie alla generosità di un fedele, il dottor Edward Fatouhi Qatalma, ospiterà un centro per il dialogo tra le diverse fedi che è stato intitolato nel marzo 2024 a Papa Francesco


5 febbraio 2025

Lutto nella chiesa caldea: muore a San Diego il Vescovo Emerito Sarhad Yawsip Jammo

By Baghdadhope* - Patriarcato caldeo

Il sito del patriarcato caldeo riporta la notizia della morte in California, in un ospedale di San Diego, del vescovo emerito della diocesi di San Pietro Apostolo, una delle due diocesi caldee negli Stati Uniti, Monsignor Sarhad Yawsip Jammo, e ne pubblica la biografia:

Monsignor Jammo nacque il 14 marzo del 1941 a Baghdad e lì completò gli studi primari nella chiesa di San Giuseppe per poi entrare nell'istituto patriarcale di Mosul nel 1952 e terminare gli studi medi e secondari. Nel 1958 si trasferì a Roma dove nel 1964 ottenne il Master in Teologia presso la Pontificia Università Urbaniana. Quattro anni dopo con una tesi intitolata "La struttura della messa caldea" ottenne il dottorato preso il Pontificio Istituto Orientale. Nel frattempo, il 19 dicembre del 1964, era stato ordinato sacerdote e tornato da Roma nel 1968 fu nominato parroco della chiesa di San Giovanni Battista nel quartiere di Dora, a Baghdad. Nel 1974 fu nominato direttore del seminario patriarcale e mantenne la carica fino al 1977. 
Arrivato negli Stati Uniti fu nominato vice parroco della chiesa della Madre di Dio a Southfield nel Michigan guidata da Monsignor Korkis Garmo e nel 1980 ne fu nominato parroco. Nel 1983 divenne parroco della chiesa di St. Joseph a Troy, sempre nel Michigan. Nel 1991 fu nominato Vicario episcopale generale della Diocesi di San Tommaso Apostolo, in California e il 21 maggio del 2002 Papa Giovanni Paolo II approvò la sua nomina a vescovo. 
L'ordinazione episcopale avvenne il 18 luglio 2002 nella chiesa di St. Joseph a Troy per mano dell'allora patriarca caldeo, Mar Raphael Bidaweed e con la presenza dell'allora patriarca della chiesa Assira d'Oriente Mar Dinkha IV. L'intronizzazione nella diocesi californiana avvenne invece nella chiesa dedicata a San Pietro a San Diego, California. Guidò la diocesi californiana fino al 14 marzo del 2016 quando raggiunse l'età della pensione e nell'anno precedente fu protagonista di un aspro scontro con il patriarca caldeo, Cardinale Mar Louis Raphael Sako, sul destino di alcuni sacerdoti che avevano lasciato l'Iraq senza un permesso valido nell'ultimo periodo di vita del precedente patriarca Mar Emmanuel III Delly, ed avevano trovato accoglienza presso la diocesi da lui guidata. 
Scontro per il quale si rimanda a:    

Iraq: card. Sako su legge sullo stato delle persone, “scioccante. La modifica penalizza i diritti delle donne”

22 gennaio 2025

Il parlamento e il governo iracheno sono chiamati a “tenere conto della diversità culturale, etnica e religiosa dell’Iraq e a lavorare con la comunità internazionale in conformità con le leggi irachene, con le leggi internazionali e con i diritti umani in modo che la legislazione sia solida, mantenga gli equilibri, rafforzi le relazioni e crei riavvicinamento e soddisfazione tra le diverse componenti”.
È quanto ribadisce il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, che interviene così sulla recentissima approvazione, in parlamento, di tre leggi, tra cui emendamenti alla legge sullo status personale del Paese che, secondo gli oppositori, legalizzerebbero di fatto il matrimonio infantile, anche di bambine di soli nove anni di età. 
Secondo quanto riportato dai media, gli emendamenti conferiscono alle corti islamiche maggiore autorità sulle questioni familiari, tra cui matrimonio, divorzio ed eredità. 
Gli attivisti sostengono che ciò indebolisce la legge irachena sullo status personale del 1959, che ha unificato il diritto di famiglia e stabilito tutele per le donne. La legge irachena attualmente stabilisce i 18 anni come età minima per il matrimonio nella maggior parte dei casi. 
I sostenitori di queste modifiche, auspicate principalmente dai legislatori sciiti conservatori, le difendono come un mezzo per allineare la legge ai principi islamici e ridurre l’influenza occidentale sulla cultura irachena.
Per Mar Sako “uno Stato laico rappresenta l’opzione migliore perché non contrasta con i valori religiosi e non si sostituisce ai chierici. La Costituzione civile – aggiunge il patriarca – equipara tutti i cittadini di diverse religioni e sette. Allo stesso modo, le autorità religiose non dovrebbero imporre la loro legislazione alla società. La religione è al servizio delle persone. Pertanto, lo Stato dovrebbe adottare la legge sullo stato personale in vigore nella maggior parte dei paesi del mondo, compresi i paesi arabi, e lasciare la pratica religiosa agli individui in base alla loro appartenenza religiosa o settaria. La religione appartiene agli individui, non allo Stato”.
Il cardinale non usa mezzi termini: “È scioccante che la modifica della legge sullo status personale torni indietro in questioni relative alle libertà, ai diritti delle donne, ai matrimoni precoci che sono una violazione della sacralità dell’infanzia, al divorzio e alle questioni relative all’eredità, alla custodia dei figli e ai diritti delle minoranze. Questa modifica smantella il tessuto nazionale”.
Da Mar Sako anche critiche al divieto di bevande alcoliche definito “una violazione della libertà personale”. Piuttosto che vietare sarebbe più opportuno limitarne l’uso agli adulti sopra i 21 anni di età, consentirne il consumo all’interno di locali e ristoranti, ma soprattutto “educare alla moderazione nel mangiare e nel bere” anche per non danneggiare la salute. Il patriarca caldeo chiede al parlamento e al governo di impegnarsi per affrontare la corruzione e l’illegalità morale ed etica, per costruire uno Stato di diritto, rispettabile e giusto che si prenda cura di tutti i suoi cittadini, uno Stato che educhi generazioni civili alla convivenza armoniosa. Ultima richiesta da parte di Mar Sako riguarda il sistema delle quote delle minoranze rappresentate in Parlamento: “Il governo e l’Alta Commissione elettorale indipendente dovrebbero limitare il voto per i seggi delle quote cristiane solo alla componente cristiana” evitando così l’interferenza di altri partiti che portano avanti una propria agenda politica che nulla ha a che vedere con quella dei cristiani. “I cristiani devono votare per chi effettivamente li rappresenta”.