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29 ottobre 2019

Baghdad, il patriarca Sako visita i giovani feriti nelle manifestazioni


Foto Patriarcato Caldeo
“Sono rimasto molto colpito da questi giovani, sono tanti, che ho incontrato in ospedale. Sono ragazzi di soli 16, 17 anni; alcuni di 20, erano lì con le loro famiglie nelle manifestazioni, quando sono rimasti feriti, alcuni dei quali in modo grave”. Lo racconta ad AsiaNews il patriarca caldeo, card Louis Raphael Sako, che ha visitato questa mattina un ospedale della capitale dove sono stati ricoverati parte delle (centinaia) di feriti delle proteste anti-governative. “Fra di essi vi sono alcuni cristiani, ma la maggior parte di loro - aggiunge il porporato - sono musulmani e sono stati felici di incontrarmi. Mi hanno ringraziato per la visita”.
Il nosocomio sorge in una zona diversa della capitale, lontano dal patriarcato. Il card Sako, rischiando di rimanere egli stesso coinvolto negli scontri, ha voluto visitare di persona i giovani colpiti nelle proteste del fine settimana, dove si sono registrate almeno 74 vittime in un crescendo di violenze che hanno interrotto una tregua in atto da due settimane. Il bilancio complessivo dei morti dal primo ottobre “è di oltre 250” racconta il porporato e “almeno 9mila i feriti”. “Prima di andare via - aggiunge - ho incontrato il direttore sanitario e gli ho voluto fare un’offerta in denaro, per contribuire all’acquisto delle medicine”.
Nella mattinata di oggi le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni contro studenti delle superiori e universitari, scesi in piazza a Baghdad e nelle città del sud teatro della protesta accanto ai manifestanti nonostante i divieti delle autorità. Un portavoce del Primo Ministro Adel Abdul Mahdi, la cui posizione si fa sempre più precaria dall’ascesa al potere un anno fa, è tornato ad attaccare i manifestanti. Egli si è rivolto soprattutto agli studenti, minacciando “severe punizioni” contro chiunque ostacoli il regolare svolgimento delle lezioni.
Alcuni giovani hanno intonato slogan e canti fra cui “Basta scuola, basta classi, fino a che il regime non collassi!”. Testimoni riferiscono di centinaia di studenti, con le loro uniformi, uniti ai manifestanti. In alcuni casi anche i loro professori hanno voluto unirsi alle dimostrazioni popolari. Il sindacato degli studenti di Diwaniyah, cittadina 180 km a sud di Baghdad, hanno annunciato 10 giorni di sciopero, “fino alla caduta del regime”. 
Circa il 60% dei 40 milioni di irakeni hanno un’età inferiore ai 25 anni ed è proprio il tasso di disoccupazione giovanile (attorno al 25%) a destare le maggiori preoccupazioni. Oltre alla mancanza di lavoro pesa la sensazione diffusa di insicurezza, la percezione di una corruzione diffusa e il rischio di una escalation militare o una deriva jihadista. E una persona su cinque vive al di sotto della soglia di povertà. Fra le richieste dei cittadini in piazza: lo scioglimento del Parlamento, un esecutivo a tempo chiamato a promuovere le riforme più urgenti, emendamenti alla Costituzione ed elezioni anticipate, sotto l’egida e il controllo delle Nazioni Unite. Ieri quattro deputati hanno rassegnato le dimissioni, come gesto di solidarietà verso i manifestanti. 
“Sono rientrato dalla visita di questa mattina - racconta il card Sako - con i giovani feriti nella testa. Ragazzi e ragazze che cercano solo pace, una vita dignitosa, un futuro e un lavoro. Non hanno agende politiche, non si muovo con finalità religiose. La maggior parte delle persone in piazza non era nemmeno nata o era giovanissima quando è caduto il regime di Saddam Hussein, quindi la classe politica non può accusarli di connivenze o strumentalizzazioni”. Essi sono “contro una cultura settaria, vogliono il rispetto dei diritti umani e, nonostante i morti, i feriti e le violenze sono pronti a continuare. Io ho detto che prego per loro”. 
Per essere vicino alla popolazione e seguire in prima persona la situazione, il patriarca Sako ha cancellato una visita in programma in Ungheria, dove avrebbe dovuto incontrare il presidente russo Vladimir Putin ad un convegno dedicato alla situazione dei cristiani. “Ho chiamato i capi religiosi - conclude il porporato - per proporre un incontro. Come pastori dobbiamo restare vicini alla nostra gente e fare attenzione alle parole, che possono essere male interpretate. Preghiamo e speriamo, in un contesto che si fa sempre più delicato”.