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31 ottobre 2019

Missionario in Iraq: la morte del leader indebolisce ma non elimina lo Stato Islamico

By Aleteia

Mediante un comunicato ufficiale, il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha confermato questo fine settimana la morte del fondatore e leader del gruppo terroristico dello Stato Islamico, Abu Bakr al-Baghdadi, insieme a “un gran numero di combattenti e compagni” dell’organizzazione jihadista.
Durante un’operazione militare statunitense realizzata nella notte di sabato 26 ottobre, Al-Baghdadi stava fuggendo in un tunnel quando, vedendosi ormai senza via d’uscita, si è fatto scoppiare con il suo giubbotto esplosivo, provocando non solo la sua morte, ma – come ultimo gesto della codardia che lo ha caratterizzato come capo di uno dei gruppi di malviventi più abietti e fanatici di tutta la storia dell’umanità – assassinando anche tre bambini che si trovavano con lui. Secondo Trump, il corpo del terrorista è stato mutilato dall’esplosione, ma i test ne hanno confermato l’identità.
L’agenzia informativa cattolica internazionale ACI ha parlato al riguardo con padre Luis Montes, da più di 20 anni missionario in Medio Oriente, anche in Iraq.
“È senz’altro un colpo molto forte. Non dobbiamo dimenticare che lo Stato Islamico è un gruppo terroristico molto importante, ma ce ne sono molti, ce ne sono stati e, come dicono qui, quando non ci sarà più lo Stato Islamico ne apparirà un altro”.
Riprendendo le riflessioni dell’arcivescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Warda, padre Luis ha aggiunto: “Finché i cristiani saranno solo tollerati e non vedranno rispettati i loro diritti di uguaglianza riconosciuti dalla legge, questi gruppi torneranno ad apparire, sia quelli già esistenti che altri che nasceranno”.
Per il missionario, la violenza terrorista si radica negli insegnamenti stessi del jihad islamico, che giustifica atti violenti in nome di una “guerra santa” contro gli “infedeli”.
“Il fatto che i cristiani siano considerati cittadini di livello inferiore porta alla violenza, e come ha detto anche monsignor Bashar Warda, questa è la storia dei cristiani in Medio Oriente da 1.400 anni”, ha concluso padre Luis.

ACI Digital
Morre líder do Estado Islâmico: Estas são as reflexões de sacerdote missionário no Iraque
28 Outubro 2019



Martiri della Chiesa irachena in cammino verso la santità

By Vatican News
Marco Guerra

Domenica 31 ottobre del 2010 un gruppo terroristico faceva irruzione, durante la celebrazione della Messa, nella cattedrale siro-cattolica Nostra Signora del perpetuo soccorso di Baghdad, dove erano presenti 150 persone tra sacerdoti, diaconi, coro e fedeli. Il commando composto da cinque miliziani prese in ostaggio tutti i presenti, chiedendo la liberazione di esponenti di Al-Qaeda. Il blitz delle forze di sicurezza irachene e dei soldati statunitensi finì in un massacro in cui perirono due sacerdoti e 46 laici. Oltre 70 i feriti che, in molti casi, riportarono gravissime amputazioni.
La dinamica dell’attacco
I primi ad essere uccisi furono due giovani preti, padre Thaer e padre Wassim, colpiti mentre cercavano di impedire al commando armato di entrare.  Waseem era seduto nel confessionale in fondo alla Chiesa, vicino alle porte posteriori, e quando entrarono i terroristi provò a parlare con loro ma fu ucciso a sangue freddo. Padre Thaer, celebrava la Messa e scese dall’altare provando anche lui a parlare con i terroristi e dicendo a loro: "Che cosa volete?, parlate con me e lasciate i fedeli". Subito un terrorista gli sparò versando il suo sangue sull’altare. Secondo le testimonianze raccolte, dando l’ultimo respiro disse: "Tra le tue mani consegno il mio spirito”. Alcuni dei diaconi riuscirono portare mons. Raffael Quataimi nella sagrestia, e nascosero lì anche una cinquantina di fedeli. Quando i terroristi furono in Chiesa costrinsero i fedeli a sdraiarsi a terra seminando gli ordigni che esplodendo causarono la morte di decine di persone.
L’appello di Benedetto XVI
Ancora oggi è considerato il più sanguinoso attentato contro i cristiani in Iraq dalla caduta di Saddam Hussein. “Un'assurda” e “feroce violenza” contro “persone inermi” fu definita da Papa Benedetto XVI che fece appello alla comunità internazionale affinché fosse messa fine alle violenze nel Paese.
Conclusa la fase diocesana del processo di beatificazione
A nove anni esatti di distanza si conclude oggi a Baghdad la fase diocesana della Causa di Beatificazione e Dichiarazione di Martirio dei 48 servi di Dio, iniziata  lo scorso gennaio. Si tratta dei sacerdoti Thaer Abdal e Wassim Kas Boutros, e 46 fratelli nella fede: famiglie intere molto giovani, madri e padri di tutte le età, una ragazzina di 11 anni, Adam di 3 anni, un neonato di soli 3 mesi e un bambino non nato, in grembo alla madre anche lei morta durante l'attentato.
Procedono le cause di altri martiri iracheni
Lo scorso settembre sono arrivate alla Congregazione delle Cause dei Santi i processi per il riconoscimento del martirio di suor Cecilia Moshi Hanna, uccisa a Baghdad nel 2002, e di padre Ragheed Ganni e dei sui tre diaconi della Chiesa caldea fermati e trucidati da un gruppo di terroristi a Mosul nel 2007. Intanto in Iraq non si fermano le proteste contro il carovita e la corruzione, dimostrazioni spesso represse con la violenza: dall'inizio di ottobre sono più di 250 i manifestanti uccisi a Baghdad e nelle città del sud. L'Onu parla di uccisioni deliberate di manifestanti disarmati e di uso eccessivo della forza da parte delle unità schierate per gestire le proteste.
Padre Luis: da questo martirio segni di speranza
Postulature diocesano e romano, della causa dei 48 cristiani uccisi nella cattedrale di Baghdad, è don Luis Escalante parroco a Sant’Antonino a Fara Sabina, recentemente tornato da una visita in Iraq. Dalle sue parole conosciamo meglio la testimonianza di santità lasciata dal sacrificio di questi martiri del XXI secolo:
Questa della Chiesa siro-cattolica è una causa molto numerosa e questo gruppo così numeroso ha a capo padre Saher*, un sacerdote di soli 32 anni: non era lui, il parroco, ma quel giorno, domenica, toccava a lui presiedere la Santa Messa delle 17. Poi c’è un sacerdote ancora più giovane, di 27 anni, padre Ouassim**, che in quel momento stava confessando, al fondo della chiesa. Poi, il resto, il gruppo dei 48 include 10 gruppi familiari di tutti i tipi: padre e figli, una famiglia intera … e rappresentano tutte le fasce d’età, piuttosto nella fascia giovane, possiamo dire: gli anziani sono di meno; perché i terroristi cercavano precisamente i più giovani e prevalentemente maschi. Tra i piccoli c’è un bambino non nato, perché la mamma era incinta. Rappresentano un gruppo di cristiani con una discreta situazione economica in un momento molto convulso: l’anno 2010.
Ci sono anche dei bambini e quindi si è voluto veramente annientare il cuore della Chiesa irachena, e anche rompere quel mosaico iracheno di convivenza con le altre religioni …
Infatti. Questo attacco era stato preceduto da altri attacchi a diverse chiese cristiane, senza distinzione di rito. All’interno di questo gruppo c’è anche un membro caldeo che andava a Messa lì per abitudine, e i bambini sono molti: io lo chiamo un nuovo Daniele di Babilonia, un bambino di nome Adam. E’ una figura importantissima durante il massacro, perché lui è tra gli ultimi a morire e come una voce costante che richiama alla pace, che segna il crimine orrendo che si sta compiendo. Alla fine, per non sentirlo più parlare, lo uccidono in braccio alla madre.
Proprio il 31 ottobre si celebrava in quella chiesa una giornata speciale sulla santificazione: può parlarcene?
Sì. La cosa interessante è che nel calendario della Chiesa siro-cattolica non esiste la nostra festa del primo novembre, di Tutti i Santi. Comunque, il sacerdote sapeva di questa Giornata mondiale della santificazione, come è chiamata nella pastorale, che tutti siamo chiamati alla santità. Questa chiamata diventò ambito martirale per questo gruppo perché tutti i 48 morirono dentro la chiesa, nessuno dei feriti morì in seguito, quasi come se dalla tavola terrestre, dove partecipavano a questa giornata della santificazione, Dio li chiamò – quelli che Lui reputò degni. Perciò, la Chiesa che celebra la santità di tutti i suoi figli il primo novembre, lì acquistò un valore letterale perché tutti entrarono nella vita eterna chiamati precisamente per essere cristiani.
Che frutti ha dato questo sacrificio dei 48 cristiani?
Sono passati solo nove anni; purtroppo, i frutti ancora sono frutti del maligno, perché in seguito a questo attentato due terzi della comunità siro-cattolica hanno abbandonato l’Iraq: per quello è stato – ed è ancora – difficile trovare testimonianze riguardo ad alcuni dei martiri dei quali non si sa nemmeno se abbiano un parente vivo. Ma i frutti che nella diaspora e nelle testimonianze che l’istruttore, l’arcivescovo di Baghdad, è riuscito a fare è di grande speranza. Cioè è un frutto che – come diceva San Francesco di Sales – che cresce piccolo ai piedi della Croce.
Lei è appena tornato dall’Iraq, che è una terra che continua a soffrire e dove i cristiani continuano a subire una sistematica persecuzione. Può dirci cosa ha visto, qual è la situazione?
  La situazione è molto difficile, perché sconfitto il cosiddetto Daesh o califfato nella parte Nord dell’Iraq, i cristiani – chiamati dai pastori, dai vescovi – con un aiuto discreto – si nota l’aiuto dal mondo, soprattutto delle organizzazioni cattoliche, nella ricostruzione delle chiese, dei servizi … Il problema di quelli che già sono tornati dalla diaspora: tanti hanno vissuto nei campi di rifugiati in Giordania o in Turchia; tra quelli che avevano deciso di rientrare, più di una famiglia ha scelto di lasciare di nuovo il Paese perché si trovano che lo spirito che aveva accolto o che aveva permesso l’insediamento del cosiddetto califfato, quello spirito rimane: cioè, le persone che hanno accolto Daesh ancora stanno vivendo nei villaggi intorno a Mosul e a Baghdad. E quindi, le difficoltà nel lavoro, le costanti discriminazioni per non parlare delle minacce … creano la realtà del fatto che non è facile, tornare. E pertanto non difenda tutti.

*
Padre
Thaer Abdal 
** Padre Wassim Kas Boutros
Nota di Baghdadhope

30 ottobre 2019

Il Papa per l'«amato» Iraq: si ascolti il grido della popolazione

By Avvenire

Lasciarsi guidare nell'evangelizzazione dallo Spirito Santo, che è il vero protagonista della missione della Chiesa. È l'esortazione di papa Francesco all'udienza generale di questo mercoledì in Piazza San Pietro. Il Pontefice invita a chiedere allo Spirito «una fede audace capace di spezzare le catene, e anche apertura di cuore», a Dio e ai fratelli. Proseguendo il ciclo sugli Atti degli Apostoli, la catechesi di oggi è incentrata sul tema «Vieni in Macedonia e aiutaci!». IL TESTO INTEGRALE


«Chiediamo allo Spirito un cuore aperto ai fratelli»
«Leggendo gli Atti degli Apostoli - esordisce il Papa - si vede come lo Spirito Santo è il protagonista della missione della Chiesa: è Lui che guida il cammino degli evangelizzatori mostrando loro la via da seguire. Questo lo vediamo chiaramente nel momento in cui l'apostolo Paolo, giunto a Troade, riceve una visione. Un macedone lo supplica: "Vieni in Macedonia e aiutaci!". Il popolo della Macedonia del Nord è fiero di avere chiamato Paolo. Ricordo quel popolo che mi ha accolto con tanto calore. Conservino la fede che Paolo gli ha predicato».
Il Pontefice indica i tre momenti chiave del soggiorno di Paolo: «L'evangelizzazione e il battesimo di Lidia e della sua famiglia; l'arresto che subisce, insieme a Sila, dopo aver esorcizzato una schiava sfruttata dai suoi padroni; la conversione e il battesimo del suo carceriere e della sua famiglia. Una volta che il cuore è aperto, la persona può dare ospitalità a Cristo e agli altri: Lidia,infatti, accoglie Cristo ricevendo il Battesimo insieme alla sua famiglia e accoglie quelli che sono di Cristo, ospitando Paolo e Sila nella sua casa. Abbiamo qui la testimonianza dell'approdo del cristianesimo in Europa: l'inizio di un processo di inculturazione che dura ancora oggi».
Dalla consolazione, alla desolazione. «Dopo il calore sperimentato a casa di Lidia, Paolo e Sila - racconta il Pontefice - si trovano poi a fare i conti con la durezza del carcere, passano dalla consolazione della conversione di Lidia alla desolazione del carcere dove vengono gettati per aver liberato nel nome di Gesù «una schiava che aveva uno spirito di divinazione» e «procurava molto guadagno ai suoi padroni» come indovina. I suoi padroni, per ritorsione, conducono gli Apostoli davanti ai magistrati con l'accusa di disordine pubblico».
«Anche oggi c'è gente che paga per questo
- ha aggiunto il Papa a braccio -. Io ricordo che nella mia diocesi, in un parco molto grande, c'erano più di 60 tavolini dove seduti c'erano gli "indovinatori", le "indovinatrici" che leggevano la mano e la gente crede a queste cose e paga». Così la schiava Lidia «indovinava il futuro, leggeva le mani come dice la canzone, "prendi questa mano zingara"... E per questo la gente pagava», ha aggiunto Francesco.
«Durante la prigionia accade però un fatto sorprendente. Invece di lamentarsi, Paolo e Sila intonano una lode a Dio e questa lode sprigiona una potenza che li libera: durante la preghiera un terremoto scuote le fondamenta della prigione, si aprono le porte e cadono le catene di tutti. Come la preghiera della Pentecoste, anche quella fatta in carcere provoca effetti prodigiosi. Nel cuore della notte
- spiega il Papa - il carceriere ascolta la parola del Signore insieme alla sua famiglia, accoglie gli apostoli, ne lava le piaghe e insieme ai suoi riceve il Battesimo; poi, «pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio, imbandisce la mensa e invita Paolo e Sila a restare con loro. È il momento della consolazione».
«Chiediamo anche noi oggi allo Spirito Santo
- conclude il Papa - un cuore aperto, sensibile a Dio e ospitale verso i fratelli, come quello di Lidia, e una fede audace, come quella di Paolo e di Sila, capace di spezzare le catene, nostre e di chi ci sta accanto».

L'appello per «l'amato» Iraq

«Cari fratelli e sorelle, il mio pensiero va all'amato Iraq, dove le manifestazioni di protesta avvenute durante questo mese hanno causato numerosi morti e feriti. Mentre esprimo cordoglio per le vittime e vicinanza alle loro famiglie e ai feriti, invito le autorità ad ascoltare il grido della popolazione che chiede una vita degna e tranquilla».
Esorto tutti gli iracheni, con il sostegno della comunità internazionale, a percorrere la via del dialogo e della riconciliazione e a cercare le giuste soluzioni alle sfide e ai problemi del Paese».

29 ottobre 2019

Incontro dei capi delle chiese o dei loro rappresentanti a Baghdad


Su invito del patriarca cardinale Louis Raphael Sako, i capi delle chiese o i loro rappresentanti (perché alcuni di loro sono all'estero) si sono incontrati la mattina del 29 ottobre 2019 presso la sede del patriarcato caldeo nel quartiere di  Al-Mansour a Baghdad per discutere dell'attuale situazione in Iraq.
All'incontro hanno partecipato entrambi i vescovi ausiliari Mar Basilios Yaldo e Mar Robert Saeed Jarjis.

Dichiarazione dei capi o dei rappresentanti di diverse chiese a Baghdad
Noi, capi o rappresentanti delle chiese in Iraq, ci siamo incontrati presso il quartier generale del patriarcato caldeo a Baghdad per discutere dell'attuale situazione nel nostro amato paese, e per rendere tutti consapevoli delle efficaci "misure" per proteggerlo dallo scivolare verso l'ignoto.
Confermiamo la nostra solidarietà con una manifestazione pacifica e sosteniamo le genuine richieste dei manifestanti di: lavoro, alloggi, servizi, assistenza sociale e sanitaria, una ferma lotta alla corruzione nonché il recupero del denaro" iracheno" saccheggiato.

Come pastori iracheni, e alla luce della nostra storica responsabilità nei confronti di questo paese culla di civiltà, invitiamo il governo a prendere decisioni coraggiose e storiche che dovrebbero effettivamente riformare ciò che deve essere riformato attraverso un dialogo culturale responsabile e coraggioso, lontano dall'uso della forza e dalla violenza che non servono al paese. Rendiamo inoltre onore a questi giovani uomini e donne, che rappresentano il futuro dell'Iraq, per le loro pacifiche proteste, per il loro superare le barriere settarie, per il loro sottolineare l'identità nazionale irachena e per il loro concentrarsi sul rendere l'Iraq una società civile che rispetta il pluralismo e una casa per tutti.
Con cuori pieni di speranza invitiamo tutti i manifestanti a mantenere pacifiche le loro manifestazioni non permettendo agli intrusi di farle loro, ed evitando di attaccare proprietà pubbliche e private.
Invitiamo anche il Governo ad assumersi le proprie responsabilità proteggendo le vite dei manifestanti ed il loro diritto ad esprimere pacificamente le proprie opinioni. 
 
Preghiamo infine Dio onnipotente di concedere la Sua misericordia alle anime delle vittime  dei manifestanti e delle forze di sicurezza, di guarire i feriti e di illuminare la mente di tutti per fare dell'Iraq un paese di gloria.

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Meeting of Church Leaders or their Representatives in Baghdad

Meeting of Church Leaders or their Representatives in Baghdad


Photo Chaldean Patriarchate

At the invitation of Patriarch Louis Raphael Cardinal Sako, leaders of Churches or their representatives (because some of them are abroad) met in the morning of November 29, 2019 at the Chaldean Patriarchate headquarters in Al-Mansour, Baghdad to discuss the current situation in Iraq.
The meeting was attended by both Auxiliary Bishops Mar Basilios Yaldo and Mar Robert Saeed Jarjis.

Statement by Leaders or Representative of Different Churches in Baghdad

We leaders or representatives of the Churches in Iraq, met at the Chaldean Patriarchate headquarters in Baghdad to discuss the current situation in our beloved Country and in order to make everyone aware of the effective “measures” to protect Iraq from slipping into the unknown.
"We confirm our solidarity with a peaceful demonstration and support protesters’ genuine demands for jobs; housing; services; social and health care; a decisive fight against corruption; as well as the recovery of the looted “Iraqi” money.
As Iraqi shepherds, and in view of our historical responsibility towards this country of civilizations, we call upon the government to make courageous and historical decisions that should effectively reform what needs to be reformed through a responsible and brave cultural dialogue, away from force and violence that does not serve the country.
Furthermore, we salute these young men and women, who represents the future of Iraq, for their peaceful protesting; overcoming sectarian barriers; emphasizing the one Iraqi national identity; and focusing on having Iraq as a civil society respecting pluralism and a home for all.
With hearts full of hope, we urge all protesters to keep their demonstrations peaceful, by not allowing intruders to kidnap it from them and avoid attacking public and private properties.
We also urge the Government to assume its’ responsibility by protecting the lives of protesters and their rights for a peaceful expression of opinions.
Finally, we pray to the Almighty God to grant His mercy on the souls of victims of both protesters and security forces; also to heal the injured; and to enlighten everyone’s mind to make Iraq a country of glory.

Iraq: proseguono le proteste. Morti a Karbala. La Chiesa caldea invita al dialogo

By AgenSIR
Daniele Rocchi

Spari sui manifestanti questa mattina a Karbala a sud di Baghdad. A terra sono rimasti oltre 20 morti e circa 800 feriti, secondo quanto riportato dalle fonti mediche della città. Ma il bilancio resta provvisorio. Testimoni hanno parlato di uomini incappucciati e vestiti di nero che, da un’auto in corsa, hanno sparato su un sit in di manifestanti da giorni accampati nella piazza luogo della strage per protestare contro le politiche del primo ministro Adel Abdul Mahdi, il carovita, la corruzione e la mancanza di servizi pubblici. Da quando sono cominciate le proteste, a inizio ottobre, hanno perso la vita almeno 250 persone. Da lunedì a Karbala è in vigore il coprifuoco che potrebbe, a questo punto, essere prolungato oltre la scadenza fissata inizialmente per oggi. Le immagini che arrivano dai social, messe on line dai manifestanti e dai giornalisti presenti, mostrano la repressione violenta da parte delle Forze di polizia. A Baghdad soldati iracheni sono stati ripresi mentre picchiavano con i manganelli alcuni studenti che protestavano.
Solo nello scorso week-end i morti sarebbero stati 74 e tremila i feriti. Le cronache parlano anche di edifici pubblici e del Governo presi d’assalto dai manifestanti. Non sono servite a placare le proteste le rassicurazioni del primo ministro Adel Abdul Mahdi, che in un discorso alla nazione, venerdì scorso, aveva promesso l’istituzione di un tribunale speciale per indagare sulla corruzione, progetti per incrementare i posti di lavoro e programmi abitativi. Le manifestazioni sono sostenute dal leader sciita Moqtada al-Sadr, che gode di un ampio seguito popolare. A rendere il panorama ancora più complesso è anche la cultura clientelare della politica irachena. Gli elettori in genere votano i politici del proprio blocco etnico o settario nella speranza di essere destinatari di posti di lavoro nel settore pubblico. Un sistema che alimenta la corruzione e il clientelismo. Correggerlo non è semplice, richiede tempo e un cambio di mentalità. Non è un caso se l’Iraq è il dodicesimo Paese più corrotto al mondo, secondo Transparency International, l’organizzazione internazionale non governativa che si occupa di prevenire e contrastare la corruzione.

Appello al dialogo.
Solo pochi giorni fa il Patriarcato caldeo aveva diffuso una nota in cui faceva appello “alla coscienza dei responsabili del Paese, perché ascoltassero seriamente le richieste delle persone che lamentano lo stato di miseria in cui vivono, esortandoli a contrastare la corruzione e a impegnarsi nella gestione della pubblica amministrazione”. Al tempo stesso, il Patriarcato caldeo esortava i manifestanti “a restare pacifici, a rispettare le proprietà pubbliche” e le forze dell’ordine “a evitare ogni forma di abuso e di violenza sui manifestanti”.
“Questo è il tempo di un dialogo costruttivo per fare passi concreti cercando persone competenti, conosciute per la loro onestà e amore di patria, perché gestiscano gli affari del Paese”.

Solidale con le richieste del popolo
, che chiede un cambiamento effettivo, la Chiesa caldea sta accompagnando con la preghiera e con gesti concreti questo periodo di tensione civile. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato la visita del patriarca Mar Louis Sako. Insieme ai due ausiliari di Baghdad, mons. Basel Yaldo e mons. Robert Jarjis, ha voluto incontrare i feriti, civili e militari, delle manifestazioni di protesta, ricoverati all’ospedale Al-Kindi della capitale irachena. Guidato dal direttore dell’ospedale, come riportato dal sito Baghdadhope, il patriarca ha scambiato parole e abbraccio con alcuni dei feriti mettendo a disposizione del nosocomio mezzi e risorse per acquistare medicinali necessari. La situazione in Iraq, e a Baghdad in particolare, ha costretto il card. Sako a cancellare il previsto viaggio in Ungheria dove avrebbe dovuto incontrare il presidente Victor Orbán e il presidente russo Vladimir Putin. Il patriarca ha, inoltre, invitato i leader delle chiese locali ad un incontro. Obiettivo: fare il punto su quanto sta accadendo nel Paese, concordare una dichiarazione congiunta e a promuovere veglie di preghiera nelle chiese affinché si calmino gli animi, si ristabilisca la pace e si raggiunga la stabilità nel Paese.

Iraq, nella provincia di Ninive la ricostruzione è speranza

By Avvenire
Laura Silvia Battaglia

A Mosul chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ecco perché qui – nella città che si è "macchiata" di complicità con lo Stato Islamico – si protesta col contagocce contro il governo iracheno centrale. Eppure di motivi per scendere in piazza ce ne sarebbero molti. Nella Mosul che cerca di ricostruirsi un’identità dopo gli anni di governo del Daesh si sta bene attenti a non fare passi falsi per non inimicarsi chi decide sulla ricostruzione. I manifestanti in piazza gridano "Eyab Eyab", chiedendo al governo di Adel Abdul Mahdi le dimissioni. In città si accendono candele in ricordo di chi ha perso la vita negli altri centri urbani durante le proteste: è stata issata la bandiera irachena e rispettato un minuto di silenzio. Ma, comparata alle altre manifestazioni che sono partite dalle città del Sud dell’Iraq, Bassora in testa, fino alla capitale Baghdad, la reazione di Mosul è stata blanda.
Il fatto è che qui a Mosul la protesta non è scontata perché l’area è governata dal sindaco Zuhair al-Araji, esponente della coalizione Fatah, e vicina alla personalità politica di Falih al-Fayyad, chairman delle Popular Mobilization Forces che hanno contribuito alla liberazione di Mosul e sulla quale convergono interessi economici nel settore energetico e consenso popolare comune. Al Araji, infatti, è l’unica autorità locale che non è stata fatta fuori dalla pulizia politica operata dal premier nello scorso marzo quando, dopo la tragedia del traghetto andato alla deriva sul Tigri con centinaia di persone a bordo, soprattutto donne e bambini, tutti morti annegati, Mahdi ha sostituito il governatore della provincia di Ninive Nufal Hammadi con Manour al Mareed e gli ha affidato la gestione della città. Così a Mosul non si vedeva una protesta da quel marzo, quando centinaia di persone si sono riversate in strada per chiedere giustizia per le vittime e maggiore sicurezza nei trasporti via battello sul Tigri. Se allora il primo imputato sul tribunale dei cittadini era il governatore della provincia, oggi è il sistema Paese.
Abdul-Jabbar al-Joubri, un residente che ha perso moglie e figli nel disastro del traghetto, ripete una narrativa che accomuna molti abitanti di Mosul: «In Iraq non c’è speranza di avere giustizia, la corruzione è imperante. Io non mi fido di nessuno. E poi qui a Mosul ci stanno già facendo pagare il fatto di esserci piegati al Daesh. Avete visto la città vecchia a Ovest? In due anni è ancora tutta rasa al suolo». La visita nella vecchia Medina di Mosul ce lo conferma: qui non c’è più traccia di secoli di storia, e della stratificazione di civiltà e fedi, dalle sinagoghe alle chiese fino alle moschee. Tutto è ridotto a un informe ammasso di macerie. L’unica differenza con i giorni immediatamente successivi alla liberazione della città, di cui siamo stati diretti testimoni, è l’assenza di puzzo di carogna, l’odore inevitabile di ogni guerra.
Omar Saad, che sta ricostruendo con fatica la sua casa di proprietà, ancora miracolosamente intatta, sul limitare del perimetro della città vecchia, dice: «Hanno tolto solo i cadaveri, tirando via per ultimi quelli degli attentatori suicidi. Parrebbe che ci siano molte mine antiuomo, lasciate dal Daesh prima di abbandonare le case e infatti, ogni tanto, ci scappa un ferito. Ma potrebbero procedere molto più velocemente a sminare, invece è tutto fermo da due anni». Il fatto è che prima bisogna aspettare che la giustizia faccia il suo corso, almeno nell’identificazione dei traffici illeciti e dei movimenti di denaro di migliaia di dollari tra affiliati del Daesh sotto copertura a Mosul. Anche gli aiuti internazionali stanno arrivando, ma lentamente e sono sempre troppo pochi: dopo la Conferenza del febbraio 2019 in Kuwait, 330 milioni di dollari sono stati stanziati subito per la ricostruzione solo dal Kuwait, anche se, secondo le stime delle Nazioni Unite, per ricostruire 40mila case solo a Mosul sarebbero necessari 17 miliardi di dollari e 42 per tutta la provincia.
Il governatore della provincia di Ninive, Nofal al-Akoub, lo ha fatto presente alla Conferenza prima e più volte poi. Gli aiuti americani sulla provincia di Ninive sono concentrati sulle comunità cristiane a rischio estinzione e dispersione, soprattutto a Qaraqosh, dove gli Stati Uniti stanno finanziando diversi progetti, tra cui la ricostruzione delle fattorie ad opera dell’italiana Avsi per un totale di 3milioni di dollari. Un’operazione che sta coinvolgendo 101 aziende in due anni per un totale di più di 3.262 beneficiari.  

Baghdad, il patriarca Sako visita i giovani feriti nelle manifestazioni


Foto Patriarcato Caldeo
“Sono rimasto molto colpito da questi giovani, sono tanti, che ho incontrato in ospedale. Sono ragazzi di soli 16, 17 anni; alcuni di 20, erano lì con le loro famiglie nelle manifestazioni, quando sono rimasti feriti, alcuni dei quali in modo grave”. Lo racconta ad AsiaNews il patriarca caldeo, card Louis Raphael Sako, che ha visitato questa mattina un ospedale della capitale dove sono stati ricoverati parte delle (centinaia) di feriti delle proteste anti-governative. “Fra di essi vi sono alcuni cristiani, ma la maggior parte di loro - aggiunge il porporato - sono musulmani e sono stati felici di incontrarmi. Mi hanno ringraziato per la visita”.
Il nosocomio sorge in una zona diversa della capitale, lontano dal patriarcato. Il card Sako, rischiando di rimanere egli stesso coinvolto negli scontri, ha voluto visitare di persona i giovani colpiti nelle proteste del fine settimana, dove si sono registrate almeno 74 vittime in un crescendo di violenze che hanno interrotto una tregua in atto da due settimane. Il bilancio complessivo dei morti dal primo ottobre “è di oltre 250” racconta il porporato e “almeno 9mila i feriti”. “Prima di andare via - aggiunge - ho incontrato il direttore sanitario e gli ho voluto fare un’offerta in denaro, per contribuire all’acquisto delle medicine”.
Nella mattinata di oggi le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni contro studenti delle superiori e universitari, scesi in piazza a Baghdad e nelle città del sud teatro della protesta accanto ai manifestanti nonostante i divieti delle autorità. Un portavoce del Primo Ministro Adel Abdul Mahdi, la cui posizione si fa sempre più precaria dall’ascesa al potere un anno fa, è tornato ad attaccare i manifestanti. Egli si è rivolto soprattutto agli studenti, minacciando “severe punizioni” contro chiunque ostacoli il regolare svolgimento delle lezioni.
Alcuni giovani hanno intonato slogan e canti fra cui “Basta scuola, basta classi, fino a che il regime non collassi!”. Testimoni riferiscono di centinaia di studenti, con le loro uniformi, uniti ai manifestanti. In alcuni casi anche i loro professori hanno voluto unirsi alle dimostrazioni popolari. Il sindacato degli studenti di Diwaniyah, cittadina 180 km a sud di Baghdad, hanno annunciato 10 giorni di sciopero, “fino alla caduta del regime”. 
Circa il 60% dei 40 milioni di irakeni hanno un’età inferiore ai 25 anni ed è proprio il tasso di disoccupazione giovanile (attorno al 25%) a destare le maggiori preoccupazioni. Oltre alla mancanza di lavoro pesa la sensazione diffusa di insicurezza, la percezione di una corruzione diffusa e il rischio di una escalation militare o una deriva jihadista. E una persona su cinque vive al di sotto della soglia di povertà. Fra le richieste dei cittadini in piazza: lo scioglimento del Parlamento, un esecutivo a tempo chiamato a promuovere le riforme più urgenti, emendamenti alla Costituzione ed elezioni anticipate, sotto l’egida e il controllo delle Nazioni Unite. Ieri quattro deputati hanno rassegnato le dimissioni, come gesto di solidarietà verso i manifestanti. 
“Sono rientrato dalla visita di questa mattina - racconta il card Sako - con i giovani feriti nella testa. Ragazzi e ragazze che cercano solo pace, una vita dignitosa, un futuro e un lavoro. Non hanno agende politiche, non si muovo con finalità religiose. La maggior parte delle persone in piazza non era nemmeno nata o era giovanissima quando è caduto il regime di Saddam Hussein, quindi la classe politica non può accusarli di connivenze o strumentalizzazioni”. Essi sono “contro una cultura settaria, vogliono il rispetto dei diritti umani e, nonostante i morti, i feriti e le violenze sono pronti a continuare. Io ho detto che prego per loro”. 
Per essere vicino alla popolazione e seguire in prima persona la situazione, il patriarca Sako ha cancellato una visita in programma in Ungheria, dove avrebbe dovuto incontrare il presidente russo Vladimir Putin ad un convegno dedicato alla situazione dei cristiani. “Ho chiamato i capi religiosi - conclude il porporato - per proporre un incontro. Come pastori dobbiamo restare vicini alla nostra gente e fare attenzione alle parole, che possono essere male interpretate. Preghiamo e speriamo, in un contesto che si fa sempre più delicato”.

28 ottobre 2019

Cristiani a rischio nella Siria nordorientale. Sacerdote ad ACS: «Siamo l'anello debole perchè vogliamo vivere in pace»

By Aiuto alla Chiesa che Soffre

Foto Patriarcato Caldeo
«Almeno trecento cristiani hanno lasciato le città di Ras al-Ain, Derbasiyah, Tall Tamr ed una parte di al-Malikiyah e temiamo che se gli scontri proseguiranno, un esodo perfino maggiore di fedeli potrebbe interessare anche Qamishli, dove attualmente vivono 2300 famiglie cristiane». È il racconto disperato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre di monsignor Nidal Thomas, rappresentante episcopale della Chiesa caldea ad Hassaké.
Il sacerdote descrive una situazione critica. «Non sappiamo quanto sta succedendo. Ogni ora sentiamo parlare di vittime e di dispersi nelle dichiarazioni di curdi, turchi, americani e russi. Ma noi non conosciamo la verità. L’unica certezza è che i bombardamenti e soprattutto i massacri commessi dai turchi contro la nostra comunità, spingono sempre più cristiani a fuggire».
Al momento sono poche le famiglie di fedeli che si sono rifugiate nel Kurdistan iracheno, ma monsignor Thomas ritiene che difficilmente i cristiani in fuga potrebbero scegliere come meta la regione semi-autonoma nel nord dell’Iraq. «La vita lì è troppo costosa per i poveri cristiani siriani. Senza contare che il popolo iracheno non ha fatto nulla per evitare il drammatico scenario che purtroppo si è concretizzato in Siria. Nel nostro Paese c’erano migliaia di famiglie cristiane. Nessuno ha cercato di difenderci».
Oggi i cristiani nella Siria nordorientale, nonostante la conferma dell’uccisione di Abu Bakr al Baghdadi, temono anche un ritorno del jihadismo. «È purtroppo un’eventualità con la quale dobbiamo fare i conti», afferma monsignor Thomas, secondo il quale molti degli uomini di ISIS sarebbero ora riuniti nell’Esercito libero siriano che è entrato nella regione di Ras al-Ain.
Il sacerdote, tramite Aiuto alla Chiesa che Soffre, si appella quindi alla comunità internazionale per chiedere un sostegno a nome della propria comunità. «Abbiamo bisogno di aiuto. Noi cristiani siamo il popolo che più ha sofferto a causa di questo interminabile conflitto. Siamo l’anello debole, perché vogliamo vivere in pace e rifiutiamo la guerra. Due terzi dei cristiani hanno lasciato il Paese e il restante terzo rischia di non sopravvivere. E nel frattempo i Paesi occidentali si scontrano tra loro per spartirsi la Siria, ridotta in ginocchio anche a causa delle sanzioni internazionali».

Il patriarca caldeo visita i feriti delle proteste antigovernative ed invita ad un incontro i leader delle chiese locali

By Baghdadhope*

Secondo quanto riferito dal Patriarcato Caldeo il Patriarca Mar Louis Sako, accompagnato dai due ausiliari di Baghdad, Mons. Basel Yaldo e Mons. Robert Jarjis, ha visitato nell'ospedale Al-Kindi i feriti, civili e militari, delle manifestazioni di protesta contro il governo che si stanno svolgendo in queste settimane in Iraq.
Accompagnato dal direttore dell'ospedale il patriarca ha incontrato alcuni dei feriti ed ha offerto alla struttura i mezzi per poter acquistare medicinali a loro necessari.
La situazione in Iraq, ed a Baghdad in particolare, ha obbligato Mar Sako a cancellare il previsto viaggio in Ungheria dove avrebbe dovuto incontrare il presidente Victor Orbán ed il presidente russo Vladimir Putin.  

Il Patriarca Sako ha inoltre invitato i leader delle chiese locali ad un incontro per fare il punto sulla situazione del paese e esprimere una dichiarazione congiunta a proposito, ed i 
sacerdoti a pregare perchè si calmino gli animi e si ristabiliscano la pace e la stabilità nel paese.  

25 ottobre 2019

Conversazione telefonica tra il Presidente dell'Iraq e il Segretario di Stato Vaticano Cardinale Pietro Parolin


Secondo una breve nota apparsa sul sito della Presidenza irachena, oggi giovedì 24, il Cardinale Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, ha avuto una conversazione telefonica con Barham Salih, Presidente dell'Iraq. La nota irachena spiega che il porporato ha rinnovato gli auguri della Santa Sede al popolo iracheno perché possa vivere in pace e in armonia. Al tempo stesso, il Segretario di Stato ha sottolineato la rilevanza del diritto del popolo iracheno a raggiungere il benessere nel rispetto della vita libera e dignitosa.
Il Cardinale Parolin e il Presidente Barham Salih si incontrarono in occasione della visita del Segretario di Stato in Iraq durante le feste di Natale 2018. Rientrando in Vaticano precisò di ritenere che in Iraq non c'erano ancora le condizioni per una eventuale visita del Santo Padre che, come è ben noto, desidera recarsi in questa Nazione. 
Giorni fa, sulla stampa irachena sono tornate le indiscrezioni, rimaste senza nessuna conferma ma neanche smentita, di un possibile viaggio del Pontefice i primi mesi del 2020.

By Iraqi Presidency

President Gets a Call from Vatican Secretary of State

24 ottobre 2019

Sako: ascoltare la voce degli iracheni non spegnerla con violenza

By Vatican News
Benedetta Capelli

Alla vigilia delle manifestazioni di domani in Iraq indette per protestare contro la corruzione e il carovita, il cardinale Sako lancia un appello al governo perché ascolti il disagio della gente e scongiura il ricorso alla violenza che ha già provocato quasi 150 vittime
Solidarietà a chi manifesta pacificamente, a chi aspira ad un domani migliore e crede nel confronto e nel dialogo. Così il Patriarcato caldeo di Baghdad in una nota, pubblicata qualche giorno fa, è intervenuto sulle recenti violenze che hanno investito l’Iraq ed hanno provocato 149 vittime dal primo ottobre. Violenze innescate dalle “richieste delle persone che lamentano lo stato di miseria in cui vivono – scrive il Patriarcato - dal peggioramento dei compiti della pubblica amministrazione e dalla propagazione della corruzione nella maggior parte dello Stato”.

Ascolto delle richieste

“Facciamo appello alla coscienza dei responsabili del Paese”: si legge nella nota nella quale si invita a “fare passi concreti” ad avviare “un costruttivo dialogo” e alle forze di sicurezza si chiede di rispettare “il diritto di manifestare”, evitando la violenza. Il Patriarcato caldeo mette in luce anche la “distanza dalla politicizzazione” dei manifestanti, al di là delle barriere settarie, riconoscendo una sola identità irachena.


Cardinale Sako: giuste le domande della piazza
A Vatican News, il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, ribadisce la solidarietà e la vicinanza della Chiesa ai manifestanti:
Vogliono cambiare questo regime che sembra essere corrotto. Ci sono solo discorsi, non fatti reali. Le misure prese dal governo sono ambigue, dove è andato a finire il denaro? E come è stato utilizzato? Da 16 anni non ci sono progetti. La gente vuole un governo trasparente, onesto, che ami la patria e aiuti i cittadini a vivere con dignità, lasciando da parte tutte le influenze regionali e internazionali per concentrarsi sull’Iraq. E’ una sfida ma il governo non ha una visione chiara, né piani concreti per risolvere questi problemi e mettere l’Iraq sulla buona strada. Abbiamo fatto questo appello perché si rispettino la vita e i diritti dei manifestanti e si intraprenda un dialogo civile e pacifico.
Nella nota che avete scritto ribadite che è la prima volta dal 2003 che i manifestanti hanno espresso le loro rivendicazioni in maniera assolutamente pacifica. La risposta però è stata estremamente violenta, si parla di 149 vittime...
E’ vero, hanno usato la violenza. Non si può forzare la gente a chiudere la bocca e a chi ha diritto di esprimersi e dire ciò che vuole. Il governo deve ascoltare le loro domande e cercare soluzioni appropriate e non solo mettere paura o usare la violenza. Tutti i politici e alcuni parlamentari hanno reagito contro questo metodo che appartiene al passato e non deve essere riproposto oggi in un Iraq democratico, libero.
La Chiesa ha espresso la sua solidarietà nei confronti del popolo iracheno. Qual è l’invito che vuole fare in vista soprattutto della manifestazione di domani?
Siamo solidali con le loro domande: sono domande giuste, la gente aspetta da tempo un cambiamento, questi giovani non hanno lavoro, la miseria è dappertutto. Il nostro è un Paese molto ricco e secondo me le manifestazioni del Libano hanno un grande impatto sulla nostra gente perché lì le donne, gli uomini, anche l’esercito, tutti rispettano la manifestazione e la reazione è una reazione civile, nel dialogo. Dobbiamo imparare da loro. La gente chiede che siano prese delle misure, che siano arrestati i corrotti e che venga recuperato il denaro per aiutare... E’ la grande sfida sia del governo sia del popolo.

Aiuto alla Chiesa che Soffre. Focus sulla persecuzione anticristiana tra il 2017 e il 2019: IRAQ

By Aiuto alla Chiesa che Soffre

I cristiani sono il gruppo religioso maggiormente perseguitato e l’asse del fondamentalismo islamista si è ormai spostato dal Medio Oriente all’Africa e all’Asia meridionale ed orientale. È quanto emerge dal nuovo studio sulla persecuzione anticristiana della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. Perseguitati più che mai. Focus sulla persecuzione anticristiana tra il 2017 e il 2019  (cliccare qui per il testo integrale della ricerca)  è stato presentato stamattina a Roma nella basilica di San Bartolomeo all’Isola ed esamina gli sviluppi più significativi nei 20 Paesi che destano maggiore preoccupazione a causa delle violazioni dei diritti umani subite dai cristiani, dal luglio 2017 ad oggi.

IRAQ
I cristiani tornano lentamente nelle loro città e nei loro villaggi nella Piana di Ninive dopo il tentativo da parte di ISIS di eliminare il Cristianesimo da queste terre. Nell'ottobre 2018, durante una visita nel Regno Unito organizzata da Aiuto alla Chiesa che Soffre, l'arcivescovo caldeo Habib Nafali ha dichiarato che i cristiani iracheni hanno subito sistematicamente violenze con il fine deliberato di sradicarli dalla loro patria: «Se questo non è genocidio, allora cos'è il genocidio?» (1) Lo stesso sentimento è stato espresso dal patriarca caldeo Louis Raphael I Sako (2)
Nel giugno 2019 poco
più del 46% delle famiglie fuggite era ritornato, ma le Chiese hanno continuato a lamentare la mancanza di un sostegno alla ricostruzione sia a livello nazionale che internazionale. Don Salar Kajo, del Comitato Ricostruzione Ninive istituito dalle Chiese locali, ha affermato che «dopo il primo anno di ricostruzione, l'unico canale di aiuto è giunto esclusivamente attraverso la Chiesa», notando tuttavia come il governo ungherese abbia fornito un contributo diretto. (3) Il processo di rimpatrio è stato complicato da problemi legati alla sicurezza, con episodi di aggressioni ai cristiani e di espropriazione delle loro terre da parte delle stesse milizie che dovrebbero invece proteggere i loro insediamenti. (4)
In tutto il Paese le comunità
cristiane affrontano diversi problemi, tra cui le tasse aggiuntive che vengono imposte nelle aree a maggioranza cristiana dalla regione autonoma curda (5), la mancanza di sostegno per coloro che hanno subito violenze sessuali (6), la confisca illegale di almeno 350 proprietà cristiane (7) e gli omicidi isolati di cristiani e appartenenti ad altre minoranze. (8)

DICEMBRE 2017
Il deputato Joseph Silewa si è lamentato del fatto che i cristiani di Qaraqosh e di Bartella siano stati aggrediti - in alcuni casi sessualmente - da membri della trentesima brigata delle Forze di Mobilitazione Popolare sciite e shabak (PMF). Il Direttore Generale degli Affari Cristiani del governo regionale del Kurdistan ha confermato che vi sono state molestie e abusi da parte di membri delle PMF e di altre milizie in seguito alla liberazione della Piana di Ninive dallo Stato Islamico. (9)
MARZO 2018
Il dottor Hisham Shafiq è stato pugnalato a morte insieme alla moglie e all’anziana madre nella loro casa di Bagdad. Padre Biyos Qasha ha dichiarato di temere che questi eventi facciano parte di un piano per costringere i cristiani ad abbandonare le loro abitazioni. (10)
GENNAIO 2019
Il nuovo programma di studi formulato dal Ministero della Pubblica Istruzione è stato condannato dal patriarca Louis Raphael Sako, leader della Chiesa caldea. «Ho letto dichiarazioni inesatte, inappropriate e offensive che incitano all'odio e alla divisione e che sono lontane dai valori di tolleranza, cittadinanza e coesistenza», ha dichiarato il prelato iracheno. Ad esempio, i libri di testo per bambini di età compresa tra 6 e 11 anni definiscono «malate» le donne che non portano il velo. (11)
APRILE 2019
La sparatoria contro una processione della Domenica delle Palme avvenuta a Bartella ha costretto i cristiani a rinunciare alla tradizionale cerimonia di inizio della Settimana Santa. Delle auto si sono affiancate alla processione, mentre le persone all'interno hanno aperto il fuoco. Meno di un terzo delle 3.800 famiglie cristiane che avevano lasciato Bartella vi ha fatto ritorno. Secondo quanto riferito, le milizie sciite shabak che controllano la sicurezza della città sono responsabili di diversi attacchi ai danni dei cristiani, incluso quello avvenuto di fronte alla chiesa di San Giorgio, dove i miliziani hanno sparato per più di un’ora per poi minacciare il parroco, padre Behnam Benoka. (12)

1. “Christianity in Iraq “one wave of persecution” from extinction”, The Tablet, 10 ottobre 2018, https://www.thetablet.co.uk/news/10842/christianity-in-iraq-one-wave-of-persecution-from-extinction2. John Newton, “Cardinal highlights threat to Christianity”, Aiuto alla Chiesa che Soffre, 29 settembre 2017, https://acnuk.org/news/iraq-cardinal-highlights-threat-to-christianity/
3.
John Newton, “Help families home now – or Christianity could disappear from the country”, Aiuto alla Chiesa che Soffre, 19 marzo 2018, https://acnuk.org/news/iraq-help-families-home-now-or-christianity-could-disappear-from-the-country/ 4. “Assyrian Christian Lands Forcibly Seized in Northern Iraq: Authorities Again Petitioned to Protect the Rights of Minorities”, International Christian Concern, 17 maggio 2018, https://www.persecution.org/2018/05/17/assyrian-christian-lands-forcibly-seized-northern-iraq/
5.
Business charges were added in Ankawa, Erbil and Semel near Duhok. Ankawa Today (Facebook), 2 luglio 2018, https://www.facebook.com/617288955025470/posts/1973203526100666/
6.
“Islamic State rape survivors in Iraq are like ‘living corpses’”, The New Arab, 10 marzo 2018, https://www.alaraby.co.uk/english/news/2018/3/10/is-rape-survivors-in-iraq-are-like-living-corpses
7.
“350 Christian Homes Illegally Seized in Iraq”, International Christian Concern, 21 novembre 2018, https://www.persecution.org/2018/11/21/350-christian-homes-illegally-seized-iraq/
8.
“Iraq: Christians concerned after spate of deadly violence”, Middle East Concern, 20 marzo 2018, https://meconcern.org/2018/03/20/iraq-christians-concerned-after-spate-of-deadly-violence/
9.
Sangar Ali, “Hashd al-Shaabi sexually harass Christians in Nineveh Plain: Christian MP”, Kurdistan 24, 15 dicembre 2017 (ultimo aggiornamento), http://www.kurdistan24.net/en/news/6ddbf5d1-0d0d-49f2-988e-64fb440cd88b
10.
“Christian Family Stabbed at Home by Armed Group in Baghdad”, International Christian Concern, 12 marzo 2018, https://www.persecution.org/2018/03/12/christian-family-stabbed-home-armed-group-baghdad/11. Claire Evans, “Iraqi Curriculum Issues Veiled Threat Against Christian Women”, International Christian Concern, 15 gennaio 2019, https://www.persecution.org/2019/01/15/iraqi-curriculum-issues-veiled-threat-christian-women/
12.
Account of attack from Archbishop Bashar Warda; “‘Trust is gone’: Iraqi Christians fear returning due to Shiite militia”, Daily Star (Libano), 12 febbraio 2019, http://www.dailystar.com.lb/News/Middle-East/2019/Feb-12/476387-trust-is-gone-iraqi-christians-fear-returning-due-to-shiite-militia.ashx?utm_content=buffer763df&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer ; “Militia Forces Threaten Iraqi Priest”, International Christian Concern, 3 dicembre 2018, https://www.persecution.org/2018/12/03/militia-forces-threaten-iraqi-priest/

22 ottobre 2019

Il Patriarcato invita i responsabili ad ascoltare le richieste del popolo e ad affrontare realmente la situazione

By Patriarcato Caldeo

Dall’inizio della manifestazione, del 1° ottobre 2019, noi in tutte le nostre chiese, preghiamo per la stabilità del nostro Paese e seguiremo con attenzione la manifestazione prevista per venerdì 25 di questo stesso mese.
Facciamo appello alla coscienza dei responsabili del Paese, di ascoltare seriamente le richieste delle persone che lamentano lo stato di miseria in cui vivono, del peggioramento dei compiti della pubblica amministrazione e della propagazione della corruzione nella maggior parte dello Stato, il che ha aggravato la situazione.
Questa è la prima volta dopo il 2003, che i manifestanti hanno espresso la loro pacificata manifestazione, e la loro distanza dalla politicizzazione, rompendo così le barriere settarie, sottolineando l’Identità Nazionale Irachena.
È come fare un pellegrinaggio per la nostra patria.
Nel momento in cui siamo solidali con le persone che esprimono il loro dolore e l’aspirazione per un domani migliore, chiediamo a tutti la padronanza di adottare una manifestazione pacifiche e civile, rispettando la proprietà pubblica ed evitando qualsiasi abuso che complicherebbe la situazione.
Inoltre chiediamo alle forze di sicurezza di rispettare il diritto a manifestare e di evitare violenza su di loro. Questo è il momento di affrontare, in modo responsabile i problemi accumulati, con un costruttivo dialogo e fare passi concreti cercando persone specializzate; note per la loro onestà e amore alla patria, affinché gestiscano gli affari del paese.
Il Signore della pace, doni la pace al nostro paese.

21 ottobre 2019

Sako: «Giustizia sociale e rispetto per una pace stabile»

By Romasette
18 ottobre 2019

Foto Pontificio Istituto Orientale
Il patriarca caldeo di Baghdad Louis Raphael Sako firma la prefazione all’opera “La Questione Caldea e Assira | 1908-1938. Documenti dell’Archivio segreto vaticano (Asv), dell’Archivio della Congregazione per le Chiese Orientali (Aco) e dell’Archivio Storico della Segreteria di Stato, Sezioni per i Rapporti con gli Stati (Ss.Rr.Ss.)” del gesuita Georges H. Ruyssen SJ, che sarà presentata sabato 9 novembre a Roma al Pontificio Istituto Orientale, in Aula Magna alle 16.30.
«Noi cristiani d’Oriente – scrive il cardinale – desideriamo costruire insieme ai nostri vicini musulmani una società in grado di rispettare il valore e la dignità di tutti, dove le autorità e le istituzioni statali si rivelino concretamente al servizio degli uomini e delle donne del nostro tempo». La persecuzione dei cristiani e la loro conseguente emigrazione, scrive il porporato, «hanno una lunga storia, iniziata ben prima del XX secolo e segnata da eventi di natura diversa: le vessazioni da parte delle autorità pubbliche, le discriminazioni sociali, i colpi di stato, le politiche del fondamentalismo musulmano, il terrorismo e le guerre nel Medio Oriente; un vasto territorio che ancora oggi è teatro di sanguinosi conflitti che spingono molti cristiani ad abbandonare i loro paesi d’origine perché nessun futuro, in questi luoghi, sembra ormai possibile».
Per il patriarca caldeo, «la pace e la stabilità sono condizioni essenziali per fare in modo che i cristiani ancora residenti possano restare nella terra natia e coloro che sono fuggiti dal fanatismo, dalla violenza e dalla guerra vi facciano ritorno». Tuttavia, prosegue, «la pace per essere stabile deve essere accompagnata dalla giustizia sociale e dal reciproco rispetto tra persone di diverse religioni, culture ed etnie; tutto ciò risulta possibile ove esista una Costituzione basata non tanto sull’appartenenza religiosa ma piuttosto sulla parità di cittadinanza».
Alla presentazione dell’opera – in quattro volumi – interverranno Andrea Riccardi, il professore Joseph Yacoub, monsignor Noël Farman in rappresentanza del patriarca Sako e il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali e gran cancelliere del Pontificio Istituto Orientale.