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1 marzo 2021

Il Papa in Iraq: le ragioni del "sì" e le ragioni del "no"

Papa Francesco ha deciso tempo fa di visitare l'Iraq, progetto pastorale impossibile per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Francesco ha annunciato la data - dal 5 all'8 marzo prossimo - e ha chiesto di procedere nella preparazione del pellegrinaggio con efficacia e completezza senza trascurare nessun aspetto, in particolare sulla pandemia e sulla sicurezza, questioni non solo geopolitiche ma vincolate direttamente alle singole persone. I tempi sono brutti per le trasferte pontificie.
Nessuno può contestare la legittimità della decisione di Papa Francesco seppure qualcuno nutre dubbi e perplessità.
Se alla fine, entro i prossimi giorni, continuerà a desiderare di fare questo pellegrinaggio e riterrà che ci sono tutte le condizioni minime, il viaggio del Pontefice diventerà una realtà.
Se lo farà, i credenti tutti pregheranno per lui, per il successo della Visita e per l'Iraq.
Ma tutto ciò non deve far tacere le opinioni e considerazioni, diciamo quelle principali, in favore di un "sì" al viaggio e anche in favore di un "no", alternative e scenari che sono stati - ed è così tuttora - molto analizzati e approfonditi da parte dell'organizzazione del viaggio papale. E sarà fatto fino all'ultimo momento e anche durante il viaggio stesso, se si fa. Le ragioni "a favore o contro" il Pellegrinaggio abramitico del Santo Padre sono molte ma ci è sembrato opportuno fare riferimento a quelle che riteniamo le più importanti.


Ragioni del "si":
1) La terra di Abramo
Andare nella terra di Abramo, Papa Francesco vuole questo viaggio da molti anni e in passato la situazione della regione, in particolare le guerre locali e la violenza dell'ISIS, ha sempre impedito il progetto, cosa che accadde già ai tempi di Benedetto XVI. L'ostacolo per Giovanni Paolo II fu il "no" di Saddam Hussein comunicato all'allora Sostituto Giovanni Battista Re il 9 dicembre 1999 dall'ambasciatore iracheno.
[1] Erano contrari anche gli USA come lo sembrano essere anche ora, nel 2021, seppure con estrema discrezione e garbo.
L'Iraq, insieme con altri pochi Paesi (come Cina e Russia, per esempio) è nell'elenco della Nazioni mai visitate dal Vescovo di Roma. Questo progetto pastorale di Francesco è nella sua agenda dal giorno della sua elezione, quasi 8 anni fa.

2) Le sofferenze di un popolo
Jorge Mario Bergoglio ritiene che i popoli, le culture, le nazioni e le fedi religiose in Iraq - a maggioranza sciita - devono ricevere un'attenzione particolare, espressione di vicinanza per le attuali e pregresse sofferenze, lutti e miserie. L'Iraq dai tempi di Saddam Hussein è uno dei Paesi che più ha sofferto. Dal 16 luglio 1979, data del colpo di stato, prima con Hussein e dopo con altri governanti, sino ad oggi, l'Iraq non ha mai smesso di essere un punto nevralgico di uno scacchiere mediorientale violento ed affamato, normalmente pedina di scambio delle superpotenze "dove i grandi danno le armi e i piccoli offrono i morti". In questo contesto va sottolineato un'altra componente che preme nel cuore del Papa: solidarietà e condivisione con i cristiani della regione, da molti anni perseguitati e vittime di estremisti islamici, sunniti e sciiti, derubati, espropriati e impediti di ritornare nelle loro terre e nelle loro case. Dall'Iraq sono fuggiti migliaia di famiglie cristiane e molti non torneranno mai più. L'emorragia di cristiani in quest'area acutizza un fenomeno sempre più grave da almeno 70-80 anni.

3) Dialogo interreligioso e rapporti con sciiti Una terza ragione del "sì" a questo atteso viaggio, sul quale la Santa Sede amministra con cura e riservatezza un grande silenzio, consapevole di quanto sia delicato e precario l'intero Pellegrinaggio, riguarda la Visita di cortesia di Francesco al Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani (nella cittadina di Najaf) r l'Incontro interreligioso presso la Piana di Ur (nelle immediate vicinanza di Nassiriya).
Fino ad oggi è confermato che non vi sarà nessuna dichiarazione congiunta cattolico-sciita ne tantomeno, come fu detto, che Al Sistani avrebbe apposto la sua firma al documento cattolico-sunnita di Abu Dhabi (febbraio 2020).
Ci sarà un incontro, molto importante, delicato e affettuoso fra il Papa e il leader sciita e, secondo le condizioni del momento, ci sarà una colloquio alla presenza di pochissime persone (il Grand Ayatollah ha oltre 90 anni ed è molto malato).
La stampa non potrà prendere parte all'evento e ci saranno solo comunicati ufficiali (altro potrebbe arrivare dalla conferenza stampa del Pontefice al rientro, sull'aereo, l'8 marzo, se ci sarà).
Nel corso dell'Incontro interreligioso, che seguirà le orme di precedenti incontri di questa natura, sarà possibile apprezzare meglio il contributo sciita che sino ad oggi è stato sempre limitato e sporadico. Un altro elemento fondamentale, componente centrale del viaggio, riguarda la protezione dei cristiani, dei cattolici, tra cui quelli di rito caldeo, minoranza significativa e rispettata ma maltrattata con violenze inaudite.

Ragioni del "no"
1) La pandemia e i vaccinati La prima e più ricorrente ragione del "no" al Viaggio di Papa Francesco in Iraq riguarda in modo angosciato e preoccupante la pandemia. In questo caso, solo le conoscenze dirette, le testimonianze, la 'verità vera' sul campo, sul terreno, possono dare un'autentica dimensione di questo dramma. Le poche e deboli statistiche ufficiali e non, sono inaffidabili perché insufficienti, non rigorose, manipolate politicamente. I dati sulla pandemia in questo Paese, come in altre decine in tutti i continenti, non si conoscono anche perché non esiste un sistema sanitario nazionale, strutture ospedaliere e presidi di prevenzione adeguati. In Iraq gli assembramenti sono una grave e pericolosa insidia. Non esiste nemmeno una campagna vaccinale anche perché non arrivano vaccini tranne che pochi campioni. Le persone che arriveranno in Iraq nel contesto del viaggio papale lo faranno come soggetti vaccinati e fortemente immuni. Molti si domandano, da un'ottica etica: ma è legittimo contribuire a creare circostanze rischiose per un popolo debole e non protetto che potrebbe dover affrontare non solo assembramenti ma anche modalità di trasporto e soggiorno non igienici e poco controllati? Ovviamente non si tratta di accuse o critiche antipatiche, di astio tra vaccinati e non vaccinati. Si tratta di fatti riguardo il 'contagio' che è, come ben noto, il nocciolo di ogni pandemia, in particolare in Paesi - come l'Iraq - afflitti da altre malattie endemiche gravi e contagiose.

2) La sicurezza dei fedeli e pellegrini
In Iraq non è possibile parlare di pericoli per la sicurezza del Papa, del Seguito e dei giornalisti e altre persone coinvolte da vicino. La sicurezza e protezione a questo livello esistono pienamente e sono molto garantite. Quando nel caso del pellegrinaggio pontificio si parla di sicurezza, si fa riferimento principalmente alle persone semplici, ai fedeli di diverse confessioni, in particolare cristiani, a pellegrini che dovrebbero arrivare ad alcune città visitate da Francesco provenienti da luoghi lontani con trasporti scadenti e pericolosi igienicamente come già sottolineato. Per di più, seppure in circostanze limitate, nel programma pontificio ci sono diversi eventi che possono essere considerati assembramenti o raduni poco consigliabili. Ma la questione centrale è la sicurezza fisica di ciascuno di fronte alle azioni terroristiche, in particolare da parte dell'ISIS che, con il dovuto tempismo per uso mediatico, si è già fatto vivo nella regione lasciando vittime, dolori e lutti. Per l'ISIS (DAESH - Al dawla al islamiya fi al Iraq wal Sham /Stato islamico dell'Iraq e del Levante) la violenza kamikaze, è uno strumento di 'propaganda armata' e non si può fare a meno di tener in altissima considerazione queste eventualità. In parole povere, come pensano esperti USA ed europei, alcuni eventi papali sono grandi occasioni per il terrorismo islamista. Va ricordato che l'ISIS, organizzazione jihadista salafita, è nato in Iraq e poi si è estesa in Siria ed arrivò a controllare militarmente buona parte di questi territori fino al 2017-2018. Da un anno circa gli analisti osservano la rinascita di tecniche e metodi terroristici rivendicati dall'ISIS.

3) Propaganda settaria di gruppi sciiti
E' noto che tra sciiti e sunniti, all'interno dell'arcipelago musulmano, i rapporti bilaterali sono difficili. Frange di questi gruppi, come nei secoli passati, parlano ancora addirittura di "guerra civile". I primi cristiani sono arrivati in queste terre nel 54 d.C. Fin dall'inizio della comparsa dell'Islam, e a maggior ragione dopo la divisione tra sunniti e sciiti, i cristiani hanno sofferto molto. Hanno pagato prezzi altissimi. Fino alla caduta, fuga e condanna a morte di Saddam Hussein, hanno avuto un minimo di protezione, seppure debole e arbitraria a secondo la regione. Ormai è da almeno 16 anni che i cristiani iracheni, soprattutto i cattolici di rito caldeo, sono un popolo perseguitato, sottoposto ad ogni tipo di violenza ed angheria. Con l'ISIS diventarono un bersaglio preferito da parte dell'estremismo islamista. Oggi sono persone depredate e in fuga. A seguito della fine dell'ISIS, nonostante le belle promesse, una parte importante di dirigenti e militanti sciiti ha sostituito l'estremismo islamista. Un piccolo esempio: molti dei beni della chiesa caldea o dei cristiani caldei non sono stati restituiti e sono stati assegnati a nuovi proprietari sciiti e non pochi villaggi, in passato cristiani, oggi vengono ridefiniti e propagandati come sciiti. In questo contesto, molti, dentro e fuori dell'Iraq, temono che gesti e parole sciite, oggi in occasione della Visita del Papa, servano domani solo per fare della propaganda settaria e del proselitismo aggressivo sciita contro i cristiani. Ecco perché i cristiani insistono nel dire che attendono dal Pontefice parole lungimiranti, coraggiose e incoraggianti sul dialogo interreligioso vero. Perciò, in molte analisi del Viaggio si parla spesso di reciprocità come misura del successo del pellegrinaggio.

***[1] Un viaggio mancato di Giovanni Paolo II. Nella terra di Abramo. - L'Osservatore Romano - 14 febbraio 2017