By Vatican News
Marco Guerra
Domenica 31 ottobre del 2010 un gruppo terroristico faceva irruzione,
durante la celebrazione della Messa, nella cattedrale siro-cattolica
Nostra Signora del perpetuo soccorso di Baghdad, dove erano presenti 150
persone tra sacerdoti, diaconi, coro e fedeli. Il commando composto da
cinque miliziani prese in ostaggio tutti i presenti, chiedendo la
liberazione di esponenti di Al-Qaeda. Il blitz delle forze di sicurezza
irachene e dei soldati statunitensi finì in un massacro in cui perirono
due sacerdoti e 46 laici. Oltre 70 i feriti che, in molti casi,
riportarono gravissime amputazioni.
La dinamica dell’attacco
I primi ad essere uccisi furono due giovani preti, padre Thaer e
padre Wassim, colpiti mentre cercavano di impedire al commando armato di
entrare. Waseem era seduto nel confessionale in fondo alla Chiesa,
vicino alle porte posteriori, e quando entrarono i terroristi provò a
parlare con loro ma fu ucciso a sangue freddo. Padre Thaer, celebrava la
Messa e scese dall’altare provando anche lui a parlare con i terroristi
e dicendo a loro: "Che cosa volete?, parlate con me e lasciate i
fedeli". Subito un terrorista gli sparò versando il suo sangue
sull’altare. Secondo le testimonianze raccolte, dando l’ultimo respiro
disse: "Tra le tue mani consegno il mio spirito”. Alcuni dei
diaconi riuscirono portare mons. Raffael Quataimi nella sagrestia, e
nascosero lì anche una cinquantina di fedeli. Quando i terroristi furono
in Chiesa costrinsero i fedeli a sdraiarsi a terra seminando gli
ordigni che esplodendo causarono la morte di decine di persone.
L’appello di Benedetto XVI
Ancora oggi è considerato il più sanguinoso attentato contro i
cristiani in Iraq dalla caduta di Saddam Hussein. “Un'assurda” e “feroce
violenza” contro “persone inermi” fu definita da Papa Benedetto XVI che fece appello alla comunità internazionale affinché fosse messa fine alle violenze nel Paese.
Conclusa la fase diocesana del processo di beatificazione
A nove anni esatti di distanza si conclude oggi a Baghdad la fase
diocesana della Causa di Beatificazione e Dichiarazione di Martirio dei
48 servi di Dio, iniziata lo scorso gennaio. Si tratta dei
sacerdoti Thaer Abdal e Wassim Kas Boutros, e 46 fratelli nella fede:
famiglie intere molto giovani, madri e padri di tutte le età, una
ragazzina di 11 anni, Adam di 3 anni, un neonato di soli 3 mesi e un
bambino non nato, in grembo alla madre anche lei morta durante
l'attentato.
Procedono le cause di altri martiri iracheni
Lo scorso settembre sono arrivate alla Congregazione delle Cause dei
Santi i processi per il riconoscimento del martirio di suor Cecilia
Moshi Hanna, uccisa a Baghdad nel 2002, e di padre Ragheed Ganni e dei
sui tre diaconi della Chiesa caldea fermati e trucidati da un gruppo di
terroristi a Mosul nel 2007. Intanto in Iraq non si fermano le proteste
contro il carovita e la corruzione, dimostrazioni spesso represse con la
violenza: dall'inizio di ottobre sono più di 250 i manifestanti uccisi a
Baghdad e nelle città del sud. L'Onu parla di uccisioni deliberate di
manifestanti disarmati e di uso eccessivo della forza da parte delle
unità schierate per gestire le proteste.
Padre Luis: da questo martirio segni di speranza
Postulature diocesano e romano, della causa dei 48 cristiani uccisi nella cattedrale di Baghdad, è don Luis Escalante
parroco a Sant’Antonino a Fara Sabina, recentemente tornato da una
visita in Iraq. Dalle sue parole conosciamo meglio la testimonianza di
santità lasciata dal sacrificio di questi martiri del XXI secolo:
Questa della Chiesa siro-cattolica è una causa molto numerosa e
questo gruppo così numeroso ha a capo padre Saher*, un sacerdote di soli
32 anni: non era lui, il parroco, ma quel giorno, domenica, toccava a
lui presiedere la Santa Messa delle 17. Poi c’è un sacerdote ancora più
giovane, di 27 anni, padre Ouassim**, che in quel momento stava
confessando, al fondo della chiesa. Poi, il resto, il gruppo dei 48
include 10 gruppi familiari di tutti i tipi: padre e figli, una famiglia
intera … e rappresentano tutte le fasce d’età, piuttosto nella fascia
giovane, possiamo dire: gli anziani sono di meno; perché i terroristi
cercavano precisamente i più giovani e prevalentemente maschi. Tra i
piccoli c’è un bambino non nato, perché la mamma era incinta.
Rappresentano un gruppo di cristiani con una discreta situazione
economica in un momento molto convulso: l’anno 2010.
Ci sono anche dei bambini e quindi si è voluto veramente
annientare il cuore della Chiesa irachena, e anche rompere quel mosaico
iracheno di convivenza con le altre religioni …
Infatti. Questo attacco era stato preceduto da altri attacchi a
diverse chiese cristiane, senza distinzione di rito. All’interno di
questo gruppo c’è anche un membro caldeo che andava a Messa lì per
abitudine, e i bambini sono molti: io lo chiamo un nuovo Daniele di
Babilonia, un bambino di nome Adam. E’ una figura importantissima
durante il massacro, perché lui è tra gli ultimi a morire e come una
voce costante che richiama alla pace, che segna il crimine orrendo che
si sta compiendo. Alla fine, per non sentirlo più parlare, lo uccidono
in braccio alla madre.
Proprio il 31 ottobre si celebrava in quella chiesa una giornata speciale sulla santificazione: può parlarcene?
Sì. La cosa interessante è che nel calendario della Chiesa
siro-cattolica non esiste la nostra festa del primo novembre, di Tutti i
Santi. Comunque, il sacerdote sapeva di questa Giornata mondiale della
santificazione, come è chiamata nella pastorale, che tutti siamo
chiamati alla santità. Questa chiamata diventò ambito martirale per
questo gruppo perché tutti i 48 morirono dentro la chiesa, nessuno dei
feriti morì in seguito, quasi come se dalla tavola terrestre, dove
partecipavano a questa giornata della santificazione, Dio li chiamò –
quelli che Lui reputò degni. Perciò, la Chiesa che celebra la santità di
tutti i suoi figli il primo novembre, lì acquistò un valore letterale
perché tutti entrarono nella vita eterna chiamati precisamente per
essere cristiani.
Che frutti ha dato questo sacrificio dei 48 cristiani?
Sono passati solo nove anni; purtroppo, i frutti ancora sono
frutti del maligno, perché in seguito a questo attentato due terzi della
comunità siro-cattolica hanno abbandonato l’Iraq: per quello è stato –
ed è ancora – difficile trovare testimonianze riguardo ad alcuni dei
martiri dei quali non si sa nemmeno se abbiano un parente vivo. Ma i
frutti che nella diaspora e nelle testimonianze che l’istruttore,
l’arcivescovo di Baghdad, è riuscito a fare è di grande speranza. Cioè è
un frutto che – come diceva San Francesco di Sales – che cresce piccolo
ai piedi della Croce.
Lei è appena tornato dall’Iraq, che è una terra che continua a
soffrire e dove i cristiani continuano a subire una sistematica
persecuzione. Può dirci cosa ha visto, qual è la situazione?
La situazione è molto difficile, perché sconfitto il cosiddetto
Daesh o califfato nella parte Nord dell’Iraq, i cristiani – chiamati dai
pastori, dai vescovi – con un aiuto discreto – si nota l’aiuto dal
mondo, soprattutto delle organizzazioni cattoliche, nella ricostruzione
delle chiese, dei servizi … Il problema di quelli che già sono tornati
dalla diaspora: tanti hanno vissuto nei campi di rifugiati in Giordania o
in Turchia; tra quelli che avevano deciso di rientrare, più di una
famiglia ha scelto di lasciare di nuovo il Paese perché si trovano che
lo spirito che aveva accolto o che aveva permesso l’insediamento del
cosiddetto califfato, quello spirito rimane: cioè, le persone che hanno
accolto Daesh ancora stanno vivendo nei villaggi intorno a Mosul e a
Baghdad. E quindi, le difficoltà nel lavoro, le costanti discriminazioni
per non parlare delle minacce … creano la realtà del fatto che non è
facile, tornare. E pertanto non difenda tutti.
* Padre Thaer Abdal
** Padre Wassim Kas Boutros
Nota di Baghdadhope