Pagine

30 luglio 2023

Chi sono le milizie filo-iraniane che minacciano la convivenza e la pace in Iraq

25 luglio 2023

“Nelle attuali circostanze difficili e complesse dell'Iraq e dei gravi conflitti a cui il mondo sta assistendo, c'è la necessità di incontro, di consenso morale e nazionale e di rifiuto del fanatismo e dell'odio, per salvare il Paese dall'escalation e dal suo trascinamento verso una fine sfavorevole”.
Sono queste le parole della prima dichiarazione rilasciata ieri dal patriarca della Chiesa caldea, l’arcivescovo Raphael Louis Sako, da Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, dove nei giorni scorsi è stato costretto a rifugiarsi abbandonando la sede patriarcale di Baghdad in protesta contro il ritiro del riconoscimento da parte del presidente iracheno Abdul Latif Rashid e le pressioni delle Brigate Babilonia, una milizia cristiana filo-iraniana che mira a impossessarsi dei beni della Chiesa caldea.
Secondo il patriarca è necessario un serio confronto nazionale per ritrovare l’armonia perduta dell’Iraq, realizzabile mettendo “in primo piano l'interesse pubblico, il rispetto dei diritti della popolazione irachena, il raggiungimento della giustizia, della sicurezza e della stabilità, lo sviluppo dei servizi e dell'istruzione, della salute e dell'economia, costruendo quindi un vero Stato e abbandonando gli interessi individuali e di parte, ponendo fine all'esistenza di Stati incompatibili”.
Le parole del patriarca descrivono bene l’attuale contrapposizione tra le forze politiche in Iraq, di cui le principali protagoniste sono le milizie filo-iraniane; non solo sciite, come si tende spesso a dipingerle, ma anche sunnite, cristiane (come le Brigate Babilonia) e yazide. 
Conosciute dal 2014 con il nome di Forze di mobilitazione popolare, nascono da un nucleo originario di sette gruppi armati già esistenti in Iraq ai tempi dell’invasione americana del 2003. Hanno cominciato ad assumere un ruolo di primo piano tra il 2014 e il 2017 quando hanno combattuto contro lo Stato islamico (ISIS), per poi diventare (in teoria) un braccio armato dell'esercito iracheno grazie a una riorganizzazione dell’ex primo ministro Haider al-Abadi.
Di fatto però oggi le milizie sono sempre più frammentate e in lotta per il potere. Le principali milizie finanziate direttamente dall’Iran prendono i nomi di Kataib Hezbollah, Asaib Ahl al-Haqq e Haraka Hezbollah al-Nujaba, parte del gruppo originario, le quali dicono di formare la “resistenza” (in arabo: muqawama) contro gli Stati Uniti e le forze straniere che avrebbero mire sull’Iraq. Altro gruppo che ha avuto un importante ruolo nell’Iraq contemporaneo è l’Organizzazione Badr, nata negli anni ‘80 come braccio armato del Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq a modello di quello che stava nascendo in Iran dopo la rivoluzione khomeinista, e che per decenni ha operato lungo il confine tra i due Paesi. Dopo l’invasione americana il gruppo Badr ha trasferito in Iraq almeno 10mila combattenti e nel tempo la milizia, forte del potere conquistato nel panorama nazionale, si è trasformata in un’organizzazione politica.
Dalla metà del 2019 - e in particolare dopo l’assassinio da parte degli Stati Uniti del generale iraniano Qassem Suleimani e del comandante iracheno delle Brigate Badr, Abu Mahdi al-Muhandis - sono stati registrati almeno 500 attacchi di questi gruppi contro obiettivi statunitensi, turchi (Ankara è il principale avversario dell’Iran per il controllo dei giacimenti di gas e petrolio nel Kurdistan iracheno) o contro attività considerate non-islamiche, soprattutto nei dintorni di Baghdad. Scopo della violenza è aumentare la pressione contro le forze straniere e ottenere consenso tra alcune fasce della popolazione irachena, commentano gli esperti. Si tratta di azioni di violenza che sono state rese più facili a partire dallo fine dello scorso anno, quando i sadristi - i seguaci del chierico sciita Muqtada al-Sadr - si sono ritirati dal governo e i loro seggi sono stati ridistribuiti a candidati vicini alle milizie filo-iraniane.
Tra le milizie sciite, infatti, sono presenti anche sottogruppi che non ricevono finanziamenti da Teheran - come appunto la Saraya al-Salam guidata direttamente da al-Sadr - ma anche gruppi armati sciiti fedeli all’ayatollah Ali al-Sistani, la cui base si trova a Najaf, centro politico dell’Islam sciita in Iraq. Molti di questi gruppi, da marzo 2020 non fanno più parte delle Forze di mobilitazione popolare, ponendosi sotto il controllo diretto delle forze armate iracheno con un fronte di attrito aperto tutto interno al mondo sciita.
Esistono poi anche milizie filo-iraniane sunnite, cristiane, yazide e turcomanne (i turcomanni sono il terzo gruppo etnico più numeroso dell’Iraq dopo arabi e curdi). Alcuni gruppi delle Forze di resistenza del Sinjar sono entrate nelle Forze di mobilitazione popolare come 80ma brigata. Le brigate turcomanne, che dicono di arruolare sia sunniti che sciiti, si sono unite alle altre milizie irachene nel 2014. Mentre la Brigata Salah al-Din, la 51ma, è la principale formazione sunnita dopo aver combattuto al fianco degli sciiti contro i terroristi dello Stato islamico.
Tra le milizie che si dicono cristiane la più nota è la Brigata Babilonia, comandata da Ryan detto “il Caldeo”: anche in questo caso si tratta di un’organizzazione che ha stretti legami con l’Organizzazione Badr e con l’Iran. In passato il gruppo è stato accusato di corruzione e di essersi illegalmente impossessato di proprietà e terreni dei cristiani assiri nella piana di Ninive. A marzo di quest’anno la popolazione locale, con un proprio reggimento di uomini delle Unità di protezione della piana di Ninive, ha respinto la milizia, che, oltre a ricevere finanziamenti diretti da Teheran, è composta anche da musulmani sciiti del sud dell’Iraq. Nella stessa regione, e in particolare nei pressi della città di Bertella, è stanziata anche la Quwat Sahl Ninawa, una milizia composta da uomini locali di etnia shabak, che ritengono di avere origini differenti rispetto agli arabi e dai curdi. Sono loro che controllano la strada tra Mosul ed Erbil.
Secondo gli analisti l’attuale situazione è conseguenza diretta delle successive esclusioni di gruppi etnici e religiosi all’interno del sistema politico iracheno post-2003: "Negli Stati con alti livelli di inclusione etnica, se i rappresentanti di comunità grandi o ricche non riescono ad acquisire una quota adeguata di posizioni ministeriali, si prevedono livelli più elevati di violenza politica", ha spiegato la studiosa Clionadh Raleigh. Da quando infatti il settarismo ha fatto il suo ingresso in Iraq con la Costituzione del 2005, lo scopo (almeno quello dichiarato) delle milizie è di difendere il proprio gruppo da minacce interne (altri gruppi religiosi, etnici o politici) o esterne (le potenze straniere). Nonostante le proteste giovanili del 2019 - e i ripetuti appelli della Chiesa caldea - contro il sistema politico settario, secondo gli esperti le milizie fanno ormai parte a tutti gli effetti dello Stato iracheno. Perché l’unico modo per far sentire la propria voce è diventato quello delle armi dopo i ripetuti fallimenti del processo politico negli ultimi vent’anni.

24 luglio 2023

Iraq: card. Bechara Raï (patriarca maronita Libano), ritiro decreto 147 è “violazione della dignità della Chiesa e dei cristiani iracheni”


 “Siamo addolorati. Si tratta di una violazione della sua dignità e della dignità della Chiesa e dei cristiani in Iraq”. Non usa mezzi termini il patriarca maronita libanese, card. Béchara Boutros Raï, per definire la decisione del presidente iracheno Abdul Latif Rashid di cancellare un decreto, il 147, emanato dal suo predecessore Jalal Talabani, il 10 luglio 2013, che, riconoscendo la nomina pontificia del card. Raphael Louis Sako, a capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo”, di fatto lo rendeva anche “responsabile e custode delle proprietà della Chiesa”.
 “È noto – si legge in una dichiarazione del cardinale libanese, diffusa dal Patriarcato caldeo – che lo Stato ha il dovere di rispettare le norme e le leggi della Chiesa, che arrogano al Papa al diritto di procedere contro patriarchi, cardinali e vescovi, quando ve ne sono le ragioni”.
Da qui la richiesta al presidente iracheno Latif Rashid “di revocare la sua decisione per la sana convivenza nel caro Stato dell’Iraq, del quale i cristiani sono parte integrante e componente storica di grande pregio per la sua cultura e civiltà. La storia dei patriarchi iracheni è la migliore testimonianza della loro lotta per la patria e per la sua dignità. La decisione del presidente della Repubblica dell’Iraq – conclude il patriarca maronita – non serve alla nazione irachena”.
La decisione di Latif Rashid era stata aspramente criticata dal patriarca caldeo, Mar Sako, che ha parlato di “attacco alla minoranza cristiana” e di manovra politica “per mettere le mani sui beni ecclesiastici” da parte di Ryan al-Kildani, meglio noto come Ryan il Caldeo, capo delle Brigate Babilonia, milizie armate filo iraniane nate per combattere l’Isis, di stanza nella Piana di Ninive, e rappresentate in Parlamento da quattro deputati (sui cinque totali concessi alla minoranza cristiana, ndr.).

KDP President Masoud Barzani receives Chaldean Church Patriarch

July 23, 2023 

 Kurdistan Democratic Party (KDP) President Masoud Barzani received Cardinal Louis Raphael Sako, Patriarch of the Chaldean Church in Iraq and worldwide, and his accompanying delegation in Pirmam, Erbil Province, according to Barzani Headquarters.
At the meeting, Cardinal Sako expressed his gratitude for the respect and inclusiveness the Kurdistan Region has shown for religious minorities.
He congratulated KDP President Barzani for promoting coexistence among various communities in the Kurdistan Region with his wisdom and leadership.
Furthermore, the Cardinal referred to the recent decision of the Iraqi president and called it an incorrect and dangerous decision that has hurt the Christian community and is against the principles of coexistence.
After the Iraqi presidency issued a new decree on July 3, replacing Decree No. 147 of 2013 that designated Sako as patriarch, the patriarch decided to withdraw from Baghdad and transfer the patriarchate to Erbil. 
Meanwhile, KDP President Barzani welcomed the Cardinal and reaffirmed that the Kurdistan Region is a land of coexistence between all ethnic and religious communities. He also stated that during the fight against ISIS, he told a delegation of Christian clerics that Kurdistan is their country. Moreover, President Barzani expressed his concern about the Iraqi President's decision and hoped it would be reviewed and corrected. Lastly, the Christian delegation briefed President Barzani on the situation in Nineveh province, Christians' lives and welfare, as well as future dangers.
On Friday, the Cardinal arrived in Erbil from Istanbul and was welcomed by senior Kurdistan Region officials.

23 luglio 2023

Cardinale Sako. Gravissimo atto di accusa: la carica del patriarca dura finché Dio vuole o finché le Brigate Babilonia non lo uccidono.

By Baghdadhope* - Patriarcato caldeo

Il patriarcato caldeo ha messo online il video dell'arrivo all'aeroporto di Erbil, nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, del Patriarca della Chiesa caldea, Cardinale Mar Louis Raphael Sako,  accompagnato dal vicario patriarcale Monsignor Basel Yaldo e dal vescovo recentemente ordinato per la Turchia, Mons. Sabri Anar
Ad accogliere i due prelati oltre che ad una folta delegazione politica curda c'erano il vescovo siro cattolico di Erbil e del Kurdistan, Monsignor Nathaniel Nizar Seeman, quello siro ortodosso di Mosul, Mor Nicodemus Daoud Sharaf e per la chiesa caldea i vescovi di Mosul, Mons. Mikhail N. Moussa OP; quello di Kirkuk, Mons. Thomas Y. Mirkis; quello di Zakho, Mons. Felix S. Dawood e quello di Alqosh, Mons. Thabet Y. Al-Mekko.  
Il primo ministro della regione autonoma del Kurdistan iracheno, Masrour Barzani, in un tweet ripreso dal sito patriarcale, ha dichiarato:
"Accogliamo calorosamente il Patriarca Louis Sako ad Erbil, la capitale della coesistenza pacifica per ogni fede ed etnia.
La regione del Kurdistan e l'alchimia della coesistenza che qui prospera è per noi fonte di orgoglio. 
Condanniamo il trattamento riservato al Patriarca."  
Nella conferenza stampa organizzata subito dopo l'arrivo del Patriarca il ministro degli affari e delle proprietà religiose del governo curdo, Peshtiwan Sadiq, ha affermato come la regione del Kurdistan sia la casa del Patriarca che gli garantisce protezione confermandone il rispetto.
Da parte sua il patriarca caldeo ha sottolineato come l'Iraq si trovi in uno stato di caos e contraddizione.
"Mi dispiace lasciare Baghdad, la città della pace" ha continuato il prelato, ma Baghdad non rispetta i simboli religiosi dato che il presidente della repubblica, su pressione delle milizie babilonesi (le Brigate Babilonia di Rayan Al-Kaldani) insulta il capo supremo della chiesa caldea in Iraq e nel mondo ritirando il decreto (n° 147) ed esiliandolo, terrorizzando di conseguenza la componente cristiana, mentre il governo regionale del Kurdistan lo accoglie con grande senso di ospitalità perché rispetta i riferimenti religiosi e valuta il loro ruolo sia religioso che politico.   
Il Patriarca ha poi riferito dell'invito fattogli dall'ufficio dell'ex primo ministro iracheno Nuri al-Maliki di trasferirsi a Najaf, una delle città sciite nel sud dell'Iraq. Invito declinato vista l'assenza di cristiani nella zona, cristiani invece presenti nella nella regione del Kurdistan e nella Piana di Ninive.
Nella seconda parte della conferenza stampa il patriarca ha ripercorso gli avvenimenti che lo hanno portato ad auto-esiliarsi nella regione autonoma del Kurdistan iracheno. 
Il presidente della repubblica, ha affermato Mar Sako, ha dato ascolto ai 4 deputati cristiani sostenuti dal Movimento Babilonia il cui fine ultimo è appropriarsi delle ricchezze dei cristiani. La revoca del
 decreto n° 147 che sancisce il ruolo del patriarca della chiesa caldea a responsabile dei beni della stessa chiesa è la negazione di una tradizione lunga 14 secoli e il presidente Abdul Latif Rashid, negando l'operato dei suoi predecessori, non rispettando la nomina papale del patriarca a capo supremo della sua chiesa e quella a cardinale che ha valore mondiale ha commesso un errore. Un errore che sarebbe frutto della sua alleanza con le Brigate Babilonia che  hanno teso una trappola al patriarca per incastrarlo. 
"Voglio assicurare i cristiani e gli iracheni" ha continuato Mar Sako, "che non cederò mai a minacce e a falsità. 
Il presidente della repubblica rimane in carica quattro anni mentre il Patriarca rimane tale finche Dio glielo concede o la milizia babilonese non lo uccide."
Dopo questa grave affermazione il patriarca Sako ha affermato che rimarrà nella regione autonoma del Kurdistan iracheno fino a quando il decreto e la successiva riabilitazione del ruolo patriarcale non saranno ripristinati, e fino a quando il Primo Ministro e il Capo delle Forze Armate irachene e le Forze di Mobilitazione popolare (la coalizione di milizie paramilitari a maggioranza sciita che ha combattuto a fianco dell'esercito iracheno contro i miliziani dell'ISIS), non fermeranno gli eccessi delle Brigate Babilonia che hanno operato ed operano sotto il loro ombrello.   
Il sito patriarcale ha anche annunciato che domenica 23 luglio il Patriarca Cardinale Sako celebrerà la Santa Messa ad Ankawa nella chiesa della Madre del Soccorso ed avrà come concelebranti Monsignor Yaldo e Monsignor Sabri.      

18 luglio 2023

Il ritiro in monastero del patriarca della chiesa caldea, il Cardinale Sako, può diventare una leva diplomatica ed un boomerang per il governo


Nella serata di lunedì 17 luglio il patriarcato caldeo ha confermato l'annullamento dell'incontro dei vescovi che avrebbe dovuto tenersi a Baghdad dal 20 al 25 agosto prossimi. 
La decisione fa seguito all'annuncio fatto dal patriarca Cardinale Mar Louis Raphael Sako dell'intenzione di stabilirsi in un monastero "nella regione del Kurdistan in Iraq" invece che nella sede patriarcale di Baghdad di ritorno dalla Turchia dove il 16 luglio ha celebrato l'ordinazione episcopale del nuovo vescovo di Diarbekir (Amida) Monsignor Sabri Anar. 
Il mese di luglio ha segnato una rottura apparentemente insanabile tra il patriarcato caldeo e la presidenza della Repubblica quando il presidente, Abdul Latif Rashid, ha cancellato il decreto n° 147 emanato nel 2013 dall'allora presidente Jalal Talabani che sanciva la fresca nomina (gennaio 2013) dell'ex vescovo di Kirkuk a patriarca della chiesa caldea  e di conseguenza "responsabile dei beni della chiesa." 
Secondo quanto ribadito dal presidente iracheno durante l'incontro con l'incaricato d'affari della Nunziatura Apostolica in Iraq avvenuto ieri "l'abolizione del decreto presidenziale ha come unico scopo il correggere una discrepanza legale e costituzionale" visto che, sempre secondo Abdul Latif Rashid, "dal 2018 i consiglieri legali e costituzionali della presidenza, così come le autorità giudiziarie, hanno stabilito che il presidente della repubblica irachena non ha il potere o l'autorità di emanare decreti che riguardino i capi delle denominazioni" (religiose) oltre che sanare una situazione poco chiara che ha riguardato "numerose richieste fatte da altri capi di altre chiese e comunità religiose di decreti presidenziali similari mancanti di  supporto legale e costituzionale."  
Secondo il patriarcato caldeo questa decisione è stata ispirata da Rayan Al-Kaldani, a capo delle Brigate Babilonia, la milizia cristiana che sotto l'ombrello a stragrande maggioranza sciita delle Forze di Mobilitazione Popolare ha combattuto per la cacciata dei miliziani dell'ISIS dal nord dell'Iraq.
Al-Kaldani 
starebbe tentando di impossessarsi dei beni della chiesa da secoli affidati ai suoi patriarchi forte dell'appoggio politico di un ministro e di 4 sui 5 parlamentari cristiani nel governo appartenenti al Movimento Babilonia, il braccio politico delle brigate omonime, eletti non esclusivamente dalla componente elettorale cristiana e sospettati invece di essere stati "spinti"  da quella sciita che sostiene sia il Movimento che le Brigate. 
Un'accusa che lo stesso patriarca caldeo, Cardinale Mar Louis Raphael Sako, ha circostanziato nella lettera aperta al Presidente della Repubblica in risposta alla cancellazione del decreto n° 147 suggerendo la nomina dello stesso Rayan Al-Kaldani a Custode dei beni della chiesa, di suo fratello Aswan come suo vice, di suo fratello Sarman come tesoriere, dell'altro fratello Usama come responsabile della sicurezza, del ministro dell'immigrazione, la signora Evan Faiek Jabru a segretario generale del Patriarcato ed del cognato di Al Kaldani, Nawfal Baha Musa, a capo dell'ufficio per la gestione dei beni delle comunità cristiane e di altre religioni. 
Tra le molte attestazioni di stima e sostegno che il Cardinale Sako, (ancora in Turchia dove oggi ha celebrato un'ordinazione diaconale) sta ricevendo in questi ultimi giorni (tra esse anche quella del Cardinale Pierbattista Pizzaballa Patriarca latino di Gerusalemme. Qui in italiano) interessante è quella a firma del Corepiscopo Paulus Sati, Amministratore patriarcale caldeo in Egitto che puntualizza come l'incostituzionalità del decreto 147 invocata dalla presidenza irachena come giustificazione del suo annullamento contraddice l'articolo 43 paragrafo primo, comma B della stessa Costituzione secondo il quale "I fedeli di tutte le religioni e sette sono liberi" di "gestire le proprietà e le istituzioni religiose ed i propri affari."
E' ancora presto per dire se il conflitto scatenatosi tra i vertici della chiesa caldea, Rayan Al-Kaldani e la presidenza della repubblica irachena potrà essere combattuto nell'ambito costituzionale o in quello politico. 
Certo è che la prudenza dovrebbe essere la linea guida per un governo che voglia davvero cambiare il corso della storia finora tragica del paese. Un corso che comprende tutte le minoranze che lo compongono. Indebolirne una non può portare a nulla di buono per il governo iracheno, e l'annuncio del Cardinale Sako di preferire il ritiro in un monastero al ritorno nella sede patriarcale di Baghdad può diventare una leva diplomatica potentissima. 
Ad oggi è una scelta. Una scelta che domani potrebbe essere vista come una costrizione subita.
Un boomerang per l'Iraq del futuro.        

17 luglio 2023

The Holy See Embassy in Baghdad Clarified the Statement of the Iraqi Presidency


The Apostolic Nunciature in Iraq regrets the misunderstandings and inappropriate dealings concerning the role of His Beatitude Mar Louis Sako as Custodian of the properties of the Chaldean Church. 
Further to some partial and misleading reporting on this issue, which often disregard him as a highly esteemed religious figure, the Apostolic Nunciature states the following:
Today the President of the Republic, H.E. Latif Rashid, requested to meet with the Charge d’Affaires of the Apostolic Nunciature (Embassy of the Holy See/Vatican) to the Republic of Iraq, Rev. Fr. Charles Lwanga Ssuuna, in the matter of his recent decree concerning H.B. Louis Sako, Patriarch of the Chaldean Church.
During the conversation, Fr. Ssuuna stressed that the administration of the Church properties – as prescribed by the Iraqi Constitution – should continue to be exercised freely by the Heads of Churches also on practical level, that is in front of Iraqi Tribunals and Government offices, whereas the Apostolic Nunciature does not comment on whether this is to be ensured by presidential decrees or in other suitable way.

The President Meets with the Charge D'affaires of the Vatican Embassy, who Confirmed that "The Embassy Does not Have any Observations Regarding the Procedures of the Presidency of the Republic."



On Monday, July 17, 2023, the President of the Republic of Iraq, Abdullatif Jamal Rashid, met with the Chargé d’Affaires of the Vatican Embassy in Iraq, Fr. Charles Lwanga Ssuuna, at Baghdad Palace.
Fr. Charles Lwanga Ssuuna confirmed that "The Holy See does not have any observations or objections regarding the procedures of the Presidency of the Republic."
His Excellency President Rashid reiterated to the Chargé d’Affaires the reasons for the abolition of the Presidential Decree or 147 of 2013.
The President stated that since 2018 the legal and constitutional advisers at the Presidency, as well as state judicial authorities within the country have determined that the President of the Republic of Iraq simply does not have the power or authority to issue Presidential decrees to heads of denominations.
President Rashid highlighted that the repeal of the Presidential Decree, does not in any way diminish the religious or legal status of His Eminence Cardinal Raphael Louis Sako as Chaldean Catholic Patriarch of Babylon by the Holy See.
In his remarks, President Rashid made it clear that the abolition of the Presidential Decree is solely intended to correct a legal and constitutional discrepancy.
Devoid of legal foundations, Decree No. 147 of 2013 also put the Iraqi State and Presidency in a conundrum, as there were numerous additional requests made by the other heads of churches and other religious communities for similar Presidential Decrees lacking any constitutional or legal backing, President Rashid said.
The President reassured Fr. Charles Lwanga Ssuuna that His Eminence and the Chaldean community have nothing but respect by the Presidency of the Republic.

Ordinazione episcopale di Monsignor Sabri Anar, nuovo vescovo di Diarbekir (Amida) dei Caldei

By Baghdadhope* - Patriarcato caldeo

Si è svolta ieri nella cattedrale del Santo Spirito di Istanbul l'ordinazione episcopale di Monsignor Sabri Anar, nuovo arcivescovo di Diarbekir. (Amida) 
Per la chiesa caldea presenti alla cerimonia erano: il patriarca della chiesa caldea, Cardinale Louis Raphael Sako; il vicario patriarcale Mons. Basel Yaldo; il predecessore del nuovo arcivescovo Monsignor Ramzi Garmou; Monsignor Francis Kalabat, vescovo degli Stati Uniti orientali; Monsignor Emanuel Shaleta, vescovo degli Stati Uniti occidentali; Monsignor Meram Thomas, amministratore patriarcale della diocesi di Tehran; Monsignor Mikhael Najib OP, arcivescovo di Mosul; Monsignor Felix Shabi, arcivescovo di Zakho, Monsignor Saad Sirop, visitatore apostolico in Europa; Monsignor François Yakan, Corepiscopo e già vicario patriarcale della diocesi turca e Padre Fahd Murad, ordinato sacerdote nella stesa cattedrale nell'aprile del 2022. 
 
S.E. Sabri Anar
è nato il 1° gennaio 1966 a Uludere in Turchia.
Ha studiato nel Seminario Minore dei Francescani a Istanbul e successivamente, nel 1985, è entrato nel Seminario Patriarcale Caldeo a Baghdad.
Il 10 novembre 1990 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale a Parigi, dove ha iniziato il suo servizio pastorale per la comunità caldea della regione dell’Île de France.
Dal 1990 al 2006 è stato Vicario Parrocchiale di St. Thomas Apôtre a Sarcelles e successivamente Parroco della medesima Chiesa.
Dal 2016 è stato Responsabile della Chiesa di St. Jean Apôtre ad Arnouville.
Nell’anno 2017 è stato nominato Corepiscopo nella Chiesa Caldea.
Ha conseguito il Master in Catechetica presso l’Institut Catholique di Parigi.

Monsignor Anar succede nella carica episcopale in Turchia a Monsignor Ramzi Garmou, ritiratosi per raggiunti limiti di età e già arcivescovo di Tehran, Visitatore apostolico in Europa e Arcivescovo di Diarbakir dal 2018.     

Il card. Sako costretto a lasciare Baghdad trasferendosi a Erbil

By Asia News - Al Arab - Twitter - Zowaa

La massima autorità della Chiesa in Iraq, il cardinale Louis Raphael Sako, è stato costretto a lasciare la sede patriarcale a Baghdad e a trasferirsi in un monastero di Erbil*, nel Kurdistan iracheno, passando per Istanbul: una conseguenza diretta della “campagna deliberata e umiliante” contro il patriarca caldeo da parte delle Brigate Babilonia, una milizia cristiana filo-iraniana. Una persecuzione che si aggiunge alla “decisione del presidente di ritirarmi il decreto, che non ha precedenti nella storia dell’Iraq”, ha affermato Sako in una nota diffusa in arabo e in inglese sul sito del patriarcato.
Nei giorni scorsi infatti il presidente della Repubblica dell’Iraq, Abdul Latif Rashid, ha ritirato quello che possiamo definire il “riconoscimento istituzionale” della carica del patriarca. Il capo dello Stato ha cancellato il Decreto 147, emanato dal predecessore Jalal Talabani il 10 luglio 2013, che sanciva la nomina pontificia del porporato a capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo” e per questo “responsabile dei beni della Chiesa”.
Secondo diverse fonti e secondo quanto affermato nella nota dallo stesso Sako, i beni ecclesiastici sono da tempo nel mirino di Rayan al-Kildani (“il Caldeo”), sedicente leader cristiano a capo della Brigate Babilonia. “Ho preso questa decisione affinché il protettore della Costituzione e custode del bel patrimonio iracheno realizzi il desiderio delle Brigate Babilonia di emettere un decreto che nomina Rayan Salem Doda custode delle dotazioni della Chiesa”, ha spiegato il cardinale Sako, aggiungendo che diversi altri incarichi sulla gestione del patriarcato andranno anche a familiari del "Caldeo". “È un peccato che in Iraq viviamo nel mezzo di una vasta rete di interessi personali, di fazionalismo ristretto e di ipocrisia che ha prodotto un caos politico, nazionale e morale senza precedenti che si sta radicando sempre di più”, ha continuato il cardinale Sako esortando i cristiani a mantenere la fede in Dio e alla loro identità nazionale finché questa “tempesta non sarà passata, con l’aiuto di Dio”.
La decisione del governo iracheno priva il patriarca dell’immunità in quanto leader religioso e del diritto di rappresentare i fedeli, mentre il battaglione cristiano gode di una rappresentanza in Parlamento.
Secondo il quotidiano arabo Al-Arab con sede a Londra, in questo modo al-Kildani vuole inserire la questione cristiana nella propria agenda politica mettendola “al servizio delle milizie che controllano l’Iraq dietro le quali c’è l’Iran”, a differenza del patriarca che ha sempre tentato di “preservare l’indipendenza” della comunità cristiana caldea.
Secondo il governatore di Wasit, Muhammad Jamil al-Mayahi, il cardinale Sako “è simbolo di unità e fratellanza, e la sua partenza da Baghdad è una perdita per tutti noi”.
Nelle città di Karamlesh ed Erbil tutti i cristiani iracheni hanno tenuto delle manifestazioni a sostegno del patriarca caldeo. “L'intera comunità cristiana dell'Iraq è minacciata, e gli assiri caldei e siriaci si sono uniti per affermare il loro sostegno al patriarca della Chiesa caldea”, ha dichiarato un gruppo di diverse associazioni, tra cui il Movimento democratico assiro, il Consiglio popolare assiro siriaco caldeo, l'Unione patriottica di Betnahrain, il Partito dei figli di Nahrain e il Partito patriottico assiro.

* In realtà nella lettera aperta si parla di un "monastero nella regione del Kurdistan in Iraq" che non è necessariamente Erbil. 
Nota di Baghdadhope 

15 luglio 2023

Iraq’s Christians protest government move against Cardinal Sako

Julian Bechocha
July 13, 2023 

Christians gather before the cathedral of Saint Joseph in Ankawa in solidarity with Cardinal Louis Raphael Sako to protest Iraqi President Abdul Latif's decision to revoke the special presidential decree taht granted him powers over Christian affairs
on July 13, 2023.
Photo Julian Bechocha/Rudaw 

Under mounting pressure from a pro-Iran militia group, the Iraqi president earlier this month revoked a decade-old decree that formally recognized Chaldean Patriarch Cardinal Louis Raphael Sako and granted him powers over Christian endowment affairs. Christians angry over the decision protested in Ainkawa on Thursday morning, in the scorching heat.
Iraqi President Abdul Latif Rashid on July 3 revoked special presidential decree 147 of 2013 issued by late president Jalal Talabani that granted Sako powers to administer Chaldean endowment affairs and officially recognized him as the head of the Chaldean Church. 
Rashid’s decision came after he met with Rayan al-Kildani, leader of the nominally Christian Babylon Movement, a party and militia affiliated with the pro-Iran Popular Mobilization Forces (PMF, or Hashd al-Shaabi in Arabic) and the Islamic Revolutionary Guard Corps (IRGC).
The decision sparked a nationwide outcry from Christian community members and leaders, who condemned the president’s maneuver and described it as a direct attack on Cardinal Sako, a highly respected figure in his community and the head of the Chaldean Church in Iraq and worldwide.
Residents of Ainkawa, a Christian-majority district situated at the northern edge of Erbil city, filled the street in front of the Cathedral of Saint Joseph on Thursday morning as the hot July sun scorched the earth, to protest what they called the “clear and utter violation” against their community.
This is a political maneuver to seize the remainder of what Christians have left in Iraq and Baghdad and to expel them. Unfortunately, this is a blatant targeting of the Christians and a threat to their rights,” Diya Butrus Slewa, a leading human and minority rights activist from Ainkawa, told Rudaw English outside the church.
“From the beginning of the Church, Christian affairs are administered by the Church. The Church has its own laws, courts, and committees,” Slewa added. “We hope the Iraqi presidency hears our people and revokes this [decision] as soon as possible, otherwise it will become an international matter and the Vatican will get involved.”
Protesters shouted out messages of support for Cardinal Sako and held up placards telling the Iraqi government that they had committed “enough injustice” against the long-suffering Christian community.
“Mr. President, the protector of the constitution should not violate the constitution. The Iraqi president orders the displacement of Christians, and opens the way for violating the property of the Chaldean Church which represents nearly 80 percent of Christians in Iraq and Kurdistan,” read one of the signs.
“What else can I say? This is a clear violation and there is no doubt about that. What the president of the republic has done is clearly under political pressure from a militia group who it is a disgrace to even call Christian and say that they represent our peaceful community,” Emad Hanna, an elderly man, told Rudaw English, referring to Kildani’s militia.
“I feel ashamed that I have to waste my breath talking about them. The fact that this has happened is a complete disgrace,” he added.
In a statement defending his decision, President Rashid clarified that the decree had been revoked because it was “illegal and unconstitutional,” but that the status of Sako is not affected as he was appointed cardinal and head of the Chaldean Church by the pope in the Vatican.
“Also, there are requests made by the heads of churches and other religious communities for presidential decrees that lack any constitutional or legal backing,” Rashid said in the statement. 
In reply, Sako published an open letter, saying the decision poses a “danger” to the Christian community in Iraq and warning that he would turn to the judiciary and file a legal complaint if the president does not revoke his decision.
“Did President Jalal Talabani issue this decree without referring to legal advisors or without his knowledge and awareness of religious shrines and the rights of their entities in accordance with the constitution that affirms their protection and respect for their rights?” Sako said in his letter, describing Rashid’s move as “unprecedented” and “political.”
The cardinal added that he does not see an issue with issuing special decrees for church leaders in Iraq as they “would reflect the government’s respect for the beautiful historical Iraqi fabric and provide assurance for Christians and all Iraqi components in the difficult circumstances” that the country is experiencing.
Rashid’s decision strips Sako’s authority to administer the Church’s assets and carry out decisions such as renovating and building churches across Iraq, according to Slewa.
Sako and Kildani have long been involved in a war of words, with the patriarch condemning the militia leader as an individual who does not represent the interests of Christians despite his party winning four of the five quota seats assigned for Christians in the 2021 Iraqi parliamentary election. His candidates were extensively and openly backed by Shiite political forces affiliated with Iran.
Kildani has accused Sako of getting involved in politics and damaging the reputation of the Chaldean Church.
Sako has not shied away from commenting on Iraq’s politics, particularly those that impact Christians, including criticizing the minority quota system and state corruption.
Several protests have taken place in Baghdad over the past few months against Kildani’s remarks on Sako, and were met by larger counter-protests by PMF and Shiite groups backing the militia leader.
In a video conference in May, Sako threatened to escalate the matter internationally if the Iraqi government did not act against Kildani.
The Babylon Brigades, the paramilitary wing of the Babylon Movement, “is presented as a local Christian force but has been recruited largely from Shia Muslim communities in Baghdad’s Sadr City, al-Muthanna, and Dhi Qar,” and its objective is domination of the Nineveh Plains, a March profile of the brigade by the Washington Institute concluded.
The brigades have been accused of illegally seizing historic Christian land in Nineveh province after the Islamic State (ISIS) group was driven out of the area. Human rights abuses committed by the group ultimately led to the United States Treasury sanctioning Kildani in 2019 for the abuses as well as corruption.
Faruq Hanna Atto, an Ainkawa native and the only independent Christian lawmaker in the Iraqi parliament, told the Iraqi presidency in a letter that the decision to remove Sako’s special presidential decree “reflects negatively on your position towards the followers of this church.”
According to Atto, canceling the decree “encourages discrimination and deepening conflicts.” He demanded the presidency “correct its position in order to increase the spirit of fraternity and social peace among the Iraqi people … and granting the religious components confidence in coexistence and not leaving their homeland, emptying Iraq of Christians, and preserving the original Iraqi components.”
Ano Abdoka, Minister of Transportation and Communications in the Kurdistan Regional Government (KRG) and a Christian, criticized President Rashid’s decision as “unjustifiable” and said that “for the first time since 2003, we are witnessing a dangerous precedent represented by the behavior of the head of a state’s hierarchy.”
“Why is one of the most important Christian symbols being unjustly targeted, namely the institution of the Chaldean Patriarchate and the moral highness of the Chaldean Patriarch?” Abdoka said in an open letter.
Lashing out at Kildani, Abdoka called the Babylon Movement’s actions “the desperate attempts of some MPs who are arbitrarily, unjustly, and clearly against the Christians after they kidnapped the quota seats,” and said that Kildani does not represent Christians and is involved in illegally seizing “a large part of the Nineveh Plains by force.”
The decision to revoke Cardinal Sako’s authority to administer properties and finances of the Chaldean Church could render these assets vulnerable to Kildani’s alleged land grabs, especially in the Nineveh Plains of northern Mosul province, where historic Assyrian, Chaldean, and Syriac Christian villages lie and an area where the Babylon Brigades is active.
With the sharp divisions between the Chaldean Church in Iraq and the Babylon Movement expected to continue, Christian interests hang in the balance in a country where fewer than 300,000 remain today, a staggering fall from over 1.5 million who used to call Iraq home before the 2003 American invasion.

13 luglio 2023

Presidente annulla riconoscimento del patriarca Sako: proprietà cristiane nel mirino

By Asia News 
12 luglio 2023

Nuove nubi si addensano sul futuro dei cristiani in Iraq, dopo le violenze e le persecuzioni del passato. e che vanno ad investire direttamente la massima autorità ecclesiastica del Paese: il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, cui nei giorni scorsi il presidente della Repubblica ha ritirato quello che possiamo definire “riconoscimento istituzionale” della carica che ricopre.
Il capo dello Stato ha infatti cancellato il Decreto 147, emanato dal predecessore Jalal Talabani il 10 luglio 2013, che sanciva la nomina pontificia del porporato a capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo” e per questo “responsabile dei beni della Chiesa”. E su questo, sottolinea una fonte ecclesiastica di AsiaNews in Iraq, ruota tutta la vicenda: “Il controllo dei beni e delle proprietà dei cristiani, della Chiesa, che qualcuno vuole sottrarre”.
Sulla questione era intervenuto nei giorni scorsi con una nota lo stesso presidente Abdul Latif Rashid, con l’intenzione di “chiarire” i contorni della vicenda.
“Il ritiro - sottolinea - non pregiudica lo status religioso o giuridico del patriarca Sako” perché di nomina “della Sede Apostolica”. Esso, prosegue il leader musulmano curdo, intende “correggere” una questione di natura “costituzionale”, mentre la persona del patriarca continua a godere “del rispetto e dell’apprezzamento della presidenza della Repubblica come patriarca della Chiesa caldea in Iraq e nel mondo”.
Di fatto, la decisione del presidente finirebbe però per esautorare il patriarca dell’amministrazione dei beni ecclesiastici, da tempo nel mirino di Ryan “il Caldeo” e delle Brigate Babilonia. “E non è un caso - sottolinea la fonte di AsiaNews - che la decisione del presidente sia giunta a pochi giorni di distanza da un incontro fra lo stesso Rashid e Ryan, il sedicente leader cristiano”. “Altri vogliono intervenire, comandare, espropriare - prosegue la fonte - ciò che appartiene ai cristiani. Da oltre 100 anni il patriarca, dopo la nomina del papa, riceve il riconoscimento per decreto della sua carica, prima dal re e poi dal presidente, in cui viene sancito che è capo della Chiesa e il custode delle sue proprietà”.
Col ritiro del decreto presidenziale, il primate “finirebbe per perdere a livello giuridico il controllo dei beni e delle proprietà stesse” conclude la fonte, ma il card. Sako “è deciso a dare battaglia e sta già studiando il ricorso in tribunale perché prevalga il diritto e sia fatta giustizia”.
La controversia legata al ritiro del decreto presidenziale è solo l’ultimo capitolo di una serie di attacchi che hanno colpito la figura più autorevole - e rispettata - della Chiesa caldea in Iraq, tanto che nelle scorse settimane si era levata la “voce” dei cristiani in risposta alle “bugie”. Il riferimento è all’attacco lanciato contro il patriarca Sako e i vertici ecclesiastici dal capo del Movimento Babilonia Rayan al-Kaldani. Il sedicente leader cristiano, spalleggiato da fazioni sciite collegate a potenze straniere (leggi Iran), vuole formare un’enclave nella piana di Ninive sfruttando la posizione di forza e disponendo di quattro parlamentari [su cinque riservati per quota alla minoranza, sebbene la loro scelta non sia esercitata in via esclusiva da cristiani, ndr] e un ministero da lui controllati. La fazione “Brigate Babilonia” è nata al tempo della lotta contro lo Stato islamico nel decennio scorso e si è affermata sul piano economico e politico.
I vescovi del Nord (Mosul e piana di Ninive) hanno criticato con forza il sistema di assegnazione della quota per le minoranze, sostenendo in pieno la battaglia del porporato e annunciando il possibile boicottaggio delle prossime tornate elettorali da parte della componente cristiana. Lo stesso primate caldeo a maggio aveva accennato all’eventuale ricorso agli organi di giustizia internazionali per tutelare la corretta distribuzione della quota di seggi parlamentari. Posizioni che hanno attirato gli attacchi verso la persona del patriarca e l’istituzione da parte di persone vicine al “Movimento Babilonia” divenute sempre più aspre e dure col passare del tempo, tanto da spingere centinaia di cristiani - sacerdoti e fedeli - a scendere in piazza e manifestare solidarietà al porporato. In una dichiarazione congiunta inviata ad AsiaNews, l’Assyrian Democratic Movement, il Popular Chaldean Syriac Assyrian Council, il Betnahrain Patriotic Union, il Nahrain Sons Party e l’Assyrian Patriotic Party confermano “il sostegno” al patriarca. Una vicinanza che va oltre l’autorità religiosa, ma riguarda lo “status, in quanto istituzione religiosa che rappresenta una parte importante della società irachena”. I movimenti cristiani definiscono “poco rassicurante” la decisione per le sue “ripercussioni negative”, che si “aggiungono agli attacchi diretti” alla componente cristiana fra cui “sfollamenti, uccisioni di religiosi e civili, rapimenti, bombardamenti di chiese, cambiamento demografico”. “ Come partiti nazionali - conclude la nota - respingiamo questo decreto” che permetterà “la manipolazione di beni ecclesiastici da parte di partiti influenti e corrotti con ambizioni chiare di esproprio”.

Statement on Withdrawal of the Chaldean Patriarch’s Republican Decree

July 9, 2023

Iraqi Christians in Iraq and abroad were surprised to hear about the withdrawal of Republican Decree No. (147) of 2013 of the Chaldean Church Patriarch, His Eminence Cardinal Louis Raphael Sako pretexting that it has no constitutional or legal basis.
Historically, this decision is an unprecedented in Iraq.
Since the Abbasid Caliphate, His Beatitude the Patriarch used to be granted an official acquittal, and the matter continued during the Ottoman era, by issuing a Farman to the (Patriarch), which we have a copy named as “the Taghra”.
The same status was respected through the period of Iraqi Royal and Republican Governments along history. Furthermore, the situation was the same in other Arab countries that have Christian denominations, such as Jordan, Egypt, Syria and Lebanon.
We actually consider such decision “political”, because we do not know the reasons behind it.
However, it is not against the person of His Beatitude Patriarch Sako, who is known nationally and internationally for his integrity and patriotic stances, but rather against the very well-known Iraqi rooted Patriarchal position.
With that said, we do not hope for the withdrawal of Republican decrees from 20 Leaders and Bishops of Sister Churches. Yet, we don’t see any problem in issuing new decrees for the “Heads” of other Christian denominations, which would reflect the government’s respect for this beautiful historical Iraqi fabric and provide assurance for Christians and all Iraqi components in such difficult circumstances that we are going through.
Hence, Chaldean Church (the largest Church in Iraq), calls upon the President of the Republic of Iraq, who is well-known for his kindness, to restore the situation, before it turns to a crisis and unbearable consequences.
Overall, Iraqi Christians were and still are loyal to their homeland and carry Iraq in their hearts.

5 luglio 2023

Restoration project sheds light on Basra's heritage

By Reuters
July 4, 2023

In Iraq's Basra, the restoration of a church built in the first half of the 20th century is shedding light on the recent history of Christians in southern Iraq, from where most have emigrated.

IRAQ: Ankawa Youth Meeting concludes with inspiring Divine Liturgy and Chaldean Archbishop’s call for youth empowerment

July 3, 2023

The annual Ankawa Youth Meeting in Iraq drew to a close with a captivating Divine Liturgy led by Chaldean Archbishop of Erbil, Bashar Warda, alongside participating clergy.
Recognized as the largest gathering of Chaldean–Syriac–Assyrian youth, this year’s event took place at the esteemed Mor Elijah Chaldean Shrine. 
Over a thousand young men and women from various Chaldean archdioceses in Iraq eagerly participated.
The meeting featured enlightening speeches by clergy, engaging interventions, and thought-provoking dialogue sessions among the youth. In addition, the vibrant talents of the youth from different parishes were showcased, along with a variety of enjoyable entertainment activities.
Concluding the event, Chaldean Archbishop Bashar Warda delivered an impassioned speech, expressing heartfelt gratitude to all those who contributed to the success of the meeting. He emphasized the vital role of the youth in Christian upbringing, underscoring their significance in shaping the future of the faith community.

Capi di Chiese e comunità cristiane in Iraq: “atroce e spregevole” il rogo del Corano a Stoccolma


 Il rogo del Corano compiuto da un “giovane estremista” davanti alla moschea di Stoccolma rappresenta un atto “atroce e spregevole”, che non può essere in alcun modo spiegato tirando in ballo slogan sulla libertà di espressione. Lo ripetono i Capi delle Chiese e comunità ecclesiali presenti in Iraq, in un comunicato lapidario in cui aggiungono che proprio quell’atto rappresenta in se stesso uno sfregio alla libertà di moltitudini di persone, una incitazione all’odio religioso e un attentato alla pace tra i popoli, visto che con quel gesto ha infiammato la rabbia di credenti musulmani in tutto il mondo. Il Comunicato, diffuso dal Consiglio dei Capi delle Chiese e comunità cristiane dell’Iraq (Council of Christian- Church Leaders of Iraq, CCCL), si conclude con un appello alle persone sagge e ai “costruttori di pace” di tutto il mondo affinché si favoriscano in ogni modo sentimenti che favoriscono la convivenza e la pace.
Il Concilio dei Capi delle Chiese e comunità cristiane dell’Iraq è un organismo ecumenico istituito nel 2010 e include Patriarchi, Vescovi e capi delle 14 Chiese e comunità ecclesiali presenti in Iraq. L’atto sacrilego compiuto davanti alla Moschea di Stoccolma lo scorso 28 giugno continua a provocare preoccupazione e reazioni pubbliche particolarmente accese in Iraq anche perché a compiere quel gesto è stato un rifugiato 37enne di origine irachena, Salwan Momika, che vive in Svezia da molti anni.
Rappresentanti del governo e degli apparati giudiziari iracheni hanno chiesto alle autorità svedesi di estradare Momika e permettere che il suo gesto sia giudicato e condannato dalla giustizia del suo Paese d’origine. L’atto di offesa gratuita verso l’islam suscita reazioni particolarmente sensibili anche nelle comunità cristiane irachene, la cui vicenda e stata disseminata anche negli ultimi decenni da tante sofferenze e esperienze martiriali. Momika si dichiara ateo, ma proviene da un contesto familiare cristiano e è nato a Qaraqosh, città a maggioranza cristiana della Piana di Ninive.
La preoccupazione – come emerge anche da commenti raccolti tra alcuni cristiani dalla rete mediatica curda rudaw.net – e che qualcuno tenti di attribuire alle comunità cristiane irachene una qualche forma di connivenza con il rogo del Corano compiuto a Stoccolma.
Per questo l’atto di Momika è stato subito deplorato senza appello da Capi e esponenti delle comunità cristiane irachene. Mar Awa Royel, Patriarca della Chiesa assira d’Oriente, subito dopo il rogo del Corano aveva diffuso una dichiarazione in cui quel gesto veniva definito come opera di “un ateo di origini irachene”, mirante a disseminare odio. Parole di deplorazione del rogo di Stoccolma sono arrivati anche da rappresentanti politici cristiani come Ano Abdoka, Ministro dei trasporti e delle comunicazioni del Governo della Regione autonoma dei Kurdistan iracheno.
Nei giorni scorsi anche Papa Francesco, in una conversazione con Hamad Al-Kaabi, direttore del quotidiano degli Emirati Arabi Al-Ittihad, interpellato intorno al rogo del Corano a Stoccolma, si era detto “indignato e disgustato da queste azioni".

‘Despicable:’ Iraqi Christians slam Quran burning in Sweden

Julian Bechocha
July 2, 2023

As the Muslim world erupted in fury over the burning of a Quran in Stockholm, members of Iraq’s long-suffering minority Christian community say some of the rage is being directed at them and they are rallying to staunchly condemn the burning and quickly bury any presumptions that they endorsed the act.
Religious sectarianism has been present in war-scarred Iraq ever since the toppling of brutal dictator Saddam Hussein in 2003, threatening the social fabric of a country that has witnessed decades of bloodshed, including the rise and fall of extremist groups such as al-Qaeda and the Islamic State (ISIS).
Sectarianism reared its head again on Wednesday when Salwan Momika, a 37-year-old Iraqi refugee, burned a copy of the Quran outside a mosque in the Swedish capital of Stockholm, coinciding with the first day of the Muslim holiday of Eid al-Adha.
Momika stomped on the holy book and placed bacon - the consumption of which is forbidden in Islam – between the pages, before lighting a few pages on fire and kicking it around like a football while raising Swedish flags.
His actions sparked a sensation of rage across Islamic communities around the world, with people in the street and officials in Iraq calling for him to be brought before a court of law. While Momika has lived in Sweden for several years, the Iraqi government, foreign ministry, and judiciary have called on Swedish authorities to extradite him so that prosecutors can take the necessary measures to bring him to justice.
Iraq’s marginalized Christian community has also borne the brunt of his stunt, as Momika, despite declaring himself as an atheist on his Instagram profile, comes from a Christian background in his home country. The community has long been on the brink and their very existence in Iraq came under threat when ISIS swept through their ancestral homeland in the Nineveh Plains in 2014.
“It is nothing short of despicable. We are a peaceful community too occupied with survival and we vehemently condemn the act. Burning religious books does not further our progress whatsoever and the government must do its part to ensure that Christians are not targeted because of this,” Fadi Hanna, a member of the Chaldean Catholic community in Ainkawa, a Christian-majority district on the northern edge of Erbil city, told Rudaw English on Saturday
Christian leaders in Iraq were quick to condemn Momika’s stunt, stressing that such acts seek to destabilize the already-fragile social and religious fabric in a country which has witnessed decades of conflict.
Mar Awa Royel, patriarch of the Assyrian Church of the East, which has its seat in Erbil, quickly issued a statement strongly condemning the burning on Wednesday, saying that the actions of “an atheist of Iraqi origin,” referring to Momika, do not reflect the stance of Christianity or any Christian church.
“Committing acts of offense in any way against the faith of other religions is an irresponsible act aimed at broadcasting and disseminating hate speech, at a time when we are all called upon to be bridge-builders, and to strengthen and spread the bonds of love, tolerance, and respect … regardless of our faith,” the patriarch stated.
“The Assyrian Church of the East … rejects today – as it has always rejected – all actions and reactions that aim to offend what is sacred, the houses of worship, and the believers of other faiths in any way,” he added, calling on the Swedish government to not grant such actions a spotlight.
As church leaders and local Christian officials rushed to condemn Momika, the Association of Muslim Scholars in Iraq, a group of Sunni Muslim religious leaders, were quick to task Iraqi Christian religious leaders with condemning the Quran burner, despite his identification as an atheist and not Christian.
The association “called for Christian religious figures, especially in Iraq, to state their positions regarding this explicit crime in hostility to Islam and its sanctities and with clear intentions in creating hatred towards Muslims, warning that their silence puts them in a position of refraining from criminalizing and condemning it,” it said in a statement.
In conflict-ridden Iraq, where the population is largely reactionary towards any acts of offense, the association’s statement incited fear among the marginalized Christian community, who remain wary that it could serve as an excuse for anti-Christian reprisal by Muslims.
“I am not sure if I feel safe anymore. Such statements tend to incite hatred towards us and completely contradict our peoples’ desire, which is to live a safe, quiet life far away from sources of conflict,” a Christian resident of Momika’s hometown Qaraqosh (also known by its Christian name of Bakhdida) in the Nineveh Plains’ al-Hamdaniya district told Rudaw English over the phone on the condition of anonymity for fear of retaliation.
“I have already received threats from Muslims online even though I am sure every single Iraqi Christian, myself included, condemn the perpetrator’s immoral act,” he said.
Photos circulating on social media platforms in Iraq have shown crosses and the Bible being burned, stoking fears of religious strife
“Why are we getting hate for a crazed person’s actions? I have not heard of a single Christian, my family and friends included, that felt joy watching the videos of the Quran being burned by that man. We are a peaceful community and we want no part to do with this,” Yousif Matti, a middle-aged butcher in Ainkawa, told Rudaw English.
Christian religious figures generally condemned Momika’s actions, but some say that years of brutal persecution of their community, including massacres, could have pushed him to take the approach he chose.
“It was most certainly a vile act, one that is inexcusable and completely condemned. However, it is also a bad precedent, as it goes to show the anger that Christians feel about being persecuted. We are a peaceful religion, and we respect all religions despite hardships, as was taught to us by Jesus Christ,” a bishop in the Chaldean Catholic Church who did not want to be named told Rudaw English.
Christian politicians and political alliances also issued strong condemnations of the burning, saying that it damaged all components in Iraq and does not reflect the attitudes of the population.
“This does not represent freedom of speech, of expression, or human rights in any way, but was an act full of hate, envy, disrespect, and everything far from human principles and respect,” Ano Abdoka, Minister of Transportation and Communications in the Kurdistan Regional Government (KRG), said on Friday.
The lone Christian minister in the KRG’s cabinet, Abdoka called on Iraqis to refrain from attacking Christians in retaliation for Momika’s actions, reiterating remarks that the act was not endorsed by the community.
Iraq’s Christian community has been devastated in the past two decades. Following the US-led invasion in 2003, sectarian warfare prompted followers of Iraq’s multiple Christian denominations to flee the country and attacks by ISIS in 2014 hit minority communities especially hard. Fewer than 300,000 Christians remain in Iraq today, but not all live in a permanent place they can call home.
Abdoka, in an interview with Rudaw Arabic on Saturday, postulated that Momika could have used the burning as an “excuse” to compel Sweden to grant him citizenship because he fears returning to Iraq.
In response to the Quran burning, Iraqi firebrand Shiite cleric Muqtada al-Sadr called for massive demonstrations outside the Swedish embassy in Baghdad, issuing several demands including severing ties with Sweden and burning the LGBTQ+ flag because that “enrages” those who he labeled as “unbelievers.”
On Saturday, Iraqi Foreign Minister Fuad Hussein called on the Swedish government to extradite Momika so that legal procedures could be taken against him according to Iraqi law, in a phone call with his Swedish counterpart Tobias Billstrom.
In response, Billstrom expressed Sweden’s “condemnation of this action” and “deep regret” for the burning, saying Stockholm “fully understands” that Muslims in Sweden and worldwide were offended by the events that unfolded.
Spokesperson for Iraq's foreign ministry Ahmed al-Sahaf on Friday said the ministry had received a letter from their Swedish counterparts condemning Momika’s actions and stating that police have begun an investigation into whether he violated Sweden’s hate crime law.

Plans to repeat Quran burning
Momika fled to Sweden from Iraq several years ago. He said he was burning the Quran to express his opinion about the Islamic holy book. On his Instagram page, he said that his idea behind the burning was also to highlight the principle of freedom of speech in Sweden.
“This is democracy. It is in danger if they tell us we cannot do this,” he said in a video message.
He identifies himself on his Instagram as a “secular liberal atheist,” and on his website as the founder of the Syriac Democratic Union party and the Hawks Syriac Forces, an armed militia formed in 2014 to fight ISIS and was affiliated with the pseudo-Christian militia Babylon Brigades, which is funded by and allied with Iran’s Islamic Revolutionary Guard Corps (IRGC), and closely allied with the Badr Organization.
He fell out with Babylon Brigades leader Rayan al-Kildani - who is on the US Treasury sanctions list for corruption and human rights abuses - in 2017 after expressing opposition to the Popular Mobilization Forces (PMF) dominating Christian areas of the Nineveh Plains. The PMF, or Hashd al-Shaabi in Arabic, is a network of pro-Iranian Iraqi militias.
Rudaw English reached out to the local administration in Qaraqosh for further information about Momika but they were not readily available.
He was also an admirer of Abu Mahdi al-Muhandis, former deputy chief of the PMF who was assassinated in a US drone strike on January 3, 2020 alongside Qasem Soleimani, head of the IRGC’s elite Quds Force. A Facebook post last year shows Momika paying tribute to the fallen PMF commander.
As Islamic communities around the world expressed rage and condemnation over Momika’s antics, he said on Thursday that he intends to repeat the burning of the Islamic holy book.
“Within 10 days I will burn the Iraqi flag and the Quran in front of the Iraqi embassy in Stockholm,” he told Swedish newspaper Expressen. Momika also said that he knew his actions would incite anger and that he had already received “thousands of death threats,” but denied that his actions constituted a hate crime.
“The police have the right to investigate whether the burning is a hate crime. They could be right and they can be wrong,” he said.
It remains to be seen whether the authorities will grant him permission to carry out another Quran burning, especially as Muslim countries and the United Nations expressed strong condemnation of the event, and Momika is being investigated for a possible hate crime.